IL CREATO NELLA VITA SPIRITUALE DEL CRISTIANO
IL CREATO NELLA VITA SPIRITUALE DEL CRISTIANO
(SONO 9 CAPITOLETTI)
1. Introduzione: due difficoltà
Nel trattare questo tema, incontro almeno due difficoltà.
1.1. La prima è quella di rischiare di dire ciò che è già emerso nel primo incontro, il cui titolo era “Il valore del creato secondo la Parola di Dio”.
Il rischio è forte perché le linee guida del modo in cui il cristiano si mette in relazione con il creato sono proprio date dalla Scrittura. Non potrebbe essere altrimenti!
Quindi, necessariamente, il problema deve essere affrontato a partire e ritornando sulla Parola di Dio. Il posto che il creato ha nella vita spirituale del cristiano può essere scoperto solo a partire dall’incontro del credente con la Parola di Dio. Essa è il luogo teologico principale che può gettare la luce per indicare strade di una possibile risposta alla nostra domanda.
Quale Parola di Dio? Il cristiano è colui il quale crede a Cristo. Perciò è proprio al NT che dobbiamo guardare come luogo “specificatamente” cristiano. E’ qui, nel NT, che emerge il tratto caratteristico della concezione cristiana della vita e quindi anche del creato. L’AT ha valore in quanto può essere illuminato dal NT, che ne è il compimento.
In connessione alla Parola di Dio, ci sono altri “luoghi” che possono informarci e dirci qualcosa sul rapporto del cristiano con il creato. Uno di questi è la tradizione della Chiesa, nella sua molteplice ricchezza, fatta di riflessione teologica, di spiritualità e dell’insegnamento autorevole del magistero.
Potrebbero istruirci su questo punto, anche l’arte, la produzione letteraria, la devozione popolare… ma il discorso ci porterebbe molto lontano.
1.2. La seconda difficoltà è che una seppur semplice presentazione di quello che il cristianesimo ha prodotto ed ha vissuto a riguardo del nostro tema si presenta come cimento difficilissimo. Si corre il rischio di dire cose “ovvie”, oppure cose che possono essere errate.
Il sottoscritto confessa di non aver una preparazione specifica sull’argomento.
Quello che dirò è una mia personale valutazione, che ho fatto a partire da alcuni suggerimenti di don Giampiero Zago e di un testo di G. Panteghini, “Il gemito della creazione”, EMP, Padova 1990. Utile ci è parso anche il testo di B. Häring, Liberi e fedeli in Cristo, EP, Roma, 1981, vol. III, pp. 213-263.
2. Il dato più rilevante
Dando una rapida scorsa alla storia della teologia e alla storia della spiritualità cristiana, sembra emergere un dato. Il ruolo del creato nella vita spirituale del cristiano, precedentemente alla nostra epoca (gli ultimi 40 anni, per intenderci), non sembra essere stato preso in considerazione “esplicitamente”.
Dall’epoca dei Padri della Chiesa, fino al Medioevo e poi nell’età moderna, composizioni “esplicite” di carattere teologico e spirituale sul significato del creato per il cristiano non sembra che ve ne siano. Se ne è parlato, ma in forma “indiretta”. Anche i pronunciamenti del Magistero non sembrano essersi occupati di questo rapporto.
Mi sembra importante richiamare la sottolineatura su “esplicitamente”. Se leggiamo una qualsiasi opera di un Padre della Chiesa o un Commentario medioevale, sicuramente vi troviamo riferimenti al creato ed al rapporto tra il credente ed il creato.
Ma non si trovano trattazioni esplicite – salvo meliore iudicio – su questo argomento, come invece si trovano trattazioni esplicite sui sacramenti, sulla preghiera, sulla vita monastica…
Un lavoro che resta da fare (a meno che non sia già fatto ed io non ne sia a conoscenza) è ripercorrere la tradizione cristiana e leggere nella produzione letteraria “il non esplicito”. Sicuramente emergerebbe una concezione cristiana del rapporto uomo-creato nelle varie epoche. Forse potremmo anche fare delle sorprendenti scoperte!
Possiamo dire che il problema “ecologico” nelle epoche che ci hanno preceduto non c’era. C’erano altri problemi, altre tematiche. Ma non quello del rapporto uomo-creato, segnato dalle ansie e dalle preoccupazioni, che contraddistinguono momento attuale. Fino a cinquant’anni fa, una serie di incontri come questa non avrebbe avuto alcun significato. Disastri ecologici – come la diga del Vajont o Porto Marghera – non erano neppure pensabili nelle epoche che ci hanno preceduto.
