Archive pour juin, 2014

LO SPIRITO SANTO SORGENTE INESAURIBILE DI DONI – Angelo Amato

http://www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents/ju_mag_01021998_p-18_it.html

L’ANNO DELLO SPIRITO SANTO
I segni della speranza: i popoli

LO SPIRITO SANTO SORGENTE INESAURIBILE DI DONI
Angelo Amato

1. Lo Spirito è «Persona-dono»
L’esistenza cristiana è intimamente segnata dalla «nube dello Spirito» (cf. Mt 17,5). È lo Spirito che porta i fedeli alla loro piena configurazione a Cristo. Ma, in cosa consiste, concretamente, la presenza dello Spirito Santo e qual è il significato dei suoi doni? La risposta è semplice: la vita cristiana, per svilupparsi e giungere a maturazione, esige una assistenza speciale dello Spirito santo e dei suoi doni. Il mistero profondo dello Spirito è quello di essere «dono»: «Si può dire che nello Spirito santo la vita intima del Dio uno e trino si fa tutta dono, scambio di reciproco amore tra le divine Persone, e che per lo Spirito santo Dio «esiste» a modo di dono. È lo Spirito Santo l’espressione personale di un tale donarsi, di questo essere amore. È Persona-amore. È Persona-dono» (Dominum et Vivificantem, n. 10).
Essendo Persona-dono lo Spirito è la sorgente di ogni dono creato, come la vita, la grazia, la carità: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo, che ci è stato dato» (Rm 5,5). Ed è Gesù che ha dato il suo Spirito come dono di vita nuova agli apostoli, alla chiesa, al mondo: «Innalzato alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire» (At 2,33). Queste parole di Pietro a Pentecoste, riecheggiano la sua esperienza pasquale. La sera della risurrezione, infatti, Gesù, apparendo agli apostoli, disse: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22). Anche a Pentecoste gli apostoli «furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2,4). Tale pentecoste apostolica rifluisce su tutta l’umanità, in tutte le sue categorie di giovani e di anziani, di uomini e di donne. È lo stesso Pietro a spiegare, nel suo primo kérygma, che questa irruzione dello Spirito non fa che realizzare la profezia di Gioele:
«Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni. E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno» (At 2,17-18).
Il dono dello Spirito significa vocazione alla profezia da parte dei figli e delle figlie, dei servi e delle serve; significa chiamata a seguire grandi ideali («visioni») da parte dei giovani e ad avere sogni profetici da parte degli anziani. L’effusione dello Spirito a Pentecoste realizza anche la profezia di Ezechiele:
«Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi. Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio. Vi libererò da tutte le vostre impurità: chiamerò il grano e lo moltiplicherò e non vi manderò più la carestia» (Ez 36,24-29).
Lo Spirito è cioè dono di comunione, è acqua di purificazione, è cuore di carne, è novità, è obbedienza, è appartenenza e fedeltà a Dio, è abbondanza di beni.

2. «Vieni, datore dei doni»
San Giovanni, parlando della nostra vocazione alla comunione con Dio-Amore, afferma: «Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito» (1Gv 4,13). È nello Spirito che noi amiamo Dio. Per questo S. Agostino afferma che «lo Spirito santo è il dono di Dio a tutti coloro che per mezzo suo amano Dio»1. Lo Spirito ci abilita al rapporto interpersonale con Dio, all’alleanza tra il nostro «io» e il «tu» divino: «Il dono dello Spirito significa chiamata all’amicizia, nella quale le trascendenti profondità di Dio vengono, in qualche modo, aperte alla partecipazione da parte dell’uomo» (Dominum et Vivificantem, n. 34). È quanto S. Paolo diceva: «Viviamo sotto il dominio dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in noi» (Rm 8,5.9); «Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5,25).
Per rendere possibile e facilitare questo cammino lo Spirito si fa sorgente di molteplici doni, frutti, carismi. Per questo nella solennità di Pentecoste lo invochiamo: «Vieni, Santo Spirito, vieni, datore dei doni». Tradizionalmente si parla dei sette doni dello Spirito Santo: «la sapienza, l’intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timore di Dio» (CCC n. 1831). Attribuiti in prima istanza al Messia (cf. Is 11,1-2)2, nel quale si realizzano in pienezza, questi doni perfezionano le virtù del battezzato, rendendolo docile e obbediente a seguire le mozioni dello Spirito. Se la vocazione del cristiano è la santità, i doni dello Spirito servono per agevolare la pratica delle virtù sia teologali (fede, speranza, carità), sia morali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza). Spesso la tradizione teologica ha messo in correlazione i singoli doni con le singole virtù. Ad esempio, il dono del timore viene visto in corrispondenza con la virtù della temperanza e il dono della sapienza con la virtù della carità. In realtà ogni singolo dono facilita l’esercizio di tutte le virtù, che ne escono fortemente rafforzate. Più che in una graduatoria o su una scala i doni devono essere messi in reciproca circolarità e correlazione.

3. Il timore, come gioiosa trepidazione per la vicinanza di Dio
Il timore del Signore si può considerare come il primo gradino della scala della perfezione, che avrebbe il suo vertice nel dono della sapienza. Afferma S. Tommaso d’Aquino: «Il timore filiale occupa il primo posto tra i doni dello Spirito Santo in ordine ascendente, e l’ultimo in ordine discendente»3. Il Siracide, tuttavia, mostra l’interdipendenza e il reciproco influsso dei doni:
«Pienezza della sapienza è temere il Signore; essa inebria di frutti i propri devoti. Tutta la loro casa riempirà di cose desiderabili, i magazzini dei suoi frutti. Corona della sapienza è il timore del Signore; fa fiorire la pace e la salute. Dio ha visto e misurato la sapienza; ha fatto piovere la scienza e il lume dell’intelligenza; ha esaltato la gloria di quanti la possiedono. Radice della sapienza è temere il Signore; i suoi rami sono lunga vita» (Sir 1,14-18).
In una proposta di cammino vocazionale, si può vedere nel timore di Dio il primo passo per abbandonare la vita secondo la carne e percorrere la via secondo lo Spirito. Il timore di Dio fa comprendere che la vita non è solitudine e silenzio, ma comunione con Dio. Il timore non è paura di Dio, ma trepidazione e gratitudine per la sua grande prossimità a noi. È riscoperta e lode della sua grandezza e sapienza, e, allo stesso tempo, coscienza di essere immersi in questo «ambiente divino», avvolti dall’abbraccio di Dio:
«Signore, tu mi scruti e mi conosci; tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie; la mia parola non è ancora sulla lingua e tu, Signore, già la conosci tutta. Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano. Stupenda per me la tua saggezza, troppo alta, e io non la comprendo. Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza?» (Sal 139,1-7).
La prostrazione di Abramo di fronte ai tre pellegrini (Gn 18,2), la sorpresa di Giacobbe nel sogno della scala, la cui cima raggiungeva il cielo (Gn 28,12), lo sbigottimento di Mosè al roveto ardente (Es 3,6), la meraviglia di Isaia di fronte al serafino col carbone ardente (Is 6,6-7), il grande spavento dei pastori all’annuncio degli angeli (Lc 2,9), lo stordimento di Giovanni il veggente di fronte al Vivente (Ap 1,17) indicano lo stupore improvviso di chi si trova a tu per tu di fronte al mistero santo di Dio. È un timore che non si tramuta in paura, ma, al contrario, si espande per Abramo in servizio e dialogo con Dio, per Giacobbe in conferma di aver incontrato Dio, per Mosè in spinta alla missione, per Isaia in obbedienza alla chiamata profetica, per i pastori in invito a incontrare il neonato Salvatore, per Giovanni in contemplazione dell’azione efficace e vittoriosa di Dio nelle martoriate vicende della chiesa e del mondo.
Il timore è la trepidazione avvertita da chi inizia il cammino della vita nello Spirito e si affida con confidenza nelle mani di Dio: «Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore, provami e conosci i miei pensieri: vedi se percorro una via di menzogna e guidami sulla via della vita» (Sal 139,23-24). Il timore di Dio diventa così consapevolezza della debolezza umana, esercizio di umiltà e di povertà di spirito, ma anche fiducia nella misericordia di Dio, speranza nella sua provvidente bontà, autentico «principio di saggezza» (Sal 111,10).

