Archive pour mars, 2014

I RACCONTI DEL PERDONO

http://www.sestogiorno.it/racconti/racconti_perdono.html

I RACCONTI DEL PERDONO

Sentirsi amati
Henri Nouwen monaco (1932-1996)
«Non molto tempo fa, nella mia comunità, ho avuto un’autentica esperienza personale del potere di una vera benedizione. Poco tempo prima che ciò accadesse avevo iniziato una funzione di preghiere in una delle nostre cappelle. Janet, una handicappata della nostra comunità mi disse: “Henri, mi puoi benedire?”Io risposi alla sua richiesta in maniera automatica tracciando con il pollice il segno della croce sulla sua fronte. Invece di essere grata, lei protestò con veemenza: “no, questa non funziona. Voglio una vera benedizione!” Mi resi subito conto di come avevo risposto in modo formalistico alla sua richiesta e dissi: “Oh scusami…ti darò una vera benedizione quando saremo tutti insieme per la funzione”.Lei mi fece un cenno con un sorriso e io compresi che mi si richiedeva qualcosa di speciale. Dopo la funzione, quando circa una trentina di persone erano sedute in cerchio sul pavimento, io dissi: “Janet mi ha chiesto di darle una benedizione speciale. Lei sente di averne bisogno adesso”. Mentre stavo dicendo questo, non sapevo cosa Janet volesse veramente. Ma Janet non mi lasciò a lungo nel dubbio. Appena dissi “Janet mi ha chiesto di darle una benedizione speciale” lei si alzò e venne verso di me. Io indossavo un lungo abito bianco con ampie maniche che coprivano sia le mani che le braccia. Spontaneamente Janet mi cinse tra le sue braccia e pose la testa contro il mio petto. Senza pensare, la coprii con le mie maniche al punto da farla quasi sparire tra le pieghe del mio abito. Mentre ci tenevamo l’un l’altra io dissi: “Janet voglio che tu sappia che sei l’Amata Figlia di Dio. Sei preziosa agli occhi di Dio. Il tuo bel sorriso, la tua gentilezza verso gli altri della comunità e tutte le cose buone che fai, ci mostrano che bella creatura tu sei. So che in questi giorni ti senti un po’ giù e che c’è della tristezza nel tuo cuore, ma voglio ricordarti chi sei: sei una persona speciale, sei profondamente amata da Dio e da tutte le persone che sono qui con te.”. Appena dissi queste parole, Janet alzò la testa e mi guardò; il suo largo sorriso mi mostrò che aveva veramente sentito e ricevuto la benedizione. Quando Janet tornò al suo posto, un’altra donna handicappata alzò la mano e disse: “Anch’io voglio una benedizione”. Si alzò e, prima che mi rendessi conto, mise il suo viso contro il mio petto. Dopo che io le dissi parole di benedizione, molti altri handicappati vennero esprimendo lo stesso bisogno di essere benedetti. Ma il momento più toccante si verificò quando uno degli assistenti, un giovane di ventiquattro anni, alzò la mano e disse: “E io?” “Certo”, risposi. “Vieni”. Lui venne e quando ci trovammo di fronte, lo abbracciai e dissi: “John, è così bello che tu sia qui. Tu sei l’Amato Figlio di Dio. La tua presenza è una gioia per tutti noi. Quando le cose sono difficili e la vita è pesante, ricordati sempre che tu sei Amato di un amore infinito.” Pronunciate queste parole, egli mi guardò con le lacrime agli occhi e disse: “Grazie, grazie molte”. Quella sera compresi l’importanza della benedizione e dell’essere benedetto e l’ho intesa come il vero segno che contraddistingue l’amato. Le benedizioni che diamo gli uni gli altri sono espressione della benedizione che riposa su di noi da tutta l’eternità.

UN LADRO IN PARADISO
(Bruno Ferrero, Il segreto dei pesci rossi)
QUMRAN NET – Materiale Pastorale online

Un ladro arrivò alla porta del Cielo e cominciò a bussare: «Aprite!». L’apostolo Pietro, che custodisce le chiavi del Paradiso, udì il fracasso e si affacciò alla porta. «Chi è là?». «Io». «E chi sei tu?». «Un ladro. Fammi entrare in Cielo». «Neanche per sogno. Qui non c’è posto per un ladro». «E chi sei tu per impedirmi di entrare?». «Sono l’apostolo Pietro!». «Ti conosco! Tu sei quello che per paura ha rinnegato Gesù prima che il gallo cantasse tre volte. Io so tutto, amico!». Rosso di vergogna, San Pietro si ritirò e corse a cercare San Paolo: «Paolo, va’ tu a parlare con quel tale alla porta». San Paolo mise la testa fuori della porta: «Chi è là?». «Sono io, il ladro. Fammi entrare in Paradiso». «Qui non c’è posto per i ladri!». «E chi sei tu che non vuoi farmi entrare?». «Io sono l’apostolo Paolo!». «Ah, Paolo! Tu sei quello che andava da Gerusalemme a Damasco per ammazzare i cristiani. E adesso sei in Paradiso!». San Paolo arrossì, si ritirò confuso e raccontò tutto a San Pietro. «Dobbiamo mandare alla porta l’Evangelista Giovanni» disse Pietro. «Lui non ha mai rinnegato Gesù. Può parlare con il ladro». Giovanni si affacciò alla porta. «Chi è là?». «Sono io, il ladro. Lasciami entrare in Cielo». «Puoi bussare fin che vuoi, ladro. Per i peccatori come te qui non c’è posto!». «E chi sei tu, che non mi lasci entrare?». «Io sono l’Evangelista Giovanni». «Ah, tu sei un Evangelista. Perché mai ingannate gli uomini? Voi avete scritto nel Vangelo: « Bussate e vi sarà aperto. Chiedete ed otterrete ». Sono due ore che busso e chiedo, ma nessuno mi fa entrare. Se tu non mi trovi subito un posto in Paradiso, torno immediatamente sulla Terra e racconto a tutti che hai scritto bugie nel Vangelo!». Giovanni si spaventò e fece entrare il ladro in Paradiso.

