Archive pour mars, 2014

Bible scene with Jesus at the well with the Samaritan woman, (by African Jurnalist)

Bible scene with Jesus at the well with the Samaritan woman, (by African Jurnalist) dans 0. INNO ALLA CARITÀ (1COR 13,1-13) The+bible+scene+with+Jesus+at+the+well+with+the+Samaritan+woman+shows+signs+of+damage+and+peeling+of+paint

http://andrewmulenga.blogspot.it/2012/09/njase-girls-hidden-artistic-treasures.html

III DOMENICA DI QUARESIMA – (UN ALTRO COMMENTO-OMELIA)

http://www.ilcarmelo.it/la-parola-della-domenica/iii-domenica-di-quaresima-2.html

III DOMENICA DI QUARESIMA – (UN ALTRO COMMENTO-OMELIA)

Le letture che la Chiesa ci propone in questa terza domenica di Quaresima sono talmente ricche da rendere impossibile un’indagine approfondita di tutto ciò che mettono in campo. Per questo mi limito a delineare uno dei possibili percorsi a cui esse ci aprono, e cioè: è soltanto facendo esperienza (e facendo poi memoria) del Signore che mi incontra nel più intimo di me (Gv 4,5-42), che Egli può essere tolto dal banco degli imputati (Es 17,3-7), dov’è guardato con sospetto come un lui qualunque, e diventare un Tu con cui Vivere la vita (Rm 5,1-2.5-8). Cerco di spiegarmi… a partire dall’esperienza del popolo di Israele nel deserto: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». Ecco la domanda inquisitoria nei confronti di Dio che crea un evidente “ribaltamento” dei ruoli “classici” (di solito è dio che mette alla prova l’uomo!): qui invece il deserto, da terra di prova per la fede dell’uomo, diventa luogo dove in discussione vi è Dio in persona.
«Il Signore è in mezzo a noi sì o no?»… è la domanda di Israele nel deserto, ma non è certo una domanda che noi possiamo permetterci di guardare con sufficienza o superiorità: quante volte infatti è salita in gola anche a noi? Soprattutto proprio in quei momenti in cui, come si dice del popolo, si «soffriva la sete per mancanza di acqua»?
Per ognuno certamente l’esperienza del deserto e della sete assume contorni e sfumature personalissime, l’acqua che manca è per ciascuno connotata in modo singolarissimo, ma – mantenendo il paragone – non si può negare che quello della mancanza di acqua sia proprio un tratto caratteristico di questa nostra vita umana, di tutti e di ciascuno. «il credente fa fatica a scoprire il presente di Dio. E quindi va in crisi ad ogni sofferenza e si ribella: il Signore è in mezzo a noi o no? Rischia di regredire nella religione come schiavitù o di fuggir nel futuro apocalittico. Ma il Signore non vuole servi. Si offre come amico, che è presente adesso: io ci sono! è sempre la sua risposta» [Giuliano].
Ma non solo: comune a tutti e a ciascuno pare anche, almeno tendenzialmente, la reazione a questa carenza di acqua, di vita. Essa si connota infatti umanamente con l’inquisire Dio: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». È lui il primo imputato del nostro male di vivere, dei nostri stenti, delle nostre infelicità e solitudini, delle nostre povertà e miserie, dei nostri lutti… della nostra sete di Vita: Dov’era Dio? Interessante a questo proposito è notare come la domanda «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?» sia come urlata ad un cielo vuoto: non è rivolta a Mosè, né a nessun altro membro del popolo; e non è rivolta nemmeno a Dio stesso; Egli vi è infatti citato alla terza persona… Ed è interessante perché rimanda ad un’altra domanda – urlata da una croce – che interrogherà il cielo: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Anch’essa è la domanda di uno che ha sete (sete di vita), di uno che dispera, di uno che muore… ma – a differenza di quell’altra – è una domanda che, anche nel grido dello strazio, tiene aperto il dialogo con il Padre. È infatti la domanda di uno che continua comunque a dargli del Tu, a interpellarlo in prima persona.
È proprio questa la novità cristica, la sua risposta al nostro umanissimo istinto di mettere in discussione Dio: o Dio lo incontri nel dramma della libertà storica di Gesù, o, se rimane un’impalcatura religiosa, un insieme di pratiche e devozioni, non ti disseta, non ti salva, non ti dà Vita; resta sempre un idolo in terza persona… cioè uno sconosciuto.
In questo senso è significativo che il liturgista abbia posto in connessione alla sete di Israele nel deserto, il dialogo che Gesù intrattiene con la Samaritana sull’acqua viva che zampilla per la vita eterna.