NOTE
1) De Trinitate, XV 19,35.
2) Il testo ebraico di Is. 11,2 parla di sei doni: spirito di sapienza, intelligenza, consiglio, fortezza, conoscenza e timore del Signore. La versione greca dei LXX e la versione latina della Volgata enunciano invece sette doni, introducendo la «pietà». In realtà si tratta di una interpretazione di Is 11,3, in cui il «timore del Signore», ripetuto in questo versetto, viene tradotto in una sua variazione e cioè in «pietà».
3) STh, II/II q. 19 a. 9.

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Coronation of the Virgin

Coronation of the Virgin dans immagini sacre 445px-Coronation_of_the_Virgin_-_Sittow

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LA PASSIONE DI GESÙ CRISTO NELL’ANTICO TESTAMENTO

http://passiochristi.altervista.org/pass_40_passione_AT2.htm

LA PASSIONE DI GESÙ CRISTO NELL’ANTICO TESTAMENTO

(ho lasciato la grafica come è nel testo originale – più o meno – anche allunga un po’ il post)

(Seconda parte)

• L’agnello pasquale
• Il legno gettato nella fonte
• La verga di Mosè
• Il capro Azazel
• Il serpente di bronzo
• La corda rossa di Raab

Introduzione

Padre Marcello Spagnolo, passionista, nel­ l’introduzione del suo « Dall’Eden al Golgota », scrive : « Dio, da grande artista qual è, ha preso nelle mani il mondo, come il vasaio prende in mono un pezzo di creta; ha preso l’umanità, con tutta la sua storia, e sulla creta del mondo e nella storia dell’umanità ha tracciato i segni che ha voluto.
Inoltre ha parlato. Ha parlato per bocca dei suoi profeti.
Coi segni tracciati e con le parole dei profeti — il tutto consegnato nelle sacre scritture — Dio si è compiaciuto di abbozzare la trama delle cose future, specialmente di quelle riguardanti il suo Figliuolo ».
Nella trama delle cose future riguardanti il suo Figlio, Dio-Padre abbozzò, in modo particolare, tutto ciò che riguardava la passione e morte di Gesù.
Infatti nostro Signore, parlando della sua passione e morte, si appellava sempre alla sacra scrittura:
« Ecco che noi saliamo a Gerusalemme, e si adempirà tutto quanto fu scritto dai profeti intorno al Figlio dell’uomo » (1).
« Come si adempirebbero le Scritture, secondo le quali bisogna che avvenga così? », cioè la sua cattu­ ra nel Getsemani ( 2 ).
« O stolti e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno detto! Non doveva forse il Cri­sto patire tali cose e così entrare nella sua gloria? E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegava loro in tutte le Scritture le cose che si riferivano a lui » ( 3 ).
Per poter leggere nella Bibbia la storia an­ ticipata della passione e morte di Gesù Cristo si richiedono in noi tre disposizioni :
• credere che la sacra scrittura è un libro divino che ha per autore principale Dio;
• confessare che tutto è manifesto allo sguardo di Dio: il passato, il presente e il futuro;
• ritenere che nulla si opera nel mondo — sia di piccolo come di grande — che non sia voluto o permesso da Dio ( 4 ).

(1) Lc, XVIII, 31.
(2) Mt., XXVI, 54.
(3) Lc, XXIV, 25-27.
(4) Padre Marcello Spagnolo, o.c.

Con queste disposizioni interne, sostenute dalla preghiera, fatta prima, durante e dopo la lettura della Bibbia, la storia della passione e morte di Gesù in croce ci apparirà evidente in tutto il Vecchio Testamento.
Continuiamo in questa seconda lettura a vedere le figure bibliche della redenzione umana.

I. L’agnello pasquale
Dio aveva comandato agli israeliti molti sacrifici in suo onore; soprattutto il sacrificio quotidiano di due agnelli : « Ogni giorno, in perpetuo, sacrificherai sull’altare due agnelli d’un anno, uno la mattina ed uno la sera » ( 5 ).
Ma, una volta all’anno, Dio dispose che, a Pasqua, tutte le famiglie immolassero un agnello in memoria della loro liberazione dalla schiavitù dei faraoni d’Egitto. L’immolazione era fatta nell’atrio interno del tempio, dal capofamiglia.

(5) Esodo, XXIX, 38.

1. L’agnello pasquale, simbolo dell’Agnello divino
Gli israeliti vedevano in quell’agnello pasquale l’immagine del futuro Messia.
Il profeta Isaia lo vide e lo descrisse: «È stato menato a morte come una pecorella, come un agnel­ lo che non apre bocca » (6). « Manda, o Signore, l’Agnello dominatore della terra » (7).
San Giovanni Battista, additando Gesù alle turbe, esclamò: « Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo » ( 8 ).
Tutti i santi padri videro nell’agnello pasqua­ le degli ebrei raffigurato Gesù crocifisso.
L’abate Ruperto dice: « Gesù fece il suo ingresso in Gerusalemme il giorno dieci di Nisan. Per quel giorno era comandato ai capi dì famiglia d’Israele di prendere ciascuno e mettere da parte l’agnello che doveva servire per la Pasqua. E così Gesù Cristo osservò anche questo particolare, separandosi e mettendosi fin da quel giorno a disposizione dei suoi immolatori » (9′).