IL FILO E I NODI
Un fedele buono, ma piuttosto debole, si confessava di solito dal parroco. Le sue confessioni sembravano però un disco rotto: sempre le stesse mancanze, e, soprattutto sempre lo stesso grosso peccato. “Basta!” gli disse un giorno, in tono severo, il sacerdote. “Non devi prendere in giro il Signore. E’ l’ultima volta che ti assolvo per questo peccato. Ricordatelo!”. Ma quindici giorni dopo, il fedele era di nuovo lì a confessare il solito peccato. Il confessore perse davvero la pazienza: “Ti avevo avvertito: non ti do l’assoluzione. Così impari”. Avvilito e colmo di vergogna, il pover’uomo si alzò. Proprio sopra il confessionale, appeso al muro, troneggiava un grande crocifisso di gesso. L’uomo lo guardò. In quell’istante, il Gesù di gesso del crocifisso si animò, sollevò un braccio dalla sua secolare posizione e tracciò il segno dell’assoluzione: “Io ti assolvo dai tuoi peccati…”. Ognuno di noi è legato a Dio con un filo. Quando commettiamo un peccato, il filo si rompe. Ma quando ci pentiamo della nostra colpa, Dio fa un nodo nel filo, che diviene più corto di prima. Di perdono, in perdono ci avviciniamo a Lui.

AFFIDARSI ALLE BRACCIA DEL PADRE
(Pino Pellegrino QUANDO SI DICE GESU’. Ed. LDC)
In una casa isolata, nella notte scoppia, improvviso, un incendio. Tutti scendono in fretta, uscendo all’aperto, in un prato. Al bagliore delle fiamme, guardandosi attorno, si accorgono che manca il più piccolo, un bambino di 5 anni. Nell’allarme generale anche lui era sceso con gli altri, ma arrivato, ultimo, al fondo delle scale, di fronte alla porta avvolta ormai dalle fiamme, preso dal panico, era risalito. Eccolo apparire alla finestra del secondo piano, tutto spaventato e singhiozzante. Suo padre lo vede e gli grida: «Buttati giù!». Lui riconosce la voce di suo padre, ma non lo vede: c’è troppo fumo e le fiamme paurose. «Non ti vedo papà». E lui: «Ti vedo io e basta. Buttati giù!». Il bambino obbedisce e le braccia di suo padre lo accolgono.

 

Christ praying in the Garden of Gethsemane

Christ praying in the Garden of Gethsemane dans immagini sacre artlib_gallery-287028-o

http://full-of-grace-and-truth.blogspot.it/2012_04_01_archive.html

Publié dans:immagini sacre |on 19 mars, 2014 |Pas de commentaires »

IL VOSTRO CORPO È TEMPIO DELLO SPIRITO SANTO (1COR 6,13C-15A.17-20).

http://www.cpm-italia.it/index.php/formazione/cammmino-di-fede-con-giovani-sposi-e-coppie/367-il-vostro-corpo-e-tempio-dello-spirito-santo-1cor-6-13c-15a-17-20

CAMMMINO DI FEDE CON GIOVANI SPOSI E COPPIE

IL VOSTRO CORPO È TEMPIO DELLO SPIRITO SANTO (1COR 6,13C-15A.17-20).

Fratelli, il corpo non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza.
Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo.
O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!

