II CORINTI 1° – INTRODUZIONE
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II CORINTI 1° – INTRODUZIONE
Paolo evangelizza a Corinto negli anni 50/52. Ci tiene ad impiantarvi la fede perché è una città portuale, molto popolata e a contatto con tanta gente di passaggio. Si ripromette di raccogliere frutti a vantaggio di tutta la regione dell’Acaia (Grecia).
Vi nasce una buona comunità. Per il contatto con la cultura greca, nascono dubbi di fede e difficoltà che Paolo cerca di risolvere con le sue lettere.
- Non possediamo la prima lettera
- Abbiamo la seconda (attuale nostra I^) scritta con “entusiasmo umano”
- Non abbiamo la III^, scritta “tra molte lacrime” (II Cor 2, 3), e che produsse effetti salutari.
- La IV^ (attuale nostra II^) è scritta in relazione alla III^, ai fatti precedenti e agli effetti da essa prodotti. È scritta dopo venti anni di ministero, nel momento delle prove più dure che possiamo così riepilogare:
a) Si sente respinto dalla maggioranza dei fratelli Ebrei. Si era illuso che, nonostante le inevitabili difficoltà, avrebbero capito. Perché Dio permette che la Parola non è accolta proprio da coloro che sarebbero dovuti essere i primi?
b) Vede i contrasti interni delle comunità. Aveva sognato comunità unite, concordi, fraterne, piene d’entusiasmo. Invece, vede molte divisioni, non solo fra loro, ma anche nei propri confronti con malintesi e forme di diffidenza. La lettera è scritta proprio per chiarire i malintesi.
c) Esperimenta prove personali, interiori. Le accenna, ma non in modo chiaro. Pare che provengano dal suo temperamento emotivo: alti e bassi, vigore e stanchezza.
Sono anche le nostre prove. La lettera ci aiuta a superarle. Vediamo come le ha superate Paolo
a) Crede profondamente. Ha fiducia nella propria vocazione e missione, nel proprio carisma (= “non temete”). È quanto dirà “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rm 8, 35).
b) Ha fiducia nonostante le circostanze. Sono modeste, oscure e penosissime. Poche persone e piccole comunità. Meschinità delle persone e tradimento degli amici. È circondato da sotterfugi.
c) Vive tutto con amore. Un amore irriducibile e invincibile per la sua comunità. A chi è ostile risponde con amore tenerissimo e costruttivo. Alla comunità che ha cercato di infangarlo ed emarginarlo si presente come padre amorevole per nulla sdegnato.
Nella lettera cogliamo la profonda sofferenza di Paolo, ma non una sola frase che possa dire chiusura.
Lettura meditata 1, 1-11
• “Alla Chiesa che è a Corinto” (= alla grande parrocchia cittadina)
•“Ai santi dell’intera Acaia” (= alle vicarie e a tutta la diocesi)
• “Ci consola in ogni tribolazione” (= sofferenze e gioie non sono realtà distinte tra le quali bisogna creare equilibrio). Sono inseparabili. Se le gioie non hanno per radice la sofferenza, sono effimere. La sofferenza diventa consolazione quando è portata su un piano soprannaturale.
- Non sono più le sofferenze di Paolo, vissute come destino personale senza scopo, ma sono le sofferenze di Cristo in lui.
- Sono nell’ambito del ministero che il Signore gli ha affidato, da viversi nel mistero di “morte/risurrezione” e nella fede del “se il chicco di grano…”, diventano mezzi di redenzione.
- Sul piano soprannaturale, se non si soffre con gioia, si può, però, nella consolazione. Se non siamo nella gioia siamo, però, nella pace.
Come riuscire ad avere consolazione
- Non basta entrare nelle prove fisicamente e neppure psicologicamente, mettendole a lato, emarginandole, rassegnandosi.
- Bisogna entrarci esistenzialmente. Guardarle in faccia, soprattutto in preghiera. Interiorizzarle, farle proprie, accettarle come “concime” necessario. Solo così scompare il malumore, la tristezza, l’irritazione.
- Molto importante è porre l’accento “sulle sofferenze di Cristo in noi”. Non si tratta di debolezze, insuccessi e sconfitte personali. È Cristo che soffre in noi e attraverso noi realizza la Redenzione. Dirà altrove Paolo: “Completo quello che manca ai suoi patimenti”, e questo dà, alla situazione, un altro aspetto.
• “è per la vostra consolazione” (v. 6). Le sofferenze e consolazioni hanno una dimensione apostolica. Non sono un fallimento, ma un ingrediente del ministero. Diventano un dono.
• “la nostra speranza è ben salda” (v. 7). Ci vuole una forte visione di fede per leggere e vedere come le fatiche e le incapacità della comunità (= blocchi, divisioni, pregiudizi), sono una sofferenza che scioglie. Bisogna imparare a fare (come persone, comunità o gruppo) questo tipo di lettura.
• “ci ha colpiti oltre misura… per imparare a non riporre la fiducia in noi stessi” (vv. 8-9). Esprimono una prova mortale che Paolo supera credendo nel carisma. Anche a noi viene da dire “ma, peggio di così?”. Se “Dio risuscita dai morti”, non può togliere noi da una situazione apparentemente senza uscita?
• “grazie alla vostra cooperazione nella preghiera” (vv. 10-11). C’è l’intervento in preghiera della comunità unita. È una preghiera potente.

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