(6) Isaia, LIII, 7.
(7) Isaia, XVI, 1.
(8) Gv., I, 29.

(9) Presso Giacomo Finto, 1 V., t. III, 2.

Lo scrittore cristiano Lattanzio (sec. III-IV) scrive : « Quando i primogeniti degli egiziani in una notte perirono, i soli ebrei restarono incolumi nel segno del sangue. Non perche il sangue di un animale avesse in se tanta virtù, da dare la salute agli uomini, ma perché era immagine delle cose future. L’agnello candido e senza macchia era infatti Cristo, innocente, giusto e santo, il quale immolato dai giudei, è divenuto salute a quanti segnano la loro fronte col segno del sangue, col segno della croce, strumento del suo martirio » ( 10 ).
L’abate Ruperto dichiara : « L’agnello, che in figura di te (o Gesù) fu ucciso in Egitto, redense nel suo sangue quel popolo… o meglio, tu, o Signore, agnello dominatore, lo redimesti con redenzione figurativa, mediante l’immolazione dell’agnello; tu che ora hai redento noi a Dio, da te stesso nel tuo proprio sangue, ed in modo che il tuo sangue, sparso per noi, preso dal sacramento del battesimo, s’imprima in forma dì croce sulle nostre fronti » (11).
San Pietro apostolo afferma : « Vivete con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio; ben sapendo… che siete stati riscattati… col prezioso sangue di Cristo, dell’Agnello immacolato e incontaminato » ( 12 ).
San Paolo apostolo dice: « La nostra Pasqua — ossia il nostro agnello — Cristo, è stato immolato » (13).

2. Conclusione
Presso gli ebrei, l’agnello pasquale, dopo di essere stato sacrificio, doveva divenire cibo conviviale. Tutti dovevano mangiare a questo convito. Chi non avesse mangiato l’agnello, era anatematizzato, scomunicato.

(10) Divinarum Institutionum libri septem, I, IV, e. 26; ML, 6, 530.
(11) In Apocalypsìm, 1, IV, e. 5; ML, 169, 933.
(12) 1, I, 17-19.
(13) 1 Corinti, V, 7.

L’Agnello divino, dopo d’essersi immolato sulla croce per la nostra salvezza, volle trasformarsi in cibo nell’Eucaristia; comandò che ognuno di noi dovesse accostarsi a lui e mangiare di esso : « In verità vi dico: se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo, e non berrete il suo sangue, non avrete la vita eterna. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno » (14).
Dunque mangiamo spesso la carne del divin Agnello, divenuto nostro cibo nell’Eucaristia, e saremo da Gesù risuscitati nell’ultimo giorno per partecipare, in oielo, della sua gloria.

II. Il legno gettato nella fonte

Narra la Bibbia: « Mosè condusse via Israele dal Mar Rosso, e giunse al deserto di Sur. Camminaro­ no tre giorni nel deserto senza trovare acqua. Poi vennero in Mara; ma non poterono bere di quell’acqua, perché era amara. Mosè pregò il Signore. Il Signore gli mostrò un certo legno, capace di far addolcire le acque. Mosè prese quel legno, lo gettò nella fontana, e le acque divennero dolci » ( 15 ).

(14) Gv., VI, 54-55.
(15) Esodo, XV, 22-25.

1. Quel legno era simbolo della croce di Gesù
I santi padri affermano che quel legno me­ raviglioso, indicato da Dio a Mosè, era tipo della santa croce di Gesù Cristo, la quale, col suo contatto, rende dolce ogni cosa.
Rabano Mauro scrive : « Che le acque amare al contatto del legno si addolciscano, è indizio che la amarezza delle genti doveva un giorno cambiarsi in dolcezza per virtù del legno della santa croce » ( 16 ).
L’abate Ruperto afferma: « Il legno che il Signore mostrò a Mosè, e che mostrava per sua grazia anche a noi, è il legno della santa e vivifica croce. Mettere il legno nelle acque amare per renderle dolci, è applicare il sacramento della passione del Signore alla lettera della legge. Il che quanto sia dolce, lo conosce solo chi meritò di sperimentarlo; chi bevve, egli lo sa» (17).
Cornelio A Lapide: « Che cosa viene significato dall’acqua amara se non l’amarezza delle avversità? Tale amarezza, allorché vi si getti dentro il legno della Croce, vale a dire, si consideri la passione del dolce Gesù, sembrerà nulla, messa al confronto con ciò che l’Uomo-Dio e Mediatore degli uomini Gesù Cristo, ha sofferto per noi » ( 18 ).
San Cirillo dice: «Se tu prendi tuo cibo e bevan­ da dal mistero della Croce, ti avvedrai come quel legno, che presso Mara diede in figura dolce sapore,

(16) Comment., In Esodo, 1. II; ML, 108, 76.
(17) In Esodo, 1. III; ML, 167, 655.
(18) Comment., In Esodo, h. 1.

2. Conclusione
Si disputa presso gli esegeti se quel legno, gettato da Mosè nelle acque, avesse natural­mente o no la virtù di rendere dolce l’amaro. Tutti però sono concordi nell’ammettere che la passione di Gesù ha per se stessa la pro­ prietà di addolcire le amarezze della vita. « È questa la gloria e la grazia della Croce, prefigurata nel legno di Mara » ( 20 ).
Il poeta Venanzio Fortunato cantava : « Dolce ferro e dolce legno reggono un dolce peso ».
San Paolo della croce, giovanetto, soleva abbeverarsi di fiele, di vero fiele, ogni venerdì; ed il fiele gli sembrava delizioso. Egli però faceva prima, quello che fece Mosè; vi gettava dentro un legno, il legno della Croce; pensava cioè a quel fiele che fu dato a bere a Gesù nella passione, e mandava giù i sorsi, tanto più dolci quanto più amari ( 21 ).
Cari lettori, imitiamo san Paolo della croce nel pensare alle pene di Gesù durante la sua passione e morte, e, a sua imitazione, trovere­ mo dolce ciò che umanamente è amaro.

(19) A Lapide.
(20) Sant’Agostino, ML, 34, 616.
(21) Padre Marcello Spagnolo c.p., o.c.

III. La verga di Mosè
Narra la Bibbia che gli amaleciti assalirono Israele in Rafidin. Mosè disse a Giosuè: « Scegliti degli uomini ed esci a combattere contro gli amaleciti. Domani io sarò sulla cima del colle, tenendo in mano la verga dì Dio » ( 22 ).
Giosuè eseguì l’ordine e combattè contro gli amaleciti, mentre Mosè, Aronne e Ur stavano in cima al colle. Ora, finché Mosè teneva le mani alzate, vinceva Israele; ma se le abbassava un poco, vinceva Amalec.
Si noti : Giosuè combatteva e vinceva ; ma la vittoria era legata intimamente all’opera di Mosè, che prestava sul colle con le baccia aperte, reggendo la verga di Dio.