(LECTIO )Che cosa dice il testo
Siamo all’interno di una sezione (capp. 5-7) della Prima Lettera ai Corinzi in cui Paolo si confronta con problemi diversi e perfino di segno opposto: un lassismo libertario e, viceversa, un ascetismo rigido. I due atteggiamenti hanno però una radice comune, che fa da sfondo alle considerazioni della lettera sul matrimonio o su temi affini, e precisamente un’errata comprensione del significato del corpo umano, sia sul piano antropologico che su quello teologico. In questo contesto vanno collocate le riflessioni dell’Apostolo, con cui egli espone alcune linee ispiratrici di un corretto vissuto cristiano in ordine alla sessualità.
Nei vv. 13-20 egli affronta probabilmente il tema della proibizione dei rapporti con le prostitute, ma il suo discorso si estende a tutti quei comportamenti qualificati, senza ulteriori precisazioni, come “impudicizia”.
Paolo porta allora i Corinzi a riflettere sul valore della sessualità: essa si esprime in gesti che coinvolgono le dimensioni più profonde della persona, e quindi non può essere indifferente un comportamento o un altro (v. 18).
Il cristiano è chiamato a decidere se usare il proprio corpo alla maniera della “carne”, abbandonandolo all’impudicizia, oppure a vivere fino in fondo la vocazione cristiana anche nella corporeità. La dignità di quest’ultima è fondata nella relazione con Cristo, dal quale il credente è stato riscattato a caro prezzo (v. 20), vedendosi assegnato un destino di risurrezione (v. 14); con Cristo il cristiano forma un solo “spirito” (v. 17) e cioè una piena unione realizzata dallo Spirito del Risorto! Il battezzato concretizza così anche nella propria corporeità il “corpo” ecclesiale del Cristo (v. 15); l’immagine del cristiano come una delle membra della Chiesa trapassa poi insensibilmente nell’altra metafora del corpo come tempio dello Spirito Santo (v. 19). Filone d’Alessandria era solito affermare che tempio di Dio è l’intelligenza dell’uomo; Paolo invece non esita a chiamare tempio addirittura il corpo del cristiano. In questo tempio si deve veramente esercitare il culto-servizio a Dio, per cui ogni ambiguità deve essere evitata.
Ringraziamo sul testo (MEDITATIO)
Nella prospettiva di un corpo destinato alla risurrezione, cerchiamo di riflettere su un campo non ancora esplorato in tutta la sua portata nell’ambito della co-educazione sessuale di coppia: quella particolare forma di “impudicizia” che è la pornografia. In questo ambito si insinua una sorta di implicito “lasciapassare”: come se l’uso di materiale pornografico (sia nella forma semplice del giornaletto che in quella più complessa del mezzo televisivo, delle linee erotiche, della navigazione su Internet, chat comprese) potesse configurarsi come un uso privato, una specie di zona franca; quando non è perfino propinato (in genere da lui a lei) come stampella o ausilio al raggiungimento del piacere erotico.
Ma l’uso di materiale pornografico si paga assai caro: e non solo perché sollecita istinti sessuali disordinati, ma perché parcellizza il corpo umano, lo riduce all’esibizione dei puri organi sessuali, opera una “gigantografia” che mano a mano ha il potere di assorbire l’intero della persona in pratiche più o meno meccaniche che falsano proprio quella sessualità (che riguarda sempre l’intero della persona) che si vorrebbe “liberare”. Chi afferma che attraverso la pornografia conosce meglio la sessualità è un immaturo, che si fissa sulla parte e perde di vista il tutto. Ha ragione Paolo: “Chi si dà alla fornicazione, pecca contro il proprio corpo” (v. 18). Lo sanno le prostitute che, spesso per disperazione o per una vera e propria schiavizzazione, accettano l’umiliazione di essere ridotte ad una parte del corpo, anonima, senza anima né vita. Questo è contro il corpo, cioè la propria e altrui integrità, il rispetto che ciascuno deve a se stesso e all’altro.
L’uso di materiale pornografico è poi difficile da metabolizzare. Non dimentichiamo che la persona è anche mente, mondo interno, immaginario, per cui occorre popi molta pulizia della mente per accostare l’altro senza ridurlo a zone di piacere; più la mente è infarcita d pornografia, meno è capace di raggiungere l’altro nella sua interezza e nella sua bellezza di tempio dello spirito. Il suo corpo, come il mio, tende a glorificare Dio come Amore che non viene meno. Meraviglioso Amore che attende di essere glorificato nei nostri corpi (cfr. v. 20)!
Preghiamo (ORATIO)
Signore Gesù, tu sai quanto la natura abbia posto nel corpo dei nostri bambini e delle nostre bambine dei segnali inibitori che vengono oltrepassati solo nel sovvertimento dei sensi. Ma i nostri occhi di adulti talvolta vedono negli altri degli esseri da umiliare o schiavizzare, non ne riconoscono più la sacralità, l’intimità e la meraviglia che genera rispetto. Aiutaci a recuperare in ogni persona chi ci stia di fronte la sua dimensione fanciulla che ci apre alla contemplazione. Tutte le persone adulte sono state bambine e sono tenute in braccio da te, o Signore, come bambini.
Che cosa ha detto la Parola (CONTEMPLATIO)
Dio non ritenne vergogna assumere la carne per via di quelle membra e con quelle membra che egli stesso plasmò. Chi ce lo dice? Il Signore che lo assicurò a Geremia: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato” (Ger 1,5). Dio, che plasmò l’uomo toccandone senza vergogna la carne, non poté certo venir meno al pudore nel plasmarsi quella santa carne che velò la sua divinità. E’ del resto Dio che da sempre forma le creature nel seno di una madre. Lo dice Giobbe: “Non m’hai colato forse come latte e fatto accagliare come cacio? Di pelle e di carne mi hai rivestito, d’ossa e di nervi mi hai intessuto”
(cfr. Gb 10,10s). Nulla è contaminante nella formazione di un uomo, a meno che non intervengano a contaminarla l’adulterio o l’incontinenza. Dio formò Adamo e formò Eva, e plasmò con le sue mani divine sia il maschio sia la femmina, né alcuna parte del loro corpo fu creata impura. Tacciano tutti gli eretici che condannano il corpo o piuttosto il Creatore del corpo.
Quanto a noi, però, ricordiamoci di quel che scrisse Paolo: “Non sapete che i vostri corpi sono tempio dello Spirito Santo che è in voi?” (1Cor 6,19). Il profeta, parlando a nome di Gesù, affermava: “La mia carne è la loro” (Os 9,12). (Cirillo di Gerusalemme, Le Catechesi).
Mettere in pratica la Parola (ACTIO)
Traducete nella vostra vita coniugale questa parola: “Glorificate Dio nel vostro corpo!” (1Cor 6,20).
PER LA LETTURA SPIRITUALE
La sessualità, mediante la quale l’uomo e la dona si donano l’uno all’altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l’intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza i modo veramente umano solo se è parte integrale dell’amore con cui l’uomo e la donna si impegnano totalmente l’uno verso l’altra fino alla morte. La donazione fisica totale sarebbe menzogna se non fosse segno e frutto della donazione personale totale, nella quale tutta la persona, anche nella sua dimensione temporale, è presente: se la persona si riservasse qualcosa o la possibilità di decidere altrimenti per il futuro, già per questo essa non si donerebbe totalmente.
Questa totalità richiesta dall’amore coniugale corrisponde anche alle esigenze di una fecondità responsabile, la quale, volta come è a generare un essere umano, supera per sua natura l’ordine puramente biologico, e investe un insieme di valori personali, per la cui armoniosa crescita è necessario il perdurante e concorde contributo di entrambi i genitori.
Il “luogo” unico che rende possibile questa donazione secondo l’intera sua verità è il matrimonio, ossia il patto di amore coniugale ovvero la scelta cosciente e libera con la quale l’uomo e la donna accolgono l’intima comunità di vita e d’amore, voluta da Dio stesso (cfr. GS 48), che solo in questa luce manifesta il suo vero significato. L’istituzione matrimoniale non è un’indebita ingerenza della società o dell’autorità, né l’imposizione estrinseca di una forma, ma esigenza interiore del patto d’amore coniugale che pubblicamente si afferma come unico ed esclusivo perché sia vissuta così la piena fedeltà al disegno di Dio creatore. Questa fedeltà, lungi dal mortificare la libertà della persona, la pone al sicuro da ogni soggettivismo e relativismo, la fa partecipare della Sapienza creatrice (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familiaris Consortio, 22 novembre 1981,