Va detto che da sempre l’uomo interagisce in forma più o meno distruttiva nei confronti della natura. Non c’è mai stata un’età d’oro nei rapporti tra uomo e natura. Un esempio: la distruzione dei boschi del Cansiglio da parte della Serenissima Repubblica e la deviazione dei fiumi che sfociavano sulla Laguna (Brenta, Piave). Ma dobbiamo riconoscere che erano interventi limitati e frutto di un’azione pluriennale. Ora possiamo deviare un fiume o distruggere un bosco in tempi molto più brevi: imparagonabilmente più brevi!
Nel passato, il rapporto uomo-creato non era sentito come “problema”, perché l’uomo non aveva la possibilità di distruggere la natura come l’abbiamo noi ora.
Il rapporto uomo-creato lo sentiamo come problema perché ci rendiamo conto di essere andati un po’ in là.
Comprendiamo di non saper più gestire le enormi possibilità tecniche che sono a nostra disposizione.
“Ora” il rapporto si fa problema: se sono un cristiano, come mi devo mettere in relazione con la natura? Che senso ha per me il creato? Un tempo, non era così.
3. Ragioni teologiche e filosofiche
Abbiamo detto che dai testi e dalla riflessione del passato, il creato sembra non essere preso in considerazione in modo esplicito nella trattazione teologica, spirituale e magisteriale. Non se ne parla molto, insomma. Al di là degli eventi contingenti (assenza di gravi disastri ecologici), possiamo chiederci come mai?
Potremmo forse individuare alcune motivazioni di carattere teologico e filosofico che possono aver contribuito a questo silenzio.
3.1. Pende sulla teologia latina una certa impostazione, di matrice agostiniana, secondo la quale la storia della salvezza è vista principalmente come un problema tra l’uomo e Dio. Il dramma della storia della salvezza è legato con doppio filo al peccato dell’uomo. Dio con la redenzione operata dal suo figlio riapre la strada all’uomo della riconciliazione.
Con una parola difficile è una storia “amartiocentrica”: si mette al centro il peccato dell’uomo e la sua redenzione, senza coinvolgere il creato.
Il creato funge piuttosto da palcoscenico, mentre gli attori del dramma sono l’uomo e Dio. Il palcoscenico, dopo che il dramma è stato consumato, si smonta. Non ha un ruolo significativo, bensì accessorio.
3.2. Ha influito su questa polarizzazione Dio-uomo (con la conseguente marginalizzazione del creato) la questione “ariana”. Nel V secolo per “staccare” Gesù dal creato e sottolineare la sua trascendenza si è marginalizzata – o comunque non si è presa in cospicua considerazione – la tematica del creato, che avrebbe potuto far riassorbire Cristo sul versante delle creature.
Ario diceva infatti che Gesù non era Dio, bensì una sorta di intermediario tra Dio e il mondo: una “supercreatura”, ma separata da Dio e collocata più decisamente sul versante del creato. Contro questa riduzione del mistero di Cristo la Chiesa ha reagito sottolineando la trascendenza di Cristo rispetto al creato e quindi “sottacendo” la relazione tra Cristo e il mondo. Relazione che è affermata (come vedremo) dai testi biblici.
3.3. Un altro aspetto che contraddistingue la tradizione cristiana dei primi secoli è il dialogo e lo scambio con il pensiero greco, che guardava con sospetto alla materia. Per la filosofia greca (almeno quella di derivazione platonica, che di più ha trovato accoglienza nel pensiero cristiano delle origini) divina è l’anima: essa è chiamata alla vita e all’immortalità. Il corpo e la materia sono imperfezione: il corpo, in particolare, è concepito come tomba dell’anima (Platone).
3.4. Col passare dei secoli si sviluppa in epoca medievale la mentalità “simbolica”. Secondo questa mentalità, la natura è concepita come ciò che significa, indica e rimanda ad un’altra realtà.
La natura non è colta in quanto realtà ricca di senso in sé, ma in quanto realtà che mette in relazione con Dio: allude, evoca, simboleggia, dà indizi che ci fanno salire a Dio. La natura è vista come segno dell’opera di Dio: non ci si sofferma su di essa in quanto natura, ma in essa in quanto simbolo, che rimanda a qualcosa di ulteriore.