1. La verga di Mosè, simbolo della croce di Gesù
La verga di Mosè era simbolo della Croce del Calvario : essa sconfisse l’inferno, restando sempre segnale di vittoria, visione terribile a tutti i nemici della nostra eterna salute.

(22) Esodo, XVII, 8 e ss.

San Cirillo scrive : « Mosè, nell’aprire le braccia rappresentava Colui che fu per noi crocifìsso. Si rendeva manifesta, sotto la figura, la virtù della realtà: come, mentre il servo apriva le braccia, cadeva Amalec, così, quando stese le mani il Signore, fu sbaragliato l’esercito di satana » ( 23 ).
In tutti i segni prodigiosi compiuti da Mosè, sempre, quantunque non sempre espressamente notato, Dio comanda di « prendere la verga, sollevare la verga, tendere la verga, percuotere con la verga ».
Cornelio A Lapide dice: « Sembra che Mosè alzasse e tendesse le mani unite insieme, in modo che una palma abbracciasse l’altra, quella con cui teneva la verga. Non avrebbe infatti potuto con una sola mano tenere a lungo sollevata in alto la verga, la quale, per essere verga di pastore, doveva essere abbastanza grande… La verga simboleggiava la croce di Cristo; ma in quanto strumento di vittoria, segnale di trionfo » ( 24 ).
L’abate Wolpero afferma: « Veramente mirabile e gloriosa fu in quella cavalleria (il popolo d’Israele) la presenza della verga, con la quale Dio operò i prodigi e i segni della sua potenza. Non fu forse ben figurata in quella verga la croce di Cristo, unica speranza nostra, compendio della nostra salute? » ( 25 ).

(23) Questiones, In Ex., MG, 80, 259.
(24) In Exodum, h. 1.
(25) Comment., In antica Cant., 1. 1; ML, 195, 1061.

2. Conclusione
La Chiesa nei suoi uffici, nelle ordinazioni, nei sacramenti, nei misteri fa sempre precede
re il mirabile segno della croce. Niente di ratificato, niente di santo, se non sia confermato con la « prelibazione » della santa croce di Cristo.
In Mosè sul colle con le braccia alzate e con nelle mani la verga, è adombrata l’esaltazione della santa Croce, cioè Cristo sul Calvario, circondato di gloria e di maestà, con a lato la croce santa.
Sotto il monte Calvario: il correre precipitoso, confuso dei anemici di Cristo, cioè l’inferno con tutte le aberrazioni dell’idolatria, fremente e fuggente di frone al vessillo vincitore di Cristo.
Sulle schiere, miste nella spaventosa rotta le parole che la Chiesa canta in una delle sue belle antifone:
« Ecco la croce del Signore (di cui la verga di Mo­ sè fu un simbolo), fuggite davanti ad essa, o nemici tutti!
Il leone della tribù di Giuda, che è radice di David, ha vinto! ».
Cari lettori, non mettiamoci nel numero dei nemici della croce di Gesù; ma collochiamoci sotto di essa, come pulcini sotto le ali della chioccia, e saremo difesi da ogni pericolo, sem­ pre vincitori contro le battaglie di satana e dei suoi alleati.

IV. Il capro Azazel
Narra la Bibbia che Dio comandò a Mosè che il popolo d’Israele ogni anno doveva essere purificato dai peccati commessi nel corso dell’anno. Quel giorno era chiamato « il giorno delle espiazioni ».
In quel giorno venivano portati al sommo sacerdote due animali: un vitello ed un ariete per il sommo sacerdote ed il ceto sacerdotale e levitico; due capri ed un ariete per il popolo.
Il sommo pontefice si accostava all’altare, e dei due capri ne destinava uno a Dio e uno ad Azazel, cioè a satana. Il vitello e il capro destinati a Dio venivano immolati a Dio stesso in espiazione dei peccati dei sacerdoti.
Il « capro destinato ad Azazel » non veniva immolato. Esso veniva condotto davanti al sommo sacerdote, rappresentante del popolo. Questi imponeva le mani sul capo dell’animale, e a nome di tutto il popolo, faceva la confessione delle iniquità, delitti e peccati d’Israele, e li scaricava, imprecando, sul capo della bestia. Un uomo, a ciò preparato, prendeva con sé il capro, carico di tutti i peccati d’Israele, e lo menava nel deserto per consegnarlo ad Azazel, vale a dire a satana, padre del peccato.
Cancellati col sangue i peccati, portati per giunta lontano nel deserto, Israele si sentiva ormai libero dal peso opprimente. Si rallegrava e rendeva grazie a Dio ( 26 ).

(26) Levitico, XVI, 1-33.

1. Il capro AzazeI, figura di Gesù crocifisso
I santi padri e molti scrittori ecclesiastici affermano :
• che il sommo sacerdote, che entra nel sancta sanctorum, è Gesù che penetra nei cieli e si presenta al divin Padre per esercitare il suo eterno sacerdozio ;
• che il sangue del capro con cui si purifica il Santissimo, simboleggia il s-angue di Gesù, che muore innocente per purificare le nostre anime;
• che il bruciare delle vittime fuori degli alloggiamenti raffigura Gesù Cristo che consuma il suo sacrificio fuori della porta di Gerusalemme;.
• che il capro destinato ad AzazeI raffigura Gesù in quanto prende il posto dei peccatori, si carica dei peccati di tutto il mondo e li espia abbandonandosi alla potestà delle tenebre.

2. Alcune testimonianze
San Paolo apostolo, dice : « Se il sangue di capri…, sparso su quelli che sono immondi, li santifica rispettò al procurare la purità della carne; quanto più il sangue di Cristo… purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte » (27).

(27) Ebrei, IX, 13-14.

Lo stesso apostolo osserva: «La legge mosaica costituisce sacerdoti uomini soggetti ad ogni debolezza; Gesù, no. Egli non è un uomo semplice, un uomo soggetto a debolezze. Egli è il figlio che è perfetto in eterno. E tale era il sommo sacerdote che a noi con­ veniva, santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori, elevato al di sopra dei cieli » ( 28 ).
Sempre il medesimo apostolo: « I corpi delle vittime, il cui sangue, portato nel santuario, si offre dal sacerdote per i peccati, sono bruciati fuori del campo. Perciò anche Gesù, per santificare col suo sangue il popolo, soffrì fuori della porta » ( 29 ), « portando la sua confusione » ( 30 ), cioè la croce che è oggetto di disprezzo ai superbi figli del tempio e della città deicida;, strumento invece ammirabile di sapienza e di virtù per ogni cristiano vero.
Il profeta Isaia confessa : « Noi tutti, a guisa di pe­ corelle smarrite, ci eravamo sviati, ciascuno aveva declinato per la sua strada e il Signore fece ricade­ re su di lui (Gesù Cristo) le iniquità di tutti » ( 31 ).
San Pietro apostolo predicava : « Egli stesso, Gesù, ha portato i nostri peccati nel suo corpo sopra del legno » ( 32 )- « Cristo è morto per i nostri peccati, egli giusto per gli ingiusti » ( 33 ).
San Giovanni evangelista esclama: « Voi sapete che egli (Gesù) è apparso per togliere i nostri peccati; mentre in lui non c’è peccato » ( 34 ).

