UNA SPERANZA IMPOSSIBILE? – LA VISIONE DELLE OSSA ARIDE: EZECHIELE 36

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UNA SPERANZA IMPOSSIBILE?

LA VISIONE DELLE OSSA ARIDE: EZECHIELE 37

di p. Attilio Franco Fabris

Messaggio centrale

Durante l’esilio di Babilonia il popolo di Israele vive l’esperienza angosciosa della disperazione e del proprio fallimento. E’ un’esperienza di “morte” che conduce ad un “vuoto di speranza”, ad una rassegnazione che allontana dal Dio della Promessa. Il profeta Ezechiele è inviato ad annunciare una “buona notizia” umanamente impossibile: Dio può suscitare vita e futuro dove l’uomo non sperimenta che disperazione e morte.
Nel 597, dopo una ribellione del re di Giuda Ioakim, l’esercito di Babilonia marciò su Gerusalemme e assediò la città. Questa dovette arrendersi. Il re di Giuda venne fatto prigioniero e deportato a Babilonia con parte delle classi dominanti, dell’esercito e degli artigiani. Tra questi deportati c’era pure Ezechiele, che attorno al 593 in esilio venne chiamato alla profezia. Sedecia, l’ultimo re di Giuda (597-586), dopo alcuni anni di tregua tentò nuovamente di conquistare l’indipendenza. Non si voleva assolutamente credere alla fine del regno di Giuda. Geremia ed Ezechiele combatterono questa speranza, ma le loro parole restarono senza un’eco sensibile. Il sogno di una restaurazione politica e di un avvenire di salvezza si infranse improvvisamente quando le truppe babilonesi occuparono il territorio di Giuda e assediarono la città. La città venne affamata e cadde nell’estate del 586. Con la caduta di Gerusalemme erano crollate definitivamente anche le attese di salvezza degli esiliati del 597. Rassegnazione e disperazione dilagarono. Si diffuse una crisi di fede: Dio aveva ripudiato il suo popolo? Valeva ancora la spesa sperare o era meglio rassegnarsi alla fine? È in questo contesto di “di-sperazione” che Ezechiele è raggiunto dalla profezia narrata nel cap. 37.
La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; mi fece passare tutt’intorno accanto ad esse. Vidi che erano in grandissima quantità sulla distesa della valle e tutte inaridite.
La pianura piena di ossa è una metafora, che si riferisce alla situazione storica concreta alla quale il profeta è mandato: è la realtà dell’esilio di Babilonia. La cosa risulta chiara dalla seguente affermazione: «Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti», qui viene detto esplicitamente che cosa sono le ossa dei morti, esse rappresentano la fine irrevocabile di Israele! Prende voce la consapevolezza degli esuli di essere ormai in una situazione senza via di uscita. Si insinua in essi una piatta rassegnazione, un terribile vuoto di speranza segno di morte. Essi continuano a vivere sì fisicamente, ma non vale più per essi il «dum spiro spero», «fin che c’è vita c’è speranza». Una possibilità di speranza appare impossibile. Ma sarà proprio una speranza “impossibile” l’oggetto della profezia di Ezechiele.
Mi disse: «Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?». Io risposi: «Signore Dio, tu lo sai». Egli mi replicò: «Profetizza su queste ossa e annunzia loro: Ossa inaridite, udite la parola del Signore. Dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete: Saprete che io sono il Signore».
Il profeta si vede interrogato da Dio stesso circa la situazione degli esiliati: la loro prospettiva di disperazione e di morte è l’unica? Effettivamente secondo i criteri umani di giudizio la realtà appare già decisa (cfr v.11). Tuttavia Ezechiele non ha il coraggio di esprimere una decisione definitiva. Egli conosce l’impotenza umana, ma sa anche che essa non esaurisce le possibilità sul versante di Dio. Egli saggiamente affida la risposta alla potenza del Signore: «Signore Dio, tu lo sai» (v. 3). E’ una risposta che riconosce sì l’impotenza umana ma nello stesso tempo riconosce l’onnipotenza divina: in essa prendono voce a un tempo la rassegnazione umana e l’apertura a Dio. Ezechiele non decide sul futuro degli esiliati che credono di non avere più futuro ma lo mette nelle mani di Dio.
Alla risposta di Ezechiele risponde ancora Dio stesso – e come potrebbe essere altrimenti? Lo fa mediante la visione che renderà il profeta atto ad annunciare in maniera credibile e sicura una speranza impossibile (vv. 12-14).
Io profetizzai come mi era stato ordinato; mentre io profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l’uno all’altro, ciascuno al suo corrispondente. Guardai ed ecco sopra di esse i nervi, la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c’era spirito in loro.
Egli aggiunse: «Profetizza allo spirito, profetizza figlio dell’uomo e annunzia allo spirito: Dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano».
Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato.
Riscontriamo in questo passo importanti paralleli col racconto della creazione (Gn 2). Anche lì la creazione dell’uomo avviene in due fasi. Come il respiro di Dio, il suo soffio vitale, fa dell’uomo-Adamo ancora forma inerte di terra plasmata un essere vivente (cfr Gn 2,7), così anche in Ezechiele: “ma non c’era spirito in loro…lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi” (vv.8-10). Al Dio che all’origine ha infuso la vita al non vivente è possibile anche una nuova creazione: ciò che egli ha fatto all’origine può ripeterlo ora!
Mi disse: «Figlio dell’uomo, queste ossa sono tutta la gente d’Israele. Ecco, essi vanno dicendo: Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti. Perciò profetizza e annunzia loro: Dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nel vostro paese; saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò». Oracolo del Signore Dio.
Ma vi è un aspetto importante da prendere in considerazione. Al v. 14 si dice: “Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete”. In queste parole lo spirito inviato viene chiamato espressamente «il mio spirito». Ora lo “spirito di Dio” a cui qui si fa riferimento non si identifica con il soffio vitale dato a tutto ciò che vive sulla faccia della terra: animali e piante. E’ un dono più alto, ovvero quello dello “Spirito-soffio vitale” stesso di Dio che rende l’uomo partecipe della sua stessa vita divina. Questo dono straordinario crea un uomo nuovo capace di accogliere finalmente il dono dell’Alleanza con Dio rimanendovi fedele, e questo proprio in virtù della presenza dello “Spirito di Dio” che dimora in lui (cfr Rm 7,6; 8,2).
Dio per bocca di Ezechiele non preannuncia dunque unicamente una rianimazione esterna del suo popolo, ma mediante l’effusione del “suo spirito”, JHWH vuole operare soprattutto un cambiamento profondo e interiore. Senza questo cambiamento, il popolo presto o tardi ricadrebbe nel peccato, e si ripeterebbe l’esperienza della perdizione che lo ha condotto all’esilio.
Viene fatto anche accenno alla presenza di sepolcri: “Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese d’Israele”. Questa nuova immagine esprime quanto ampia e definitiva sarà l’azione di Dio: essa spezzerà anche la prigionia del sepolcro, luogo emblematico che esprime la definitività della morte, e risveglierà a nuova vita anche quelli che sono irrimediabilmente “perduti” (cfr. v. 11).
Ma quale la ragione di questo straordinario intervento divino? La ragione è che Israele deve imparare a “conoscere” il suo Dio: “Riconoscerete che io sono il Signore”. Il Signore si dimostrerà fedele e la sua azione salvifica sarà la sua stessa manifestazione: Israele conoscerà chi è veramente il suo Dio! Israele non ha certamente meritato né di rivivere in una seconda creazione né di essere interiormente trasformato e abilitato dal dono dello stesso “Spirito di Dio” ad essere il popolo dell’Alleanza. Tutto è dono di Dio che solo rimane fedele a se stesso, e che per la propria gloria e per amore del suo popolo agirà restituendo speranza e vita.
La visione termina con la più assoluta garanzia che ciò che è stato annunciato avverrà: «Io sono il Signore: l’ho detto e lo farò». Dio offre come garanzia unicamente la sua Parola che non mente.
Nella visione di Ezechiele il Signore appare come colui che può infrangere le catene della morte, come un Dio a cui nulla è impossibile.
Nella morte e resurrezione di Cristo Gesù la promessa ha trovato il suo compimento inatteso e definitivo. Dal sepolcro sigillato del venerdì santo è rifiorita la speranza e la vita. Dopo la risurrezione di Gesù non c’è più alcun capolinea dell’attesa umana della vita. La passione, la morte e la resurrezione di Gesù mostrano che il fallimento non è ancora la fine. Dio è potente; egli è in grado di suscitare vita dove l’uomo non vede che morte.
Per noi che ascoltiamo, alla luce del mistero della morte e resurrezione di Gesù di Nazaret, si prospetta una domanda: c’è allora un vuoto umano di speranza che non possa sentirsi espresso nell’immagine delle ossa dei morti di Ezechiele? Sui nostri campi di morte non giacciono infatti soltanto le speranze, i desideri, le attese e le promesse degli esiliati a Babilonia ma anche tutte le nostre. Ogni nostro vuoto di speranza, ogni nostra rassegnazione e disperazione trovano qui la loro immagine, e possono legittimamente riferirsi ad essa. Il messaggio di Ezechiele parla anche al nostro tempo così bisognoso di speranza!

