Archive pour juin, 2014

A LEZIONE DA PAOLO – Maestro del dialogo autentico, perché non celava le differenze.

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A LEZIONE DA PAOLO – Maestro del dialogo autentico, perché non celava le differenze.

Accanto all’intelligenza, alla cultura e allo « slancio apostolico », in lui c’era tanta simpatia.
«Mi sorprende la sua capacità di legarsi rapidamente alle persone che si trovava accanto.
Amici o nemici, umili o potenti».

EDOARDO CASTAGNA
(« Avvenire », 27/6/’08)
Accanto all’intelligenza, alla cultura e allo « slancio missionario », nel cittadino Gaio Giulio Paolo doveva esserci anche un’altra dote: la simpatia. «Quello che mi sorprende, nella vita di Paolo, è la sua straordinaria capacità di legarsi rapidamente alle persone che si trovava accanto. Amici o nemici, umili o potenti» . La storica Marta Sordi – docente emerita di « Storia greca » e « Storia romana » presso l’ »Università Cattolica di Milano », massima esperta dell’epoca dell’ »Apostolo delle genti » – descrive Paolo nella sua concretezza, lo riporta sulle strade polverose dell’Anatolia, dove la sua missione mosse i primi, decisivi passi. Una lettura umana che, alla vigilia dell’apertura dell’ »Anno Paolino », dona ancor maggiore risalto all’originalità e all’attualità della sua opera, capace ancora oggi di indicare strade concrete da percorrere nel confronto tra i cristiani e tutti gli uomini. «La sua capacità di stringere amicizia era davvero eccezionale. Lo si vede fin dall’incontro con il proconsole di Cipro, Sergio Paolo, che ebbe un ruolo fondamentale nel determinare il cammino della sua predicazione. Il legame con l’Apostolo fu talmente stretto che Paolo lasciò il suo vecchio « cognomen », Saul, per adottare quello dell’amico. Era un uomo dalle doti umane straordinarie, che si accompagnavano a quelle intellettuali, allo spessore teologico».

In effetti, l’importanza del suo pensiero e della sua opera è tale che talvolta si sente indicare in Paolo, e non in Gesù, il vero fondatore del cristianesimo…
«Sì, tra i non cristiani ricorre la tesi che Paolo sarebbe andato al di là dei comandi di Cristo, annunciando il Vangelo al mondo intero e non solo agli Ebrei, fondando concretamente il cristianesimo. Questo non è vero. Non è vero storicamente, perché era stato Pietro a convertire per primo un pagano. E non è vero nemmeno teologicamente, perché in fondo Paolo non fece che ripetere quello che aveva fatto Gesù Cristo stesso. Inizialmente predicava solo agli Ebrei, nelle sinagoghe; fu Sergio Paolo a « costringerlo », in un certo senso, a predicare il Vangelo tra i pagani, consigliandogli di andare ad Antiochia di Pisidia e da lì iniziare la predicazione nell’Asia interna».

L’itinerario paolino determinò in qualche modo anche il suo modo di rivolgersi al «pubblico»?
«In tutta la sua prima missione, da Antiochia a Listri a Iconio, percorse la « Via Sebaste », costruita da Augusto e lungo la quale si allineavano colonie romane dalla popolazione « composita »: Greci, Romani, Ebrei, gli « indigeni » Licaoni e Galati. Paolo adottò lo stesso criterio che inizialmente aveva seguito Gesù: prima predicava agli ebrei, ottenendo la conversione di alcuni e il rifiuto di altri; poi si rivolgeva ai pagani».

In che modo affrontava il dialogo con quanti ancora non conoscevano il Vangelo?
«Sceglieva l’impostazione più adatta al suo uditorio. Quando predicava agli Ebrei, nelle sinagoghe, partiva dalla storia d’Israele, poi richiamava i profeti e infine giungeva a « Cristo-Messia », compimento delle profezie attraverso la resurrezione. Con i pagani, sia quelli un po’ rozzi dell’Asia interna sia quelli colti e raffinati di Atene, Corinto ed Efeso, adottava invece un’altra tecnica. L’impostazione rimaneva uguale, cambiavano i riferimenti: qui muoveva dal Dio creatore del mondo, comprensibile anche dai pagani « politeisti », dall’ordine naturale delle stagioni e degli spazi, e quindi approdava al Dio benefattore dell’umanità, che si è rivelato in Cristo. Anche qui, con sfumature: mentre nel « discorso dell’Areopago » ateniese citava i filosofi stoici, in Licaonia puntava su una più diretta osservazione della verità naturale».

Un’altra lezione di dialogo, di capacità di confrontarsi con interlocutori differenti?
«Certamente. E infatti anche a Roma fu in stretti rapporti con gli ambienti stoici, che nell’ »Urbe » erano attenti soprattutto al versante morale dello « stoicismo »: la « gravitas », l’ »auto-controllo », la virtù erano tutti valori compatibili con l’antica tradizione romana. Anche per questo ritengo probabile che l’epistolario tra Seneca e Paolo sia autentico».