(28) Ebrei, VII, 28 e ss.
(29) Ebrei, XIII, 11, e ss.
(30) Ebrei, XIII, 13.
(31) Isaia, LIII, 6.
(32) 1 Pietro, II, 24.
(33) 1 Pietro, III, 18.
(34) 1 Gv., III, 5.

3. Conclusione
Padre Marco Sales, commentando il passo dei due capri che Israele offriva l’uno a Dio e l’altro ad Azazel per espiare i suoi peccati, dice : « Questi due capri non formavano che un solo sacrifìcio per i peccati: il primo, che era immolato, espiava i peccati; il secondo, che era mandato nel deserto, portava lungi dal popolo di Dio i peccati ».
Ora la diversa sorte dei due capri rappresentava un diverso aspetto del sacrificio di Gesù, per merito del quale si cancellano i peccati degli uomini.
Nella sua passione e morte Gesù è offerto a Dio Padre, al quale ci riconcilia mediante l’effusione del suo sangue innocentissimo. E nella stessa passione Egli è dato quasi in balìa di satana, onde scontasse quanto vi era di satanico nei peccati che aveva preso sopra di sé;, per cui giustamente, al principio della stessa passione, Gesù potè dire, rivolto ai ministri di satana: « Questa è l’ora vostra e la potenza delle tenebre » ( 35 ), cioè: Questo è il tempo nel quale a voi e al principe delle tenebre è permesso di fare tutto quello che vorrete contro di me.
Compiuta l’espiazione e portati lontano dal capro nel deserto i peccati del popolo, Israele tripudiava e ringraziava la misericordia di Dio.
Con quanta maggior ragione dovremmo rallegrarci noi cristiani e ringraziare Gesù che ha voluto prendere sopra di sé tutti i nostri pec­cati, espiarli e restituire a noi il diritto della figliolanza divina.
All’Agnello immacolato, al Dio crocifisso sia dato da noi tutti il dovuto onore e gloria.

(35) Lc, XXII, 53.

V. Il serpente di bronzo
Narra la Bibbia che il popolo israelita, mentre s’in­ camminava verso il mar Rosso, il golfo elanitico, giunto ad Edom, seppe che il principe di questo paese non gli concedeva il passaggio attraverso il proprio territorio.
Allora Israele cercò di procedere attorno ad Edom. Il cammino però si allungò di molto ed il popolo, stanco del cammino e della fatica, cominciò a mormorare contro Dio e il suo servo Mosè : « Perché ci facesti venir via dall’Egitto per farci morire nel deserto? Non c’è pane, non c’è acqua, e questo cibo insipido (la manna caduta dal cielo, la quale conteneva ogni sapore) ci nausea ».
Il Signore, adirato per le mormorazioni e le ingratitudini del suo popolo, mandò contro Israele serpenti dal morso velenoso.
Vedendo le piaghe che quei serpenti producevano e come molti ne morivano, vennero a Mosè e dissero: « Abbiamo peccato parlando male contro il Signore e te. Prega Iddio che allontani da noi questi serpenti ».
Mosè pregò ;, e il Signore gli disse : « Fa’ un serpente di bronzo e mettilo come segnale: chi, colpito dalla piaga, guarderà a quello, vivrà ».
Mosè obbedì. Fece fare un serpente di bronzo : lo mise come segnale : e guardandolo, i percossi dalla piaga risanavano ( 36 ).

(36) Numeri, XXI, 1-9. 30.

1. Il serpente, simbolo del Crocifisso
Che cosa significava quel serpente di bronzo? Significava Gesù Cristo sull’alto della croce.
Nostro Signore un giorno disse : « Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così è necessario che sia innalzato il Figlio dell’uomo; affinchè chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna » (37).
San Massimo, afferma: « Il serpente morde, con morso letale, gli israeliti; il serpente, li sana. Il peccato da morte agli uomini; il peccato — cioè l’Innocenza che assume su di sé i peccati — restituisce la la vita » ( 38 ).
Sant’Agostino si domanda: « Chi è il serpente esaltato? È la morte del Signore in croce. Dal serpente venne la morte, perciò nell’effigie del serpente è figurata la morte. Il morso dei serpenti è. letale, la morte del Signore è vitale » ( 39 ).
Dice lo Spirito Santo: « Chi guardava, non per ciò che vedeva era salvo, ma per te, che sei il Salvatore di tutti » ( 40 ).
Un giorno Gesù Cristo, ponendo se stesso di fronte al serpente, disse : « È necessario che il Figlio dell’uomo sia levato in alto, affinchè tutti quelli che guardano a lui, vivano ».
San Cirillo alessandrino esclama : « Guarderemo il Cristo se rettamente intenderemo il suo mistero e fermamente vi crederemo » ( 41 ).

(37) Gv., Ili, 14.
(38) Omelìa, XLIX; ML, 57, 340.
(39) Trattato, In Gv., ML, 35, 1439.
(40) Sapienza, XVI, 7.
(41) In Rum. liber., ML, 69, 639.

Sant’Agostino osserva : « Come coloro che miravano il serpente non morivano per i morsi dei serpenti, così quelli che mirano con fede la morte di Cristo, vengono guariti dai morsi dei peccati. Quelli però (gli israeliti) guarivano dalla morte per una vita temporale, Gesù invece dice: perche abbiano la vita eterna. Questa è infatti la differenza tra l’immagine e la realtà: l’immagine conferiva la vita temporale, la realtà conferisce la vita eterna » ( 42 ).

2. Conclusione
Qual è la conclusione?
Ce la da sant’Ambrogio: « Frequentiamo il Calvario per guardare il Cristo che pende dalla croce per la salvezza del mondo, giacché questo è salutare » ( 43 ).
Sant’Agostino aggiunge: « Per guarire dal peccato miriamo, o fratelli, Cristo crocifisso » ( 44 ).
San Bernardo (Pseudo) ci esorta: « Ogni qualvolta ci sentiamo feriti dalla tentazione, corriamo alla Croce, accostiamoci a quel trono, una volta ignominioso ed ora sommamente glorioso, e, fissando con fede, speranza e amore il piissimo Liberatore, chiediamo, per la morte del nostro santissimo Serpente, che provocò la morte dell’antico serpente, di essere liberati dai mostri dei serpenti, e lo saremo » ( 45 ).

