Archive pour mars, 2014

LA GRANDE QUARESIMA (ORTODOSSIA)

http://tradizione.oodegr.com/tradizione_index/commentilit/grandequaresima.htm

LA GRANDE QUARESIMA (ORTODOSSIA)

Definizione, contenuto e senso
Il desiderio principale, fondamentale e permanente di ogni cristiano è il desiderio di Dio, e comporta quanto i Padri denominano con il termine metanoia, ossia un’unione e un ritorno del nostro intelletto e del nostro cuore – con i quali cerchiamo di andare verso Dio –, verso le cose di lassù, verso la Luce Divina che illumina ogni uomo che viene nel mondo (Gv 1, 9), rigettando le opere delle tenebre, il Diavolo e il peccato.
Le prime parole di Cristo, all’inizio della sua vita pubblica, sono un’esortazione alla conversione: Pentitevi, perché il Regno dei Cieli è vicino (Mt 4, 17). Questo pentimento e conversione devono accompagnare la vita cristiana dal momento in cui essa nasce per opera dello Spirito Santo nel battesimo, fino all’ultimo respiro, poiché, senza pentimento, noi ritorniamo verso le tenebre, il nulla e la morte. Il significato è suggerito dal senso stesso del termine metanoia, parola greca formata da due radici : meta, che significa “al di là, cambiamento, trasformazione” e noûs, “spirito, intelletto”. Il termine italiano “pentimento” è a volte utilizzato per tradurre metanoia, ma l’espressione “conversione dello spirito” indica più profondamente il senso spirituale che è supposto dai Padri quando parlano di metanoia.
Per non essere equivocati, è di capitale importanza distinguere il pentimento dalla colpevolezza. Se il vero pentimento è il rivolgimento dello spirito verso Dio, dal momento che Dio è il misericordioso che perdona le cadute umane, la colpevolezza è una chiusura dello spirito su se stesso, sulle sue machevolezze e sui suoi peccati. La colpevolezza dubita della misericordia e del perdono divino; essa porta allo scoraggiamento e alla disperazione. La colpevolezza è una falsa umiltà, essendo un orgoglio mascherato dal Nemico: la vera umiltà significa riconoscere le proprie mancanze e accettare il perdono divino. Il cristiano nel suo cammino esistenziale, conserva il ricordo delle sue mancanze, ossia della sua responsabilità, non della sua colpevolezza. La prima è salutare, la seconda è diabolica.
È, dunque, in un costante spirito di conversione che il cristiano cammina verso Dio. La grazia della conversione è quella del battesimo che ci trasforma in “uomini nuovi”, essendo stati purificati nel Cristo attraverso lo Spirito Santo. Tuttavia in questa via siamo sempre dei pellegrini, siamo sempre in cammino. Fino al termine del nostro viaggio, gli ostacoli, le distrazioni e i turbamenti al di fuori del Cammino che è Cristo (Gv 14, 6), ci assalgono da ogni lato. Prendiamo facilmente strade sbagliate che ci allontanano da Dio; ci perdiamo su vie tortuose che ci portano alla morte, in dispetto delle loro apparenze a volte attraenti; morte non solo del corpo ma pure dell’anima. Infatti l’anima senza Dio è già “morta” poiché è privata della sua Sorgente e Nutrimento.
La Santa Chiesa ci propone in ogni istante, lungo tutto l’anno, dei mezzi per ricordarci il cammino da seguire. Essi consistono nella partecipazione alla vita sacramentale, in particolar modo all’Eucaristia e nella celebrazione della Divina Liturgia in occasione delle domeniche e delle grandi feste. Esiste, tuttavia, un periodo dell’anno liturgico nel quale la Chiesa ci invita in modo speciale a lottare contro le tenebre e il peccato e a purificare l’uomo interiore con una lunga preparazione che ci permette di entrare pienamente nei misteri della Grande Settimana nella quale si vive la Passione di Nostro Signore, si muore con Lui per potere, al mattino di Pasqua, risuscitare con Lui e far parte del Regno preparato per noi prima della creazione del mondo.