Publié dans:Lettera ai Corinti - prima |on 19 mars, 2014 |Pas de commentaires »

LO CROCIFISSERO FUORI DALLE MURA DELLA CITTÀ – LA BASILICA DEL SANTO SEPOLCRO

http://www.gesustorico.it/htm/archeologia/golgota.asp

LO CROCIFISSERO FUORI DALLE MURA DELLA CITTÀ

La gigantesca basilica del Santo Sepolcro visitabile oggi a Gerusalemme comprenderebbe, secondo la più antica tradizione, sia il luogo della crocifissione di Cristo, il cosiddetto Golgota, sia il luogo del giardino dove era scavata la tomba della sepoltura di Gesù. Infatti, da quel che si può dedurre dai vangeli il luogo della crocifissione era nei pressi di un giardino (“nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo” Gv. 19,41) e in questo giardino doveva esserci della roccia dove Giuseppe di Arimatea si era fatto scavare una tomba (Mt. 27,60: e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia)
L’altura sulla quale fu crocifisso Gesù doveva somigliare ad un cranio in quanto i vangeli ci informano che quel luogo era detto Golgota che in ebraico vuol dire “cranio”.
Nel 1883 arrivò a Gerusalemme il famoso generale inglese Charles George Gordon, il quale individuò un luogo a Nord delle mura della Città, a circa 200m dalla porta di Damasco, che aveva l’aspetto di un teschio e pensò che doveva essere questo il luogo di cui parlano i Vangeli.
Nei pressi di questa altura a forma di teschio vi è una tomba scavata nella roccia (chiamata oggi Tomba del Giardino) e quindi Gordon identificò appunto questo luogo con la tomba di Cristo. Ma in realtà studi archeologici hanno dimostrato che questa tomba non è dell’epoca di Cristo (I sec.) ma risale a diversi secoli prima (VIII o VII sec. a.C. ), in contrasto quindi a ciò che dice il vangelo, cioè che il sepolcro era nuovo.
Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. (Gv. 19,41)
Il luogo è oggi frequentato soprattutto da protestanti, ma la Tomba del Giardino, non supportata da prove archeologiche, non può essere la tomba dove fu sepolto Gesù di Nazareth, e la stessa Chiesa anglicana lo ha da tempo riconosciuto.

La Tomba del Giardino
Resta da vedere, allora, se il vero sito storico della sepoltura di Cristo possa essere quello dove oggi sorge il Santo Sepolcro, e soprattutto se è vero, come dicono i vangeli, che questo luogo si trovava fuori dalle mura della città (cfr. Gv. 19,41 e Eb. 13,12), in quanto oggi si trova in pieno centro cittadino dentro le mura della Città Vecchia e quindi apparentemente in contraddizione con i Vangeli.

Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme
Era usanza nella tradizione ebraica seppellire i morti fuori dalle mura cittadine; ma, a dir la verità, a Gerusalemme si era fatta eccezione per 2 tombe citate da Giuseppe Flavio in Guerra Giudaica che si trovavano dentro le mura perimetrali, e cioè quella del re Davide (I, 62) e quella del sommo sacerdote asmoneo Giovanni Ircano (V, 259.356). Ma in particolar modo era prescritto dalla Legge che le condanne a morte venissero eseguite fuori dalle mura. (cfr. Lv 24,14.23; Nm 15,35; Dt. 17,5, etc.), come anche possiamo vedere a proposito della lapidazione di Stefano: “lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo” (At 7,58) Ma come mai, allora, il Golgota, luogo dell’esecuzione di Gesù e dei 2 ladroni, si trova dentro la città vecchia?
È facile intuirlo: al tempo di Gesù quella zona del Golgota si trovava fuori dalle mura della città; solo che fino ad alcuni decenni fa mancavano le prove.
Stiamo parlando della scoperta dovuta all’archeologa inglese Kathleen KENYON che nel 1963 condusse degli scavi nella zona del Muristan, a sud della Basilica del S. Sepolcro. La Kenyon appurò che in quella zona non vi erano resti di abitazioni che si potevano far risalire al I sec. d.C. e inoltre all’epoca di Cristo quella era una zona adibita a cava che però era stata abbandonata per la scarsa qualità della pietra (al tempo di Cristo erano usati altri siti come cave). L’archeologa inglese provò quindi che questa collinetta del Golgota (probabilmente con la cima arrotondata che faceva pensare ad un cranio) era fuori dalle mura di Gerusalemme, e in particolare fuori da quelle che Giuseppe Flavio chiama le “seconde mura”, quindi provando che è vero ciò che dice il NT a proposito del Golgota è: “egli patì fuori dalle mura della città” (Eb. 13,12).
E inoltre, proprio perché era una cava andata in disuso, fu adibita a zona di sepolcri e discarica. Ricordiamo che i condannati alla crocifissione, una volta morti venivano lasciati in pasto ai cani e agli uccelli, oppure gettati in zone di discariche.
Nella zona della cava abbandonata era stata scavata nella roccia la tomba di Giuseppe d’Arimatea e che poi fu il sepolcro di Gesù: lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia (Mt 27,60). Anche oggi, poco distante dall’Edicola del S. Sepolcro è possibile visitare una tomba risalente all’epoca di Gesù.
Ma la scoperta della Kenyon prova anche un altro dettaglio messo in luce dal vangelo di Giovanni.
Gli scavi archeologici hanno provato che dal momento che la pietra di quella zona non era buona, la cava fu riempita di terra e quindi si formò un giardino attorno alla collinetta del Golgota: Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto.(Gv. 19,41). Altro riferimento al giardino è dato nel capitolo successivo: “Essa, pensando che fosse il custode del giardino…” (Gv. 20,15).
Se allora quella zona attorno al Golgota era diventato un giardino doveva anche esserci una cisterna d’acqua. E infatti, se si scende nella cosiddetta Cappella dell’Invenzione della Croce ( luogo dove furono rinvenuti i resti della croce di Cristo nel IV sec. dall’imperatrice Elena), “si vedono bene i tagli nella roccia dell’antica cava di pietra. Le pareti sono intonacate con materiale idraulico, il che fa pensare ad un uso del luogo come cisterna” (Eugenio Alliata in: Gerusalemme, Studium Biblicum Franciscanum, 2001).