(42) Trattato, In Gv., I, s.c.
(43) De XLII mansionibus filiorum Israel;
ML, 17, 35.(44) In Gv., I.
(45) Vitis mystica, e. XLV; ML, 184, 730.

VI. La corda rossa di Raab
La sacra scrittura narra questo fatto: Raab, donna di Gerico, fu l’unica donna, che, insieme ai suoi, scampò all’eccidio, allorché questa città cadde nelle mani di Giosuè.
Giosuè, prima di entrare nel paese di Gerico, mandò due dei suoi, perché esplorassero il territorio. Costoro andarono a Gerico, ove dimorava Raab, e Raab li accolse in casa sua e li pose in salvo dalle insidie del principe di Gerico.
Prima però di lasciarli partire, Raab disse ai nunzi: «Promettetemi nel nome del Signore, che la stessa misericordia da me usata verso di voi, voi la userete verso la casa di mio padre, e mi darete un segnale sicuro che salverete mio padre, mia madre, i miei fratelli, le mie sorelle e tutto ciò che loro appartiene, e ci scamperete dalla morte ».
Gli esploratori lo promisero e le diedero il segnale richiesto: « Mettete alla finestra una corda di color rosso vivo. Ciò sarà condizione indispensabile. Saremo esenti da ogni responsabilità, se non metterete alla finestra il segno di questa cordicella scarlatta » ( 46 ).
Tale segno era ordinato a far distinguere agli israeliani la casa di Raab dalle altre.
(46) Giosuè, II, 18.

1. Il color rosso simbolo del Crocifìsso
Molti Padri, in quell’umile segno convenzionale color di sangue, vedono simboleggiata la passione di Gesù, e nella casa di Raab, la Chiesa, conservatrice di quel sangue incorruttibile.
Sant’Ambrogio: « Sollevando in alto i segni della fede, i vessilli della passione del Signore, legò il ros­ so alla finestra, perche fiorisse l’immagine di quel sangue che doveva redimere il mondo » ( 47 ).
Sant’Agostino: « A Raab fu detto che mettesse lo scarlatto alla finestra, vale a dire che avesse in fron­ te il segno del sangue di Gesù Cristo. Si salvò e simboleggiò la Chiesa delle nazioni » ( 48 ).
San Giovanni Crisostomo: « Raab è figura della Chiesa, la quale, impaniata una volta nella fornicazione dei demoni (ossia nell’idolatria), ha ora ricevuto gli esploratori di Cristo, i santi apostoli, mandati non da Gesù, figlio di Nave, ma da Gesù, il vero Salvatore » ( 49 ).
Origene, parlando del segnale rosso, afferma : « È il segnale di Cristo, segno di redenzione nella casa di Raab, ossia nella Chiesa » ( 50 ).

(47) A Lapide, h. 1.
(48) De poenitentia, omelia VII; MG, 49, 330.
(49) A Lapide, h. 1.
(50) Omelia IV, A Lapide, h. 1.

Strabone Walfrido scrive: « Raab pose la porpora nella sua casa, per salvarsi nell’eccidio della città. La porpora portava espressa in sé la forma del sangue. Conosceva bene essa che per nessuno vi è salute se non nel sangue di Cristo… Viene impartito il comando :  » Si salveranno tutti quelli che saranno trovati nella tua casa… ». Dunque chi vuoi salvarsi venga in questa casa, dove il sangue di Cristo è posto in segno di redenzione » ( 51 ).

2. Conclusione
Qual è la conclusione?
Ce la da Cornelio A Lapide: « Raab conobbe — parte per i miracoli ed i prodigi, parte per divina illuminazione — che gli idoli dei cananei erano falsi; che solo il Dio degli ebrei era l’unico e vero Dio. Credette in lui. sperò, amò, e, pentita dei propri peccati, ne domandò perdono. Perciò fu giustificata… Vogliamo cercare la causa meritoria di tanti beni impartiti ad una peccatrice? Noi troveremo questa causa nella passione del futuro Redentore: la Passione simboleggiata nella corda dal color rosso- sangue ».
Necessarie sono la fede, le buone opere e la promessa. Ma senza la passione di Gesù, nulla vale. Raab ebbe grande fede nel vero Dio; acolse, con grade carità, gli esploratori; ebbe da essi la promessa della salvezza. Ma non dovette dimenticare — sotto pena di morte — di mettere il rosso alla finestra.
Cari lettori, ciò che valse per Raab peccatrice, vale per tutti i redenti.
Teniamo scolpito nella mente il pensiero di san Fulgenzio di Ruspe : « La fune purpurea simboleggiava il mistero del sangue di Cristo.
Chiunque, col divino aiuto, custodisce la sua fede e confessa contro i pagani e gli eretici, di essere stato redento dal sangue di Gesù Cristo, appende tale fune alla finestra della sua casa » ( 52 ).

(51) Glossa ordinaria, h. 1.
(52) De remissione peccaiorum, ì. 1; ML, 65, 545.

 

UNA FINESTRA SUL MONDO

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UNA FINESTRA SUL MONDO

Quando era ormai imminente per Gesù Cristo il tempo di lasciare questo mondo, egli annunciò agli apostoli “un altro consolatore”. L’evangelista Giovanni, che era presente, scrive che, durante la Cena pasquale precedente il giorno della sua passione e morte, Gesù si rivolse a loro con queste parole: “Qualunque cosa chiederete nel nome mio, io la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio… Io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro consolatore, perché rimanga con voi sempre, lo Spirito di verità”. Proprio questo Spirito di verità, Gesù chiama Paraclito — e parákletos vuol dire “consolatore”, e anche “intercessore”, o “avvocato”. E dice che è “un altro” consolatore, il secondo, perché egli stesso, Gesù, è il primo consolatore, essendo il primo portatore e donatore della Buona Novella.
Lo Spirito Santo viene dopo di lui e grazie a lui, per continuare nel mondo, mediante la Chiesa, l’opera della Buona Novella di salvezza. Di questa continuazione della sua opera da parte dello Spirito Santo Gesù parla più di una volta durante lo stesso discorso di addio, preparando gli apostoli, riuniti nel Cenacolo, alla sua dipartita, cioè alla sua passione e morte in Croce. Le parole, alle quali faremo qui riferimento, si trovano nel Vangelo di Giovanni, Ognuna di esse aggiunge un certo contenuto nuovo a quell’annuncio e a quella promessa.
Al tempo stesso, esse sono intrecciate intimamente tra di loro non solo dalla prospettiva dei medesimi eventi, ma anche dalla prospettiva del mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che forse in nessun passo della Sacra Scrittura trova un’espressione così rilevata come qui Poco dopo l’annuncio surriferito Gesù aggiunge: “Ma il consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”.
Lo Spirito Santo sarà il consolatore degli apostoli e della Chiesa, sempre presente in mezzo a loro — anche se invisibile — come maestro della medesima Buona Novella che Cristo annunciò. Quell’ “insegnerà” e “ricorderà” significa non solo che egli, nel modo a lui proprio, continuerà ad ispirare la divulgazione del Vangelo di salvezza, ma anche che aiuterà a comprendere il giusto significato del contenuto del messaggio di Cristo; che ne assicurerà la continuità ed identità di comprensione in mezzo alle mutevoli condizioni e circostanze.
Lo Spirito Santo, dunque, farà sì che nella Chiesa perduri sempre la stessa verità, che gli apostoli hanno udito dal loro Maestro. Benvenuto nella Tanto si ha lo Spirito, quanto si ama la Chiesa. “Se vedi la carità, vedi la Trinità.” (S.Agostino) “Accoglietevi gli uni gli altri così come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio» (Rm 15, 7).