Questo incontro tra la libertà storica di questo uomo – che possiede in sé la fonte della Vita – e questa donna – che invece ha in sé la fonte della sete – è così coinvolgente perché non rappresenta un esempio edificante, un modello stereotipo del rivolgersi al Signore. Esso è piuttosto raccontato nel suo snodarsi, nel suo svolgersi reale; e in questo senso noi lettori siamo come catturati dentro alla scena, dove «il prototipo della fede… è la donna di tanti mariti! … presso un antico pozzo biblico, a mezzogiorno, fuori orario per andare ad un pozzo, arriva infatti una donna mai vista prima, razza e religione diverse e conflittuali… Gesù, seduto lì, spossato dal viaggio, inizia un approccio sorprendente per lei (e anche per i discepoli, dopo). Un dialogo… come si impara una lingua ignota in terra straniera. Partendo dall’esperienza comune delle cose semplici e concrete, evidenti a tutte due, provoca l’intuizione di un significato nuovo, per successive ambiguità e spiegazioni, equivoci e chiarimenti. Smonta dolcemente un’impalcatura interiore di paure e pregiudizi, bisogni e desideri, legami e rimorsi… e le fa intravedere e le induce nel cuore una costellazione di orizzonti nuovi… e infine un totale sconvolgimento della vita. Attraverso il sentiero difficile dei fraintendimenti: l’acqua e la sete, l’amore e i mariti, Dio e la sua casa, il messia e il suo vangelo, il pane e la fame, il missionario e il salvatore… sono i passi di questa privilegiata catecumena, alla quale un catechista d’eccezione insegna il cammino per diventare… discepola e apostola, come lui la sogna. Un arduo viaggio interiore, per portarla a disseppellire una sorgente d’acqua viva per la sua sete, non chissà dove, ma nel proprio intimo, scavando nei sedimenti induriti che le impediscono la conoscenza di sé e quindi la conoscenza di Dio. Le due immagini infatti sono speculari dentro di noi, e solo nella purificazione e ricostruzione della propria immagine di sé s’illumina l’immagine di Dio, e viceversa. Il racconto vivace dei desideri e delle resistenze, dello stupore e delle riluttanze di questa donna, segna in filigrana i passi critici della fede» [Giuliano].
Così al seguito di questa donna anche noi abbiamo, ancora una volta, la possibilità di accedere al mistero dell’identità di Gesù vedendolo in azione, dal di dentro della sua vita: Egli è accessibile anche ai peccatori! In queste pagine infatti si rivela qualcosa di eccezionale: Dio è quel Gesù che camminando per le strade della Samaria si incontra (e qui il verbo va preso nel senso forte di “si mischia l’anima”) con una donna («Giunge una donna»), una donna considerata eretica («una donna samaritana»), un’eretica peccatrice («Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero») e proprio a lei si rende accessibile come fonte della Vita: «Sono io, che parlo con te». Ecco perché è possibile anche per noi metterci nella nuova prospettiva (convertirci) che «viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. [...] Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità».
Non è più questione di appartenenza etnica, religiosa, di genere, di casta, di santità… L’incontro col Signore è questione di spirito e di verità, o, se volete, di verità di spirito: cioè è questione di lasciarsi incontrare nella trasparenza del proprio essere, di quel centro vitale in cui noi siamo proprio noi… O Dio lo si incontra lì nel nucleo vitale della nostra singolarità, o non è Dio, di certo non è il Signore della mia vita, non può essere la fonte che mi dà Vita. È questa la nuova via aperta da Gesù nell’incontro col Padre: «noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo [...] perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato». E non tengono più neanche le remore etiche che ci facciamo o che ci mettono addosso: «Infatti, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi». Non c’è scusa per non avventurar la vita sulle strade di questa amicizia… neanche il male commesso fa più da ostacolo… nel poter lasciarsi zampillare l’anima.
Infatti: «L’amore non funziona perché non si apre all’altro, ma cerca se stesso, cioè la propria immagine e il proprio soddisfacimento. Non incontrando nessuno che lo ami, la sete insaziata moltiplica i tentativi di dissetarsi e la conseguente frustrazione… Anziché patire una grande sete, sembra più comodo inseguirne molte, piccolee inappaganti. Gesù non rimprovera la donna per i cinque mariti, le fa osservare la sua situazione senza aggressione moralistica… Sa che non ha imparato ad amare, perché nessuno l’ha mai amata gratuitamente, in perdita – per amore! È apprendimento più difficile e più importante della vita. Si impara ad amare per contagio, per esser venuti in contatto con chi ti fa sperimentare che amare vuol dire consegnarsi alla sete dell’altro. Questo amore accende una nuova dinamica interiore, che ha il suo senso e la sua garanzia in se stessa. Lo sappia o no, si è incendiata ad un Amore che genera e nutre ogni amore, senza fine» [Giuliano].

LECTIO DIVINA DI ESODO 17, 3-7

http://digilander.iol.it/comunitakairos/archivio/lectio/lettura/Esodo%2017,%203-7.htm

INTRODUZIONE ALLA LECTIO DIVINA DI ESODO 17, 3-7

III SETTIMANA DI QUARESIMA /A

3 In quel luogo dunque il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: “Perché ci hai fatti uscire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?”. 4 Allora Mosè invocò l’aiuto del Signore, dicendo: “Che farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!”. 5 Il Signore disse a Mosè: “Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani di Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e và! 6 Ecco, io starò davanti a te sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà”. Mosè così fece sotto gli occhi degli anziani d’Israele. 7 Si chiamò quel luogo Massa e Meriba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no?”.

