Virgen con el niño

PAOLO NELL’ARTE ACCANTO A PIETRO
(diverse immagini esplicative nel sito)
La celebrazione del bimillenario di san Paolo ci induce a compiere uno sguardo panoramico sulla produzione artistica che raffigura l’Apostolo. Il ricordo va immediatamente al capolavoro di Caravaggio La Conversione di S.Paolo che si trova nella Chiesa di S.Maria del Popolo a Roma, un’opera del 1601che ha ripreso un dipinto precedentemente realizzato dall’artista (ora nella collezione Odescalchi Balbi) sullo stesso tema, dove appare il Cristo che irrompe verso Saulo riverso a terra e accecato. Nell’opera della chiesa agostiniana di S.Maria del Popolo, al clamore dell’opera precedente, subentra una straordinaria compostezza. La luce piove dall’alto e scivola sul corpo del cavallo per inondare Paolo riverso e abbagliato. La valenza simbolica è evidente: la luce è la grazia di Cristo che lo richiama: “Saulo Saulo perchè mi perseguiti?” e scende sul persecutore per trafomarlo col dono della conoscenza. La luce, nel circolo creato, genera un vertice di trascendenza. Altre opera raffigurano momenti diversi della storia di Paolo, ma l’iconografia consueta nella maggioranza delle raffigurazioni specialmente nelle cappelle e nei polittici, è invece quella che lo accomuna alla figura di Pietro in un discorso simbolico che ha come convergenza la Chiesa fondata sulla parola di Gesù, da Pietro “apostolo dei circoncisi (ebrei) ” e da Paolo “l’apostolo delle genti (i pagani) ” (Gal.2,7) Quest’uso iconografico risale alle origini, come appare dalle testimonianze letterarie del I e II secolo, la lettera di Clemente Romano ai Corinzi, databile alla fine del I secolo e, nel sec II, quella di Gaio, un presbitero della Chiesa di Roma che, polemizzando con un montanista sui luoghi dove erano sepolti gli Apostoli, dichiara: «Io potrò mostrare i trofei degli Apostoli: se andrai in Vaticano e sulla via di Ostia, troverai i trofei di coloro che hanno fondato questa Chiesa» (Eus. H. E. II, 25,7). E poi ci sono le testimonianze archeologiche, molto importanti per quel tempo privo di immagini. Un’iscrizione trovata nella necropoli Laurentina di Ostia di fine II secolo (CIL XIV 566) in cui un membro della gens Annaea, la stessa di Seneca, pone una dedica al figlio M. Annaeo Paulo Petro, un inconsueto doppio cognome, che compare solo qui. Atro importante documento archeologico, è il complesso dei graffiti con invocazioni e preghiere a Pietro e Paolo lasciate dai fedeli nel sec. III, sulle pareti della Memoria Apostolorum, la triclia della Catacomba di San Sebastiano a Roma, quando i resti dei due apostoli durante la persecuzione di Valeriano del 257, vennero provvisoriamente trasportate ad catacumbas. (A.Ferrua, 1990, pp. 20,21). L’arte nelle sculture dei sarcofagi del sec. IV ha sempre accomunato Pietro e Paolo, li ha presentati accostati o accanto a Cristo, raffigurato nell’atto di consegnare loro il mandato come vediamo nelle stesse imamgini catacombali di III e IV secolo e nei catini absidali delle basiliche come in quello stupendo di S.Pudenziana a Roma del sec IV dove Pietro è incoronato con i simboli della Chiesa dei circoncisi e Paolo con quella dei Gentili cui egli era stato mondato. Pietro e Paolo vengono raffigurati dialoganti o abbracciati come nell’avorio di Castellammare di Stabia , o associati nella sorte del martirio come nei Sarcofagi di Passione del sec IV dei Musei Vaticani di Roma. In queste opere la figura di Paolo è sempre rappresentata secondo le descrizioni delle fonti più o meno canoniche: segnato da un’incipiente calvizie, la barba quasi incolta e appuntita, basso di statura, le gambe curve, il naso aquilino. Mostrato nell’atteggiamento pensoso e ispirato del filosofo o nel gesto dell’acclamazione; accompagnato dal rotolo dalla corona (simbolo del premio) dal libro, soprattutto la spada che ha un duplice significato iconografico: simbolo dell’apostolo che predica la parola di Dio “ viva efficace, più tagliente di una spada a doppio taglio” (Eb.4,12) e anche simbolo del suo martirio. Per