DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II DURANTE LA VISITA AL PARLAMENTO EUROPEO* (1988)

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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II DURANTE LA VISITA AL PARLAMENTO EUROPEO*

Palazzo d’Europa – Strasburgo (Francia)

Martedì, 11 ottobre 1988

Signor Presidente, signore e signori deputati.

1. Mi permetta innanzitutto, signor Presidente, di esprimerle la mia gratitudine per le parole di benvenuto e di stima che mi ha rivolto. Desidero ringraziarla vivamente per aver personalmente rinnovato l’invito, già formulato nel 1980, di venire a rivolgermi a questa prestigiosa assemblea. La speranza che avevo già espresso più di tre anni fa dinanzi ai rappresentanti delle istituzioni europee, diventa finalmente realtà, e mi rendo conto dell’importanza di questo mio incontro con i rappresentanti dei dodici Paesi che formano la Comunità europea, vale a dire i rappresentanti di circa 330 milioni di cittadini che vi hanno affidato il mandato di guidare i loro destini comuni. Adesso che la vostra assemblea, parte principale dell’integrazione europea sin dagli inizi della «Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio» e la firma del trattato di Roma, viene eletta a suffragio universale diretto e che conseguentemente gode di un prestigio e di un’autorità accresciuti, appare a giusto titolo ai vostri compatrioti come l’istituzione portante del loro avvenire, come una comunità democratica del Paese, desiderosa di integrare più fortemente la sua economia, di armonizzare in molti punti la sua legislazione e di offrire a tutti i suoi cittadini uno spazio unico di libertà in una prospettiva di mutua cooperazione e arricchimento culturale. Il nostro incontro si colloca in un momento privilegiato della storia di questo continente, quando un lungo cammino, non esente da difficoltà, è stato già percorso e si annunciano nuove decisive tappe che accelereranno, con l’entrata in vigore dell’«Atto Unico Europeo», il processo di integrazione pazientemente portato avanti negli ultimi decenni.

I
2. Sin dalla fine dell’ultima guerra mondiale, la Santa Sede non ha mai smesso di incoraggiare la costruzione dell’Europa. Certo, la Chiesa ha come missione di far conoscere a tutti gli uomini la loro salvezza in Gesù Cristo, quali che siano le condizioni della loro storia presente, perché non vi è mai nulla di più importante di questo compito. Così, senza uscire dalla competenza che le è propria, essa considera suo dovere illuminare e accompagnare le iniziative sviluppate dai popoli che vanno nel senso dei valori e dei principi che essa deve proclamare, attenta ai segni dei tempi che esortano a tradurre nelle mutevoli realtà dell’esistenza i requisiti permanenti del Vangelo. Come potrebbe la Chiesa disinteressarsi della costruzione dell’Europa, lei che è radicata da secoli nei popoli che la compongono e che ha condotto un giorno al fonte battesimale popoli per i quali la fede cristiana è e rimane uno degli elementi della loro identità culturale?
3. L’Europa d’oggi può certamente accogliere come un segno dei tempi lo stato di pace e di cooperazione definitivamente instaurato tra i suoi Stati membri, che per secoli avevano sprecato le loro forze a farsi la guerra e a cercare il dominio gli uni sugli altri. Segno dei tempi ancora, l’accresciuta sensibilità per i diritti dell’uomo e per i valori della democrazia, di cui la vostra assemblea è l’espressione e vuol essere anche la garante. Questa adesione da allora è sempre tesa a sostenere che deve prevalere, in tutte le circostanze, il rispetto del diritto e della dignità della persona umana. Segno dei tempi anche, noi crediamo, è il fatto che questa parte dell’Europa, che ha finora tanto investito nel campo della sua cooperazione economica, sia sempre più intensamente alla ricerca della sua anima e di un soffio in grado di assicurare la sua coesione spirituale. Su questo punto, mi sembra, l’Europa che voi rappresentate si trova sulla soglia di una nuova tappa della sua crescita, tanto per se stessa che nel suo rapporto con il resto del mondo.
4. Il «mercato unico», che entrerà in vigore dalla fine del 1992, accelererà il processo di integrazione europea. Una struttura politica comune, emanazione della libera volontà dei cittadini europei, lungi dal mettere in pericolo l’identità dei popoli della comunità, servirà piuttosto a garantire più equamente i diritti, soprattutto culturali, di tutte le sue regioni. Questi popoli europei uniti non accetteranno la dominazione di una nazione o di una cultura sulle altre, ma sosterranno il diritto uguale per tutti di arricchire gli altri della loro diversità. Gli imperi del passato, che tentavano di instaurare il loro predominio con la forza della coercizione e la politica di annessione hanno tutti fallito. La vostra Europa sarà quella della libera associazione di tutti i popoli e della messa in comune delle molteplici ricchezze della sua diversità.
5. Altre nazioni potranno certamente unirsi a quelle che sono qui rappresentate. Il mio voto di pastore supremo della Chiesa universale, venuto dall’Europa centrale e che conosce le aspirazioni dei popoli slavi, quest’altro «polmone» della nostra stessa patria europea, il mio voto è che l’Europa, dandosi sovranamente libere istituzioni, possa un giorno estendersi alle dimensioni che le sono state date dalla geografia e più ancora dalla storia. Come potrei non desiderarlo, dato che la cultura ispirata dalla fede cristiana ha profondamente segnato la storia di tutti i popoli della nostra unica Europa, greci e latini, tedeschi e slavi, malgrado tutte le vicissitudini e al di là dei sistemi sociali e delle ideologie?
6. Le nazioni europee si sono tutte distinte nella loro storia per la loro apertura verso il mondo e gli scambi vitali che hanno stabilito con i popoli di altri continenti. Nessuno può immaginare che un’Europa unita possa rinchiudersi nel suo egoismo. Parlando all’unisono, unendo le sue forze, essa sarà in grado più ancora che nel passato, di consacrare risorse ed energie nuove al grande compito dello sviluppo dei Paesi del Terzo Mondo, specialmente quelli che intrattengono già con essa legami tradizionali. La «Convenzione di Lomé», che ha dato luogo ad una cooperazione istituzionalizzata fra i membri della vostra assemblea ed i rappresentanti di 66 Paesi d’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, è, a ben vedere, esemplare. La cooperazione europea sarà quindi tanto più credibile e fruttuosa quanto più sarà portata avanti senza secondi fini di dominio, con l’intento di aiutare i Paesi poveri a farsi carico del loro proprio destino.