Sul quale, tuttavia, permangono molti dubbi…
«In effetti, anch’io inizialmente ero scettica. Poi però mi sono resa conto che sarebbe del tutto verosimile. Scartate due lettere, sicuramente « apocrife », le dodici rimanenti coincidono come datazione – dal 58 al 62 – e come contenuti. Seneca restò un pagano, ma tra lui e Paolo emerge una grande stima reciproca; il filosofo romano mostra di conoscere e apprezzare gli scritti paolini, e in effetti durante la prima prigionia romana, quando Seneca governava l’impero insieme ad Afranio Burro, l’Apostolo godette di grande libertà, ricevendo e predicando nonostante avesse sempre un pretoriano accanto a sé. Ci sono altri dettagli, nell’epistolario, che fanno propendere per l’autenticità – certe differenze stilistiche, certe « reticenze » spiegabili soltanto se si considerano le lettere composte proprio in quegli anni – , ma ciò che interessa sottolineare è come in effetti Paolo avesse saputo suscitare la simpatia di un autore pagano, che i cristiani sentivano vicino dal punto di vista della moralità».

Qual era quindi l’aspetto più «moderno» dell’approccio paolino?
«Era un grande comunicatore, una persona di estrema « duttilità » e capace di accostarsi a tutti i ceti sociali. Sapeva parlare ai semplici, e sapeva parlare ai potenti. E non solo: sapeva stringere amicizie, anche con le persone a prima vista più distanti: i magistrati greci di Efeso, il pro-console romano di Cipro, ma anche l’umile centurione che lo scortava a Roma, o il suo carceriere a Filippi».

Allora perché la sua predicazione era spesso accompagnata da « conflitti »?
«È vero: quando arriva Paolo, scoppia il contrasto. Qui c’è tutta la differenza del suo stile rispetto a Pietro, molto più cauto e prudente.
Tra Pietro e Paolo non c’erano differenze teologiche; in questo andavano perfettamente d’accordo, tant’è vero che Pietro, nella sua « seconda lettera », ricorda « il nostro carissimo fratello Paolo ». Certo, poi mette in guardia i suoi interlocutori sulla sua « finezza », sul suo essere così… complicato. Non c’è stato mai stato scontro teologico tra i due, ma solo una diversa tecnica pastorale».

Che cosa insegna a noi, oggi?
«A non fuggire lo scontro, a non temerlo. Ai nostri giorni sarebbe certamente tra quelli che, nel mezzo del confronto più « ecumenico », decidono di affrontare i problemi, anche i più « controversi ». Con i pagani Paolo attacca, e converte; predicava perfino ai pretoriani che lo « piantonavano »: soldati scelti, coloro che accompagnavano l’imperatore in prima linea in battaglia! Insomma, ci insegna come va affrontato il dialogo: senza aver paura di mettere in evidenza i punti di « divergenza », così da ottenere un’adesione convinta, o un rifiuto. È un dialogo in offensiva, insomma, non sulla difensiva. Oggi molti confondono il dialogo con un « calar le braghe » che deve arrivare a tutti i costi a un accordo, invece Paolo ci insegna una linea opposta: non nascondere

Publié dans:Paolo : modello e maestro |on 24 juin, 2014 |Pas de commentaires »

Nascita di Giovanni Battista

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LA NATIVITÀ DI SAN GIOVANNI BATTISTA – 24 GIUGNO

http://www.zenit.org/it/articles/la-nativita-di-san-giovanni-battista

LA NATIVITÀ DI SAN GIOVANNI BATTISTA

RUBRICA DI TEOLOGIA LITURGICA A CURA DI DON MAURO GAGLIARDI

24 Giugno 2009

ROMA, mercoledì, 24 giugno 2009 (ZENIT.org).- Con l’articolo che oggi pubblichiamo, viene sospesa per i mesi di luglio e di agosto la rubrica Spirito della Liturgia. La pausa estiva offrirà un tempo di valutazione sul breve percorso sin qui svolto ad experimentum e di riflessione sull’opportunità di riprenderlo. Ci auguriamo, quindi, che il nostro congedo di oggi sia solo un arrivederci a settembre.

