Archive pour mai, 2014

50° ANNIVERSARIO DELL’INCONTRO A GERUSALEMME TRA PAPA PAOLO VI E IL PATRIARCA ATENAGORA – PAPA FRANCESCO

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/may/documents/papa-francesco_20140525_terra-santa-celebrazione-ecumenica.html

PELLEGRINAGGIO IN TERRA SANTA IN OCCASIONE DEL 50° ANNIVERSARIO DELL’INCONTRO A GERUSALEMME TRA PAPA PAOLO VI E IL PATRIARCA ATENAGORA – (24-26 MAGGIO 2014)

CELEBRAZIONE ECUMENICA IN OCCASIONE DEL 50° ANNIVERSARIO DELL’INCONTRO A GERUSALEMME TRA PAPA PAOLO VI E IL PATRIARCA ATENAGORA

PAROLE DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica del Santo Sepolcro (Jerusalem), Domenica, 25 maggio 2014

Santità, carissimi fratelli Vescovi, carissimi fratelli e sorelle,

in questa Basilica, alla quale ogni cristiano guarda con profonda venerazione, raggiunge il suo culmine il pellegrinaggio che sto compiendo insieme con il mio amato fratello in Cristo, Sua Santità Bartolomeo. Lo compiamo sulle orme dei nostri venerati predecessori, il Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora, i quali, con coraggio e docilità allo Spirito Santo, diedero luogo cinquant’anni fa, nella Città santa di Gerusalemme, allo storico incontro tra il Vescovo di Roma e il Patriarca di Costantinopoli. Saluto cordialmente tutti voi presenti. In particolare, ringrazio vivamente per avere reso possibile questo momento Sua Beatitudine Teofilo, che ha voluto rivolgerci gentili parole di benvenuto, come pure a Sua Beatitudine Nourhan Manoogian e al Reverendo Padre Pierbattista Pizzaballa.
E’ una grazia straordinaria essere qui riuniti in preghiera. La Tomba vuota, quel sepolcro nuovo situato in un giardino, dove Giuseppe d’Arimatea aveva devotamente deposto il corpo di Gesù, è il luogo da cui parte l’annuncio della Risurrezione: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti”» (Mt 28,5-7). Questo annuncio, confermato dalla testimonianza di coloro ai quali apparve il Signore Risorto, è il cuore del messaggio cristiano, trasmesso fedelmente di generazione in generazione, come fin dal principio attesta l’apostolo Paolo: «A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (1 Cor 15,3-4). E’ il fondamento della fede che ci unisce, grazie alla quale insieme professiamo che Gesù Cristo, unigenito Figlio del Padre e nostro unico Signore, «patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte» (Simbolo degli Apostoli). Ciascuno di noi, ogni battezzato in Cristo, è spiritualmente risorto da questo sepolcro, poiché tutti nel Battesimo siamo stati realmente incorporati al Primogenito di tutta la creazione, sepolti insieme con Lui, per essere con Lui risuscitati e poter camminare in una vita nuova (cfr Rm 6,4).
Accogliamo la grazia speciale di questo momento. Sostiamo in devoto raccoglimento accanto al sepolcro vuoto, per riscoprire la grandezza della nostra vocazione cristiana: siamo uomini e donne di risurrezione, non di morte. Apprendiamo, da questo luogo, a vivere la nostra vita, i travagli delle nostre Chiese e del mondo intero nella luce del mattino di Pasqua. Ogni ferita, ogni sofferenza, ogni dolore, sono stati caricati sulle proprie spalle dal Buon Pastore, che ha offerto sé stesso e con il suo sacrificio ci ha aperto il passaggio alla vita eterna. Le sue piaghe aperte sono come il varco attraverso cui si riversa sul mondo il torrente della sua misericordia. Non lasciamoci rubare il fondamento della nostra speranza, che è proprio questo: Christòs anesti! Non priviamo il mondo del lieto annuncio della Risurrezione! E non siamo sordi al potente appello all’unità che risuona proprio da questo luogo, nelle parole di Colui che, da Risorto, chiama tutti noi “i miei fratelli” (cfr Mt 28,10; Gv 20,17).