II
7. Signor Presidente, il messaggio della Chiesa riguarda Dio e il destino ultimo dell’uomo, problemi che hanno caratterizzato al massimo grado la cultura europea. In verità, come potremmo concepire l’Europa privata di questa dimensione trascendente? Da quando, in terra europea, si sono sviluppate, in epoca moderna, le correnti di pensiero che a poco a poco hanno allontanato Dio dalla comprensione del mondo e dall’uomo, due visioni opposte alimentano una tensione costante fra il punto di vista dei credenti e quello dei fautori di un umanesimo agnostico e a volte anche «ateo». I primi, ritengono che l’ubbidienza a Dio sia la sorgente della vera libertà, che non è mai libertà arbitraria e senza scopo, ma libertà per la verità e il bene, due grandezze che si situano sempre al di là della capacità degli uomini di appropriarsene completamente. Sul piano etico, questo atteggiamento fondamentale si traduce nell’accettazione di principi e di norme di comportamento che si impongono alla ragione o derivano dall’autorità della Parola di Dio, di cui l’uomo, individualmente o collettivamente, non può disporre a suo piacimento, secondo l’arbitrio delle mode o dei propri mutevoli interessi.
8. Il secondo atteggiamento è quello che, avendo soppresso ogni subordinazione della creatura a Dio, o a un ordine trascendente della verità e del bene, considera l’uomo in se stesso come il principio e la fine di tutte le cose, e la società, con le sue leggi, le sue norme, le sue realizzazioni, come sua opera assolutamente sovrana. L’etica non ha allora altro fondamento che il consenso sociale, e la libertà individuale altro freno se non quello che la società ritiene di dover imporre per la salvaguardia di quella altrui. Presso alcuni, la libertà civile e politica, già conquistata attraverso un capovolgimento dell’antico ordine fondato sulla legge religiosa, viene ancora concepita come accompagnata dall’emarginazione, ovvero la soppressione della religione, in cui si tende a vedere un sistema di alienazione. Per alcuni credenti, invece, una vita conforme alla fede non sarebbe possibile se non attraverso un ritorno a questo antico ordine, d’altronde spesso idealizzato. Questi due atteggiamenti antagonisti non portano a soluzioni compatibili con il messaggio cristiano e lo spirito dell’Europa. Poiché, quando regna la libertà civile e si trova pienamente garantita la libertà religiosa, la fede non può che guadagnare in vigore raccogliendo la sfida che deriva dalla non credenza, e l’ateismo non può che misurare i suoi limiti di fronte alla sfida che la fede gli pone. Dinanzi a tale diversità di punti di vista, la funzione più elevata della legge è quella di garantire in egual misura a tutti i cittadini il diritto di vivere in accordo con la loro coscienza e di non contraddire le norme dell’ordine morale naturale riconosciute dalla ragione.
9. A questo riguardo mi sembra importante ricordare che è nell’humus del cristianesimo che l’Europa moderna ha attinto il principio – sovente perso di vista nel corso dei secoli di «cristianità» – che governa in modo più fondamentale la sua vita pubblica: mi riferisco al principio, proclamato per la prima volta da Cristo, della distinzione fra «ciò che è di Cesare» e «ciò che è di Dio» (cfr. Mt 22, 21). Questa distinzione essenziale fra la sfera dell’amministrazione esteriore della città terrena e quella dell’autonomia delle persone si illumina a partire dalla rispettiva natura della comunità politica a cui appartengono necessariamente tutti i cittadini e della comunità religiosa a cui aderiscono liberamente i credenti. Dopo Cristo, non è più possibile idolatrare la società come grandezza collettiva divoratrice della persona umana e del suo destino irriducibile. La società, lo Stato, il potere politico appartengono al quadro mutevole e sempre perfettibile di questo mondo. Nessun progetto di società potrà mai stabilire il Regno di Dio, cioè la perfezione escatologica, sulla terra. I messianismi politici sfociano spesso nelle peggiori tirannidi. Le strutture che le società si danno non valgono mai in modo definitivo, esse non possono neppure procurare da sole tutti i beni ai quali l’uomo aspira. In particolare, non possono sostituirsi alla coscienza dell’uomo, né alla sua ricerca della verità e dell’assoluto. La vita pubblica, il buon ordine dello Stato, riposano sulla virtù dei cittadini, che invita a subordinare gli interessi individuali al bene comune e a non darsi e a non riconoscere per legge altro che ciò che è obiettivamente giusto e buono. Già gli antichi greci avevano scoperto che non vi è democrazia senza assoggettamento di tutti alla legge e non legge che non sia fondata su una norma trascendente del vero e del giusto. Dire che spetta alla comunità religiosa e non allo Stato di gestire «ciò che è di Dio», significa porre un limite salutare al potere degli uomini e questo limite è quello della sfera della coscienza, dei fini ultimi, del senso ultimo dell’esistenza, dell’apertura verso l’assoluto, della tensione verso un compimento mai raggiunto, che stimola gli sforzi ed ispira le scelte giuste. Tutte le correnti di pensiero del nostro vecchio continente dovrebbero riflettere su quali oscure prospettive potrebbe condurre l’esclusione di Dio dalla vita pubblica, di Dio come ultima istanza dell’etica e garanzia suprema contro tutti gli abusi del potere dell’uomo sull’uomo.
10. La nostra storia europea mostra abbondantemente quanto spesso la frontiera fra «ciò che è di Cesare» e «ciò che è di Dio» sia stata attraversata nei due sensi. La cristianità latina medioevale – per non menzionare altro – che d’altra parte ha teoricamente elaborato, riprendendo la grande tradizione di Aristotele, la concezione naturale dello Stato, non è sempre sfuggita alla tentazione integralista di escludere dalla comunità temporale coloro che non professavano la vera fede. L’integralismo religioso, senza distinzione tra la sfera della fede e quella della vita civile, praticato ancora oggi in un’altra realtà, appare incompatibile con lo spirito proprio dell’Europa quale è stato caratterizzato dal messaggio cristiano. Ma è da un’altra parte che, nei nostri tempi, sono venute le più gravi minacce, quando delle ideologie hanno assolutizzato la stessa società o un gruppo dominante, a detrimento della persona umana e della sua libertà. Laddove l’uomo non si appoggia più su una grandezza che lo trascende, rischia di abbandonarsi al potere senza freno dell’arbitrio e degli pseudo-assolutismi che lo annientano.