sul sito:

Resti della cava nel luogo del Golgota

(Foto tratte da: Custodia di Terra Santa)

San Giuseppe

San Giuseppe dans immagini sacre icon

http://www.stjosephs-birtley.co.uk/phistory.html

Publié dans:immagini sacre |on 18 mars, 2014 |Pas de commentaires »

19 MARZO: SOLENNITÀ DI SAN GIUSEPPE – OMELIA DI PAPA PAOLO VI (19 marzo 1969)

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1969/documents/hf_p-vi_hom_19690319_it.html

SOLENNITÀ DI SAN GIUSEPPE

OMELIA DI PAOLO VI

Mercoledì, 19 marzo 1969

Fratelli e Figli carissimi!

La festa di oggi ci invita alla meditazione su S. Giuseppe, il padre legale e putativo di Gesù, nostro Signore, e dichiarato, per tale funzione ch’egli esercitò verso Cristo, durante l’infanzia e la giovinezza, protettore della Chiesa, che di Cristo continua nel tempo e riflette nella storia l’immagine e la missione.
È una meditazione che sembra, a tutta prima, mancare di materia : che cosa di lui, San Giuseppe, sappiamo noi, oltre il nome ed alcune poche vicende del periodo dell’infanzia del Signore? Nessuna parola di lui è registrata nel Vangelo; il suo linguaggio è il silenzio, è l’ascoltazione di voci angeliche che gli parlano nel sonno, è l’obbedienza pronta e generosa a lui domandata, è il lavoro manuale espresso nelle forme più modeste e più faticose, quelle che valsero a Gesù Ia qualifica di «figlio del falegname» (Matth. 13, 55); e null’altro: si direbbe la sua una vita oscura, quella d’un semplice artigiano, priva di qualsiasi accenno di personale grandezza.
Eppure questa umile figura, tanto vicina a Gesù ed a Maria, la Vergine Madre di Cristo, figura così inserita nella loro vita, così collegata con Ia genealogia messianica da rappresentare la discendenza fatidica e terminale della progenie di David (Matth. 1, 20), se osservata con attenzione, si rileva così ricca di aspetti e di significati, quali la Chiesa nel culto tributato a S. Giuseppe, e quali la devozione dei fedeli a lui riconoscono, che una serie di invocazioni varie saranno a lui rivolte in forma di litania. Un celebre e moderno Santuario, eretto in suo onore, per iniziativa d’un semplice religioso laico, Fratel André della Congregazione della Santa Croce, quello appunto di Montréal, nel Canada, porrà in evidenza con diverse cappelle, dietro l’altare maggiore, dedicate tutte a S. Giuseppe, i molti titoli che Io rendono protettore dell’infanzia, protettore degli sposi, protettore della famiglia, protettore dei lavoratori, protettore delle vergini, protettore dei profughi, protettore dei morenti . . .
Se osservate con attenzione questa vita tanto modesta, ci apparirà più grande e più avventurata ed avventurosa di quanto il tenue profilo della sua figura evangelica non offra alla nostra frettolosa visione. S. Giuseppe, il Vangelo lo definisce giusto (Matth. 1, 19); e lode più densa di virtù e più alta di merito non potrebbe essere attribuita ad un uomo di umile condizione sociale ed evidentemente alieno dal compiere grandi gesti. Un uomo povero, onesto, laborioso, timido forse, ma che ha una sua insondabile vita interiore, dalla quale vengono a lui ordini e conforti singolarissimi, e derivano a lui la logica e la forza, propria delle anime semplici e limpide, delle grandi decisioni, come quella di mettere subito a disposizione dei disegni divini la sua libertà, la sua legittima vocazione umana, la sua felicità coniugale, accettando della famiglia la condizione, la responsabilità ed il peso, e rinunciando per un incomparabile virgineo amore al naturale amore coniugale che la costituisce e la alimenta, per offrire così, con sacrificio totale, l’intera esistenza alle imponderabili esigenze della sorprendente venuta del Messia, a cui egli porrà il nome per sempre beatissimo di Gesù (Matth. 1, 21), e che egli riconoscerà frutto dello Spirito Santo, e solo agli effetti giuridici e domestici suo figlio. Un uomo perciò, S. Giuseppe, «impegnato», come ora si dice, per Maria, l’eletta fra tutte le donne della terra e della storia, sempre sua vergine sposa, non già fisicamente sua moglie, e per Gesù, in virtù di discendenza legale, non naturale, sua prole. A lui i pesi, le responsabilità, i rischi, gli affanni della piccola e singolare sacra famiglia. A lui il servizio, a lui il lavoro, a lui il sacrificio, nella penombra del quadro evangelico, nel quale ci piace contemplarlo, e certo, non a torto, ora che noi tutto conosciamo, chiamarlo felice, beato.