* * *

don Mauro Gagliardi

I precedenti articoli pubblicati in questa rubrica hanno illustrato i tre aspetti fondamentali – o poli tematici – degli scritti liturgici di J. Ratzinger, aspetti che sono stati individuati dallo stesso Autore nella prefazione al volume Theologie der Liturgie (Teologia della Liturgia), il primo edito della nuova collana delle sue Gesammelte Schriften (Scritti raccolti). I tre poli tematici sono: il rapporto tra liturgia cristiana e culti delle altre religioni, la relazione tra il culto dell’Antico e del Nuovo Testamento, e il carattere cosmico della liturgia cristiana. Vorrei presentare la solennità odierna, della Natività di san Giovanni Battista, alla luce di questi tre ambiti.
La figura di san Giovanni è davvero sui generis, perché segna il passaggio tra Antico e Nuovo Patto: egli è contemporaneamente l’ultimo profeta e il primo santo. È l’unico cui venga riconosciuto il titolo di Precursore di Cristo; l’unico del quale si celebrino due ricorrenze liturgiche: la Natività ed il Martirio (29 agosto). Sant’Agostino lo ha sottolineato con enfasi: «La Chiesa festeggia la natività di Giovanni, attribuendole un particolare carattere sacro. Di nessun santo, infatti, noi celebriamo solennemente il giorno natalizio; celebriamo invece quello di Giovanni e quello di Cristo» [1]. Cerchiamo ora di capire meglio il motivo di questa speciale devozione che la Chiesa ha sempre nutrito nei confronti del Battista, attraverso i suddetti poli tematici.
1) Il rapporto tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Il racconto evangelico della Presentazione al Tempio di Gesù – un atto liturgico dell’antica legge (cf. Levitico 12) – ci introduce nell’illustrazione di questo aspetto. Luca narra l’episodio al cap. 2, vv. 22-40 del suo Vangelo. La tradizione esegetica ha messo in collegamento il testo lucano con l’oracolo di Malachia 3,1: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate, l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate». Il messaggero che prepara la via è certamente il Battista. Appena viene il Precursore, «subito» il Signore entra nel suo tempio. Siccome tra Giovanni e Gesù vi è una differenza di età di appena sei mesi (cf. Luca 1,26), si può ben dire che, subito dopo la nascita del Precursore, il Signore Gesù è entrato nel tempio, come narra Luca nell’episodio della Presentazione. Va infatti ricordato che nel tempio, all’epoca in cui vi viene presentato Gesù Bambino, non c’è più la Presenza divina, mancando l’arca dell’alleanza dal luogo chiamato «Santo dei santi». Così scrive Giuseppe Ricciotti: «Nel Tempio di Salomone [c’]era stata l’Arca dell’Alleanza; ma, distrutta questa, il “santo dei santi” del nuovo Tempio rimase una stanza misteriosamente oscura e vuota. Pompeo Magno, che vi penetrò nel 63 av. Cr., vi trovò nulla intus deum effigie vacuam sedem et inania arcana (Tacito, Historiae, V, 9). Nel “santo dei santi” entrava soltanto il sommo sacerdote un solo giorno all’anno [...]; secondo una tradizione rabbinica (Joma, V, 2) il sommo sacerdote entrato colà, deponeva il turibolo su una pietra alta tre dita che ricordava il posto ove anticamente era stata l’Arca» [2]. Nessuna sorpresa, quindi, che il profeta Malachia, che scrive certamente in un periodo in cui è venuto meno l’entusiasmo per l’edificazione del secondo tempio, auspichi un ritorno del Signore nel tempio. La figura del Precursore anticipa questo ritorno e prepara il passaggio dal culto antico a quello nuovo, nel quale Gesù stesso si definirà come tempio del nuovo culto in Spirito e verità (cf. Giovanni 2,19-21; 4,21-23). Prosper Guéranger ha commentato: «Giovanni sta per nascere e, sebbene sia ancora incapace di parlare, egli deve sciogliere la lingua di suo padre [Zaccaria]. Egli deve porre fine a quella mutezza alla quale l’anziano sacerdote, che è figura della vecchia legge, è stato costretto dall’angelo» [3]. Nella stessa linea interpretativa, il Sacramentario gelasiano presenta la seguente orazione: «O Dio onnipotente ed eterno, che nei giorni del beato Giovanni Battista hai portato a compimento le istituzioni della legge e gli annunci dei santi profeti, fa’, te ne preghiamo, che cessando le figure ed i simboli, ci parli con la sua manifestazione la stessa Verità, Gesù Cristo Nostro Signore».
2) Il rapporto con altre religioni. La figura di san Giovanni è centrale per il cristianesimo, ma è importante anche per altre religioni. «Egli fu, infatti, un predicatore giudeo, contemporaneo di Gesù, ma riconosciuto dai cristiani come precursore del Cristo. In quanto tale, Giovanni divenne un personaggio di primo piano nell’immaginario religioso non solo del cristianesimo, [...] ma anche di quelle altre religioni che, nelle loro fasi costitutive, furono in contatto col cristianesimo» [4]. Nella nostra prospettiva, ciò che ci sembra importante sottolineare è ovviamente il ruolo di Indicatore, svolto da Giovanni in quanto profeta che rimanda a Cristo. Stante l’universale ricerca di verità, l’universale ricerca del vero Dio, nascosta e persino stravolta nei vari culti religiosi dell’umanità, il ruolo del Battista è qui esattamente quello di Indicatore. Cristo è «la luce del mondo» (Giovanni 8,12) e «degli uomini» (Giovanni 1,4); Giovanni Battista è l’uomo «mandato da Dio» (Giovanni 1,6), senza la cui missione la vera Luce sarebbe rimasta sconosciuta (cf. Giovanni 1,8). Von Balthasar