Questo periodo è la Grande Quaresima che precede la Pasqua. La Quaresima è caratterizzata da due attitudini fondamentali che trovano una significativa sintesi nell’espressione “radiosa tristezza”. Siamo tristi perché siamo coscienti delle nostre mancanze, della nostra distanza dal percorso che ci conduce a Dio; siamo tristi perché siamo coscienti d’essere lontani dalla perfezione di Cristo, dalla santità alla quale siamo chiamati (Mt 5,48). Ma, allo stesso tempo, la nostra tristezza è illuminata dalla coscienza dell’amore di Dio, “unico amico degli uomini”, dalla misericordia divina nella quale possiamo porre tutta la nostra confidenza. Come il Figlio prodigo, sappiamo che il nostro Dio ci attende per recarci una veste nuova e un anello al dito, appena cercheremo di fare il minimo sforzo per tornare verso Lui e entrare nel pentimento e nella metanoia (cfr. Lc 15, 20-24). La nostra tristezza è radiosa perché è illuminata dalla luce della Resurrezione di Cristo che è segno della nostra futura entrata con Lui nel Regno del Padre.
Questi due moti dell’animo, apparentemente contradditori, devono animare il cristiano lungo tutto l’anno, specialmente in vista della sua partecipazione all’opera della Grande Quaresima, opera contemporaneamente personale e collettiva. Poiché se la metanoia è un gesto profondamente personale, trova la sua espressione nei riti e nei consigli della Chiesa, nella comunità cristiana della quale noi facciamo parte. Nonostante dobbiamo lavorare da soli, portiamo ugualmente la nostra “dolorosa gioia” – altra espressione cara all’Ortodossia – con i nostri fratelli e sorelle che camminano assieme a noi. Possiamo così trarre ispirazione, coraggio e forza da questa condivisione, in particolare dalla condivisione delle ricchezze dei mezzi che la Chiesa ci mette a disposizione durante la Quaresima.
Questi mezzi possono riassumersi in due principali pratiche: la preghiera e il digiuno (Questo genere di demoni non possono essere vinti se non con la preghiera e il digiuno – Mt 17, 21). La preghiera è sia personale, sia comune. La Chiesa ci propone dei periodi di preghiera, delle ufficiature speciali, che ci parlano con una grande eloquenza di parole e gesti simbolici e che ci invitano a entrare nell’esperienza di questa conversione dell’anima, essenziale alla vita cristiana (confronta a tal proposito la Preghiera di Sant’Efrem). Il digiuno che essa ci invita a compiere è allo stesso tempo dagli alimenti e dello spirito, poiché il “digiuno” al quale siamo chiamati è un digiuno dell’anima, una purificazione attraverso l’ascesi dalle passioni, abitudini che ci impediscono d’avanzare verso Dio. È un digiuno contemporaneamente personale e comunitario: la Chiesa tutta intera vive il tempo di Quaresima come un periodo di digiuno. La Grande Quaresima è la Chiesa fintanto che si prepara nell’attesa che l’opera di salvezza si compia.
Per la sua fertile prospettiva, questo periodo è detto la “primavera dell’anima”. Non è per caso che cada proprio nella stagione primaverile, momento in cui la natura si rinnova ed esplode la nuova vita, dopo l’oscurità invernale.