Pietro, oltre alla folta capigliatura, è essenziale la presenza delle chiavi conferitegli da Cristo (Mt. 16,28) e talvolta il libro. Talvolta è raffigurato nella scena del martirio di Stefano, nella figura del giovane Saulo che custodisce i mantelli del lapidatori. Una scena che ci parla dell’implacabile persecutore prima che l’incontro con Cristo sulla via Damasco travolgesse Paolo, fino a farlo diventare Vangelo vivente: « Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me » (Gal.2,20) Un’opera particolarmente interessante ci sembra l’altare marmoreo dei Ss.Pietro e Paolo posto a sinistra nel deambulatorio all’interno del Duomo di Saluzzo (Cn). Recava la data, oggi non più visibile, del 1520, venne attribuito a Matteo Sanmicheli o a Benedetto Briosco junior, comunque ad uno scultore lombardo. Dall’osservazione appare come lo sviluppo tematico sia fortemente cristocentrico: dall’Incarnazione del Verbo – l’Annunciazione e il Natale – alla morte, indicata dalla presenza dei soldati travolti, alla Risurrezione. Il complesso scultoreo è come sostenuto, nella struttura architettonica di base, dalle belle figure di Pietro e Paolo che conferiscono al complesso un contenuto chiaramente ecclesiale: la Chiesa delle origini annuncia Cristo, il Verbo incarnato, morto e Risorto; l’annuncio Kerigmatico che, dalle origini, si è trasmesso lungo i secoli, sino a noi. Concludiamo con le raffigurazioni della parrocchiale intitolata ai Santi Pietro e Paolo di Sampeyre dipinta dai Biazaci di Busca tra gli anni ’70 e ’80 del sec. XV. Nell’ampio spessore del sottarco della cappella a destra, i Santi Pietro e Paolo sono collocati dentro una nicchia colorata di rosa come la parete e il pavimento. S.Paolo trattiene con la sinistra il mantello rosso e sorregge il libro, con la destra sostiene la lunga spada, osservato benevolmente da Pietro accanto a lui. Paolo è caratterizzato da uno sguardo deciso e penetrante rivolto all’osservatore. Il pittore ha caricato l’immagine dalla vivezza espressiva che scaturisce dalla lettura delle forti lettere di questo cofondatore del cristianesimo, esprimendo quel mandato che l’ha visto infaticabile fondatore di numerose chiese dell’Asia minore sino a Roma, una forza decisionale: ”Guai a me se non avangelizzo!” (I Cor.9,16) che il pittore sembra aver sottolineato nel piede destro posizionato in partenza. Purtroppo l’iconografia consueta non riesce a rendere totalmente la figura di Paolo nella sua umanità, caratterizzata anche dalla debolezza, dalla “spina nella carne” e dalla preoccupazione paterna per le comunità fondate. Paolo innamorato di Cristo lo era anche dei fratelli, per essi diventa il cantore della libertà dei figli di Dio esprimendo accenti di indimenticabile affettuosità. Guadagnando Cristo, Paolo guadagna anche la sua apertura di sentimenti nei confronti dell’umanità. « San Paolo scrisse il beato Don Alberione – è un cuore: un cuore avvampante d’amore verso Dio; un cuore tenerissimo di affetto per i suoi. Il cuore di Paolo è diventato il cuore di Cristo; e Gesù ha cambiato questo cuore di leone feroce, spirante minacce e furente di stragi, in un cuore di tenerezza”
MIRELLA LOVISOLO, 2009
CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA
CELEBRAZIONE EUCARISTICA PER I PARTECIPANTI AL SEMINARIO DI AGGIORNAMENTO PER I VESCOVI DEI TERRITORI DIPENDENTI DALLA CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI -
1 COR – BIBLICA – SACRAMENTARIA
OMELIA DEL CARD. ZENON GROCHOLEWSKI
Pontificio Collegio di San Paolo Apostolo, Roma
Lunedì, 18 settembre 2006
In questi giorni di preghiera e di riflessione siamo desiderosi di essere illuminati e rafforzati, per saper dedicarci con tutte le forze ed efficacemente al servizio del Signore. In tale prospettiva la comune celebrazione dell’Eucaristia non è qualcosa accanto, ma svolge un ruolo rilevante. Proprio alla Celebrazione Eucaristica vorrei dedicare la mia breve riflessione. Le odierne letture (lunedì della 24 sett. del T.O. anno pari), infatti, ci suggeriscono qualche considerazione al riguardo.