“Il libro dell’Esodo è il cuore dell’A.T., il libro che è l’annuncio, il kerigma sul Signore, Dio unico, che ha eletto Israele, lo ha salvato dalla casa della schiavitù e si è legato ad esso attraverso l’alleanza del Sinai. Ciò che il Vangelo è per il Nuovo Testamento, l’Esodo lo è per l’Antico, ma senza di esso non sarebbe possibile comprendere l’esodo messianico definitivo operato da Gesù, il Figlio di Dio. … Siamo dunque di fronte al libro centrale per la Fede degli Ebrei, essenziale fondamento al compimento cristiano”.[1] L’Esodo è imperniato su due grandi temi narrativi: l’ uscita dall’Egitto, cioè appunto l’esodo (capp. 1-15,21) e l’alleanza del Sinai (19-40). In mezzo ci viene raccontata la marcia degli Ebrei nel deserto (15,22-18). E’ proprio in questa sezione di transizione che si colloca il nostro brano. Il deserto è il luogo per eccellenza della tentazione e del bisogno, della fame, della sete, della solitudine. E’ ovvio che gli Ebrei nella lunga traversata abbiano sentito la sete, e non certo una sola volta. Già in Esodo 15, 22-27 il popolo aveva mormorato contro Mosé per lo stesso motivo. Lì la situazione era proprio paradossale, perché davanti al popolo stava una distesa d’acqua amara, che infatti si chiamava Mara (in ebraico mar, amara, amarezza). Anche lì l’aiuto del Signore, invocato da Mosé, non si fece attendere e, con un legno gettato nell’acqua, essa divenne dolce. Ma perché chiedere l’acqua equivale a tentare il Signore? Non è solo una naturale richiesta di soddisfare un bisogno legittimo?
Evidentemente no, se in seguito a questo episodio il luogo prese il nome di Massa, cioè prova e Meriba, che significa contestazione[2]. La richiesta dell’acqua è la richiesta del segno visibile di una presenza: se la manna non era poi un segno così eloquente neanche per gli Ebrei, tanto che l’etimologia popolare riconduce il termine manna all’ espressione ”che è?”(Man hu’), di fronte all’acqua non ci sono dubbi. L’acqua è vita, ristoro, riposo. La Bibbia “nuota” in un mare di acqua di salvezza, anche se l’acqua può avere anche valenza negativa (pensiamo al Diluvio) La sola parola “acqua” la troviamo 582 volte nel Primo Testamento! [3]. La richiesta dell’acqua, come chiarisce il brano alla fine, è il bisogno del popolo di sapere che non è solo, che il Signore non lo ha abbandonato, che è ancora lì presente, è sempre l’Emmanuele. L’acqua dice che la relazione non è interrotta, che quel Dio non è l’Essere lontano e separato della filosofia occidentale, ma è il Dio della relazione, l’ESSERE CON, il Signore che di fronte alle folle stanche e affamate spezza pane che si moltiplica, perché si commuove, come una madre di fronte al figlio.
La sete d’acqua è in fondo sete di cielo. Non viene forse dal cielo l’acqua? Sarà per questo che l’ebraico sorride con tanti suggestivi giochi di corrispondenze, forse casuali, forse no: fra cielo (Samàijm) e acqua (Màjim); fra gola e anima (un’unica parola le dice entrambe: nefesh); fra occhio e pozzo (tutti e due sono detti ‘àjin). A proposito di quest’ultimo vocabolo, la connessione è molto forte. Il pozzo infatti (inteso come fonte d’acqua viva e non come cisterna) è considerato l’occhio del cielo, perché il cielo vi si rispecchia e ne viene accolto[4].
Un’ultima riflessione sugli altri due simboli presenti nel testo: il bastone e la roccia.
Il bastone può richiamare la guida rassicurante del pastore ma anche l’odiosità del potere che sottomette e schiavizza. Così il rabbi Rashi (XI sec.) spiega l’espressione con cui hai percosso il Nilo del v 5: “E’ stata aggiunta perché gli ebrei ritenevano che la verga non fosse destinata che alla punizione; con essa infatti furono colpiti il Faraone, l’Egitto, ed eseguite diverse piaghe in Egitto e presso il Mar Rosso, perché ha precisato: ‘Con la quale hai colpito il fiume, affinché vedano che questa serve anche per una cosa buona’ “.
La roccia può essere segno di sterilità, asprezza, immagine dell’ostilità della natura, da cui pure Dio ricava l’acqua vitale. E’ la chiave di lettura dei Salmi 78,15-16 e 105,41 o di Sap 11,4. Alcuni rabbini, invece, intesero la roccia come segno dell’amore di Dio che seguiva gli Israeliti nel deserto: cogliamo un’eco di questa tradizione in Paolo, 1 Cor 10, 4: …tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. D’altronde sono molti i salmi in cui Dio stesso è chiamato roccia.
Non stupiamoci della diversità e talvolta contraddittorietà di tutte queste interpretazioni: accettiamone la ricchezza, senza smarrirci. I rabbini dicono che ogni Parola della Scrittura ha 70 significati… ce n’è uno ‘giusto’ per ciascuno di noi. L’importante è raccogliere questo invito:
Girala e rigìrala, in essa c’è tutto. Rimìrala, invecchia e consùmatici sopra: non ti allontanare mai dalla Torah, poiché non c’è per te parte migliore di essa.[5]
————————————-