III
11. Altri continenti conoscono oggi una simbiosi più o meno profonda tra la fede cristiana e la cultura, che è piena di promesse. Ma dopo circa due millenni, l’Europa offre un esempio molto significativo della fecondità culturale del cristianesimo che, per sua natura, non può essere relegato alla sfera privata. Il cristianesimo, infatti, ha vocazione di professione pubblica e di presenza attiva in tutti gli ambiti della vita. Il mio dovere è anche quello di sottolineare con forza che se il sostrato religioso e cristiano di questo continente dovesse essere emarginato dal suo ruolo di ispirazione dell’etica e dalla sua efficacia sociale, non è soltanto tutta l’eredità del passato che verrebbe negata, ma è ancora un avvenire dell’uomo europeo – parlo di ogni uomo europeo, credente o non credente che verrebbe gravemente compromesso.
12. Concludendo, enuncerò tre campi in cui mi sembra che l’Europa unita di domani, aperta verso l’Est del continente, generosa verso l’altro emisfero, dovrebbe riprendere un ruolo di faro nella civilizzazione mondiale: – Innanzitutto, riconciliare l’uomo con la creazione, vegliando sulla preservazione dell’integrità della natura, della sua fauna e della sua flora, della sua aria e dei suoi fiumi, dei suoi sottili equilibri, delle sue risorse limitate, della sua beltà che loda la gloria del Creatore. – Poi, riconciliare l’uomo con i suoi simili, accettandosi gli uni gli altri quali europei di diverse tradizioni culturali o correnti di pensiero, accogliendo gli stranieri e i rifugiati, aprendosi alle ricchezze spirituali dei popoli degli altri continenti. – Infine, riconciliare l’uomo con se stesso: sì, lavorare per la ricostruzione di una visione integrale e completa dell’uomo e del mondo, contro le culture del sospetto e della disumanizzazione, una visione in cui la scienza, la capacità tecnica e l’arte non escludono ma suscitano la fede in Dio.

*L’Osservatore Romano 12.10.1988 p. 6.

Publié dans : PAPA GIOVANNI PAOLO II |le 2 juillet, 2014 |Pas de Commentaires »

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