Certo, non possiamo negare le divisioni che ancora esistono tra di noi, discepoli di Gesù: questo sacro luogo ce ne fa avvertire con maggiore sofferenza il dramma. Eppure, a cinquant’anni dall’abbraccio di quei due venerabili Padri, riconosciamo con gratitudine e rinnovato stupore come sia stato possibile, per impulso dello Spirito Santo, compiere passi davvero importanti verso l’unità. Siamo consapevoli che resta da percorrere ancora altra strada per raggiungere quella pienezza di comunione che possa esprimersi anche nella condivisione della stessa Mensa eucaristica, che ardentemente desideriamo; ma le divergenze non devono spaventarci e paralizzare il nostro cammino. Dobbiamo credere che, come è stata ribaltata la pietra del sepolcro, così potranno essere rimossi tutti gli ostacoli che ancora impediscono la piena comunione tra noi. Sarà una grazia di risurrezione, che possiamo già oggi pregustare. Ogni volta che chiediamo perdono gli uni agli altri per i peccati commessi nei confronti di altri cristiani e ogni volta che abbiamo il coraggio di concedere e di ricevere questo perdono, noi facciamo esperienza della risurrezione! Ogni volta che, superati antichi pregiudizi, abbiamo il coraggio di promuovere nuovi rapporti fraterni, noi confessiamo che Cristo è davvero Risorto! Ogni volta che pensiamo il futuro della Chiesa a partire dalla sua vocazione all’unità, brilla la luce del mattino di Pasqua! A tale riguardo, desidero rinnovare l’auspicio già espresso dai miei Predecessori, di mantenere un dialogo con tutti i fratelli in Cristo per trovare una forma di esercizio del ministero proprio del Vescovo di Roma che, in conformità con la sua missione, si apra ad una situazione nuova e possa essere, nel contesto attuale, un servizio di amore e di comunione riconosciuto da tutti (cfr Giovanni Paolo II, Enc. Ut unum sint, 95-96).
Mentre sostiamo come pellegrini in questi santi Luoghi, il nostro ricordo orante va all’intera regione del Medio Oriente, purtroppo così spesso segnata da violenze e conflitti. E non dimentichiamo, nella nostra preghiera, tanti altri uomini e donne che, in diverse parti del pianeta, soffrono a motivo della guerra, della povertà, della fame; così come i molti cristiani perseguitati per la loro fede nel Signore Risorto. Quando cristiani di diverse confessioni si trovano a soffrire insieme, gli uni accanto agli altri, e a prestarsi gli uni gli altri aiuto con carità fraterna, si realizza un ecumenismo della sofferenza, si realizza l’ecumenismo del sangue, che possiede una particolare efficacia non solo per i contesti in cui esso ha luogo, ma, in virtù della comunione dei santi, anche per tutta la Chiesa. Quelli che per odio alla fede uccidono, perseguitano i cristiani, non domandano loro se sono ortodossi o se sono cattolici: sono cristiani. Il sangue cristiano è lo stesso.
Santità, amato Fratello, carissimi fratelli tutti, mettiamo da parte le esitazioni che abbiamo ereditato dal passato e apriamo il nostro cuore all’azione dello Spirito Santo, lo Spirito dell’Amore (cfr Rm 5,5) per camminare insieme spediti verso il giorno benedetto della nostra ritrovata piena comunione. In questo cammino ci sentiamo sostenuti dalla preghiera che Gesù stesso, in questa Città, alla vigilia della sua passione, morte e risurrezione, ha elevato al Padre per i suoi discepoli, e che non ci stanchiamo con umiltà di fare nostra: «Che siano una sola cosa … perché il mondo creda» (Gv 17,21). E quando la disunione ci fa pessimisti, poco coraggiosi, sfiduciati, andiamo tutti sotto il manto della Santa Madre di Dio. Quando nell’anima cristiana ci sono turbolenze spirituali, soltanto sotto il manto della Santa Madre di Dio troveremo pace. Che Lei ci aiuti in questo cammino.