individuava l’essenza del proprio pensiero teologico facendo riferimento al «dito di Giovanni Battista» (Johannesfinger), raffigurato in un celebre dipinto di M. Grünewald [5]: la teologia di Balthasar voleva cioè essere un rimando incessante all’Agnello di Dio crocifisso per noi. La liturgia non può essere da meno e la solennità odierna lo ricorda: la liturgia cristiana è un potente Indicatore di Cristo ai popoli, come il Battista. Secondo Sacrosanctum concilium 2, la liturgia ha un duplice effetto: da un lato, edifica i credenti nel tempio santo del Signore e conferisce loro la forza necessaria per annunciare Cristo; dall’altro, per coloro che ne sono al di fuori, la liturgia sacra mostra la Chiesa come «signum levatum in nationes», un vessillo innalzato sulle nazioni: espressione che si incontra in Isaia 11,12 e che era stata usata dal concilio Vaticano I per definire l’aspetto visibile e sociale della Chiesa [6]. Il Vaticano II applica qui alla liturgia ciò che il Vaticano I diceva in generale della Chiesa. I fedeli delle altre religioni vengono attratti dal segno-Chiesa e dal segno-liturgia, soprattutto quando l’una e l’altra appaiono in modo tale da facilitare simile attrazione.
3) Il carattere cosmico. La figura di san Giovanni risulta essere ancor più significativa per il carattere cosmico della liturgia cristiana. «Il parallelo con Gesù, con lo sfasamento di sei mesi esatti fondato su Luca 1,26, portò a considerare la festa di san Giovanni un “natale d’estate”, erede di feste solstiziali pagane come il “natale d’inverno”. Fu facile vedere nel corso dell’anno la realizzazione della profezia di Giovanni 3,30 [“Lui deve crescere; io invece diminuire”] giacché dopo il natale di Giovanni [24 giugno] le giornate “diminuiscono”, mentre dopo quello di Gesù [25 dicembre] “crescono”. Le feste dei due concepimenti, anticipate ciascuna di nove mesi rispetto ai rispettivi natali, caddero nei pressi degli equinozi, sacralizzando il calendario astronomico» [7]. Questo intreccio tra una figura della storia salvifica – Giovanni – e i ritmi cosmici (l’una e gli altri guidati dallo stesso Dio) ha trovato nella devozione e nella liturgia della Chiesa un fruttuoso sviluppo. In particolare, si è inserita la presenza del Battista in un momento penitenziale di grande importanza, il Confiteor della Messa. Nella forma oggi detta «straordinaria», ossia la Messa secondo l’usus antiquior, il testo del Confiteor nomina, assieme alla Vergine Maria, san Giovanni Battista, san Michele arcangelo e i santi apostoli Pietro e Paolo. La menzione del Battista in quella preghiera è legata innanzitutto al carattere eminentemente penitenziale del ministero di san Giovanni, quindi principalmente ad una ragione fondata sulla storia salvifica [8]. Ma la compresenza di san Michele arcangelo e dei santi Pietro e Paolo ha fatto supporre anche una motivazione basata sull’astronomia: nel precedente calendario liturgico, infatti, san Michele aveva una sua solennità propria (prima dell’unificazione con gli altri due arcangeli) al 29 settembre, mentre i santi Pietro e Paolo si celebravano, com’è ancora, il 29 giugno. Queste date – come quella del Natale del Signore, che come si è detto va considerato in stretta relazione con la Natività del Battista – cadono in prossimità dei solstizi e degli equinozi, che segnano l’inizio delle stagioni. L’equinozio di primavera cade il 21 marzo e il 25 si celebra la solennità dell’Annunciazione a Maria, ossia dell’Incarnazione del Verbo [9], sebbene sia stato ipotizzato anche un riferimento alla Pasqua. Il solstizio d’estate cade il 21 giugno, molto vicino alla Natività del Battista e non lontano dalla solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo. L’equinozio d’autunno è il 23 settembre, piuttosto prossimo alla solennità di san Michele. Infine, cade il 21 dicembre il solstizio d’inverno, in corrispondenza del Natale del Signore [10]. Tutto ciò può suonare strano all’odierna sensibilità neopositivista, ma non lo era affatto in passato: siccome Cristo è il Sole di giustizia, era ritenuta cosa ovvia che il sole di questo mondo, anche nel suo moto (apparente) attorno alla terra, manifestasse la presenza di Cristo e della sua opera di salvezza. Il riferimento al Battista ed ai cicli cosmici ci rimanda allora ancora a Cristo, come scrive Guéranger: «L’eterna Sapienza decretò che allo stesso modo in cui il sole che sorge è annunciato dalla stella del mattino, e prepara la sua venuta con la temperata brillantezza dell’aurora, così Cristo, che è Luce, doveva essere preceduto quaggiù da una stella, il suo Precursore» [11].
Tutto ciò, oltre a costituire una declinazione dei tre poli tematici segnalati da Ratzinger, spiega la grande devozione della Chiesa nei confronti del Battista. Moltissime chiese nel mondo sono a lui dedicate e, tra queste, spicca ovviamente la cattedrale del Vescovo di Roma, San Giovanni in Laterano, madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe [12]. Il Battista, in quanto battezzatore di Cristo, possiede inoltre il patronato sul sacramento cristiano del battesimo e quindi accompagna la rinascita divina di tutti i nuovi figli della Chiesa. Non a caso, il rito del battesimo prevede l’invocazione del suo nome tra le litanie prescritte, subito dopo quello della Madre di Dio. La Chiesa, si può dire, cresce di numero sotto l’influsso della sua intercessione.