1. L’esame di coscienza per come celebriamo l’Eucaristia Nella prima lettura (1 Cor 11, 17-26) san Paolo si dimostra amareggiato a motivo del fatto che i Corinzi, per le loro divisioni, per il comportamento scorretto e soprattutto per la mancanza di carità, per egoismo, profanano il loro « mangiare la cena del Signore », profanano la Celebrazione Eucaristica. Ci impressionano i fatti denunciati che hanno accompagnato tali celebrazioni, come la golosità e l’ubriachezza. Sono quindi dure le parole di san Paolo: « Fratelli, non posso lodarvi per il fatto che le vostre riunioni non si svolgono per il meglio, ma per il peggio [...] Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo! ». Nel seguito del brano che abbiamo ascoltato, san Paolo continua: « Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore ». Di conseguenza, l’Apostolo invita a fare l’esame di coscienza: « Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna » (1 Cor 11, 27-29). Noi, celebrando oggi l’Eucaristia, certamente non meritiamo un rimprovero per i fatti scandalosi descritti da san Paolo. Forse ci sono, però, altre mancanze nei nostri cuori che fanno sì che il nostro atteggiamento non corrisponda pienamente a quello che dovrebbe caratterizzare ogni ministro sacro nella celebrazione dell’Eucaristia. Il grave rimprovero di san Paolo ai Corinzi, comunque, ci suggerisce di esaminare la coscienza e di riflettere sull’incidenza dell’Eucaristia sul nostro ministero episcopale. L’Esortazione Apostolica Post-sinodale Pastores gregis « sul Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo » (16 ottobre 2003), osserva: « l’Eucaristia è al centro della vita e della missione del Vescovo, come di ogni sacerdote » (n. 16a). Anzi, dice: « Tra tutte le incombenze del ministero pastorale del Vescovo, l’impegno per la celebrazione dell’Eucaristia è il più cogente e importante [!] » (n. 37d), sia per quanto riguarda la propria celebrazione sia per quanto concerne il compito di provvedere affinché i fedeli abbiano la possibilità di partecipare fruttuosamente alle degne celebrazioni eucaristiche. Infatti, se nell’Eucaristia è realmente presente il Mistero Pasquale, da cui nacque la Chiesa, di cui la Chiesa vive, si nutre e si edifica (cfr Enc. Ecclesia de Eucharistia); se « l’Eucaristia è fonte e culmine di tutta la vita cristiana »; se « tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere ecclesiastiche di apostolato, sono strettamente uniti alla sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati » (CCC, n. 1324); allora non ci può essere una cosa più importante per un Vescovo che l’Eucaristia, qualsiasi dimensione della sua vita e del suo apostolato prendiamo in considerazione. Quindi anche nell’aspetto delle vocazioni agli Ordini Sacri, per le quali preghiamo nell’odierna Messa in modo del tutto particolare, l’Eucaristia rimane « fonte e culmine » del nostro operato e della nostra preoccupazione in questo campo. Con l’Eucaristia, infatti, per renderla quello che essa deve essere nella nostra vita e nel nostro apostolato, dobbiamo misurarci ogni giorno di nuovo. Pertanto, mentre siamo sempre pieni di stupore di fronte al mistero che celebriamo, all’inizio di ogni Santa Messa invochiamo la misericordia del Signore su di noi. Sia fatto questo sempre con serietà e riflessione, allo scopo di rendere costantemente più perfetta la nostra celebrazione.