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PAPA FRANCESCO: DI FRONTE ALL’OLOCAUSTO, IL PAPA GRIDA: « MAI PIÙ SIGNORE! »

http://www.zenit.org/it/articles/di-fronte-all-olocausto-il-papa-grida-mai-piu-signore

DI FRONTE ALL’OLOCAUSTO, IL PAPA GRIDA: « MAI PIÙ SIGNORE! »

Francesco prega al Muro del Pianto e rende omaggio alle vittime dell’antisemitismo allo Yad Vashem

Gerusalemme, 26 Maggio 2014 (Zenit.org) Luca Marcolivio

Poche parole e molti significativi gesti hanno caratterizzato la visita di papa Francesco al Muro Occidentale di Gerusalemme e al Memoriale di Yad Vashem. Il Santo Padre è giunto presso il Muro Occidentale – più noto come Muro del Pianto – intorno alle 9 del mattino, accolto dal Rabbino Capo.
Dopo aver sostato alcuni minuti in preghiera davanti al Muro, il Pontefice vi ha deposto il proprio biglietto contenente la preghiera del Padre Nostro, da lui stesso scritta in spagnolo.
Ha poi scritto una dedica, sempre in spagnolo, sul Libro d’Onore del Muro Occidentale, recante le parole del Salmo 121: “Quale gioia quando mi dissero ‘Andiamo alla casa del Signore’. Ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme”. Ed ha aggiunto: “Con questi sentimenti di gioia verso i miei fratelli maggiori, sono venuto ora e ho chiesto al Signore la grazia della pace”.
Successivamente Francesco si è recato in auto al Monte Herzl, dove ha trovato ad aspettarlo il presidente israeliano Shimon Peres e il premier Benjamin Netanyahu. Il Papa ha depositato una corona di fiori presso il Mausoleo dove è custodita la tomba di Theodor Hertzl, fondatore del Movimento Sionista al Congresso di Basilea del 1897.
Subito dopo, su suggerimento del premier israeliano, ha avuto luogo un piccolo fuori-programma: la deposizione di una corona di fiori alla stele in memoria degli israeliani vittime del terrorismo.
In occasione della tappa successiva allo Yad Vashem, più che un vero discorso, papa Francesco ha pronunciato un’articolata e intensa preghiera interamente centrata sul radicale abbandono di Dio da parte dell’uomo, generatore di tragedie come quella dell’Olocausto.
Accolto dal presidente e dal direttore del Centro, il Papa ha percorso a piedi l’intero perimetro del Mausoleo, al cui ingresso ha incontrato nuovamente il presidente Peres e il premier Netanyahu, assieme al Rabbino Presidente dello Yad Vashem.
Dopo l’accensione della fiamma, la deposizione di una corona di fiori sul Mausoleo e la lettura di un brano dell’Antico Testamento, il Presidente del Centro ha fatto una breve presentazione introduttiva.
Ha preso poi la parola il Santo Padre ricordando come nell’Olocausto risuoni la domanda di Dio al Primo Uomo: “Adamo, dove sei?” (cfr Gen 3,9). Una domanda in cui “c’è tutto il dolore del Padre che ha perso il figlio”.
Sebbene conoscesse “il rischio della libertà” e sapesse che “il figlio avrebbe potuto perdersi”, forse nemmeno il Padre poteva immaginare “una tale caduta” e “un tale abisso”. Il suo grido “dove sei?”, quindi, “di fronte alla tragedia incommensurabile dell’Olocausto, risuona come una voce che si perde in un abisso senza fondo”.
Dio non riconosce più l’uomo, la più sublime delle sue creature, l’unica creata a sua immagine e somiglianza. “Chi sei diventato? – gli domanda – Di quale orrore sei stato capace? Che cosa ti ha fatto cadere così in basso?”.
Cosa può aver corrotto e sfigurato l’uomo? Non la “polvere del suolo” da cui egli è tratto, né l’“alito di vita” che Dio gli ha impresso, che è “cosa molto buona” (Gen 2,7).
“Chi ti ha contagiato la presunzione di impadronirti del bene e del male? – ha proseguito il Papa -. Chi ti ha convinto che eri dio? Non solo hai torturato e ucciso i tuoi fratelli, ma li hai offerti in sacrificio a te stesso, perché ti sei eretto a dio”.
E mentre Dio grida tutto il suo dolore per essere stato rinnegato, dalla terra, “si leva un gemito sommesso: Pietà di noi, Signore!”.
L’uomo è stato travolto da “un male quale mai era avvenuto sotto la volta del cielo (cfr Bar 2,2)” e solo Dio, con la sua misericordia può salvarlo da questa “mostruosità”.
“Signore onnipotente, un’anima nell’angoscia grida verso di te. Ascolta, Signore, abbi pietà! Abbiamo peccato contro di te. Tu regni per sempre (cfr Bar 3,1-2)”, ha detto ancora il Pontefice.
“Ricordati di noi nella tua misericordia – ha proseguito -. Dacci la grazia di vergognarci di ciò che, come uomini, siamo stati capaci di fare, di vergognarci di questa massima idolatria, di aver disprezzato e distrutto la nostra carne, quella che tu impastasti dal fango, quella che tu vivificasti col tuo alito di vita”.
In conclusione della sua invocazione, Francesco ha proclamato: “Mai più, Signore, mai più!”. E ha elevato la supplica finale: “Eccoci, Signore, con la vergogna di ciò che l’uomo, creato a tua immagine e somiglianza, è stato capace di fare. Ricordati di noi nella tua misericordia”.
In seguito il Papa ha salutato alcuni sopravvissuti all’Olocausto nazista, baciando loro le mani e fermandosi poi in preghiera con una di loro. Si è infine trasferito in auto al Centro Heichal Shlomo, sede del Gran Rabbinato di Israele.