[1] Dalla premessa al “Commento esegetico-spirituale” all’ Esodo di Enzo Bianchi, ed. Qiqajon.
[2] Tra l’altro, la presenza di due nomi geografici fa pensare che ci fossero due tradizioni distinte dello stesso episodio.
[3] Ci ricorda Ravasi che più in generale ben 1500 versetti del Primo e 430 del Nuovo Testamento sono “immersi nell’acqua”, cioè si riconnettono a questa tematica.
[4] Ce lo ha spiegato Paolo De Benedetti, durante una puntata di “Uomini e profeti” su Radio tre.
[5] Avoth 5, Mishnah 22.

23 MARZO 2014 | 3A DOMENICA A | QUARESIMA | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/Anno_A-2014/3-QuaresimaA-2014/Omelie-Quaresima/03-Dom-Quaresima-A-2014/12-3a-Domenica-A-2014-SC.htm

23 MARZO 2014 | 3A DOMENICA A | QUARESIMA | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

« Arriva una donna di Samaria ad attingere acqua « 

Nella Liturgia di questa Domenica predomina il tema dell’ »acqua », con accezioni e significati diversi, che però contribuiscono a dare contenuto teologico più denso al « mistero » quaresimale.
L’antifona di inizio ci rimanda a un noto passo di Ezechiele, in cui l’acqua compare come dono « messianico » che, insieme allo Spirito, monderà gli uomini dai loro peccati: « Quando manifesterò in voi la mia santità… vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati da tutte le vostre sozzure e vi darò uno spirito nuovo » (Ez 36,23.25-26).
Nella prima lettura si fa riferimento al miracolo dell’acqua scaturita dalla roccia, quando Israele « mormorò » contro Mosè perché moriva di sete nel deserto (Es 17,3-7).
Qui l’acqua è considerata come elemento essenziale di vita: le si contrappone il deserto come luogo di aridità e di essiccazione di ogni fonte di vitalità. Senza l’acqua si muore! « Perché ci hai fatti uscire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame? » (Es 17,3). Pur nella disperazione, il popolo si ribella alla fatalità della morte e chiede a Dio il miracolo: saper chiedere da bere è segno che si desidera sopravvivere! È l’unico aspetto positivo in questa triste storia delle innumerevoli infedeltà di Israele nel deserto. All’acqua, con sottile allusione, rimanda anche il testo di Paolo che ci parla della « speranza » sempre viva nel cuore del cristiano, in forza dello Spirito che « ha riversato » nei nostri cuori « l’amore di Dio » e lo alimenta e rinfresca sempre da capo (Rm 5,5).
E poi c’è il meraviglioso brano evangelico dell’incontro di Gesù con la Samaritana. Si svolge tutto all’insegna dell’acqua, con sviluppi di « simbolismo » spirituale che aprono a orizzonti infinitamente più vasti, in cui Cristo e Dio stesso diventano la « sorgente » di vita che alimenta e inonda la terra. Con un rovesciamento di posizioni, però: non è l’uomo assetato che va alla ricerca di Dio, ma è Dio che ha « sete » dell’uomo e domanda di essere da lui accettato, come ha fatto Gesù con la Samaritana.