Pentecoste

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COME UNA NUBE DI RUGIADA

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Festa di Pentecoste

Posted on 11 maggio 2008

COME UNA NUBE DI RUGIADA

Mi riposai sullo Spirito del Signore,
ed egli mi portò fino in cielo;
mi fece stare dritto in piedi all’altezza del Signore,
davanti alla sua pienezza e alla sua gloria.

Quando resi gloria con le sue odi,
egli mi generò davanti al volto del Signore.
Quando ero figlio d’uomo,
fui chiamato Luce, Figlio di Dio.

Poiché rendevo gloria presso i gloriosi,
ero un grande fra i grandi.

Allora secondo la grandezza dell’Altissimo,
così egli mi fece,
secondo la sua novità mi rinnovò.
Mi unse con l’olio della sua pienezza:
divenni uno dei suoi intimi.

La mia bocca si apre,
come una nube di rugiada.
Il mio cuore effuse
un effluvio di giustizia.

Mi accostai nella pace,
e fui stabilito nello Spirito di provvidenza. Alleluia.

Fiume di vita eterna

Come il vento cammina sulla cetra
e parlano le corde,
così il soffio del Signore parla nelle mie membra
e io parlo nel suo amore.

Egli infatti fa morire ciò che è alieno:
ogni cosa è del Signore.
Ed è stato così fin dall’inizio e così sarà fino alla fine,
affinché nulla gli sia contrario
e nessuno si erga contro di lui.

Ha fatto abbondare la sua conoscenza, il Signore,
gelosamente desideroso che fosse conosciuto
tutto ciò che per sua grazia ci era stato donato.
La sua gloria ci ha donato il suo Nome,
i nostri spiriti hanno glorificato il suo santo Spirito.

Allora uscì un torrente
che divenne un fiume grande e largo.
E sommerse ogni cosa,
la schiantò e la fece arrivare fino al tempio.

Dighe umane non furono in grado di arginarlo,
né vi riuscirono le arti di coloro che sono soliti arginare le acque.
Dunque si è riversato su tutta la faccia della terra
e ha riempito ogni cosa.

Hanno bevuto, tutti gli assetati della terra;
la sete è abolita, estinta,
quando l’Altissimo dona la sua bevanda.
Beati dunque i servi di questa bevanda,
coloro che le sue acque hanno reso credenti.

Esse hanno dato riposo a labbra inaridite
e hanno fatto risorgere la volontà paralizzata.
Le anime in procinto di partire,
le hanno strappate alla morte;
le membra cadenti
le hanno raddrizzate e ridestate.

Hanno dato forza alla loro venuta,
luce ai loro occhi.
E dato che tutti gli uomini le hanno conosciute nel Signore,
essi vivranno in acque vive di eternità. Alleluia.

da Un raggio della tua luce. Preghiere allo Spirito Santo, Qiqajon

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI – PENTECOSTE 2011 ANNO A

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2011/documents/hf_ben-xvi_hom_20110612_pentecoste_it.html

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI – PENTECOSTE 2011 ANNO A

Basilica Vaticana

Domenica, 12 giugno 2011

Cari fratelli e sorelle!

