DISCESE AGLI INFERI – (1Pt 3,18-19)
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DISCESE AGLI INFERI
“Anche Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione” (1Pt 3,18-19).
La morte di Gesù è un evento reale; in modo lapidario il Simbolo niceno-costantinoplitano afferma: “morì e fu sepolto”. Come tutti gli uomini che muoiono.
La dipartita di Gesù da questo modo sembra dunque subire la stessa sorte, la stessa modalità di tutti se non fosse per il fatto che egli, il Pastore “quello bello”, è colui che si inoltra nel sentiero della “valle oscura” (Sal. 22,4) non come tutti i morti, ma come il Signore della Vita. È dunque il Cristo Signore che entra nel regno dei morti e lo attraversa chiamando a seguirlo le sue pecore, cioè le anime dei giusti che attendevano la redenzione.
Il “Simbolo degli Apostoli” aggiunge un particolare interessante: “discese agli inferi”.
Cosa dobbiamo intendere con questa espressione?
Il Catechismo ci ricorda che la Scrittura chiama inferi, shèol o ade il soggiorno dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi trovano sono privati della visione di Dio. Tutti i morti, sia cattivi che giusti, abitano questo “luogo”, ma ciò – ricorda ancora – non significa che la loro sorte sia identica, come ci insegna Gesù con la parabola di Lazzaro.
Per questo il catechismo afferma: “Gesù non è disceso negli inferi per liberare i dannati né per distruggere l’inferno della dannazione, ma per liberare i giusti che l’avevano preceduto” (CCC 633).
Non dobbiamo intendere la discesa negli “inferi” con l’accezione che ne abbiamo oggi; essa è frutto della tradizione filosofico – teologica detta: “Scolastica”, che lo strutturava in Limbo; purgatorio; inferno dei bambini non battezzati; inferno.
Né possiamo immaginare la sua discesa negli inferi secondo i nostri schemi che si basano inevitabilmente sulle categorie di spazio e tempo.
Nell’aldilà non vi è spazio fisico, né tempo cronologico, ma il “discendere” di Gesù in questo “luogo” va pensato come missione smisuratamente grande e di un reale, effettivo valore, perché l’opera redentrice raggiunge tutti gli uomini di tutti i tempi.
Potremmo pensare che con la morte Gesù abbia portato a compimento il disegno salvifico di Dio. Sbaglieremmo! La fase ultima dell’opera della salvezza è proprio quella di recarsi negli inferi per portare la Buona Novella anche ai prigionieri della morte.
Vi entra dopo aver subito la morte, una morte violenta che gli ha strappato la vita. La sua discesa dalla gloria del Padre lo porta fino all’abisso, punto estremo della distanza dell’uomo da Dio; egli si è spogliato persino della vita per poter assumere quella condizione umana che è la morte, ma il Padre lo ha risuscitato ed egli si avvia, potente e glorioso, fino all’abisso più profondo dove giace l’uomo, schiavo della morte, succube di questo destino e di questo potere, per liberarlo.
L’iconografia bizantina ha saputo rendere questa scena in modo straordinario; il Cristo glorioso, vincitore della morte, scardina le porte degli inferi che giacciono sotto i suoi piedi e, prendendo Adamo ed Eva per i polsi, li strappa dal sepolcro e dalla morte. Essi sono i capostipiti dell’umanità, la rappresentano.
PARTE BIBLICA
“Il sabato santo” è l’indicazione temporale di un evento che rimane di per sé avvolto nel mistero. È l’evento della discesa nel regno dei morti.
Il “segno di Giona” indica da parte di Gesù la consapevolezza della missione agli inferi:
<<Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra>> (Mt 12,39-49).
Non si tratta di semplice solidarietà con i morti; non si tratta solamente di vivere fino in fondo la dimensione umana fino alla morte, così da poter essere accomunato a tutti gli uomini.
La morte di Gesù per poter essere “efficace” deve in un certo senso essere diversa da tutte le altre; in altre parole: per poter essere inclusiva di tutta l’umanità, deve essere esclusiva, unica nella sua forza di espiazione. Andando al di là della comune esperienza della morte, Gesù ne ha misurato tutto lo spessore e ha raggiunto il fondo dell’abisso.
Nell’esperienza della morte, Egli assume tutto il senso della morte, soffrendo ciò che essa infligge al peccatore. In questo senso Gesù fa esperienza della “morte seconda” di cui parla la Scrittura, quell’esperienza di dannazione eterna subita da coloro che rifiutano Dio ostinatamente e dei quali Dio dice: “Via da me maledetti, nel fuoco eterno”.