« Le disse Gesù: « Dammi da bere! »"
L’episodio della Samaritana è uno dei tratti tipici in cui il quarto Evangelista sviluppa alcune delle tematiche che gli sono proprie e che in genere consistono nell’approfondimento del mistero « cristologico ».
Esso comprende sostanzialmente due grandi dialoghi (prima con la Samaritana e poi con i discepoli: 4,7-26 e 31-38), inquadrati da alcuni versetti narrativi. I dialoghi, poi, si sviluppano secondo uno schema letterario ben noto in Giovanni: il progressivo rivelarsi di Gesù, che però non è compreso dagli uomini, i quali lo provocano così a manifestarsi nella sua vera identità. Al termine scatta la decisione dell’uomo davanti alla « luce » che gli viene da Dio: ed è sempre una decisione che cambia il cuore dell’uomo, gli fa mutare progetti di vita e gli fa assumere atteggiamenti totalmente diversi da quelli precedenti. È il dono della « conversione », mediante la quale Dio, rivelatosi in Cristo, diventa come lo « spirito » nuovo che guida i credenti.
Non potendo analizzare a fondo il bellissimo e lunghissimo brano ci limiteremo ad alcune osservazioni fondamentali.
Prima di tutto il mistero della « sete » di Gesù, che è anche una sete fisica, ma non solo quella. « In quel tempo Gesù giunse ad una città della Samaria chiamata Sicar… qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arriva intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: « Dammi da bere »" (Gv 4,5-7).
Intorno ai pozzi e alle sorgenti, nell’Antico Testamento, si sono svolti non pochi episodi determinanti nella vita dei Petrarchi,1 di Mosè2 e dello stesso popolo eletto durante l’Esodo.3 E se ne capisce il perché, data la preziosità e la rarità dell’acqua. Ponendosi a sedere « presso il pozzo », direi che Gesù riassume tutta quella storia passata e ne indica anche lo sbocco, perché in fin dei conti, come vedremo subito, l’acqua « vera » è lui.
Però in quel momento egli stesso ha davvero sete: siamo « verso mezzogiorno », lui è « stanco del viaggio » sotto il sole cocente della Palestina e, per di più, c’è una donna che proprio in quel momento viene ad « attingere » acqua con la sua ampia brocca. Di qui la sua spontanea e garbata richiesta: « Dammi da bere » (v. 7).

« Se tu conoscessi il dono di Dio »
Soltanto davanti alla meraviglia della donna, sorpresa perché un Giudeo le chiedesse da bere (v. 9), le rivela che la persona veramente bisognosa d’acqua fresca, in quel momento, era proprio lei.
Qui le parti si invertono, e il discorso volge all’allegorico: « Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice « Dammi da bere », tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva » (v. 10). La donna però non capisce o, meglio, tenta di ridurre il « dono » immenso di Dio in Cristo a qualcosa di molto banale e utilitaristico: « Signore, dammi di questa acqua perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua » (v. 15). I desideri della creatura umana sono sempre meschini e tentano di rinchiudere l’infinito nella pozzanghera angusta e paludosa del proprio cuore.
Gesù cerca allora di sospingere la donna, ormai incuriosita, più in alto, prima aprendole le porte dell’infinito e poi scoprendole gli abissi della sua miseria morale: « Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna… Hai detto bene « Non ho marito »; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito: in questo hai detto il vero » (vv. 14.17-18). C’è sempre qualche ostacolo all’ingresso di Dio nel cuore dell’uomo: la difficoltà non nasce dalla grandezza dei suoi doni, ma dalla resistenza sottile e avviluppante del male che si sente minacciato dalla « rischiarante » presenza della « verità » e dell’ »amore ».
Perché, in ultima analisi, questo vuol significare l’immagine dell’acqua viva che « zampilla per la vita eterna » (v. 14).
Per un verso, infatti, essa allude a Cristo in quanto si rivela come il Figlio di Dio che ci dà la « vita »: « Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza » (Gv 10,10). Per un altro verso, l’acqua allude anche al « dono » dello Spirito, che Cristo riverserà abbondantemente su di noi al momento della sua dipartita, come Colui che dovrà portare a compimento la sua stessa opera di salvezza: « Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: « Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me. Come dice la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno ». Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c’era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato glorificato » (Gv 7,37-39).
Con il dono dello Spirito i credenti hanno ormai la possibilità di essere « introdotti » in tutta la « pienezza » della verità e dell’amore, in un dinamismo e in una crescita continua che non hanno limiti se non nella piccolezza del nostro cuore.

« I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità »
Dal simbolismo dell’acqua il discorso si spinge anche più in profondità, sempre però in chiave « cristologica »: Cristo non è soltanto « l’acqua » che disseta e dà vita, ma anche il « luogo » del nuovo incontro con Dio, il Profeta degli ultimi tempi che non solo Israele ma anche i Samaritani aspettavano.
Ed è ancora la donna che provoca Gesù a ulteriori rivelazioni quando, vistasi scoperta persino nei risvolti più segreti della sua vita, per distrarre l’attenzione su di sé intavola una discussione sul luogo del vero culto da dare a Dio: « I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte4 e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare » (v. 20). Accanto agli altri, era questo uno dei motivi che contrapponevano Samaritani e Giudei (cf v. 9).
A questo punto Gesù fa la sua affermazione più solenne, in cui culmina tutto il movimentato dialogo con la donna: « Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità » (vv. 21-24).
Non si tratta di cambiare « luogo » per adorare in maniera giusta il Signore! Il problema è molto più grosso, ed è che ormai il « culto » stesso è cambiato di contenuto e di significato. Dio non è più il Dio « lontano », che gli uomini devono cercare di avvicinare e di propiziare con i loro sacrifici e le loro preghiere; egli ormai in Cristo si è fatto « vicino » a ognuno di noi e ci cerca addirittura, come sta facendo con la Samaritana, donandoci il suo Spirito e la sua parola di verità. L’espressione « in spirito e verità », infatti, non significa tanto un culto interiore e spirituale in contrapposizione a uno puramente materiale ed esteriore, come era il più delle volte il culto dell’Antico Testamento, quanto un culto animato e prodotto dallo « Spirito di Dio » che abita in noi e trasforma la nostra vita alla luce della « verità » rivelataci da Cristo.
Un culto totalmente « nuovo », dunque, che incomincia proprio adesso, in « questo momento » in cui Gesù si rivela alla donna.
Il che significa che è proprio lui il motivo di questa « novità », di questa capacità che gli uomini hanno di incontrare Dio in maniera diversa: infatti, è solo accettando lui che ormai gli uomini possono incontrare Dio. Il culto nuovo passa dunque per lui; anzi è lui stesso il « nuovo culto ». « Così il tema posto dalla donna al v. 20 non viene tralasciato. La risposta di Gesù tratta sempre del luogo del vero culto, del vero tempio. Ma, ora, Gesù è il nostro tempio, che sostituisce da questo momento il santuario del monte Garizim e quello di Gerusalemme ».5