Celebriamo oggi la grande solennità della Pentecoste. Se, in un certo senso, tutte le solennità liturgiche della Chiesa sono grandi, questa della Pentecoste lo è in una maniera singolare, perché segna, raggiunto il cinquantesimo giorno, il compimento dell’evento della Pasqua, della morte e risurrezione del Signore Gesù, attraverso il dono dello Spirito del Risorto. Alla Pentecoste la Chiesa ci ha preparato nei giorni scorsi con la sua preghiera, con l’invocazione ripetuta e intensa a Dio per ottenere una rinnovata effusione dello Spirito Santo su di noi. La Chiesa ha rivissuto così quanto è avvenuto alle sue origini, quando gli Apostoli, riuniti nel Cenacolo di Gerusalemme, «erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» (At 1,14). Erano riuniti in umile e fiduciosa attesa che si adempisse la promessa del Padre comunicata loro da Gesù: «Voi, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo…riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi» (At 1,5.8).
Nella liturgia della Pentecoste, al racconto degli Atti degli Apostoli sulla nascita della Chiesa (cfr At 2,1-11), corrisponde il salmo 103 che abbiamo ascoltato: una lode dell’intera creazione, che esalta lo Spirito Creatore il quale ha fatto tutto con sapienza: «Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza; la terra è piena delle tue creature…Sia per sempre la gloria del Signore; gioisca il Signore delle sue opere» (Sal 103,24.31). Ciò che vuol dirci la Chiesa è questo: lo Spirito creatore di tutte le cose, e lo Spirito Santo che Cristo ha fatto discendere dal Padre sulla comunità dei discepoli, sono uno e il medesimo: creazione e redenzione si appartengono reciprocamente e costituiscono, in profondità, un unico mistero d’amore e di salvezza. Lo Spirito Santo è innanzitutto Spirito Creatore e quindi la Pentecoste è anche festa della creazione. Per noi cristiani, il mondo è frutto di un atto di amore di Dio, che ha fatto tutte le cose e del quale Egli si rallegra perché è “cosa buona”, “cosa molto buona” come dice il racconto della creazione (cfr Gen 1,1-31). Dio perciò non è il totalmente Altro, innominabile e oscuro. Dio si rivela, ha un volto, Dio è ragione, Dio è volontà, Dio è amore, Dio è bellezza. La fede nello Spirito Creatore e la fede nello Spirito che il Cristo Risorto ha donato agli Apostoli e dona a ciascuno di noi, sono allora inseparabilmente congiunte.
La seconda Lettura e il Vangelo odierni ci mostrano questa connessione. Lo Spirito Santo è Colui che ci fa riconoscere in Cristo il Signore, e ci fa pronunciare la professione di fede della Chiesa: “Gesù è Signore” (cfr 1 Cor 12,3b). Signore è il titolo attribuito a Dio nell’Antico Testamento, titolo che nella lettura della Bibbia prendeva il posto del suo impronunciabile nome. Il Credo della Chiesa è nient’altro che lo sviluppo di ciò che si dice con questa semplice affermazione: “Gesù è Signore”. Di questa professione di fede san Paolo ci dice che si tratta proprio della parola e dell’opera dello Spirito. Se vogliamo essere nello Spirito Santo, dobbiamo aderire a questo Credo. Facendolo nostro, accettandolo come nostra parola, accediamo all’opera dello Spirito Santo. L’espressione “Gesù è Signore” si può leggere nei due sensi. Significa: Gesù è Dio, e contemporaneamente: Dio è Gesù. Lo Spirito Santo illumina questa reciprocità: Gesù ha dignità divina, e Dio ha il volto umano di Gesù. Dio si mostra in Gesù e con ciò ci dona la verità su noi stessi. Lasciarsi illuminare nel profondo da questa parola è l’evento della Pentecoste. Recitando il Credo, noi entriamo nel mistero della prima Pentecoste: dallo scompiglio di Babele, da quelle voci che strepitano una contro l’altra, avviene una radicale trasformazione: la molteplicità si fa multiforme unità, dal potere unificatore della Verità cresce la comprensione. Nel Credo che ci unisce da tutti gli angoli della Terra, che, mediante lo Spirito Santo, fa in modo che ci si comprenda pur nella diversità delle lingue, attraverso la fede, la speranza e l’amore, si forma la nuova comunità della Chiesa di Dio.
Il brano evangelico ci offre poi una meravigliosa immagine per chiarire la connessione tra Gesù, lo Spirito Santo e il Padre: lo Spirito Santo è rappresentato come il soffio di Gesù Cristo risorto (cfr Gv 20,22). L’evangelista Giovanni riprende qui un’immagine del racconto della creazione, là dove si dice che Dio soffiò nelle narici dell’uomo un alito di vita (cfr Gen 2,7). Il soffio di Dio è vita. Ora, il Signore soffia nella nostra anima il nuovo alito di vita, lo Spirito Santo, la sua più intima essenza, e in questo modo ci accoglie nella famiglia di Dio. Con il Battesimo e la Cresima ci è fatto questo dono in modo specifico, e con i sacramenti dell’eucaristia e della Penitenza esso si ripete di continuo: il Signore soffia nella nostra anima un alito di vita. Tutti i Sacramenti, ciascuno in maniera propria, comunicano all’uomo la vita divina, grazie allo Spirito Santo che opera in essi.
Nella liturgia di oggi cogliamo ancora un’ulteriore connessione. Lo Spirito Santo è Creatore, è al tempo stesso Spirito di Gesù Cristo, in modo però che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo ed unico Dio. E alla luce della prima Lettura possiamo aggiungere: lo Spirito Santo anima la Chiesa. Essa non deriva dalla volontà umana, dalla riflessione, dall’abilità dell’uomo o dalla sua capacità organizzativa, poiché se così fosse essa già da tempo si sarebbe estinta, così come passa ogni cosa umana. La Chiesa invece è il Corpo di Cristo, animato dallo Spirito Santo. Le immagini del vento e del fuoco, usate da san Luca per rappresentare la venuta dello Spirito Santo (cfr At 2,2-3), ricordano il Sinai, dove Dio si era rivelato al popolo di Israele e gli aveva concesso la sua alleanza; “il monte Sinai era tutto fumante – si legge nel Libro dell’Esodo –, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco” (19,18). Infatti Israele festeggiò il cinquantesimo giorno dopo Pasqua, dopo la commemorazione della fuga dall’Egitto, come la festa del Sinai, la festa del Patto. Quando san Luca parla di lingue di fuoco per rappresentare lo Spirito Santo, viene richiamato quell’antico Patto, stabilito sulla base della Legge ricevuta da Israele sul Sinai. Così l’evento della Pentecoste viene rappresentato come un nuovo Sinai, come il dono di un nuovo Patto in cui l’alleanza con Israele è estesa a tutti i popoli della Terra, in cui cadono tutti gli steccati della vecchia Legge e appare il suo cuore più santo e immutabile, cioè l’amore, che proprio lo Spirito Santo comunica e diffonde, l’amore che abbraccia ogni cosa. Allo stesso tempo la Legge si dilata, si apre, pur diventando più semplice: è il Nuovo Patto, che lo Spirito “scrive” nei cuori di quanti credono in Cristo. L’estensione del Patto a tutti i popoli della Terra è rappresentata da san Luca attraverso un elenco di popolazioni considerevole per quell’epoca (cfr At 2,9-11). Con questo ci viene detta una cosa molto importante: che la Chiesa è cattolica fin dal primo momento, che la sua universalità non è il frutto dell’inclusione successiva di diverse comunità. Fin dal primo istante, infatti, lo Spirito Santo l’ha creata come la Chiesa di tutti i popoli; essa abbraccia il mondo intero, supera tutte le frontiere di razza, classe, nazione; abbatte tutte le barriere e unisce gli uomini nella professione del Dio uno e trino. Fin dall’inizio la Chiesa è una, cattolica e apostolica: questa è la sua vera natura e come tale deve essere riconosciuta. Essa è santa, non grazie alla capacità dei suoi membri, ma perché Dio stesso, con il suo Spirito, la crea, la purifica e la santifica sempre.
Infine, il Vangelo di oggi ci consegna questa bellissima espressione: «I discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv 20,20). Queste parole sono profondamente umane. L’Amico perduto è di nuovo presente, e chi prima era sconvolto si rallegra. Ma essa dice molto di più. Perché l’Amico perduto non viene da un luogo qualsiasi, bensì dalla notte della morte; ed Egli l’ha attraversata! Egli non è uno qualunque, bensì è l’Amico e insieme Colui che è la Verità che fa vivere gli uomini; e ciò che dona non è una gioia qualsiasi, ma la gioia stessa, dono dello Spirito Santo. Sì, è bello vivere perché sono amato, ed è la Verità ad amarmi. Gioirono i discepoli, vedendo il Signore. Oggi, a Pentecoste, questa espressione è destinata anche a noi, perché nella fede possiamo vederLo; nella fede Egli viene tra di noi e anche a noi mostra le mani e il fianco, e noi ne gioiamo. Perciò vogliamo pregare: Signore, mostrati! Facci il dono della tua presenza, e avremo il dono più bello: la tua gioia. Amen!

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