3.5. Una certa modalità di intendere la vita spirituale come distacco dal mondo della natura per entrare nella soprannatura. In certi mistici, in una spiritualità anche recente, si è guardato con sospetto al corpo e alla natura, intesi come luogo di tentazione e di peccato. Il vero credente era chiamato a “disprezzare il mondo” (a patto di capire bene che cosa si intenda per mondo, perché anche Gesù parla di un mondo dal quale prendere le distanze).
Questi aspetti, tra loro disomogenei, non esauriscono duemila anni di Cristianesimo, tuttavia dicono una direzione che è stata intrapresa. Senza dubbio non è l’unica, ma certamente una che è stata vissuta in modalità diverse dai cristiani dell’occidente.
4. Segni di recupero
Qui tracceremo in modo molto sommario alcuni segni di un recupero del tema. Crediamo che resti da dire e da riscoprire molto di più di quello che noi diciamo ora. La tradizione deve essere senza dubbio molto più ricca.
4.1. La riscoperta del pensiero aristotelico (XIII secolo) ha avviato la teologia ad una comprensione più reale (meno simbolica) del creato. In questo senso spicca la figura di san Tommaso.
Il suo contributo potremmo sbrigativamente riassumerlo nel superamento (o ridimensionamento) della visione simbolica, tipica del medioevo.
Egli recupera in concetto di “Dio creatore”. La creazione non è un atto compiuto una volta per tutte, ma Dio in quanto creatore, continua ad esserlo e continua a sostenere la creazione con la sua potenza: creazione continua.
Dio è la “causa prima”, che sorregge tutto il mondo. Su questa base, si collocano le “cause seconde”, che si attuano secondo una propria ed autonoma regolamentazione. La natura, in quanto tale e nella sua realtà, ha una legge (lex naturalis) che è stata posta da Dio e dà alle cose stesse una propria legittima indipendenza.
Questa stessa legge interna alla natura permette all’uomo di risalire a Lui (la cinque vie: gnoseologia) e di comprendere la sua volontà (la legge naturale: morale).
La concezione tomista della realtà permette una rivalutazione sostanziale della creazione in quanto tale, non semplicemente in quanto simbolo.
4.2. Un posto del tutto speciale, ma – dobbiamo confessare – anche del tutto unico è quello di san Francesco (XII sec.). Unico, nel senso che pochi alludono al tema del rapporto tra creato e uomo, come ha fatto lui. Bisogna riconoscerlo. La sua unicità è una prova del fatto che questo tema nella tradizione cristiano è rimasto in parte disatteso.
4.3. Altri segni di un recupero della tematica del rapporto uomo-creato ci sono dati da alcune piste delle teologia contemporanea (XX secolo). La teologia delle realtà terrene (Thills); la teologia del lavoro (Chenu); Theilard de Chardin; la teologia politica (Metz, Moltmann); la teologia della liberazione… Potremmo dire che il problema (ecologia) è posto come noi oggi lo intendiamo solo a partire dal XX seclo.
4.4. Anche il Magistero recente segnala un ravvivato interesse per il tema della salvaguardia del creato e per l’importanza del creato nella vita spirituale del credente.
I documenti più noti: GS, Octagesima Adveniens (1971), Redemptor Hominis nn. 8. 15. 18 (1979), Laborem exercens nn. 4-5 (1981), SRS n. 34 (1987), Centesimus Annus n. 37 (1990).
Due documenti dell’episcopato tedesco: Futuro della creazione e futuro dell’umanità (1981); Assumersi la responsabilità della creazione (1985).
I Documenti comuni delle Chiesa cristiane: in particolare l’Assemblea di tutte le chiese cristiane tenutasi a Basilea (1989) e la Charta ecumenica del 2001.
Ricordiamo infine il Messaggio per la giornata mondiale della pace del 1990 di Giovanni Paolo II.
5. Perché la tradizione cristiana non si è occupata del rapporto uomo-creato?
Senza colpevolizzare nessuno e senza giudicare un tempo passato con la sensibilità di oggi, il problema semplicemente non era sentito o non era sentito come lo sentiamo noi oggi. La situazione era diversa dalla nostra. Noi oggi sentiamo un po’ ogni cosa come “problema”: pregare, credere, avere dei figli, accettare noi stessi, il nostro compito nel mondo… Un tempo il rapporto con la vita stessa era più “spontaneo”, immediato: non c’era il bisogno di tematizzare (verbalizzare) ogni cosa.