Estensione della Grande Quaresima
La Grande Quaresima dura quaranta giorni. Tuttavia, non è possibile passare da un regime spirituale e alimentare normale ad un regime austero qual’è quello che contraddistingue il periodo quaresimale. Per questo la Chiesa in Occidente e in Oriente ha collocato un periodo intermedio tra il tempo liturgico ordinario e quello quaresimale. È un tempo nel quale si comincia ad abituare dolcemente il corpo e lo spirito ad un regime più esigente. Tale tempo intermedio in Occidente era denominato “Tempo di Settuagesima” e si estendeva nelle tre settimane precedenti la Quaresima. La sua apparizione avvenne a partire dal IV-V secolo in concomitanza con il fiorire del monachesimo. Con il tempo, allentandosi la tensione penitenziale, tale periodo si è sempre più svuotato di significato fino a quando, con la riforma liturgica della Chiesa cattolica-romana (1967), è stato abolito.
L’Ortodossia conserva l’antico ordinamento che contraddistingueva la Cristianità indivisa e fa dunque precedere la Grande Quaresima con alcune domeniche introduttive. Nello schema che segue è visibile in parallelo l’antico ordinamento liturgico latino e quello antico e attuale dell’Ortodossia.

GIOIA E FORZA DELL’APOSTOLO – (passi dalle lettere di Paolo e commento)

http://www.amicidipadrebernard.org/Scuola%20di%20preghiera/Pagine%202012/Gioia%20e%20forza%20Apostolo.html

(testo dei passi scritturistici e sotto commento perché sul sito i passi si leggono al passaggio del mouse e in una pagina separata)

LUMEN CHRISTI B 30

GIOIA E FORZA DELL’APOSTOLO
______________

2Cor 2,1-11
2 Perché se io rattristo voi, chi mi rallegrerà se non colui che è stato da me rattristato? 3 Perciò vi ho scritto in quei termini che voi sapete, per non dovere poi essere rattristato alla mia venuta da quelli che dovrebbero rendermi lieto, persuaso come sono riguardo a voi tutti che la mia gioia è quella di tutti voi. 4 Vi ho scritto in un momento di grande afflizione e col cuore angosciato, tra molte lacrime, però non per rattristarvi, ma per farvi conoscere l`affetto immenso che ho per voi. 5 Se qualcuno mi ha rattristato, non ha rattristato me soltanto, ma in parte almeno, senza voler esagerare, tutti voi. 6 Per quel tale però è già sufficiente il castigo che gli è venuto dai più, 7 cosicché voi dovreste piuttosto usargli benevolenza e confortarlo, perché egli non soccomba sotto un dolore troppo forte. 8 Vi esorto quindi a far prevalere nei suoi riguardi la carità; 9 e anche per questo vi ho scritto, per vedere alla prova se siete effettivamente obbedienti in tutto. 10 A chi voi perdonate, perdono anch`io; perché quello che io ho perdonato, se pure ebbi qualcosa da perdonare, l`ho fatto per voi, davanti a Cristo, 11 per non cadere in balìa di satana, di cui non ignoriamo le macchinazioni.
Ef 4,25-32
25 Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membra gli uni degli altri. 26 Nell`ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, 27 e non date occasione al diavolo. 28 Chi è avvezzo a rubare non rubi più, anzi si dia da fare lavorando onestamente con le proprie mani, per farne parte a chi si trova in necessità. 29Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano. 30 E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione. 31 Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. 32 Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.
2Cor 7,8-10
[…] 7 e non solo con la sua venuta, ma con la consolazione che ha ricevuto da voi. Egli ci ha annunziato infatti il vostro desiderio, il vostro dolore, il vostro affetto per me; cosicché la mia gioia si è ancora accresciuta. 8 Se anche vi ho rattristati con la mia lettera, non me ne dispiace. E se me ne è dispiaciuto – vedo infatti che quella lettera, anche se per breve tempo soltanto, vi ha rattristati – 9 ora ne godo; non per la vostra tristezza, ma perché questa tristezza vi ha portato a pentirvi. Infatti vi siete rattristati secondo Dio e così non avete ricevuto alcun danno da parte nostra; 10 perché la tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza, mentre la tristezza del mondo produce la morte.
Gv 16,19-23
16 Ancora un poco e non mi vedrete; un po’ ancora e mi vedrete ». 17 Dissero allora alcuni dei suoi discepoli tra loro: « Che cos`è questo che ci dice: Ancora un poco e non mi vedrete, e un po’ ancora e mi vedrete, e questo: Perché vado al Padre? ». 18 Dicevano perciò: « Che cos`è mai questo « un poco » di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire ». 19 Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: « Andate indagando tra voi perché ho detto: Ancora un poco e non mi vedrete e un po’ ancora e mi vedrete? 20 In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia. 21 La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell`afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. 22 Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e 23 nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla.
2Cor 2,14-17
14 Siano rese grazie a Dio, il quale ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza nel mondo intero! 15 Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo fra quelli che si salvano e fra quelli che si perdono; 16per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la vita. E chi è mai all`altezza di questi compiti? 17Noi non siamo infatti come quei molti che mercanteggiano la parola di Dio, ma con sincerità e come mossi da Dio, sotto il suo sguardo, noi parliamo in Cristo
______________