Publié dans:EBRAISMO: SHOAH, PAPA FRANCESCO |on 26 mai, 2014 |Pas de commentaires »

Holy Spirit, The Paraclete

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Publié dans:immagini sacre |on 23 mai, 2014 |Pas de commentaires »

1 PIETRO 3: 15-18 – COMMENTO BIBLICO

http://www.chiesaevangelicadivolla.it/n-8-1-pietro-3–15-18.html

(Chiesa Evangelica)

1 PIETRO 3: 15-18

La 1° Pietro affronta uno dei problemi che inevitabilmente incontra il credente quando si lascia guidare dalla logica della sua fede. Alla pari del suo Signore il credente è “messo a morte nella carne e reso vivo nello spirito” (v.18b). Alla violenza non è opportuno rispondere con la violenza. Coloro che si ispirano alla violenza ed invocano “fuoco dal cielo” “non sanno di quale spirito sono animati” (Lc 9:55). Non è necessario raffigurarsi tempi di persecuzione, quali quelli vissuti sotto regimi totalitari (ma quanti ancora ve ne sono qui e là sul nostro globo!) per appropriarci del messaggio presente nei versetti proposti.

Se non proprio di persecuzione, il credente si trova quotidianamente a vivere in un contesto di ‘incompatibilità’ con l’andazzo prassistico del proprio tempo. La verità, ammesso che la si possegga (essa sta sempre e soltanto dinanzi a noi e ci precede!), non la si impone mai: è tentazione che in ogni caso va respinta. In un clima di diffusa osticità o di aperta ostilità occorre discernimento, accortezza e saggezza comportamentale. L’apostolo consiglia “mansuetudine, rispetto e coscienza pulita” (v. 16) soprattutto quando i persecutori occulti, i peggiori!, creano discredito nell’opinione pubblica, anche se limitatamente al proprio condominio, o all’ambito di lavoro ove possono non mancare, come non sono mancati, piccoli soprusi e ingiustizie di varia entità. Non solo i cristiani della chiesa primitiva ma anche quelli che come questi sono stati oggetto di persecuzioni (in Italia si pensi al periodo fascista!) hanno subìto attacchi diretti e continui colpi ai fianchi, pugilisticamente parlando. Il nostro brano (1 Pt 3:15-18) si sofferma soprattutto nella seconda delle tattiche persecutorie, quelle subdole fatte di insinuazioni e di dicerie gratuite. In questi casi a che vale la violenza? Basterà la “buona condotta in Cristo” (v. 16). Per “buona condotta” non deve intendersi il moralismo dei benpensanti. Non v’è nulla di più ottundente del ‘moralismo’ corrente, quell’onestà di facciata, del ‘così fan tutti’ con tutte le sue perverse declinazioni. Con “buona condotta” non deve intendersi neppure obbedienza a quell’insieme di norme scritte o, peggio, non scritte, che costituiscono le cosiddette ‘discipline’ stabilite dalle diverse istituzioni denominazionali. La “buona condotta” del nostro testo è quella che coincide o che è in armonia con la “giustizia” del v. 14. E non si tratta di giustizia umana, ma di giustizia secondo Dio che può contrastare, come a volte contrasta, con la nostra e l’altrui giurisprudenza. Il comportamento del credente di fronte al male non si limita alla sola non-violenza cosa che, da sola, può rendere pavidi, vili e paurosi. Il credente serio deve essere pronto innanzitutto a rispondere, a fare la sua ‘apologia’ (così nell’originale), a testimoniare la sua fede non solo in termini di speranza ma di vita quotidiana condotta sotto il segno della sovranità di Colui che è il Signore. Il timore di Dio cancella il timore degli uomini. La fede in Colui nel quale si crede non si testimonia con le sole parole, mutuate semmai da un catechismo, ma con una seria correttezza comportamentale a livello personale (se si tratta di singoli) come a livello istituzionale (se si tratta di gruppi). La fede deve « alleggerirsi dell’inflazione dottrinale » e recuperare il carattere coraggioso di confrontarsi con una cultura che, a conti fatti, le è ostile. Vi sono due termini che malcelano due comportamenti: “benedire” (v. 9) e “santificare” (v. 15). ‘Benedire’ non come parlar bene di.’, ma, nello spirito di Luca 6:28, pregare per coloro che ci sono ostili e mai ritenerli come ‘nemici’ dichiarati. Molti sono ostili alla fede per ignoranza (Lc 23:34a). ‘Santificare’ nel nostro testo ha come oggetto ‘il Signor Gesù’; ma è inimmaginabile che si possa santificare Colui che è ontologicamente santo. Qui va inteso come in Lc 6:2b, cioè ritenere il Cristo quale il solo santo (Is 8:13) e adorarLo riconoscendone la presenza nella propria storia: “Io sarò santificato in voi… voi conoscerete che io sono il Signore…quando avrò agito con voi per amor del mio nome … dice Dio, il Signore” (Ez 20:41,44).