Va detto che se prendiamo in esame le opere d’arte della cristianità, forse emerge un rapporto più complesso con la natura, in cui emergono tratti per noi superati e inattuali: la natura matrigna e la natura come forza da dominare (perché sfugge al controllo).
6. Il creato nella vita del cristiano: linee per una risposta “spirituale”
6.1. Lo stupore di fronte alla maestosità (salmo 8)?
Questo è un atteggiamento di tutti. Credenti o meno. Quante volte abbiamo sentito dire dello stupore di fronte alla bellezza del creato?
Il creato ci apre ad una dimensione misteriosa. C’è qualcosa di più grande di noi. E’ qualcosa di buono e bello, che ci sovrasta e dinanzi al quale noi siamo piccola cosa: “che cosa è l’uomo perché te ne curi?”. Il creato è vissuto come suscitazione del mistero: come una esperienza che ci apre al mistero. L’AT, non solo lui, è pieno di testimonianze della grandezza e maestosità del creato.
Ma questo non è ancora proprio del cristiano: non è specifico della fede cristiana. Tuttavia è un passo, un primo passo, che può condurre alla fede. Il cristiano non può accontentarsi di questo generico richiamo alla fede. La creazione è qualcosa di più. Ma che cosa?
6.2. Dove guardare per rispondere alla nostra domanda?
Lo specifico cristiano traspare dal NT. Per rispondere alla nostra domanda è necessaria una analisi dell’atteggiamento di Gesù e degli apostoli nei vangeli e negli scritti del NT.
Gesù ed i discepoli non dicono “esplicitamente” come debba comportarsi il cristiano nei confronti del creato. Tuttavia, indirettamente, ci possono aiutare.
Da un lato, si deve riconoscere una sostanziale continuità tra NT ed AT (il creato fonte di mistero, opera di Dio, opera buona di Dio, dato all’uomo perché egli lo custodisca…). In questo senso il creato viene “desacralizzato”: non è una realtà sacra in quanto tale, bensì è luogo dell’agire umano, affidato all’uomo da Dio, l’unica realtà “sacra”.
Dall’altro, il NT suggerisce l’idea di una solidarietà tra uomo e creato molto più forte dell’AT. Il creato infatti non è una realtà che si “sgonfia” alla fine del mondo, ma è chiamata a partecipare alla redenzione di Cristo.
Gesù non è un vegetariano: mangia carne e pesci… I suoi discepoli non si fermano nemmeno alle pratiche igieniche e cultuali degli ebrei, suscitando scandalo. Ciò lascia emergere una sostanziale libertà del cristiano nell’uso dei beni della terra, che però non significa prevaricazione, abuso o disprezzo.
Ma proviamo a mettere in luce alcuni dettagli.
7. Il NT ed il creato
7. 1. Incarnazione
Dio assume la natura umana ed entra nello spazio e nel tempo del creato. Il creato è capace di accogliere Dio. La materia, il creato, la carne sono una realtà diversa da Dio, ma non in opposizione a Lui (contro il manicheismo, il docetismo, l’eresia albigese e càtara). Dio può assumere una natura umana e perciò essa è buona. Non semplicemente perché Dio lo dice (“vide che era cosa buona”), ma perché egli stesso si fa carne.
Questa è una novità tipicamente cristiana. La sapienza dell’AT arriva a dire della bontà del creato, perché Dio ne è il creatore (Gn 1-3).
Ma che Dio si incarni in questa realtà buona, è solo il NT a dirlo. Solo il NT afferma che la natura è una realtà così buona, che persino Dio si “degna” di assumere.
Questa affermazione, nuova rispetto all’AT, è sconvolgente anche per il pensiero greco, che vedeva nella materia l’imperfezione e la mutevolezza: il divenire. Un Dio che si fa uomo?!?
L’incarnazione porta ad una decisiva rivalutazione della “carne” come strumento del Verbo. Nell’umanità del Verbo, vertice della creazione, la materia diviene segno e veicolo della stessa autocomunicazione divina (Rahner). Attraverso la natura umana, Dio comunica la sua realtà all’uomo. Ma anche compie la redenzione dell’umanità.