« Egli è veramente il Salvatore del mondo »
A questo punto la rivelazione è completa. Alla donna che rimanda al futuro Messia dei Samaritani la rivelazione o la conferma delle cose dettele da quello strano Giudeo, Gesù risponde: « Sono io che ti parlo » (v. 26). Essa allora, piena di gioia e di stupore, corre in città a dire a tutti: « Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse lui il Messia? Uscirono allora dalla città e andarono da lui » (vv. 29-30).
È evidente in tutto questo brano l’interesse universalistico di Giovanni: anche se rimane vero che « la salvezza viene dai Giudei » (v. 22), come afferma in maniera solenne Gesù, essa abbraccia tutti, a incominciare da quelli che sono più vicini ai Giudei, cioè i Samaritani. È la confessione di fede di questi ultimi, infatti, che lo proclamerà in maniera esplicita: « Noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo » (v. 42).

« Guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura »
Un’ultima parola vorremmo dire sul più breve dialogo con Gesù dei discepoli al loro ritorno dalla città, dove erano andati per cercare il cibo per sé e per il Maestro. Anch’essi non afferrano le sue parole, un po’ come la Samaritana: il mistero è arduo anche per chi già crede! Al loro invito a mangiare, rivolto al Maestro, Gesù risponde rifiutando: « Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete » (v. 32). Tanto che essi pensano che qualche altro gli abbia portato da mangiare (v. 33).
Gesù allora si sforza di far capire il senso recondito delle sue parole: « Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e di compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: Uno semina e uno miete. Io vi ho mandato a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro » (vv. 34-38).
Dalla immagine dell’acqua a quella del « cibo »: sono tutti e due elementi vitali. Il mondo della fede trova il suo punto di innesto nelle nostre esperienze di ogni giorno, che non hanno mai una spiegazione sufficiente in se stesse. Anche il nostro mangiare trascende se stesso!
Ma a noi interessa qui cogliere il rapporto di Cristo con la « volontà » del Padre che « lo ha mandato » e con l’ »opera » che gli resta da compiere (v. 34). Qual è questa « opera »? Da tutto il contesto risulta essere la « missione », a cui egli invia i suoi Apostoli e il cui successo in mezzo ai Samaritani è come una anticipazione prefigurativa: « Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura » (v. 35).
C’è dunque un desiderio fremente di essere salvati, talvolta allo stato inconscio, mescolato forse con altri fermenti che sono soltanto di rabbia, di rivolta, o di disperazione. Come risponde la Chiesa a queste « attese » della « povera gente », siano essi giovani frustrati o delusi, poveri sfruttati o emarginati, malati messi da parte o dimenticati, intellettuali disorientati o smarriti pur nella loro presunzione, gaudenti ormai nauseati della loro stessa sazietà e della loro ricchezza? È proprio vero che il mondo è sordo al messaggio di Cristo, oppure siamo noi cristiani sordi al grido di aiuto che ci viene da chi ha fame e sete di amore e di verità?
L’episodio della Samaritana sta a dirci che nel cuore della gente apparentemente più lontana o più disperata c’è ancora un desiderio di salvezza e un filo di speranza. La Quaresima dovrebbe renderci non solo più cristiani ma anche più « missionari »! Il che, poi, è la stessa cosa.

Da: CIPRIANI S., Convocati dalla Parola.