Mario Affuso

OMELIA 25 MAGGIO: « IO PREGHERÒ IL PADRE E VI DARÀ UN ALTRO CONSOLATORE « 

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/Anno_A-2014/4-Pasqua-A-2014/Omelie/06-Domenica-Pasqua-A-2014/12-6a-Domenica-A-2014-SC.htm

25 MAGGIO 2014 | 6A DOMENICA DI PASQUA A | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

« IO PREGHERÒ IL PADRE E VI DARÀ UN ALTRO CONSOLATORE « 

Il tema dello Spirito, mentre collega la prima lettura al brano del Vangelo, preannuncia già l’arrivo della Pentecoste, che ormai non è più molto lontana.
Dopo che la Chiesa di Gerusalemme ha saputo del successo della predicazione del diacono Filippo in Samaria, invia Pietro e Giovanni per autenticarne l’opera di evangelizzazione e soprattutto per stabilire rapporti di fraternità fra la Chiesa-madre e quella nuova comunità: « Essi scesero e pregarono per loro affinché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora sceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo » (At 8,15-17). Lo Spirito è il frutto più saporoso della Pasqua: « Infatti non c’era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato glorificato » (Gv 7,39).
Accanto poi al tema dello Spirito ritroviamo, nella seconda e terza lettura, i più normali riferimenti pasquali: come, ad esempio, il tema della passione e morte del Signore e della sua risurrezione, della nostra associazione alla sofferenza del Maestro e anche della « gioia » nel partecipare alle intimità del suo amore, che sarà anche più grande dopo il suo ritorno al Padre.
« Pronti sempre a rispondere a chi vi domandi ragione della speranza che è in voi »
Particolarmente significativa in questo senso è la seconda lettura, nella quale Pietro esorta i cristiani, « dispersi » nell’Asia Minore (1 Pt 1,1), a non scoraggiarsi nelle persecuzioni che li affliggono, imitando l’esempio di Cristo che, pur essendo innocente, ha accettato generosamente la morte per liberarci dai nostri « peccati ». Questo della « prova » è il « culto » più vero, l’ »adorazione » più sincera che il cristiano può offrire a Dio in tante circostanze della propria vita.
È evidente lo sfondo pasquale dell’esortazione (1 Pt 3,15-18), soprattutto nell’ultimo versetto, che riecheggia sicuramente un’antica professione di fede, la quale continua nei versetti che seguono (vv. 19-22): Cristo « messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito » (v. 18). La contrapposizione non è, qui, fra il « corpo » di Cristo che muore e il suo « spirito » che, invece, continua a vivere, quanto piuttosto fra la sua morte e la sua risurrezione che avviene in virtù dello « Spirito », il quale opererà anche la nostra risurrezione: « Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi » (Rm 8,11).
Questa dialettica esaltante, ma anche dolorosa, fra morte « nella carne » e vita « nello spirito » è un’esperienza che il cristiano ripete in sé quotidianamente. È il segreto della sua « speranza », di cui deve rendere « ragione » al cospetto del mondo. Proprio mentre egli viene perseguitato e calunniato, mentre è considerato perdente, deve rendere testimonianza con le « opere » della vita, con la sua « buona condotta in Cristo » (v. 16), « con dolcezza e rispetto » (v. 15) persino verso chi gli usa violenza, che il vero vincitore è lui: la risurrezione di Cristo, con la forza incontenibile della vita che essa sprigiona, opera in lui. L’amore è più forte dell’ostilità, della malevolenza e della calunnia!
È dunque con la totalità della sua vita e delle espressioni nelle quali essa si manifesta che il cristiano « risponde » a chiunque gli « domanda ragione della speranza che è in lui » (v. 15). Questo testo, che spesso viene citato per esprimere il dovere che il credente ha di saper esporre e difendere la sua fede in maniera convinta e convincente, dice molto di più: è con tutta la vita che dobbiamo annunciare la nostra fede nella risurrezione del Signore!
Sebbene gli uomini l’abbiano ostracizzato e abbiano tentato di chiuderlo per sempre nell’oscurità di un sepolcro, Cristo ha rotolato la pietra che lo chiudeva nella prigione della morte. È proprio partendo da questo fatto certissimo che il cristiano si fa annunciatore di un messaggio, oltre che di fede, di « speranza »: tutto può essere capovolto e trasformato, anche l’ingiustizia, l’iniquità, la violenza, la tortura, perfino la morte se gli uomini accetteranno di lasciarsi guidare dalla luce della risurrezione, cioè dalla « potenza » dell’amore che si dona, come ha fatto Cristo, in piena gratuità, al servizio di Dio e dei fratelli.

« Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò »
Proprio sul tema dell’amore si apre e si chiude anche il brano di Vangelo odierno, che continua il discorso di « consolazione » che abbiamo incominciato a commentare la Domenica scorsa: « Se mi amate, osservate i miei comandamenti… Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui » (Gv 14,15.21).
Ai motivi già detti, per cui gli Apostoli non devono « turbarsi » (v. 14) per la sua dipartita, Gesù ne aggiunge un altro estremamente consolante: la sua costante presenza, addirittura la sua « epifania » (« mi manifesterò a lui »), in chiunque lo « ama ».
Però questo amore deve essere vero, testimoniato dalle opere. La pietra di paragone, del resto, per saggiare l’amore dei discepoli è alla portata di ognuno: l’osservanza dei « comandamenti » (vv. 15.21). Si direbbe che Gesù tende a identificarsi con la sua « parola », nella quale si esprime la sua volontà. Perciò là dove c’è l’attuazione della sua volontà, espressa nel « comandamento », egli stesso è presente e « si manifesta » sempre più intimamente ai suoi. E con lui c’è anche il Padre, che allarga il circolo di questa rispondenza di amore: « Chi mi ama sarà amato dal Padre mio » (v. 21).
Dal che si deduce che non è più vicino a Dio o a Cristo chi « conosce » di più, ma chi « ama » di più ed è più fedele ai comandamenti che, in certo senso, li immanentizzano in noi. Forse noi cristiani non prendiamo troppo sul serio queste parole del Signore; ed è proprio per questo che ci manca il fuoco dell’amore e la luce irradiante di Cristo nella nostra vita. Non abbiamo ancora scoperto che tutti, senza nessuna eccezione, siamo chiamati all’incontro « mistico » con lui!

« Lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere »
Oltre a promettere una « rivelazione » sempre più intima di sé a chiunque lo ama, Gesù promette ai discepoli anche il « dono » dello Spirito Santo: « Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi » (vv. 16-17).
Colpisce in queste parole la contrapposizione con il « mondo » che, a differenza dei discepoli, « non può ricevere » lo Spirito (v. 17).
Perché questa incapacità a percepire la realtà dello Spirito? Essa deriva dal fatto che il mondo « non lo vede e non lo conosce » (v. 17). Il verbo « vedere » (theoréin) in Giovanni non è mai riferito a un vedere puramente esteriore: esso indica piuttosto uno sguardo attento, scrutatore, interessato, che va al di là delle semplice apparenze e sa scorgere in certi fatti storici (per esempio, la vita o la morte di Gesù) il segno della presenza di Dio.
Orbene, il « mondo » non ha questo atteggiamento di disponibilità e di apertura agli interventi di Dio: è come un cieco, che è naturalmente refrattario alla luce. Come il cieco dovrebbe prima guarire per poter essere illuminato, così il mondo dovrebbe cessare di essere mondo per poter « ricevere » lo Spirito! È il dramma delle tenebre e della luce che si fanno continua guerra e che è il tema dominante di tutto il quarto Vangelo, fin dal prologo: « La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta » (1,5).
È anche interessante la terminologia con cui Giovanni ci presenta lo Spirito. Esso viene prima di tutto chiamato con il nome di « Consolatore » (secondo il greco « Paraclito »). Questo termine è proprio di Giovanni;1 nei testi profani significa piuttosto colui che viene in aiuto dell’imputato, cioè l’avvocato. Tale è il senso di un passo in cui l’appellativo è riferito a Cristo: « Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre » (1 Gv 2,1). Nei testi evangelici, però, il termine esprime più una funzione di « assistenza » ai credenti che quella di avvocato: di qui anche l’idea del « confortare » e del « consolare ».
Dunque lo Spirito ha il compito di rincuorare e di assicurare i credenti nelle difficoltà a cui andranno incontro. Egli, perciò, continuerà l’opera stessa di Cristo, lui pure « Consolatore »: « Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore » (v. 16). Fino a questo momento Gesù aveva provveduto personalmente a « custodire » quelli che il Padre gli aveva dato (17,12): adesso che se ne va, lo Spirito Santo avrà lui cura del suo gregge.

« Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi »
E non sarà una cura meno premurosa; tutt’altro! « Voi lo conoscete, perché egli dimora presso (pará) di voi e sarà in (en) voi » (v. 17).
Si noti la progressione delle due preposizioni greche: parà (« presso ») indica non tanto la permanenza in un luogo, quanto l’accoglienza, l’ospitalità, la comunione tra persone; en (« in ») denota l’interiorità della presenza dello Spirito. È dall’interno dunque che egli aiuta e consola i cristiani a rimanere fedeli al loro Signore.
E li aiuta soprattutto « illuminandoli », perché possano penetrare sempre meglio la « verità » annunciata da Cristo, e che in pratica si identifica con lui (cf 14,6): perciò viene detto anche « Spirito di verità » (v. 17). L’espressione è già conosciuta nel tardo giudaismo e vi designa lo Spirito che fa conoscere la verità e fa vivere gli uomini in conformità con essa.2 Nessun uomo, con le sole sue forze, può afferrare e vivere il mistero di Dio manifestatosi in Cristo: per questo gli Apostoli sono stati illuminati pienamente solo dopo la discesa dello Spirito!
E anche oggi la Chiesa può realizzarsi soltanto se si lascia inondare dalla luce dello Spirito, che certamente la « guiderà alla verità tutta intera » (16,13). Non una « verità » nuova, però, né diversa da quella annunciataci da Cristo, ma la « interezza » e la esplicitazione di quella: non c’è rottura fra il « tempo di Cristo » e il « tempo dello Spirito »!
Infatti non è che lo Spirito « sostituisca » Cristo; aiuta soltanto a conoscerlo meglio e a viverlo più intensamente nella sua nuova forma di « presenza », anche più intima, in mezzo ai suoi. È quanto ci dicono alcune parole, particolarmente commoventi, di questo discorso che stiamo commentando. « Non vi lascerò orfani, ritornerò a voi! Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi » (vv. 18-20).

« Voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete »
Gesù dunque non lascerà « orfani » i suoi discepoli. La sola evocazione di questo termine basta a dire il clima di commozione in cui si deve essere svolto questo discorso di addio e che vibrava ancora nel cuore dell’Evangelista a tanta distanza da quel giorno. E non saranno « orfani » perché lo « vedranno » ancora, oltre la sua morte stessa.
È evidente qui il rimando alle « apparizioni » di Cristo dopo la sua risurrezione: ma non solo a queste. È tutta l’esperienza che la prima generazione cristiana e quelle successive faranno della continua e molteplice « presenza » di Cristo in mezzo a loro, derivante da quei primi incontri con i suoi dopo la sua morte. La capacità percettiva della fede non è meno forte e meno vera del contatto « fisico » con il Risorto: « Voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete » (v. 19).
« L’esperienza personale dei testimoni oculari si trasmette nel messaggio della fede, e la visione corporale lascia il posto a una coscienza di fede altrettanto persuasiva. L’evangelista unisce senza dubbio e involontariamente questi due dati perché li ha vissuti insieme. Non può separare dalla sua esperienza vissuta la sua convinzione di fede, né lasciare questa esperienza senza eco nella Chiesa futura. La risurrezione non è soltanto un fatto storico, è un avvenimento sempre attivo. Mentre nella notte di Pasqua la Chiesa lascia prorompere la sua gioia con la spontaneità di un bambino per celebrare l’avvenimento, all’introito del giorno sa trasferire questo canto di gioia nei toni gravi e pieni di maestà di una certezza pacata: « Io sono risorto e sono ancora con voi, alleluia! »".3
Proprio questa certezza permette a Cristo di adoperare qui una espressione particolarmente solenne: « In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi » (v. 20). È la formula misteriosa che adoperavano i Profeti dell’Antico Testamento per esprimere il tempo dei grandi interventi divini.4 Con il Cristo risorto, quegli interventi sono offerti agli uomini ad ogni momento. Per il credente « ogni giorno » può e deve diventare « quel giorno »!

Da: CIPRIANI S.,

God gives the law and covenants to his people

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Publié dans:immagini sacre |on 22 mai, 2014 |Pas de commentaires »

«LO SPIRITO VIENE IN AIUTO ALLA NOSTRA DEBOLEZZA» (RM 8,26-39). CHI SARÀ CONTRO DI NOI?

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«LO SPIRITO VIENE IN AIUTO ALLA NOSTRA DEBOLEZZA» (RM 8,26-39). CHI SARÀ CONTRO DI NOI?