San Paolo ha dovuto scrivere una lettera che è andata perduta per rimproverare un membro o più membri della comunità (cfr. lCor 5); così l’Apostolo manifesta la sua autorità sulle comunità a lui affidate; ma l’autorità si esercita in un clima di carità, e, per san Paolo, tale carità è anche effusione del cuore mediante gioia e tristezza
2Cor 2,1-11: anche qui possiamo notare come san Paolo si immedesima per così dire con la comunità.
La carità che Paolo raccomanda è segno distintivo dei cristiani e ogni divisione è ricercata da Satana. Il comandamento nuovo infatti è quello dell’unione nella carità e la liturgia eucaristica si propone come finalità propria di creare tale unione di amore. Fondamento dell’unità dei cristiani è l’essere membri dell’unico corpo di Cristo.
Ef 4,25-32: il rinnovamento dell’uomo interiore implica la ricerca dell’unità di tutti.
La tristezza di Paolo è causata dalla consapevolezza dei dissensi fra i fratelli. Paolo non sopporta queste divisioni anche se l’unità della comunità non può’ essere frutto della debolezza
Di per sé la tristezza non è peccato, poiché il Signore l’ha provata ed è soltanto effetto di una situazione negativa. Essa però va sopportata nella pace; come? riguardando non se stessi ma soltanto il bene della comunità e dei fratelli. Dimenticando se stessi e considerando gli altri, la tristezza è partecipazione alla sofferenza di Cristo, il quale ha sofferto di tutti i peccati dell’umanità e in particolare di tutte le mancanze di amore.
2Cor 7,8-10: frutto della vera tristezza secondo Dio è il pentimento e la gioia che segue.
Per distinguere se la nostra tristezza è vera o meno, bisogna chiederci se guardiamo a Gesù o a noi stessi.
Bisogna anche ricordare come la vita è un succedersi di momenti di tristezza e di gioia
Gv 16,19-23: il mistero pasquale viene anticipato nella vita quotidiana.

Il profumo di Cristo
2Cor 2,14-17: l’apostolo partecipa al trionfo:, di Cristo. Il passo fa riferimento all’usanza dei generali romani vincitori che entravano in trionfo e per i quali bruciavano l’incenso: per loro era l’onore, per i vinti, la morte.
Il profumo è richiamo vitale che attira verso ciò che è favorevole allo sviluppo del vivente. In qualche modo è estensione della sostanza che emana il profumo.
Da parte nostra ciò significa che dobbiamo vivere sempre più profondamente lo spirito di Cristo e conformarci in profondità al suo essere di Figlio di Dio. Nella misura in cui vivremo da figli di Dio, anche noi saremo il profumo di Cristo.

Tale profumo va recepito poi secondo le disposizioni di colui che lo percepisce; sollecita quindi la libertà altScuola di preghiera passi scritturistici

1COR 4,4: ANCHE SE NON SONO CONSAPEVOLE DI COLPA ALCUNA…

http://www.oratoriosanfilippo.org/omelia.pdf

(domenica mi aveva fatto meditare questa frase di San Paolo così ho cercato qualcosa)

ORATORIO SAN FILIPPO (PDF)

1. «ANCHE SE NON SONO CONSAPEVOLE DI COLPA ALCUNA NON PER QUESTO SONO GIUSTIFICATO. IL MIO GIUDICE È IL SIGNORE». (1Cor 4,4)