NOTE SUL SITO

LA BATTAGLIA SPIRITUALE (anche Paolo)

http://www.ilporticodellagloria.it/il-pellegrinaggio-a-piedi/la-battaglia/

LA BATTAGLIA SPIRITUALE

Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall’origine del mondo, destinata a durare, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio. (Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes)

Preferiremmo forse pensare altre cose, circa la vita. Ma pare proprio che, chi ne sa più di noi, non l’abbia chiamata “parco divertimenti”, ma valle di lacrime. Pare proprio che non si sia quaggiù – terzo pianeta di questo sistema solare – per chiacchierare e invecchiare bene. Il fatto d’essere nati, non da noi voluto né programmato, è una evidenza. Che ci piaccia o meno siamo imbarcati, e non si tratta di una crociera.
Che uno se ne accorga o meno, siamo tutti dentro una Battaglia, cominciata talmente tanto tempo fa da parere quasi una fiaba.
Una Battaglia che altro non è che il vero volto della Storia (quella universale e quella personale, quella del mondo e quella di ognuno), come ha impareggiabilmente raccontato J.R.R. Tolkien ne “Il Signore degli Anelli”.

Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall’origine del mondo, destinata a durare, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes).
La storia del nostro pianeta, delle civiltà, di ogni uomo – la stessa vita di ognuno di noi, dunque – è pervasa da una “lotta tremenda contro le potenze delle tenebre”. Non possiamo starne fuori, perché cercare di starne fuori significa rinunciare a combattere, significa soccombere.
La Battaglia nella quale siamo coinvolti ogni giorno è quindi parte di una Battaglia più grande, che coinvolge l’intero Universo, e che avrà termine solo con la Parusia, il glorioso Ritorno del Re.
Chi non crede a tutto questo, chi pensa che sia solo una bella fiaba …stile Tolkien, chi non accoglie la verità che Cristo è venuto a rivelare, se non chiude volutamente gli occhi o volutamente distolga lo sguardo – e creda quindi che la battaglia che infuria nella storia e nella società abbia cause materiali ed economiche (per cui vincendo la povertà, l’ignoranza e l’ingiustizia il mondo diverrebbe un paradiso…) – prenderà atto almeno della Battaglia che infuria nel proprio cuore. Almeno chi sia stato pellegrino verso Santiago o Roma o Gerusalemme, o altri santuari della cristianità – entrando nello spazio e tempo misteriosi che il pellegrinaggio a piedi spalanca, avrà preso consapevolezza della Battaglia che infuria nel proprio cuore, la santa inquietudine, la ricerca del vero. A meno che uno non goda della quiete letale, il falso armistizio che il Nemico concede per portarti dove vuole lui – l’abilità e finezza sue sono tali che nel mentre ti sembra di andare… “dove ti porta il cuore”.

San Paolo e la battaglia

Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione”. (Timoteo 2 cap.4)

(…) Per il resto, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi, e anche per me, perché quando apro la bocca mi sia data una parola franca, per far conoscere il mistero del vangelo, del quale sono ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere”. (Efesini cap.6)

(…) In realtà, noi viviamo nella carne ma non militiamo secondo la carne. Infatti le armi della nostra battaglia non sono carnali, ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze, distruggendo i ragionamenti e ogni baluardo che si leva contro la conoscenza di Dio, e rendendo ogni intelligenza soggetta all’obbedienza al Cristo”. (Corinzi 2, cap. 10)

(…) Questo è l’avvertimento che ti do, figlio mio Timòteo, in accordo con le profezie che sono state fatte a tuo riguardo, perché, fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l’hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede; tra essi Imenèo e Alessandro, che ho consegnato a satana perché imparino a non più bestemmiare.” (Timoteo 1 cap.1)

(…) Ma tu, uomo di Dio, fuggi queste cose; tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni. Al cospetto di Dio che dà vita a tutte le cose e di Gesù Cristo che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo, che al tempo stabilito sarà a noi rivelata dal beato e unico sovrano, il re dei regnanti e signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile; che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere. A lui onore e potenza per sempre. Amen.” (Timoteo 1 cap.6)

San Pietro e la Battaglia

Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un pò afflitti da varie prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo: voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime. (Prima lettera di Pietro 1, 6-9)

E chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi nel bene? E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. E’ meglio infatti, se così vuole Dio, soffrire operando il bene che facendo il male. (Prima lettera di Pietro 3, 13-17)

Poiché dunque Cristo soffrì nella carne, anche voi armatevi degli stessi sentimenti; chi ha sofferto nel suo corpo ha rotto definitivamente col peccato, per non servire più alle passioni umane ma alla volontà di Dio, nel tempo che gli rimane in questa vita mortale. Basta col tempo trascorso nel soddisfare le passioni del paganesimo, vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle crapule, nei bagordi, nelle ubriachezze e nel culto illecito degli idoli. Per questo trovano strano che voi non corriate insieme con loro verso questo torrente di perdizione e vi oltraggiano. Ma renderanno conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti. (Prima lettera di Pietro 4, 1-5)

Carissimi, non siate sorpresi per l’incendio di persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Ma nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare. Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi. Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida o ladro o malfattore o delatore. Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome. E’ giunto infatti il momento in cui inizia il giudizio dalla casa di Dio; e se inizia da noi, quale sarà la fine di coloro che rifiutano di credere al vangelo di Dio?
E se il giusto a stento si salverà,
che ne sarà dell’empio e del peccatore?
Perciò anche quelli che soffrono secondo il volere di Dio, si mettano nelle mani del loro Creatore fedele e continuino a fare il bene. (Prima lettera di Pietro 4, 12-19)

Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi. E il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, egli stesso vi ristabilirà, dopo una breve sofferenza vi confermerà e vi renderà forti e saldi. A lui la potenza nei secoli. Amen! Vi ho scritto, come io ritengo, brevemente per mezzo di Silvano, fratello fedele, per esortarvi e attestarvi che questa è la vera grazia di Dio. In essa state saldi! Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio. Salutatevi l’un l’altro con bacio di carità. Pace a voi tutti che siete in Cristo! (Prima lettera di Pietro 5, 6-14)

Infatti, non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto». Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. E così abbiamo conferma migliore della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione, come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori. (Seconda lettera di Pietro 1, 16-19)

Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò negli abissi tenebrosi dell’inferno, serbandoli per il giudizio; non risparmiò il mondo antico, ma tuttavia con altri sette salvò Noè, banditore di giustizia, mentre faceva piombare il diluvio su un mondo di empi; condannò alla distruzione le città di Sòdoma e Gomorra, riducendole in cenere, ponendo un esempio a quanti sarebbero vissuti empiamente. Liberò invece il giusto Lot, angustiato dal comportamento immorale di quegli scellerati. Quel giusto infatti, per ciò che vedeva e udiva mentre abitava in mezzo a loro, si tormentava ogni giorno nella sua anima giusta per tali ignominie. Il Signore sa liberare i pii dalla prova e serbare gli empi per il castigo nel giorno del giudizio, soprattutto coloro che nelle loro impure passioni vanno dietro alla carne e disprezzano il Signore. Temerari, arroganti, non temono d’insultare gli esseri gloriosi decaduti, mentre gli angeli, a loro superiori per forza e potenza, non portano contro di essi alcun giudizio offensivo davanti al Signore. Ma costoro, come animali irragionevoli nati per natura a essere presi e distrutti, mentre bestemmiano quel che ignorano, saranno distrutti nella loro corruzione, subendo il castigo come salario dell’iniquità. Essi stimano felicità il piacere d’un giorno; sono tutta sporcizia e vergogna; si dilettano dei loro inganni mentre fan festa con voi; han gli occhi pieni di disonesti desideri e sono insaziabili di peccato, adescano le anime instabili, hanno il cuore rotto alla cupidigia, figli di maledizione! Abbandonata la retta via, si sono smarriti seguendo la via di Balaàm di Bosòr, che amò un salario di iniquità, ma fu ripreso per la sua malvagità: un muto giumento, parlando con voce umana, impedì la demenza del profeta. Costoro sono come fonti senz’acqua e come nuvole sospinte dal vento: a loro è riserbata l’oscurità delle tenebre. Con discorsi gonfiati e vani adescano mediante le licenziose passioni della carne coloro che si erano appena allontanati da quelli che vivono nell’errore. Promettono loro libertà, ma essi stessi sono schiavi della corruzione. Perché uno è schiavo di ciò che l’ha vinto. Se infatti, dopo aver fuggito le corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del Signore e salvatore Gesù Cristo, ne rimangono di nuovo invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima. Meglio sarebbe stato per loro non aver conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltar le spalle al santo precetto che era stato loro dato. Si è verificato per essi il proverbio:
Il cane è tornato al suo vomito
e la scrofa lavata è tornata ad avvoltolarsi nel
brago. (Seconda lettera di Pietro 2, 4-22)

Questo anzitutto dovete sapere, che verranno negli ultimi giorni schernitori beffardi, i quali si comporteranno secondo le proprie passioni e diranno: «Dov’è la promessa della sua venuta? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della creazione». Ma costoro dimenticano volontariamente che i cieli esistevano gia da lungo tempo e che la terra, uscita dall’acqua e in mezzo all’acqua, ricevette la sua forma grazie alla parola di Dio; e che per queste stesse cause il mondo di allora, sommerso dall’acqua, perì. Ora, i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della rovina degli empi.
Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi.
Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c’è in essa sarà distrutta. Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi così, quali non dovete essere voi, nella santità della condotta e nella pietà, attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio, nel quale i cieli si dissolveranno e gli elementi incendiati si fonderanno! E poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia. Perciò, carissimi, nell’attesa di questi eventi, cercate d’essere senza macchia e irreprensibili davanti a Dio, in pace. (Seconda lettera di Pietro 3, 3-14)

Il penimento di San Pietro, San Pietro in Montorio, Roma

Il penimento di San Pietro, San Pietro in Montorio, Roma dans immagini sacre

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Publié dans:immagini sacre |on 21 juin, 2014 |Pas de commentaires »

SANTA LUCIA – (SULLE ORME DELL’APOSTOLO PAOLO)

http://www.basilicasantalucia.com/SLuciaOrmeSanPaolo.aspx

SANTA LUCIA – (SULLE ORME DELL’APOSTOLO PAOLO)

(ANNO PAOLINO)

Siamo nell’ « Anno paolino ». Il nostro Arcivescovo, pubblicando la Lettera Pastorale dal titolo « Sulle orme dell’ Apostolo Paolo », ha tracciato le coordinate del cammino di tutta la comunità diocesana in questo anno ispirato alla figura e all’insegnamento di San Paolo. Noi intendiamo fare una riflessione « luciana » mettendo in evidenza come Santa Lucia, con le sue scelte di vita, si sia posta sulle orme dell’Apostolo Paolo.