È Vangelo questo. In esso i valori dell’umana esistenza assumono diversa misura da quella con cui siamo soliti apprezzarli: qui ciò ch’è piccolo diventa grande (ricordiamo l’effusione di Gesù, al capo undecimo di San Matteo: «Io Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose – le cose del regno messianico! – ai sapienti ed ai dotti, che hai rivelate ai piccoli»); qui ciò ch’è misero diventa degno della condizione sociale del Figlio di Dio fattosi Figlio dell’uomo; qui ciò ch’è elementare risultato d’un faticoso e rudimentale lavoro artigiano serve ad addestrare all’opera umana l’operatore del cosmo e del mondo (cfr. Io. 1, 3 ; 5, 17), e a dare umile pane alla mensa di Colui che definirà Se stesso «il Pane della vita» (Io. 6, 48). Qui ciò ch’è perduto per amore di Cristo, è ritrovato (cfr. Matth. 10, 39), e chi sacrifica per lui la propria vita di questo mondo, la conserva per la vita eterna (cfr. Io. 12, 25). San Giuseppe è il tipo del Vangelo, che Gesù, lasciata la piccola officina di Nazareth, e iniziata la sua missione di profeta e di maestro, annuncerà come programma per la redenzione dell’umanità; S. Giuseppe è il modello degli umili che il cristianesimo solleva a grandi destini; S. Giuseppe è la prova che per essere buoni e autentici seguaci di Cristo non occorrono «grandi cose», ma si richiedono solo virtù comuni, umane, semplici, ma vere ed autentiche.
E qui la meditazione sposta lo sguardo, dall’umile Santo al quadro delle nostre condizioni personali, come avviene di solito nella disciplina dell’orazione mentale; e stabilisce un accostamento, un confronto tra lui e noi; un confronto dal quale non abbiamo da gloriarci, certamente; ma dal quale possiamo trarre qualche buono incitamento; all’imitazione, come nelle nostre rispettive circostanze è possibile; alla sequela, nello spirito e nella pratica concreta di quelle virtù che nel Santo troviamo così rigorosamente delineate. Di una specialmente, della quale oggi tanto si parla, della povertà. E non ci lasceremo turbare per le difficoltà, che essa oggi, in un mondo tutto rivolto alla conquista della ricchezza economica, a noi presenta, quasi fosse contraddittoria alla linea di progresso ch’è obbligo perseguire, e paradossale e irreale in una società del benessere e del consumo. Noi ripenseremo, con S. Giuseppe povero e laborioso, e lui stesso tutto impegnato a guadagnar qualche cosa per vivere, come i beni economici siano pur degni del nostro interesse cristiano, a condizione che non siano fini a se stessi, ma mezzi per sostentare la vita rivolta ad altri beni superiori; a condizione che i beni economici non siano oggetto di avaro egoismo, bensì mezzo e fonte di provvida carità; a condizione, ancora, che essi non siano usati per esonerarci dal peso d’un personale lavoro e per autorizzarci a facile e molle godimento dei così detti piaceri della vita, ma siano invece impiegati per l’onesto e largo interesse del bene comune. La povertà laboriosa e dignitosa di questo Santo evangelico ci può essere ancora oggi ottima guida per rintracciare nel nostro mondo moderno il sentiero dei passi di Cristo, ed insieme eloquente maestra di positivo e onesto benessere, per non smarrire quel sentiero nel complicato e vertiginoso mondo economico, senza deviare, da un lato, nella conquista ambiziosa e tentatrice della ricchezza temporale, e nemmeno, dall’altro, nell’impiego ideologico e strumentale della povertà come forza d’odio sociale e di sistematica sovversione.
Esempio dunque per noi, San Giuseppe. Cercheremo d’imitarlo; e quale protettore lo invocheremo, come la Chiesa, in questi ultimi tempi, è solita a fare, per sé, innanzi tutto, con una spontanea riflessione teologica sul connubio dell’azione divina con l’azione umana nella grande economia della Redenzione, nel quale la prima, quella divina, è tutta a sé sufficiente, ma la seconda, quella umana, la nostra, sebbene di nulla capace (cfr. Io. 15, 5), non è mai dispensata da un’umile, ma condizionale e nobilitante collaborazione. Inoltre protettore la Chiesa lo invoca per un profondo e attualsimo desiderio di rinverdire la sua secolare esistenza di veraci virtù evangeliche, quali in S. Giuseppe rifulgono; ed infine protettore lo vuole la Chiesa per l’incrollabile fiducia che colui, al quale Cristo volle affidata la protezione della sua fragile infanzia umana, vorrà continuare dal Cielo la sua missione tutelare a guida e difesa del Corpo mistico di Cristo medesimo, sempre debole, sempre insidiato, sempre drammaticamente pericolante.
E poi per il mondo invocheremo S. Giuseppe, sicuri che nel, cuore, ora beato d’incommensurabile sapienza e potestà, dell’umile operaio di Nazareth si alberghi ancora e sempre una singolare e preziosa simpatia e benevolenza per l’intera umanità. Così sia.

 

18 MARZO: SAN CIRILLO DI GERUSALEMME

http://www.ortodoxia.it/SAN%20CIRILLO%20DI%20GERUSALEMME%20La%20Catechesi%20battesimale%20e%20quella%20mistagogica.htm

18 MARZO: SAN CIRILLO DI GERUSALEMME

(metto solo la II catechesi mistagogica incentrata di più su Paolo)