Guido Benzi

La Parola

26 Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; 27 e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio. 28 Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. 29 Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; 30 quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.
31 Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? 32 Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? 33 Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. 34 Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?
35 Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? 36 Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. 37 Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. 38 Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, 39 né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.
Il contesto
Paolo si avvia rapidamente a concludere il c. 8 sull’azione dello Spirito Santo e quindi il suo discorso sui doni di Dio concessi all’uomo giustificato. Paolo abbandona il piano dell’esposizione dottrinale e avvia un discorso molto caldo e affettuoso.
Il contenuto
Il «gemere» dello Spirito Santo è un gemere per noi, è un venire in soccorso della nostra debolezza, della nostra insufficienza e incapacità. Lo Spirito col suo gemito ci soccorre nella nostra preghiera, perché noi siamo troppo deboli. Dio che scruta i cuori, ode la voce dello Spirito che sale a lui dai cristiani. Dio sa quello che lo Spirito vuole: solo e sempre la volontà di Dio nei nostri riguardi. Dio sa quello che vuole lo Spirito in noi: la manifestazione della sua gloria in coloro che egli ha già reso santi nella fede.
Ma Dio non solo conosce l’invocazione senza parole dello Spirito per noi, ma anche la esaudisce. Infatti Dio soccorre in ogni modo i santi che egli ha chiamati e che lo amano. Per coloro che lo amano, Dio non fa accadere nulla che non serva alla loro salvezza. Dio è pensato come colui che agisce per il bene in tutte le cose, anche nella sofferenza. Coloro che amano Dio sono qualificati come chiamati secondo la volontà di Dio. Dio ha prevenuto coloro che lo amano. La sua chiamata ha dischiuso loro i favori di Dio. I santi che amano Dio lo amano in risposta all’eterna chiamata del suo amore in Gesù Cristo. Dio volgerà ogni cosa a profitto della loro salvezza.
La figliolanza per mezzo di Gesù Cristo è detta con l’espressione: per essere conformi all’immagine del Figlio. Dio ha associato a Cristo, il primogenito, noi come fratelli affinché egli fosse il primogenito tra molti. La destinazione originaria dell’esistenza umana è di partecipare, in Cristo e tramite Cristo, alla gloria ossia al modo di essere di questo fratello primogenito. Egli è tale sia in rapporto alla creazione (Col 1,15) sia in rapporto alla risurrezione dai morti (Col 1,18; Rm 8,11; 1Cor 15,22 ss.; Ap 1,5).
Questa gloria, che è la condizione futura dell’uomo stabilita dall’eternità, ci è già stata elargita: ci ha glorificati con Cristo (v. 30). Tramite la morte di Cristo i chiamati sono ammessi, per la fede e nel battesimo, alla giustizia di Dio e sono giustificati in modo tale da sperimentare in anticipo la futura giustificazione che dà la vita (Rm 5,18). La chiamata di Dio si manifesta come giustificazione della nostra esistenza da parte della giustizia di Dio. La glorificazione non è solo una speranza. Essa è anche un’anticipazione concessa da Dio per grazia, la quale non solo esprime la certezza del futuro, ma designa un avvenimento presente e attuale. Come la gloria del vangelo è brillata sul volto di Cristo (2Cor 4,4.6), così noi, rivolti al Signore e al suo Spirito e contemplando la sua gloria nello specchio del vangelo, già ora veniamo trasformati da gloria a gloria, nell’essenza gloriosa di Cristo (2Cor 3,16 ss).
Anche il cosmo con le sue «potenze» non può separarci dall’amore di Dio. Sono enumerate dieci potenze. Al primo posto sta la morte, che secondo 1Cor 15,26 è l’ultimo nemico e quindi la potenza peggiore. Qui però la morte è accoppiata a un’altra potenza: la vita. Anche la vita può allettarci con le sue lusinghe a volgere le spalle all’amore di Dio ed essere quindi un pericolo. Persino la vita calma e innocua, non meno della vita agiata e pericolosa, può diventare una realtà ostile, proprio perché separa dall’amore di Cristo. I cristiani non devono vivere per se stessi o per il mondo, ma devono vivere e morire per il Signore (Rm 14,7-9).
Conclusione
I cristiani, in virtù dello Spirito hanno acquisito nella fede la libertà di amare e di sperare. Nella loro preghiera «geme» lo Spirito stesso; geme per loro. Con il suo gemito impercettibile, senza parole, lo Spirito viene in soccorso di coloro che e pregano senza però comprendere per che cosa veramente si debba pregare. Così egli trasforma la preghiera dei deboli (i cristiani!) in una preghiera forte, cioè nella schietta preghiera per la gloria.
Per la riflessione ed il confronto
– Siamo oggi chiamati a confrontarci con la nostra preghiera. È un insieme di pratiche anche devote, o è un «ascolto» di Dio e del suo Spirito che prega in noi?
– Siamo convinti che non esiste «potenza» (neppure il nostro peccato se riconosciuto e confessato) o disgrazia che possa separarci dall’amore di Dio in Gesù? Dio non è mai così vicino come nella prova!
– Come educare alla preghiera nelle nostre famiglie? Cosa si può proporre?

Per approfondire
Dal Catechismo degli Adulti, La verità vi farà liberi, pp. 452-459.

Publié dans:Lettera ai Romani |on 22 mai, 2014 |Pas de commentaires »
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