2. La carità la fede e l’umiltà Vediamo che cosa ci dice a tale riguardo il Vangelo che abbiamo ascoltato (Lc 7, 1-10)! Esso non parla dell’Eucaristia, ma della guarigione del servo di un centurione pagano. Nondimeno questa scena del Vangelo getta pure una luce sull’atteggiamento necessario per una degna e fruttuosa celebrazione dell’Eucaristia, tanto più che prima di assumere il Corpo e Sangue di Cristo durante la Messa ripetiamo proprio le parole del centurione, un po’ parafrasate: « Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma dì soltanto una parola e io sarò salvato ». Il racconto di Luca è molto significativo. Egli espone gli elementi dell’atteggiamento del centurione che gli hanno guadagnato la benevolenza di Gesù. Essi appaiono progressivamente in due distinti momenti. Nel primo momento, gli anziani dei Giudei, mandati dal centurione a Gesù, intercedono per lui dicendo: « Egli merita che tu gli faccia questa grazia [...], perché ama il nostro popolo, ed è stato lui a costruirci la sinagoga ». Il primo elemento, quindi, che capta la benevolenza di Gesù è la bontà, la carità che il centurione ha esercitato. Dopo questa raccomandazione, quindi, Gesù si incammina verso la casa del centurione. San Paolo nella prima lettura rimproverava ai Corinzi proprio la mancanza di carità. La carità, l’amore di Dio e dei fratelli ci ottiene la benevolenza del Signore anche nel nostro accostamento all’Eucaristia. Si deve avere presente a tale riguardo che l’Eucaristia racchiude il più grande atto d’amore di Dio verso di noi. L’amore quindi ci predispone per la fruttuosa celebrazione dell’Eucaristia e questa, dal canto suo, celebrata degnamente, ci fa crescere nell’amore. Ecco, il primo aspetto dell’atteggiamento corretto, ricavato dall’odierno Vangelo, nel celebrare degnamente l’Eucaristia: l’amore, la carità. Nel secondo momento, quando già i protagonisti della scena dell’odierno Vangelo erano non molto distanti dalla casa del centurione, accade una cosa straordinaria, che suscita l’ammirazione di Gesù. Il centurione manda alcuni amici a dire a Gesù: « Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono uomo sottoposto a un’autorità, e ho sotto di me dei soldati; e dico all’uno: Va ed egli va, e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa questo, ed egli lo fa ». L’Evangelista nota: « All’udire questo Gesù restò ammirato e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse: « Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande! »". E il servo all’istante è stato guarito. Quante volte, del resto, Gesù ha compiuto miracoli scorgendo e premiando la fede! La fede costituisce certamente un atteggiamento che permette a Dio di colmarci dei suoi doni. Senza la fede, comunque, neppure si capisce l’Eucaristia. Mi permetto qui ripetere le parole di san Paolo citate all’inizio: « chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore [ossia senza la fede eucaristica], mangia e beve la propria condanna ». In ogni caso, non c’è alcun dubbio che quanto più grande è la nostra fede in Gesù, nell’Eucaristia, tanto più degna e più fruttuosa sarà la nostra celebrazione, tanto essa sarà più incisiva sull’efficacia del nostro apostolato. Non è difficile scorgere che la fede del centurione è unita con una impressionante umiltà: « Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; [...] non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te ». Commovente umiltà! C’è stretta relazione fra fede e umiltà. Mentre la superbia è un ostacolo perché la fede possa crescere in noi, la vera fede ci rende umili. Di questa realtà Maria è il più brillante esempio e manifestazione. Le parole prima della comunione, quindi, « Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma dì soltanto una parola e io sarò salvato » non siano mai una formalità sulla nostra bocca, ma un sentito respiro del cuore, una consapevolezza, un impegno.
Conclusione L’amore vero del Signore e dei fratelli, la fede viva che esige di essere sempre di più rafforzata e maturata nei nostri cuori, e l’umiltà da conquistare giorno per giorno, a motivo dell’egoismo che in minore o maggiore grado c’è in ogni cuore umano, ci predispongono alla benevolenza del Signore; ci predispongono alla degna e fruttuosa celebrazione dell’Eucaristia, ossia alla degna e fruttuosa celebrazione del più grande avvenimento della nostra vita; al vivere in modo consapevole ed efficace ciò che è « fonte e culmine » della nostra esistenza sacerdotale e del nostro apostolato.