La Catechesi battesimale e quella mistagogica

Cirillo di Gerusalemme nacque in Palestina tra il 313 e il 315; non abbiamo notizia precisa né del luogo, né della data di nascita, né come abbia trascorso i primi anni della sua vita. Visse mentre la Palestina e la Terra Santa diventava meta di pellegrinaggi e la Chiesa affrontava i primi problemi ed eresie . Tutta la sua vita è coinvolta nel travaglio della Chiesa dei primi anni. In quelli anni Costantino innalzava al posto dei tempi pagani i sacri edifici del Golgota, della Risurrezione e della Pentecoste.
Fu ordinato diacono da Macario, suo vescovo e già padre conciliare a Nicea, e poi presbitero da Massimo.
Poi ordinato vescovo dal suo metropolita Acacio e deposto dal Concilio di Gerusalemme nel 357, si rifugiò ad Antiochia. In seguito lasciò Antiochia per andare in esilio a Tarso, dove gli fu permesso di esercitare anche lì le sue funzioni di vescovo e catecheta, finché non fu restituito alla sua sede nel 359. Un secondo esilio durò fino al 361 anno della morte di Costanzo che lo aveva perseguitato. Ma, verso il 367, l’imperatore Valente lo condanna all’esilio, di nuovo, dal quale potrà tornare solo nel 378, definitivamente, dopo la morte di Valente.
Nel 381 prese parte al Concilio II di Costantinopoli. Morì probabilmente il 18 marzo del 387, data che i calendari liturgici dell’Oriente e dell’Occidente commemorano la sua memoria. La sua opera più celebre sono le 24 Catechesi, pronunciate nel 348 o 350 per lo più nella Basilica del Santo Sepolcro.
Nelle Catechesi san Cirillo propone una sintesi della dottrina cristiana per il fedele, e attraverso loro possiamo avere preziose indicazioni riguardo i luoghi di culto innalzati da s. Costantino. Queste Catechesi, come molti manoscritti ricordano, devono essere state raccolte da qualche uditore.
È noto che ai tempi delle Catechesi di s. Cirillo la croce di Cristo, trovata da s. Elena, madre dell’imperatore, era già innalzata sulla roccia del Calvario (Golgota), assieme al sepolcro unico luogo di culto cristiano. Il complesso Calvario-Sepolcro formava un’unica strutturale sacra: sul sepolcro Costantino aveva innalzato la chiesa dell’Anastasis collegata con un atrio al Calvario. Tra le due s’innalzava la croce.
Nella terza catechesi battesimale parla del santo battesimo attraverso il quale vengono rimessi tutti i peccati, anche quelli più gravi:
Abbi fiducia, Gerusalemme, il Signore eliminerà le tue iniquità . Il Signore laverà le vostre brutture…; ‘spargerà su di voi acqua pura e sarete purificati da ogni peccato. Gli angeli vi fanno corona esultanti e presto canteranno: ‘Chi è costei che ascende immacolata, appoggiata al suo diletto?. Costei, infatti, è l’anima già schiava ed ora libera di chiamare fratello adottivo il suo Signore, che accogliendone il proposito sincero le dice: Ecco, ora sei bella, quanto bella! … Così egli esclama alludendo ai frutti di una confessione fatta con buona coscienza… Voglia il cielo che tutti… manteniate vivo il ricordo di queste parole e ne traiate frutto traducendole in opere sante per presentarvi irreprensibili al mistico Sposo e ottenere dal Padre il perdono dei peccati.
Nella tredicesima catechesi battesimale, parlando della Crocifissione e morte di Cristo, s. Cirillo insegna:
Fu vera la sua passione; vera infatti fu la sua crocifissione… Se invero qui ora lo negassi, insorgerebbero per confutarmi questo Golgota dove adesso siamo tutti riuniti.
Nella diciannovesima catechesi, chiamata anche prima catechesi mistagogica ai neofiti, sul battesimo, pronunziata nella Chiesa dell’Anastasis dopo l’Eucarestia del lunedì di Pasqua, spiega i principali riti precedentemente svoltisi nel vestibolo del battistero. Ci descrive l’ordine seguito dalla Chiesa: rinunzia a satana, alle sue opere e alle sue seduzioni e la stipula del patto battesimale con le promesse di fedeltà a Cristo:
Appena entrati nel vestibolo dell’edificio dove si amministra il battesimo, standovene rivolti in piedi verso Occidente, avete ascoltato l’ordine di stendere la mano e di rinunziare a satana come se fosse presente.
Nella ventesima catechesi, o seconda catechesi mistagogica ai neofiti, sul battesimo descrive il rito battesimale della Chiesa:
Presi per mano siete stati accompagnati alla santa piscina del divino lavacro, come Cristo deposto dalla croce nella tomba qui di fronte. Qui foste interrogati uno ad uno se credevate nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo e voi avete fatto la salutare confessione di fede. Per tre volte siete stati immersi nell’acqua e per ciascuna delle tre ne siete riemersi, per simboleggiare i tre giorni della sepoltura di Cristo.
Nella ventitreesima ed ultima delle Catechesi, o quinta catechesi mistagogica, è dedicata sul Sacrificio eucaristico. Dopo aver parlato dell’Eucarestia come mistero del corpo e sangue del Signore, il santo spiega che attraverso la celebrazione della Divina Liturgia se ne rinnovi la memoria. San Cirillo ci offre anche una ampia spiegazione della preghiera del Padre nostro.
Ai neofiti che si accostano all’Eucaristia insegna per ricevere il corpo di Cristo:
Quanto ti accosti, non stendere le palme delle mani con dita disgiunte; ma con la sinistra facendo un trono alla destra che deve accogliere il Re, ricevi il Corpo di Cristo sul cavo della destra, dicendo « Amen ».
Quando la tua mano viene a contatto del corpo santo, santifica gli occhi, attento a non lasciarne cadere qualche frammento, perché sarebbe per te come perdere un membro del tuo corpo.
Per accedere alla comunione per ricevere il sangue di Cristo:
Dopo la comunione col corpo di Cristo, accostati al calice del suo sangue senza stendere le mani, ma prendine inchinandoti con gesto della massima adorazione e dicendo: « Amen » santificati tutto. Finché hai il sangue di Cristo sulle labbra, toccalo con le mani e con esso santifica gli occhi, la fronte e gli altri sensi.
———————-
Riportiamo la IX, X, XV, XVII, Catechesi battesimale per intero e le Catechesi mistagogiche.
———————