La Morte allora avvolge con i suoi tormenti coloro che non hanno più nessuna speranza (anzi disperazione assoluta), perché nella totale assenza e privazione di Dio. Gesù arriva fino in fondo all’abisso perché assume su di sé il tormento di questa umanità portandovi la sua luce e spogliandosi di essa a beneficio dei morti, per donare loro la vita, rinunciando alla sua per amore.
Della sofferenza di Gesù in questo abisso possiamo dire che è la sofferenza più grande, infinitamente più grande di quella della croce; è la sofferenza di cui non possiamo immaginare una sofferenza più grande.
È la sofferenza di coloro che, a causa del peccato, sperimentano l’essersi irrimediabilmente smarriti e di aver perduto Dio; Gesù non solo assume su di sé il dolore di tutti costoro, prima di Lui e dopo di Lui, ma sperimenta in sé stesso cosa significa l’ “essere peccato”:
“Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno” (Galati 3,13).
“Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2Corinzi 5,21).
Di tutto questo Gesù ne era ben consapevole. Egli sapeva bene a cosa sarebbe andato incontro e la percezione dell’abisso di dolore che lo attendeva era presente in Lui quando si paragonava al “servo di Jawhè” descritto nel profeta Isaia: “Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima”. (Is 53,3).
Gesù sa – e lo dice molte volte – che il Figlio dell’Uomo dovrà soffrire, essere ucciso e poi risorgere. Vi è una consapevolezza totale anche su ciò che lo attende dopo la morte; egli sa quale valore debba avere la sua morte e nell’orto degli olivi tocca con mano questa sofferenza morale, quella interiore dello “spirito umano”.
“E disse loro: «L’anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate». (Mc 14,34)
Inoltre questa consapevolezza è usata da satana come tentazione per farlo desistere dalla volontà del Padre.
Alla presa di coscienza totale di ciò che lo attende, si aggiunge – come aggravante – la lotta contro la tentazione di Satana. È davvero un agonia nel senso profondo del termine: un agone, una battaglia.. tutto si svolge nel suo cuore, nella sua mente, ma tutto questo è soltanto la premessa, l’anticipazione di ciò che dovrà accadere: un assaggio: ecco allora la sudorazione di sangue.. indizio esterno dell’estrema tensione vissuta nella psiche, nel cuore e nella carne. E tutto questo è solo la premessa: l’impatto distruttivo con la Morte, con il Signore della morte deve ancora arrivare: sulla croce e nel suo regno: gli inferi.
Un grido squarcia il silenzio del Golgota; Gesù, il crocifisso muore. Il Vangelo di Marco riporta così quel tragico momento:
<<Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?>> (Mc 15,34).
<< Gesù, dando un forte grido, spirò>> (Mc 15,37).
È una testimonianza scarna, cruda, priva di qualsiasi sentimentalismo. Da questo momento Gesù inizia quella parte della sua missione che lo porta negli “inferi”.
La discesa agli inferi
Vi sono dunque due aspetti della missione di Gesù agli inferi e, anche se complementari e inseparabili tra di loro – sono due aspetti di un’unica azione – tuttavia dovremo considerarli separatamente.
Il primo è relativo l’assunzione del peccato totale che ha come conseguenza la sofferenza più atroce, diventando così “vittima di espiazione” per tutti gli uomini.
Il secondo è la vittoria su satana. Per questo suo umiliarsi, svuotarsi (kenosi) per amore vince il potere di Satana. La forza di Gesù che distrugge il potere di satana non è “violenta”, ma è quella dell’obbedienza, del servizio, dell’amore, del dono totale di sé. La forza di Dio è l’amore!
Vediamo con un po’ più di attenzione questi due aspetti.
Gesù “scende” fino nel più profondo degli inferi. Vi scende come il Servo sofferente di Isaia; l’uomo dei dolori non ha smesso di soffrire con la morte di croce, ma ha solo concluso una parte per lasciare spazio ad un’altra, per certi aspetti ancora peggiore. Qui infatti la sofferenza è immane, eterna.. ed è qui che si devono spezzare le catene della Morte che imprigiona l’umanità. La forza di Gesù sta nell’amore, nel donare la sua vita; un amore unico che lo ha portato a donare la sua stessa vita. Ora così spogliato di sé, obbediente fino alla morte e oltre la morte prende su di sé tutto il male del mondo, il rifiuto, la ribellione, il peccato.