Per la riflessione
La nostra epoca fa sì che spesso sperimentiamo“vuoti di speranza” nei quali tutto sembra perduto, dove tutto sembra non aver più significato e futuro. In queste situazioni la profezia di Ezechiele, alla luce del mistero pasquale, si fa riudire in tutta la sua potenza capace di riaprire nel nostro cuore le porte ad una speranza impossibile.
In quale misura la speranza è virtù ancora tipicamente cristiana? Possiamo affermare di testimoniarla avendo fatta nostra, mediante l’ascolto della Parola, la Buona Notizia della Morte e Resurrezione del Signore Gesù?

Preghiera conclusiva
Signore, tu sei la mia vita,
senza di te il vivere non è vivere.
Con te, Signore, oltre le cose,
noi vediamo la vita,
anzi, la sorgente della vita.
Tu sarai la nostra vita anche nella morte;
con te la vita è già in noi per sempre:
tu sei per noi sorgente
che zampilla nella vita eterna.
Signore, tu sei la mia verità,
sei la verità dell’uomo.
Tu, o Padre del Cristo,
ti sei fatto la mia verità
e nello Spirito, ogni giorno,
sei verità in me.
Se tu vieni meno, se tu ti allontani,
io non sono neppure uomo,
sono come un relitto,
come un naufrago che cerca salvezza e non la trova,
un naufrago vicino alla morte.
Signore, la tua grazia,
la tua verità,
la tua luce mi fanno uomo,
e sono la mia grazia,
la mia verità e la mia luce.

(Card. C.M. Martini)

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