Gesù benedice i bambini

Gesù benedice i bambini dans immagini sacre christchildren

http://theinnerkingdom.wordpress.com/2011/02/01/convert-become-like-children/

Publié dans:immagini sacre |on 20 mars, 2014 |Pas de commentaires »

TEMPIO DELLO SPIRITO SANTO (corporeità e dintorni)

http://www.diocesicuneo.it/carlo/fede/terradimezzo/corporeita/06.htm

TEMPIO DELLO SPIRITO SANTO

(corporeità e dintorni)

Con il corpo sei nato, sei cresciuto, ti relazioni con gli altri e con il mondo. Con il corpo ricevi i Sa-cramenti e cogli i segni della presenza di Dio attorno a te. Con il corpo sei chiamato a rispondere a Gesù, che ti dice: « vieni e seguimi ».
Tu, la tua persona non esiste a prescindere dal corpo. I greci sostenevano che il corpo è la prigio-ne dell’anima come una realtà estranea da abbandonare appena possibile. Per loro quello che contava era l’anima. Questa visione parziale dell’uomo ha condizionato per parecchio tempo anche il nostro modo di leggere la Parola di Dio e la storia di ogni giorno.
La Bibbia ci dice che Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, come unità inscindibile di corpo, mente, anima. Scindere questa unità significa ridurre l’uomo in frantumi. Al termine della creazione, ci dice il libro della Genesi: « Dio vide tutto quello che aveva fatto ed ecco vide che era molto buono ». Dio non si pente di aver creato l’uomo, ma si compiace.
L’uomo esiste perché chiamato all’esistenza da Dio e il suo pieno compimento sta nell’incontrare Dio e vivere con lui eternamente. E siccome questo non è così immediato, Dio stesso si è scomo-dato per incontrarci e dirci che è possibile e che ha a cuore la riuscita della vita di ciascuno, senza eccezioni. Il Padre desidera incontrare ogni uomo per realizzare le promesse di gioia e di serenità, che le vicende della vita non sempre garantiscono.
Ogni uomo è chiamato attraverso Gesù ad incontrare il Dio della vita con tutta la sua persona, cor-po e anima. Il corpo stesso non è destinato a marcire, ma a risorgere.
Creato ad immagine e somiglianza di Dio, redento da Gesù sulla Croce, l’uomo non ha ragioni per disprezzare il proprio corpo. Anzi, il corpo è tempio dello Spirito Santo ci dice san Paolo.
« Sia che mangiate, sia che beviate, sia che lavoriate, tutto fate a gloria di Dio » (1 Cor 10,31)
Il tuo corpo è tempio dello Spirito Santo: te ne sei già accorto? Quali scelte concrete hai fatto in questo ultimi mesi per rendere accogliente, per ‘abbellire’ questo straordinario tempio dello Spirito Santo? Fai dello sport? Che tipo di sport pratichi? Senti che ti aiuta a sviluppare le tue capacità, oppure è un peso che subisci?
Dicono i grandi, quelli che la sanno lunga … Tu cosa ne pensi?
* Oggi si diventa adulti più presto, ma si chiudono in questo modo altre strade ed altre possibilità di vivere l’età adulta in modo più articolato. Molti giovanissimi si comportano da grandi, emancipan-dosi presto dalla famiglia, fumano, bevono, svolgono un’attività sessuale, in realtà hanno una ma-turità solo apparente. Infatti la precocità espone l’adolescente al rischio di assumere abitudini di vi-ta pericolose per la salute fisica e psicologica, e lo espone ad abitudini che limitano il suo sviluppo. Il consumismo affettivo brucia il significato dei rapporti sessuali.
* Una volta la durata era un valore, non ci si « metteva insieme », ma ci si fidanzava (il che implica dare scopo al proprio rapporto). Prima di fidanzarsi si pensava seriamente a cosa si andava incon-tro e una volta decisi, per mantenere la promessa fatta, si era disposti a qualunque sacrificio. L’incapacità di legami forti è indice di mancanza di un progetto, di scarso coinvolgimento persona-le, di superficialità di sentimenti.
Come mi devo presentare alle altre persone? Con le mie vere qualità o con l’immagine che mi sono creato? Io cambio il mio carattere, il mio modo di fare e il mio atteggiamento in ba-se alle persone con cui mi trovo. Faccio bene?
Quando incontri una persona, soprattutto quando le vuoi bene, desideri che sia se stessa. Non ti va di incontrare un maschera: ti darebbe abbastanza fastidio scoprire che con te si presenta in un modo e con gli altri è un altro.
La risposta alla domanda viene da sé accogliendo quella saggia massima che recita: « tratta gli altri come vorresti essere trattato da loro ». Se vuoi che la relazione con una persona funzioni ti devi presentare per quel che sei.
È anche vero che in ogni situazione le aspettative che nutriamo e il giudizio degli altri condizionano il nostro comportamento e ci inducono ad indossare ogni volta un « abito adatto a quella situazio-ne ». In alcuni casi questo è imposto dalla società che ha usi e costumi non sempre in consonanza con il nostro modo di vedere le cose.
Altrettanto vero è l’impossibilità di avere con tutti lo stesso affiatamento e comportarsi allo stesso modo. Forse non sarebbe neppure giusto: con qualcuno è bene avere rapporti di amicizia anche profonda, con altri sono sufficienti rapporti di lavoro, occasionali …
Tuttavia occorre guardarsi dal pericolo di mentire a se stessi. Le maschere rischiamo di trasforma-re la tua personalità, il tuo carattere, il tuo modo di relazionarti. Un po’ alla volta diventi incapace di essere te stesso e cadi nella tristezza. La vita che vivi non è più vera, perché non ti realizza. Fai le cose per mantenere l’immagine che ti sei costruito, non per essere felice.