Benedetto XVI nel suo libro “Gesù di Nazaret”, ha un passaggio affascinante quando riprende la teologia proposta dalla lettera agli Ebrei, circa la funzione espiatoria di Gesù.
Infatti nel testo sacro, il corpo di Gesù è paragonato al “hilasteryon” ossia “propiziatorio” che era il coperchio dell’Arca dell’Alleanza, sul quale, una volta all’anno il sommo sacerdote compiva il rito di purificazione dal peccato nel giorno dell’espiazione (Yom Kippur). Su di esso veniva asperso il sangue della vittima sacrificale per propiziarsi Dio e per purificare il popolo dai peccati. Ora – dice la lettera agli Ebrei – abbiamo un nuovo propiziatorio: Gesù. Il suo sangue è offerto per la purificazione dal peccato nel senso che egli lo ha preso su di sé, lo ha assunto. Dio Padre ha donato il suo Figlio che è ciò che di più puro possiamo immaginare perché venendo di mezzo agli uomini e ora scendendo agli inferi, purificasse, espiasse il peccato.
Il dono di Dio fattoci in Gesù è qualcosa di infinitamente puro e per così dire, “purificante” il mondo dal male: basta accostarsi a Lui con fede. In questo senso abbiamo qualcuno che è in grado di vincere il Male.
Scendendo agli inferi vi entra con la purezza assoluta del suo corpo e del suo sangue offerti come sacrificio di espiazione e purificazione. Questo sacrificio vivo e santo, puro e purificante lava l’umanità passata, presente e futura. È il sangue che ci purifica da ogni peccato: <<Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato>> (1Gv 1,7).
Scrive Von Balthasar: L’esplorazione dell’inferno è un evento trinitario. Se il Padre è il creatore dell’umana libertà, allora come ha mandato il Figlio nel mondo per salvarlo e non per giudicarlo, allora deve introdurlo anche nell’inferno (come suprema conseguenza della libertà umana). Questo è necessario se i morti devono ascoltare la voce del Figlio di Dio e, ascoltandola, vivere: “In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno” Gv 5,25).
Questa discesa è l’inabissarsi nel caos, in quanto di più imperfetto, di deforme possa esserci nella creazione. E siccome lo fa su missione del Padre, veramente assistiamo a una “nuova creazione”; infatti come il Logos di Dio fu mandato nel caos primordiale per creare tutte le cose, per farle passare cioè dal caos all’ordine, così Gesù negli inferi ridona ordine alla libertà dell’uomo dandogli la possibilità della salvezza.
(H.U.von Balthasar: Teologia dei tre giorni; Ed Queriniana 1990; pag. 156 -159).
Gesù porta negli inferi la misericordia di Dio.
Il secondo aspetto è quello relativo la vittoria su Satana; entrando nel suo regno ne spezza le catene, abbatte le porte della prigione, “vince il forte”, gli strappa l’armatura e libera i prigionieri.
Gesù è sempre stato consapevole di dover combattere Satana e il suo potere; lo ha fatto fin dall’inizio della sua missione, nel deserto. Nell’attività esorcistica che svolge durante la missione pubblica dice chiaramente di essere più forte di Satana e che il suo regno sta per finire. Emblematico il racconto di Luca:
<<Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio. Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via l’armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino>> (Lc 11, 20-22).
L’uomo forte e ben armato è il diavolo, ed egli fa la guardia al suo palazzo, ma Gesù è il “più forte” che penetra nella sua casa per strappargli il potere. Ed è quanto avviene negli inferi. Con i Padri della Chiesa siamo legittimati a leggere in questo senso il fatto della “discesa agli inferi”, dove Gesù vince Satana e libera i prigionieri.
Ora “risale” dagli inferi vittorioso, portando con sé gli uomini: “Per questo sta scritto: Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini” (Ef 4,8).
Gli antichi legami sono stati infranti dall’amore e Gesù, richiamato dal Padre, risorge a Vita senza fine.
PARTE FRANCESCANA
Guardate – frati – l’umiltà di Dio
È quasi gioco forza pensare a Francesco come a colui che “discende”, intendendo quel processo di umiltà che lo porterà a sentirsi fratello di tutti, persino della creazione. Mentre contempla il discendere di Dio nel grembo di Maria, Francesco rimane stupito per la sua umiltà; dice infatti: “Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio!”. Egli la vede perpetuarsi ogni giorno nell’Eucarestia, esattamente come la prima volta, quando si fece carne nel grembo della Vergine. Se quella discesa umile nella carne fu grande, allo stesso modo ogni giorno compie questa “discesa” umile nel pane consacrato attraverso le mani del sacerdote:
« Ecco – scrive – ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno discende dal seno del Padre sopra l’altare » (FF n. 144); e parlando dell’eucaristia esclama: « Guardate, frati, l’umiltà di Dio! » (FF n. 221).