Cari fedeli, l’apostolo Paolo è certo che il ministero apostolico avendo il profilo dell’amministrazione di beni non propri, sarà sottoposto a giudizio.
Al giudizio di chi?
Al giudizio della comunità umana in cui esercita il suo ministero? al giudizio – diremmo noi –della storia? Di questi due tribunali l’Apostolo se ne “infischia” altamente. Esiste anche un altro tribunale a cui l’Apostolo dedica un’attenzione molto più seria: il tribunale della propria coscienza. Egli non esclude che questo tribunale emetta la sua sentenza, che nel caso di Paolo è di assoluzione piena: «non sono consapevole di colpa alcuna». Tuttavia, il giudizio della coscienza non è l’istanza suprema: «non per questo sono giustificato». Quale è l’istanza suprema? «il mio giudice è il Signore».
Cari fratelli e sorelle, questa pagina dell’Apostolo è un’ottima chiave interpretativa di tutta la vicenda umana e cristiana di Newman. Essa può essere narrata tutta nel modo seguente: la fedeltà alla coscienza, in quanto essa è l’originaria rivelazione di Dio all’uomo. Il beato in una sua omelia disse: «Oh potessimo vedere le cose con tanta semplicità, da sentire che l’unica cosa che abbiamo da fare è piacere a Dio! A confronto di questo, a che cosa serve piacere al mondo, piacere ai grandi, e perfino piacere a coloro che amiamo? A che cosa serve essere applauditi, ammirati, corteggiati, seguiti, in confronto a un unico intento, di non essere disobbedienti a una visione celeste?» [cfr. Apologia pro vita sua, Paoline, Milano 2001, 258]. Risulta dunque chiaro che la concezione che il beato ebbe della coscienza non ha nulla, assolutamente nulla, in comune con ciò che con questa parola oggi comunemente si intende: la propria opinione, il proprio sentire. Per il beato la coscienza non è l’interiorità dell’uomo chiusa in se stessa, ma è il luogo dove l’uomo viene riferito ad una Verità che lo trascende. Veramente si realizza così per l’uomo la parola del salmo responsoriale: «il Signore è il mio pastore … mi guida per il giusto cammino». Newman espresse questo orientamento fondamentale della sua vita con una frase che amava ripetere spesso come un proverbio: «la santità piuttosto che la pace» [cfr. Apologia … cit., 139]. Il cammino che il beato compie è guidato da una certezza: «vi è una verità; vi è una sola verità, l’errore religioso è per sua natura immorale; […] si deve temere l’errore; la ricerca della verità non
deve essere appagamento di curiosità; l’acquisizione della verità non assomiglia in niente all’eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla» [Lo sviluppo della dottrina cristiana, il Mulino, Bologna 1967, 377]. Queste parole, che sconvolgono il nostro “udito” abituato a ben altri discorsi oggi sulla verità, testimonia il momento più drammatico della sua vita: il passaggio dalla comunione anglicana alla Chiesa cattolica, e dicono che cosa in realtà significa fedeltà alla coscienza. È per la «venerazione e timore» per la verità che Newman diventa cattolico. 2. «Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore». Cari fratelli e sorelle, il beato visse sempre la sua vita in un servizio fatto agli altri. Il suo è stato un servizio alla verità. Alla fine della sua vita, Newman facendo come un bilancio di essa, né rivela il senso: «fin dall’inizio mi sono opposto ad una grande sciagura. Per trenta, quaranta, cinquant’anni ho cercato di
contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi. (…). Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia» [Il biglietto-Speech di J.H. Newman in occasione dell’elevazione alla dignità cardinalizia il 12 maggio 1879]. Questa è stata la sublime passione apostolica di Newman: mostrare l’intima bellezza, verità e ragionevolezza, della proposta cristiana fatta dalla Chiesa cattolica. Convinto che alla fine, oggi,
l’unica alternativa alla proposta cristiana è l’ateismo.

Publié dans:Lettera ai Corinti - prima |on 3 mars, 2014 |Pas de commentaires »
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