Gv 1, 14
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Fil 2, 1-11
5 Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
6 il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
7 ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
8 umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
9 Per questo Dio l’ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
10 perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra;
11 e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
7.2. Creazione e Redenzione
Il creato è opera di Dio in Gesù Cristo. Precisamente: tutto il creato è stato posto in essere da Dio guardando al Cristo. E’ Cristo il modello a cui Dio ha guardato nella creazione del mondo. Potremmo dire che c’è una struttura “cristica” che connota tutta la creazione: non solo l’uomo, ma tutta la realtà porta in sé l’orma di Cristo.
Quale Cristo? Non semplicemente la seconda persona della Trinità, il Figlio di Dio, ma il Figlio di Dio fatto uomo: Gesù Cristo incarnato e redentore. Dio Padre ha creato l’universo per mezzo dello Spirito guardando al Figlio suo, Gesù Cristo, nella prospettiva dell’incarnazione.
Gesù Cristo è:
- la causa “strumentale” della creazione: “per mezzo di lui”;
- la causa “finale” della creazione: “in vista di lui”;
- egli continua a “sostenere” la creazione con la sua potenza: “sussistere in lui” (creazione continua);
- la causa “strumentale” della redenzione: “per mezzo di lui” sono state rappacificate le cose visibili e invisibili. Non solo l’uomo, ma tutta la creazione partecipa alla redenzione operata da Cristo.
In Cristo Gesù si saldano creazione e redenzione. Non c’è stata una creazione dall’inizio, secondo un certo progetto, e poi, siccome il piano di Dio ha fallito, Dio ha cambiato programma (redenzione).
Ma dall’inizio Dio Padre ha pensato alla creazione guardando al Figlio incarnato. La creazione è stata fatta pensando all’incarnazione del Figlio. Per questo essa poteva “strutturalmente” accogliere la natura di Dio. Essa era stata fatta appositamente capace di ospitare il divino. La redenzione non è un “cambio” del programma, ma la continuazione dell’unico piano di Dio in una realtà che l’uomo ha sconvolto con il peccato originale.
L’AT parla di creazione del mondo da parte di Dio, ma non di una creazione in Cristo. Si parla della “sapienza”: una potenza di Dio, per mezzo della quale egli ha creato il mondo. Per noi quella “sapienza” è il Figlio di Dio. Per gli ebrei è una delle “forze” di Dio e la creazione non è stata fatta in previsione dell’incarnazione di Dio.
1 Cor 8, 5-6
E in realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e molti signori, per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui.
Giov 1:1-3
1 In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
2 Egli era in principio presso Dio:
3 tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
Colossesi 1, 15-20
15 Egli è immagine del Dio invisibile,
generato prima di ogni creatura;
16 poiché per mezzo di lui
sono state create tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potestà.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
17 Egli è prima di tutte le cose
e tutte sussistono in lui.
18 Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa;
il principio, il primogenito di coloro
che risuscitano dai morti,
per ottenere il primato su tutte le cose.
19 Perché piacque a Dio
di fare abitare in lui ogni pienezza
20 e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose,
rappacificando con il sangue della sua croce,
cioè per mezzo di lui,
le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.
Eb 1, 1-4
Eb 1:1 Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, 2 in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo.
3 Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati si è assiso alla destra della maestà nell’alto dei cieli, 4 ed è diventato tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
Ef 1, 3-12
3 Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù
Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei
cieli, in Cristo.
4 In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo,
per essere santi e immacolati al suo cospetto nella
carità,
5 predestinandoci a essere suoi figli adottivi
per opera di Gesù Cristo,
6 secondo il beneplacito della sua volontà.
E questo a lode e gloria della sua grazia,
che ci ha dato nel suo Figlio diletto;
7 nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue,
la remissione dei peccati
secondo la ricchezza della sua grazia.
8 Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi
con ogni sapienza e intelligenza,
9 poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua
volontà,
secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui
prestabilito
10 per realizzarlo nella pienezza dei tempi:
il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose,
quelle del cielo come quelle della terra.
11 In lui siamo stati fatti anche eredi,
essendo stati predestinati secondo il piano di colui
che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà,
12 perché noi fossimo a lode della sua gloria,
noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo.
- Il creato permette all’uomo di riconoscere Dio. Questo ci è testimoniato da Rm 1, 18-25:
18 In realtà l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, 19 poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. 20 Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; 21 essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. 22 Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 23 e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
24 Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, 25 poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.
- Che il creato stesso sia chiamato a far parte della redenzione dell’uomo viene ribadito anche da Rm 8, 17-22: il gemito della creazione.
18 Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi.