IL MARTIRIO
Anzitutto il fatto più importante che accomuna Santa Lucia con San Paolo è evidentemente il martirio. San Paolo, che ha soggiornato per tre giorni a Siracusa, ha certamente comunicato alla nostra gente il Vangelo della salvezza e ha sparso nella nostra terra il seme del cristianesimo: la sua totale dedizione a Cristo, che lo portava a identificare la sua vita con Cristo e che gli faceva dire: « Per me vivere è Cristo » (Fil 1,21), ha certamente affascinato e « contagiato » i Siracusani. E Santa Lucia è la siracusana più illustre che ha seguito le orme di San Paolo.
Ma il martirio è l’epilogo di una vita, è la conclusione coerente di una vita donata a Cristo: ha il coraggio di morire per Cristo solo chi è vissuto per Cristo. Allora, noi ci chiediamo: quali scelte di vita costituiscono il terreno su cui fiorisce il martirio? San Paolo compendia in pochissime parole la scaturigine profonda della sua donazione a Cristo, originata dalla constatazione stupefatta del Dono che Cristo ha fatto di se stesso all’uomo: « mi ha amato e ha dato se stesso per me » (GaI 2,20). La scelta del credente è consequenziale alla scelta di Dio che si dona all’uomo. Il mistero del Natale ci rivela questa scelta di Dio.
Per scoprire come il sentire di Santa Lucia si ispira a San Paolo, ripercorriamo gli Atti del martirio della Santa, e precisamente il codice « Papadopulo » che è la descrizione più attendibile della vita e del martirio della vergine siracusana.
LA LUCE
Il nome stesso di Lucia ci parla di luce. Per questo motivo i fedeli hanno scelto questa Santa come protettrice della vista fisica e spirituale, della luce degli occhi del corpo e della luce degli occhi dell’ anima, della luce della fede. Santa Lucia è modello di fede, come si scopre nella sua vita e nel suo martirio secondo la descrizione degli Atti. Il tema della luce è molto presente nelle Lettere di San Paolo: l’Apostolo, nella F’ Lettera ai Tessalonicesi, definisce i cristiani « figli della luce » (1 Ts 5,5).
E nella sezione parenetica della Lettera ai Romani porta una metafora bellissima: « La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce » (Rm 13,12). L’esortazione di San Paolo è fondata su un messaggio di speranza: quanto più la notte è inoltrata, tanto più è vicina la luce del giorno. Non dimentichiamolo quando gettiamo lo sguardo sulla notte rappresentata dalla eclissi dei valori dei tempi attuali. San Paolo e Santa Lucia, convogliando la nostra attenzione sulla luce, ci introducono nel mistero di Cristo, « Luce del mondo ». Con queste parole Gesù si è presentato agli uomini: « lo sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita » (Gv 8,12). Senza Cristo l’uomo brancola nelle tenebre, smarrisce il senso della vita, non sa più da dove viene e dove va, non conosce il perché della vita, perde le coordinate della sua esistenza.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II ci dice: « Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell ‘uomo. [ ... ] Cristo, proprio rivelando il mistero del Padre e del Suo Amore, svela anche pienamente l’uomo all ‘uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione ». (GS 22).
VERGINITA’ E CARITA’
Come si ricava dal codice « Papadopulo », alla base di tutta la vita di Santa Lucia sta la sua scelta radicale di amore a Cristo, la sua consacrazione totale al Signore nella verginità. Così dice lei alla madre Eutichia: « Ora questo solo ti chiedo, che tu non mi parli più di sposo, né volere da me frutti caduchi ».
E intimamente connessa con questa scelta è la donazione dei suoi averi ai poveri. Dice ancora Lucia alla madre: « Dona a Cristo mentre sei in vita ciò che hai acquistato o che hai promesso di darmi ».
Verginità e carità sono interconnesse: il senso della verginità è l’amore profondo a Cristo e a coloro dove Cristo è maggiormente presente, cioè i poveri. Santa Lucia è stata denunciata come cristiana dal suo pretendente perché deluso dopo che Lucia aveva fatto il voto di verginità e nello stesso tempo perché egli vedeva sfumare il ricco patrimonio di Lucia a causa della sua generosa liberalità a favore dei poveri.
Ebbene, sia della verginità sia della carità San Paolo è maestro e testimone: le sue Lettere sono eloquentissime in questa duplice direzione.
Nella prima direzione, in ordine alla verginità, basta leggere, nella I Lettera ai Corinzi, la descrizione della verginità che consiste nell ‘avere un cuore indiviso: « Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore; chi è sposato invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere alla moglie, e si trova diviso » (1 Cor 7,32-34).
La verginità è un ideale per alcune persone chiamate dal Signore: San Paolo, mentre la esalta, afferma che non è la vocazione di tutti: « Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro » (1 Cor 7,7). Santa Lucia ha il dono della verginità: la sua scelta è un dono di Dio.