II CATECHESI MISTAGOGICA
Con lettura dell’Epistola ai Romani, dalle parole: «O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella sua morte» fino a «non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia».
La spiegazione dei riti del battesimo
1. Sono a voi utili queste istruzioni quotidiane sui misteri e i nuovi insegnamenti che proclamano nuove situazioni, tanto più che voi siete stati rigenerati dal vecchio al nuovo. Per questo è necessario che io per ordine vi esponga il seguito della mistagogia di ieri per comprendere la simbologia dei riti che si sono svolti su di voi nell’interno dell’edificio.
Spogliarsi della tunica
2. Appena entrati vi siete tolti la tunica. Ciò per la raffigurazione che si eliminava l’uomo vecchio con le sue abitudini. Spogliati siete rimasti nudi, imitando in ciò Cristo nudo sulla croce. Egli nella nudità spogliò i principati e le potestà trionfando a fronte alta sulla croce. Poiché nelle vostre membra si nascondevano le potenze avverse, non vi è più permesso portare la vecchia tunica. Non vi parlo minimamente della tunica visibile, ma dell’uomo vecchio che si corrompe nelle passioni ingannatrici. L’anima che una volta se ne sia spogliata non se ne rivesta di nuovo, ma dica con la sposa di Cristo nel « Cantico dei Cantici »: «Mi sono spogliata della tunica, perché indossarla?». Che meraviglia! Siete stati nudi davanti agli occhi di tutti e non vi siete arrossiti. Portavate veramente l’immagine del primo uomo Adamo, che nel paradiso era nudo e non si vergognava.
L’unzione
3. Poi svestiti siete stati unti con l’olio esorcizzato, dalla cima dei capelli sino all’estremità del corpo, divenendo partecipi del buon ulivo che è Gesù Cristo. Recisi dall’oleastro siete stati innestati nell’ulivo buono e siete divenuti partecipi dell’abbondanza dell’ulivo. L’olio esorcizzato simboleggia la partecipazione all’abbondanza del Cristo che mette in fuga ogni traccia di potenza avversa. Come le insufflazioni dei Santi e la invocazione del nome di Dio e la preghiera riceve una tale forza che non solo purifica bruciando le tracce dei peccati, ma anche insegue le potenze invisibili del maligno.
Morte e vita
4. Dopo per mano siete stati condotti alla santa piscina del divino battesimo come il Cristo dalla croce alla tomba che vi è davanti. Ognuno è stato interrogato se crede nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Avete fatto la confessione salutare e vi siete immersi per tre volte nell’acqua e di nuovo siete risaliti simboleggiando la sepoltura di tre giorni del Cristo. Come il nostro Salvatore passò tre giorni e tre notti nel cuore della terra, così anche voi con la prima emersione avete imitato il primo giorno del Cristo sottoterra e nella immersione la notte. Colui che è nella notte più non vede e chi, invece, è nel giorno vive la luce, così nella immersione, come nella notte, nulla vedete, ma nella emersione di nuovo vi trovate come nel giorno. Nello stesso tempo siete morti e rigenerati. Quest’acqua salutare fu la vostra tomba e la vostra madre. Ciò che disse Salomone per altre cose si può adattare a voi. Nel passo infatti disse: «C’è il tempo di nascere e il tempo di morire». Per voi l’inverso: il tempo di morire è il tempo di nascere. Un solo tempo ha conseguito le due cose: la vostra nascita ha coinciso con la morte.
La realtà della salvezza
5. O cosa strana e paradossale! Non siamo veramente morti, né veramente seppelliti, né veramente crocifissi e risuscitati, ma l’imitazione in immagine è salvezza nella realtà. Il Cristo è stato realmente crocifisso, realmente seppellito e realmente è risorto. Ogni grazia ci è stata elargita perché partecipando alle sue sofferenze lo imitiamo guadagnando in realtà la salvezza. O misericordia senza misura! Cristo ha ricevuto i chiodi nelle sue mani pure ed ha sofferto; a me, invece, senza soffrire e penare, per la partecipazione è donata la salvezza.
Simbolo della passione di Cristo
6. Nessuno creda che il battesimo conferisca solo la remissione dei peccati e la grazia dell’adozione di figlio, come il battesimo di Giovanni che procura soltanto la remissione dei peccati. Ma noi sappiamo esattamente che come è la purificazione dei peccati e l’intermediario del dono dello Spirito Santo, così è il simbolo della passione di Cristo. Per questo Paolo poco fa ha proclamato altamente: «Ignorate che quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo, siamo stati battezzati nella sua morte? Noi siamo stati sepolti con lui mediante il battesimo». Questo diceva forse per alcuni che ammettevano il battesimo come intermediario della remissione dei peccati e della figliolanza dell’adozione e non la partecipazione in figura della vera passione di Cristo.
Una stessa pianta
7. Sappiamo dunque che quanto Cristo sopportò, l’ha sofferto in realtà e non in apparenza per noi e per la nostra salvezza, e noi diveniamo partecipi della sua passione. Paolo lo proclama con tutta franchezza: «Se siamo divenuti una stessa pianta con lui per la somiglianza nella sua morte, lo saremo anche per la resurrezione». Ben detto: «una stessa pianta». Qui fu piantata la vera vigna e noi, per la partecipazione al battesimo della morte, siamo divenuti una stessa pianta con lui. Approfondisci con molta attenzione le parole dell’Apostolo. Non dice: se siamo divenuti una medesima pianta con lui per la morte, ma per la somiglianza alla sua morte. In realtà in Cristo c’è stata la morte vera, l’anima si è separata dal corpo, la sua sepoltura fu vera e il suo santo corpo fu avvolto in un lenzuolo puro. In lui tutto è veramente avvenuto. Per noi è solo una somiglianza di morte e di sofferenze, ma per la salvezza non è somiglianza, ma verità.
Una nuova vita
8. Abbastanza istruiti in queste cose vi prego di ritenerle a memoria perché io indegno vi possa dire: «Vi amo perché sempre vi ricordate di me, ritenendo le tradizioni che vi ho trasmesso». Dio è potente. Egli che da morti vi ha reso vivi, vi concede di condurre una nuova vita. A lui la gloria e la potenza ora e per i secoli. Amen.

123456...9

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01