19 La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; 20 essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza 21 di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 22 Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; 23 essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.
- La bontà del creato. Ogni cosa che esiste è buona. Contro ogni concezione che disprezza la terra: cfr. At 11 (Pt che mangia animali “immondi”).
7.3. Il creato nelle parole e nelle opere di Gesù
Gesù nella sua vita terrena usa spesso la terminologia dell’uomo comune per esprimere le verità divine e compie gesti utilizzando oggetti e forme presi dalla realtà in cui vive. Egli si serve delle realtà creaturali con molta semplicità ed immediatezza.
a) le parabole
Gesù si serve di fatti ed eventi del creato per dire il rapporto del credente con Dio. La natura è capace di esprimere qualcosa della vita spirituale del credente. Essa ci può istruire a volte su temi marginali, altre volte su temi centrali. Alcuni esempi:
Il tema della semina:
- la parabola del seminatore: i diversi terreni che è l’uomo (Mt 13, 4 e parr.)
- il regno di Dio e il seme: l’agire nascosto del regno di Dio (Mc 4, 26)
- il seme che porta frutto se muore: la resurrezione di Cristo (Gv 12, 24)
- il grano buono e la gramigna: la pazienza di Dio (Mt 13, 24)
- l’albero che non porta frutto: la pazienza di Dio (Lc 13, 6)
Il tema della vigna:
- I vignaioli omicidi (Mt 21, 28 ss.)
- La vite ed i tralci (Gv 15, 1 ss.)
- Gli operai dell’ultima ora (Mt 20, 1 ss.)
Gli uccelli del cielo e i fiori dei campi (Mt 6, 25-34): la provvidenza di Dio.
25 Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? 27 E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?
28 E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. 29 Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30 Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? 31 Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? 32 Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. 33 Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34 Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena.
Questo è un testo istruttivo, perché dice che la provvidenza di Dio non si preoccupa in modo esclusivo dell’uomo, ma ha a cuore la realtà di tutto il creato.
Il tema della provvidenza di Dio nei confronti di tutte le creature è caro anche alla tradizione biblica dell’AT: cfr. salmi 103, Gb 38 e ss.
Dio ha creato tutta la realtà e non la abbandona a se stessa o all’ingiuria dell’uomo. Continua a prendersene cura. Dio ama il creato che ha posto in essere.
Il NT sottolinea questa verità perché afferma che anche esso è chiamato alla redenzione: anche il creato ha un “futuro” in Dio. Non è un semplice palcoscenico per le vicende dell’uomo.
b) i miracoli
Essi manifestano la Signoria di Gesù su una natura che è ancora segnata dal dolore e dalla carenza, bisognosa anch’essa di essere redenta.
Gesù si manifesta Signore della natura, perché è capace di modificarla. Egli agisce sulla natura con l’obiettivo del “segno”, cioè egli intende mostrare che è Dio.
Agisce a partire dalla natura (dalla realtà che c’è) e dalla fede dei presenti. Il miracolo ha senso lì dove c’è disponibilità a mettere a disposizione quello che si è e a credere in lui.
Il miracolo svela la natura “liberata” grazie all’intervento di Gesù. La natura viene liberata dal giogo della sofferenza e del dolore, che spesso la contraddistingue. Questo (quello di Gesù) allora è il tempo “messianico”: quello che Dio desiderava per l’uomo e quello che sarà alla fine.
Come Gesù stesso afferma in Luca 7, 18-23.
18 Anche Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutti questi avvenimenti. Giovanni chiamò due di essi 19 e li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?». 20 Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?». 21 In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. 22 Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella. 23 E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!».
Alcuni esempi:
- le guarigioni
- la tempesta sedata (Mt 8, 24)
- i morti richiamati alla vita (Gv 11; Mt 9, 20)
- la moltiplicazione dei pani e dei pesci (Mt 14, 15)
c) la resurrezione di Gesù
Essa è la vittoria di Dio su una natura votata alla morte e con la resurrezione si chiarifica il significato stesso della morte. La morte è “passaggio” dallo stato presente a quello definitivo, non più il muto accesso al silenzio delle Scheol.