Nella seconda prospettiva, in ordine alla carità, troviamo, disseminate nelle Lettere dell’ Apostolo, le esortazioni alla carità: « Siate solleciti per le necessità dei fratelli » (Rm 12,13). E l’Apostolo propone il Signore come modello di carità: « Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore » (Ef 5, 1-2).
In riferimento alla carità particolarmente verso i poveri, con queste parole è presentato Gesù Cristo come modello quando l’Apostolo organizza una colletta a favore dei cristiani di Gerusalemme: « Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà » (2 Cor 8,9).
Santa Lucia ha donato ai poveri il suo patrimonio e la ricchezza del suo amore. La sopra citata espressione di San Paolo costituisce per noi una suggestiva lettura del mistero del Natale.
Gesù Cristo, era ricco perché Dio, e si è fatto povero perché si è incarnato prendendo la nostra povera natura umana (la povertà radicale del Natale sta nel fatto che il Figlio di Dio si è spogliato delle sue prerogative divine ed è divenuto uomo mortale: cfr Fil 2,7); lo scopo di questa scelta di Dio è quello di voler rendere l’uomo partecipe della vita divina, cioè di arricchire infinitamente l’uomo.
IL CRISTIANO: TEMPIO DELLO SPIRITO SANTO
Il culmine del processo contro Santa Lucia, secondo la descrizione del codice Papadopulo, è raggiunto quando lei parla della inabitazione dello Spirito Santo.

« Oh, dunque tu credi – disse Pascasio – di avere lo Spirito Santo?
Lucia rispose: “L’Apostolo ha detto: Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito Santo abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi ». Pascasio disse: « Ti farò condurre in un luogo infame, e quando comincerai a vivere nel disonore, cesserai di essere il tempio dello Spirito Santo ». Lucia disse: « Non viene deturpato il corpo se non dal consenso della mente. [ ... ] Che se tu ordini che io subisca violenza contro la mia volontà, sarà duplicata la corona della mia castità ».

Santa Lucia cita espressamente il brano della I Lettera di San Paolo ai Corinzi (cfr. 1 Cor 3,16-17).
Noi notiamo, in Lucia, la consapevolezza gioiosa di essere tempio di Dio, il suo santo orgoglio per questa dignità altissima, unitamente alla sua ferma volontà di non dissacrare questo tempio vivente.
San Paolo, e di conseguenza anche Santa Lucia, hanno coscienza di essere tempio di Dio perché vitalmente uniti a Cristo sì da formare un solo corpo, e Cristo è il tempio vero di Dio perché in Lui « abita corporalmente tutta la pienezza della divinità » (Col 2,9). Gesù stesso preannuncia la sua risurrezione con parole che richiamano la realtà del suo corpo che è tempio di Dio: « Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere » (Gv 2,19).
LA FORTEZZA CRISTIANA
Una caratteristica particolarmente affascinante di Santa Lucia è la sua fortezza morale. Niente e nessuno riesce a smuoverla dal suo proposito di rimanere fedele a Cristo. Il racconto riportato dal codice ci descrive che né con la forza dei soldati né con la forza dei buoi fu possibile trascinarla via. È una descrizione emblematica che simboleggia la fortezza del suo animo, dono dello Spirito Santo. Così continua la narrazione:
« Allora Pascasio, furioso, comanda ai lenoni di prenderla e di adunare a vergogna di lei tutta la plebaglia, affinché le fosse fatto oltraggio e morisse nel disonore. Ma quando si tentò di trascinarla verso il luogo infame, lo Spirito Santo le diede tale immobilità che nessuno riusciva a smuoverla dal sito in cui era.
Si aggiunse un gran numero di soldati, che la spingevano violentemente; anch’essi sfiniti dal grave sforzo, venivano meno, mentre la Vergine di Cristo restava immobile. [ ... ] Indi Pascasio ordinò che si aggiogassero dei buoi per trascinarla, ma neanche ricorrendo a ciò riuscirono a smuovere la Vergine di Cristo, che lo Spirito Santo manteneva immobile ».
Questa consapevole fortezza di Lucia corrisponde all’insegnamento e alla testimonianza di San Paolo.
L’Apostolo esortava i cristiani: « Siate forti nella tribolazione » (Rm 12,12). E insegnava che « lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza » (Rm 8,26). Il suo indomito coraggio nelle avversità, la sua tenace resistenza nelle persecuzioni, la sua fermezza nell’affrontare pericoli di ogni sorta lungo i viaggi per evangelizzare, costituiscono un modello di fortezza morale.
Questa fortezza ha in Dio la sua sorgente: si tratta della « potenza straordinaria che viene da Dio » (cfr 2 Cor 4,7): « Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi; portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale » (2 Cor 4,8-11).
Con San Paolo, Santa Lucia ci dice con la sua vita e con il suo martirio: « Chi ci separerà dall’amore di Cristo? » (Rm 8,35).

Publié dans:Paolo - e gli altri santi |on 21 juin, 2014 |Pas de commentaires »

Ostensory, Francavilla a Mare, Chieti

 Ostensory, Francavilla a Mare, Chieti dans immagini sacre 221px-FrancavillaMare_ChSMariaMag_NicolaGuardiagrele_Ostensorio

 

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Publié dans:immagini sacre |on 20 juin, 2014 |Pas de commentaires »
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