Guardando Gesù comprende ciò che è chiamato a vivere: scendere per incontrare i fratelli, quelli che stanno “in fondo” alla scala sociale, i poveri, gli ultimi, i lebbrosi.
Non si tratta tanto di una scelta di tipo umanitario o sociale, quanto piuttosto di una scelta teologica, di fede che avrà come risvolto la dimensione umana perché è il desiderio di imitare Cristo e di incontrarlo nell’altro che lo porta a cercare gli ultimi e ad essere “come” loro.
È facile recarsi dagli ultimi ed elargire denaro, aiuti e solidarietà.. più difficile è “diventare-come ” gli ultimi; questo è ciò che ha fatto Gesù e questo è ciò che fa anche Francesco. È questa la “rivoluzione” francescana nella società e nella Chiesa del duecento; ogni posizione di comando, tutto ciò che ha sapere di superiorità, intellettuale, umana, sociale viene da Francesco rifiutata come anti evangelica e quindi diabolica. La soluzione ai conflitti, sia interiori che sociali e anche di religione, sta nell’umiltà di “discendere” al piano dell’altro, come quando si reca in Terra Santa con la crociata. Arrivato a Damietta andrà come fratello dal sultano, per parlare di Dio, con rispetto e amore e ricevendone in cambio stima e amicizia.
LA VITA
Ora proviamo a guardare la nostra vita.. cosa facciamo in questo senso? Cosa potremmo fare che ancora non facciamo?
Ciò che spinge Gesù a discendere fino in fondo alla storia dell’umanità è l’amore per l’uomo e il desiderio di salvarlo.
Ciò che spinge Francesco a discendere è l’amore per Gesù che lo porta a scoprire l’amore per il prossimo in modo nuovo e concreto.
Ciò che spinge entrambi è il desiderio di fare la volontà di Dio.
In primo luogo dunque, ciò che potremmo fare è chiedere al Padre di portarci a compiere la sua volontà. Per poterlo fare credo sia importante riconoscere l’urgente bisogno di permettere a Gesù di “scendere” nella parte più profonda del nostro cuore, della nostra vita, là dove il caos ha bisogno di trovare ordine; là dove lo smarrimento e la sfiducia hanno bisogno di una luce e di una forza liberante.
Gesù deve poter arrivare a quella parte di noi che è peccato, lontananza da Dio e buio; deve poter attraversare quello spazio di miseria. Occorre fare grande verità dentro di noi e solo Lui può aiutarci. Solo così potremo fare esperienza di risurrezione. Con lui dobbiamo scendere anche noi, sapendo che sarà doloroso e faticoso; pensate a tutti quei ragazzi che nelle comunità di Madre Elvira escono dalla droga.. pensate a quale lotta per poter arrivare in fondo alla loro drammatica esistenza, ma lo fanno con Gesù e Gesù con loro cammina e ridona una vita nuova, una vita da risorti.
Questo è il Pastore Bello che cammina con noi nella valle oscura per poter giungere poi alla sala del banchetto.
In secondo luogo occorre crescere nella capacità di farsi prossimo (come nella parabola del buon samaritano) a coloro che sono gli ultimi e magari all’interno della cerchia dei familiari o conoscenti. Quante volte facciamo finta di niente e tiriamo dritto di fronte alle disgrazie o ai problemi altrui. Come il Signore ha fatto con noi così anche noi..
Per la settimana
Risorgere con Cristo. Questo l’obiettivo! Leggerò i vangeli là dove narrano della risurrezione; saranno la mia lettura spirituale e la mia preghiera. Sarà il mio incontro con Gesù Risorto.
Preghiera
Signore, sei sceso nell’abisso del mio cuore dove non c’è vita;
sei sceso là dove tu solo puoi;
sei sceso nella sofferenza dell’amore;
ora vorrei chiederti.
Prendi la mia povertà, il mio peccato, la mia vergogna;
solo con te Gesù potrò avere la Vita.
Solo con te potrò essere amore.
impegno
soccorrere gli ultimi: in famiglia; al lavoro; essere la presenza di Gesù; essere misericordia e amore
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