1COR 4,4: ANCHE SE NON SONO CONSAPEVOLE DI COLPA ALCUNA…

http://www.oratoriosanfilippo.org/omelia.pdf

(domenica mi aveva fatto meditare questa frase di San Paolo così ho cercato qualcosa)

ORATORIO SAN FILIPPO (PDF)

1. «ANCHE SE NON SONO CONSAPEVOLE DI COLPA ALCUNA NON PER QUESTO SONO GIUSTIFICATO. IL MIO GIUDICE È IL SIGNORE». (1Cor 4,4)

Cari fedeli, l’apostolo Paolo è certo che il ministero apostolico avendo il profilo dell’amministrazione di beni non propri, sarà sottoposto a giudizio.
Al giudizio di chi?
Al giudizio della comunità umana in cui esercita il suo ministero? al giudizio – diremmo noi –della storia? Di questi due tribunali l’Apostolo se ne “infischia” altamente. Esiste anche un altro tribunale a cui l’Apostolo dedica un’attenzione molto più seria: il tribunale della propria coscienza. Egli non esclude che questo tribunale emetta la sua sentenza, che nel caso di Paolo è di assoluzione piena: «non sono consapevole di colpa alcuna». Tuttavia, il giudizio della coscienza non è l’istanza suprema: «non per questo sono giustificato». Quale è l’istanza suprema? «il mio giudice è il Signore».
Cari fratelli e sorelle, questa pagina dell’Apostolo è un’ottima chiave interpretativa di tutta la vicenda umana e cristiana di Newman. Essa può essere narrata tutta nel modo seguente: la fedeltà alla coscienza, in quanto essa è l’originaria rivelazione di Dio all’uomo. Il beato in una sua omelia disse: «Oh potessimo vedere le cose con tanta semplicità, da sentire che l’unica cosa che abbiamo da fare è piacere a Dio! A confronto di questo, a che cosa serve piacere al mondo, piacere ai grandi, e perfino piacere a coloro che amiamo? A che cosa serve essere applauditi, ammirati, corteggiati, seguiti, in confronto a un unico intento, di non essere disobbedienti a una visione celeste?» [cfr. Apologia pro vita sua, Paoline, Milano 2001, 258]. Risulta dunque chiaro che la concezione che il beato ebbe della coscienza non ha nulla, assolutamente nulla, in comune con ciò che con questa parola oggi comunemente si intende: la propria opinione, il proprio sentire. Per il beato la coscienza non è l’interiorità dell’uomo chiusa in se stessa, ma è il luogo dove l’uomo viene riferito ad una Verità che lo trascende. Veramente si realizza così per l’uomo la parola del salmo responsoriale: «il Signore è il mio pastore … mi guida per il giusto cammino». Newman espresse questo orientamento fondamentale della sua vita con una frase che amava ripetere spesso come un proverbio: «la santità piuttosto che la pace» [cfr. Apologia … cit., 139]. Il cammino che il beato compie è guidato da una certezza: «vi è una verità; vi è una sola verità, l’errore religioso è per sua natura immorale; […] si deve temere l’errore; la ricerca della verità non
deve essere appagamento di curiosità; l’acquisizione della verità non assomiglia in niente all’eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla» [Lo sviluppo della dottrina cristiana, il Mulino, Bologna 1967, 377]. Queste parole, che sconvolgono il nostro “udito” abituato a ben altri discorsi oggi sulla verità, testimonia il momento più drammatico della sua vita: il passaggio dalla comunione anglicana alla Chiesa cattolica, e dicono che cosa in realtà significa fedeltà alla coscienza. È per la «venerazione e timore» per la verità che Newman diventa cattolico. 2. «Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore». Cari fratelli e sorelle, il beato visse sempre la sua vita in un servizio fatto agli altri. Il suo è stato un servizio alla verità. Alla fine della sua vita, Newman facendo come un bilancio di essa, né rivela il senso: «fin dall’inizio mi sono opposto ad una grande sciagura. Per trenta, quaranta, cinquant’anni ho cercato di
contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi. (…). Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia» [Il biglietto-Speech di J.H. Newman in occasione dell’elevazione alla dignità cardinalizia il 12 maggio 1879]. Questa è stata la sublime passione apostolica di Newman: mostrare l’intima bellezza, verità e ragionevolezza, della proposta cristiana fatta dalla Chiesa cattolica. Convinto che alla fine, oggi,
l’unica alternativa alla proposta cristiana è l’ateismo.

Publié dans : Lettera ai Corinti - prima |le 3 mars, 2014 |Pas de Commentaires »

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