La resurrezione è una trasformazione che non tocca solo l’anima, ma che coinvolge in modo unitario corpo e anima. Cristo risorto non è un fantasma ma un corpo glorificato, che porta i segni della passione e che si ferma a mangiare con i discepoli (Gv 20-21 ed i racconti postpasquali).
d) l’ascensione di Gesù
Con la sua ascensione una parte del creato si trova già presso Dio. Una parte della natura umana e della creazione si trovano presso Dio. Questo significa glorificazione della corporeità umana: glorificazione della natura e del creato. Nell’incarnazione Dio entra nel mondo, il divino entra nell’umano. Con l’ascensione è l’umano che entra nel divino, nella santa Trinità e svela il destino della corporeità umana e con essa di tutto il creato. Il creato – anch’esso – ha un futuro in Dio (cfr. Lc 24 e At 1).
8. Considerazioni conclusive a partire da san Francesco
San Francesco si presenta come il la figura più istruttiva e più originale della spiritualità cristiana nel rapporto con il creato. Non ci sono – o almeno non mi pare di averle incontrato – altre figure che pongano così in rilievo la bontà della creazione. Dobbiamo dire che quanto Francesco dice è tanto più francescano quanto più è cristiano. Egli non aggiunge nulla alla fede cristiana: “esplicita” una attenzione che è già presente “in nuce” nel NT e nella storia della tradizione.
Il merito comunque è notevole, perché allarga l’angolo di visuale (non solo l’uomo e Dio, ma anche le creature) e infonde un senso di letizia e di riconciliazione all’uomo con la natura.
Mi pare che l’apporto più originale di Francesco è l’attribuzione della qualità della “fraternità” alle cose del creato. “Fratello” non è solo il mio prossimo (uomo o donna), ma – ovviamente cogliendo una diversità di intensità – “fratelli” sono anche le cose e gli animali.
Il suo Cantico è una testimonianza (non l’unica nella sua vita) di questo atteggiamento. La novità sta nel guardare alle cose con uno sguardo “carico di affetto”. Non si tratta di oggetti da prendere e usare a nostro piacimento (utor). Bensì di creature “buone”, che vengono da Dio e che sono poste in essere perché l’uomo ne usufruisca (fruor), rispettandole e custodendole.
La bontà del creato non è vista semplicemente perché io lo usi e lo mangi. Il creato non è “buono” esclusivamente in vista dell’utilizzo dell’uomo. Esse sono “buone” perché sono nostri compagni di viaggio, con una identità ed un significato proprio, che è stato loro donato da Dio.
Compagni di viaggio, dal momento che questo creato – come abbiamo già detto – non è destinato alla distruzione, bensì alla partecipazione al Regno di Dio ed alla gloria della Gerusalemme celeste. La salvezza infatti è cosmica ed universale. Questa terra è destinata a diventare dimora del regno attraverso una trasfigurazione di essa: “cieli nuovi e terra nuova”.
San Francesco ci invita ad un profondo rispetto del creato, perché esso vale in sé. Perché c’è una relazione di amicizia tra cose e uomini. Perché la strumentalizzazione del creato esprime una mentalità manipolatrice, tendenzialmente egoista e senza dubbio in antitesi con quella del Poverello d’Assisi (povertà). Perché l’abuso (ma questo Francesco ancora non lo sapeva) può originare gravi disordini e danneggiare i più poveri.
La terra è di Dio. Siamo chiamati a vivere in essa come inquilini e stranieri. La terra che Dio ha dato all’uomo è da condividere con gli animali e le piante, perché c’è una comunione di co-creature che va riscoperta.
9. Uno spunto critico
- Il limite di questo discorso è la sovradeterminazione del creato rispetto all’uomo. Cioè, molto semplicemente, che l’uomo ami di più la natura dell’uomo. Questo non è cristiano!
L’amore per le creature – questo Francesco ce lo testimonia – è una delle vie che può aiutarci ad amare di più il prossimo e Dio. L’amore per la natura non esclude o mette “in secondo piano” il fratello, a volte molto più scomodo e fastidioso di un simpatico cagnolino.
Infine, amore per la natura non significa fermare qualsiasi intervento sulla natura (fruor). C’è un’opera di umanizzazione della natura che è necessario e legittimo, per renderla degna della dimora dell’uomo. Umanizzare la natura infatti non vuole necessariamente distruggerla. L’intervento dell’uomo può essere benefico per l’uomo e per la natura. La natura, in relazione al peccato dell’uomo, è segnata da una ambiguità. Il cristiano è chiamato a liberare se stesso, ma anche la natura, da questa ambiguità (madre o matrigna). In questo modo egli continua l’opera creatrice di Dio Padre e l’azione redentrice di Cristo.

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