Publié dans:teologia del corpo |on 20 mars, 2014 |Pas de commentaires »

L’INNO CRISTOLOGICO DELLE LETTERE DI PAOLO – LA CONDIVISIONE ATTORNO ALLA PAROLA DI DIO

http://web.cathol.lu/servicesdienste/pastorale-biblique/se-convertir-au-christ/article/les-hymnes-christologiques-des

(traduzione Google dal francese)

L’INNO CRISTOLOGICO DELLE LETTERE DI PAOLO

2. LA CONDIVISIONE ATTORNO ALLA PAROLA DI DIO

Per leggere e condividere intorno a testo selezionato
Per Paolo, Gesù è il « primogenito » di un popolo chiamato a vivere la pienezza della vita secondo la volontà di Dio « , il solo saggio » (Rm 16,27). L’inno che apre la Lettera ai Colossesi (scritti tra gli anni 61 e 63), esprime chiaramente questo concetto (cfr. Col 1,15-20). Nella prima parte (vv. 15-17), l’autore è stupito di vedere il Cristo, « immagine del Dio invisibile », presiederà come « Primogenito » tutta la creazione, perché è  » da lui « e » per lui « tutto è stato creato. E ‘Cristo che dà coerenza a tutta la creazione, perché in lui abita la pienezza del piano creativo di Dio (cfr. Ef 1,10; 1Cor 15:28, Rev. 1.18, 2.8, 21, 6). Nella seconda parte (vv. 18-20), l’autore loda Cristo come sorgente della nuova creazione, e il risultato finale del primo: è il « Capo del Corpo », il « principio » e  » primogenito dei morti.  » Per l’autore, l’evento di Cristo, specialmente la sua risurrezione, non può essere inteso come un evento isolato, raggiungendo solo l’uomo Gesù di Nazareth, come se un evento cosmico. Infatti, Gesù risorto è la risurrezione di tutta l’umanità è avviata (cfr. 1 Cor 15). Il rilascio in attesa che attraversava l’intera creazione diventa realtà ora (cfr. Rm 8,18-22; 1Cor 3,22).
Infatti, in un altro inno, nella lettera inviata al scritto tra gli anni 61 e 63 Efesini, Paolo proclama che Gesù è il « Amato », in cui siamo benedetti. In Cristo, Dio ci ha riempito con le Sue benedizioni a lui ci adotta come suoi figli (cfr. Ef 1,3-14). Uno è, infatti, per Paul, il significato nascosto di tutta la storia umana è ora rivelata in Cristo crocifisso e risorto (cfr. Rm 16,25 s, 3.11; 2 Timoteo 1:09) Dio, fedele a Progetto creatore, ha fatto in Gesù, le nuove e definitive diritti (leggi Ef 4,24; 2 Cor 5,17), che era latente nel « primo Adamo » (leggi 1 Cor 15,35-49). In definitiva, attraverso l’incarnazione Dio ha mostrato che il Signore Risorto è il significato, il centro e il fine della creazione e tutti noi. In lui il disegno di Dio si realizza concretamente e definitivamente in una persona, nella ricca espressione di L. Boff Teologo: lui « utopia divenne luogo / topos ». Se la storia umana continua e avanza in mezzo a forti dolori del parto dell’umanità finale (cfr. Mc 13,8; Rm 8,22), dopo la risurrezione di Gesù, la quota discepoli questa passeggiata annunciando, da discorso e la pratica della solidarietà con la sofferenza, alla fine della strada, non è la morte o una sciocchezza, ma la vita, la giustizia di Dio Padre che ama gli uomini creò per pura filantropia.
La ragione per l’esistenza di Cristo, non può essere oggetto di peccato umano e ancor meno l’ira di un Dio vendicativo che è amore, il vero motivo di Dio fatto uomo è quindi in questo amore Dio ha voluto creare per l’amore al di là di se stessa. In questo senso, la croce non è voluta da Dio, ma è « contingente », è nella storia come conseguenza del rifiuto di Gesù e del suo messaggio e non come un sacrificio imposto dal Padre al Suo Figlio « Carissimi ». Così, la croce rivela, come San Giovanni, la gloria di Dio, che ci ha amati fino alla fine della sua vita, a condividere la condizione umana, con tutto ciò che ha drammatiche. Cristo è il « primogenito di tutta la creazione » è stato pianificato da Dio da tutta l’eternità per avvicinarsi all’uomo e fargli vedere il « vero cammino che conduce alla pienezza della vita » (cfr. Giovanni 14:6 ). L’Uomo-Dio, Gesù Cristo, è la prima voluta da Dio, e in lui tutte le creature è venuto per essere e sono ugualmente amati.

12345...9

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01