Signore, sia questa celebrazione per noi un momento di crescita!
http://www.adorazioneeucaristica.it/S%20Giovanni%20Crisostomo_Omelia%20su%20San%20Paolo_lettere.pdf
SAN PAOLO APOSTOLO DALLA LETTERA AGLI EFESINI (5, 22-24) «
(la traduzione non mi sembra molto buona, ma è dal greco ed è difficile per me modificare)
O mogli, siate sottomesse ai vostri mariti come al Signore, poiché il marito è capo della moglie, come pure Cristo è capo della chiesa, ed egli è i1 salvatore del suo corpo. Ma come la chiesa è sottomessa al Signore, cosi anche le mogli ai propri mariti in tutto ».
OMELIA XX DI SAN GIOVANNI CRISOSTOMO LA DIMENSIONE DELL’UNIONE CONIUGALE
1. Un saggio che aveva annoverato molte cose tra le beatitudini, ha posto anche questa nel novero di una beatitudine: « Una moglie dice che va d’accordo col marito ». E pure altre volte pone tra le beatitudini il fatto che una moglie viva in armonia col marito. Fin dall’origine appare che Dio ha avuto molta cura di quest’unione; e parlando di entrambi come di uno solo così diceva: « Maschio e femmina li fece »; e di nuovo: « Non c’è più né maschio né femmina ». Non esiste infatti una tale appartenenza di un uomo rispetto ad un uomo quale quella della moglie rispetto al marito, quando uno vi sia congiunto come si deve. Per questo un uomo felice mostrando l’amore sovrabbondante e piangendo uno dei suoi amici ed intimi, non disse padre né madre né figlio né fratello né amico, ma che cosa? « Piombò su di me il tuo amore dice come l’amore delle donne ». Realmente infatti, realmente quest’amore è più tirannico di ogni tirannide. Le altre passioni sono forti, ma questa ha la forza e l’eternità. C’è infatti un istinto nascosto nella natura ed a nostra insaputa congiunge questi corpi. Perciò fin dall’inizio dall’uomo nasce la donna e successivamente dall’uomo e dalla donna l’uomo e la donna. Vedi il legame e l’unione e come non ha permesso che un altro essere vi si introducesse dal di fuori? E guarda quanto bene ha disposto! Permise che egli sposasse la propria sorella o piuttosto non la sorella ma la figlia o piuttosto non la figlia ma qualcosa di più della figlia, la sua propria carne. Fece tutto sin dall’origine come per le pietre, riunendoli in unità. Infatti non la formò dall’esterno, perché non si accostasse come estranea, né del resto limitò il matrimonio solo ad essa, affinché, congiungendo intimamente se stesso, non si separasse dagli altri. E come fra le piante sono soprattutto le migliori quelle che hanno una sola radice e si dilatano in molti rami, cosicché se soltanto a caso tutte si levassero intorno alla radice e anche ne avessero molte, l’albero non sarebbe affatto degno di ammirazione; così pure qui fece in modo che tutto il genere fosse prodotto da un solo Adamo, avendolo posto nella grande necessità di non essere scisso né diviso. Anzi congiungendo fece in modo che non si sposassero più sorelle e figlie, affinché non riducessimo di nuovo l’amore ad un essere solo ed in altro modo ci separassimo da noi stessi. Per questo diceva: « Chi li fece dall’inizio, maschio e femmina li fece ». Di qui infatti nascono grandi mali e grandi beni per le famiglie e per le città. Niente davvero unifica così la nostra esistenza come l’amore di un uomo e di una donna: per questo molti impugnano anche le armi, per questo rimettono anche la vita. Per questo non semplicemente né a caso si prese molta cura di questo fatto Paolo dicendo: « Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti come al Signore ». Perché mai? Perché se questi sono concordi, anche i figli sono bene allevati, i domestici sono disciplinati, i vicini, gli amici ed i parenti gustano questo profumo; se avviene il contrario, tutto è sconvolto e confuso. E come quando i comandanti sono in pace l’un con l’altro tutto è in ordine, mentre quando essi sono turbati tutto è sottosopra, così anche qui; perciò dice: « Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti come al Signore ». Oh!, come mai altrove dice: « Se uno non rinuncia alla moglie e al marito, non può seguirmi ». Infatti se bisogna essere sottomessi come al Signore, perché dice di rinunziare per il Signore? E bisogna farlo davvero, ma il « come » non è sempre e dovunque segno di identità. O intende dire questo: « Come sapendo che servite al Signore », ciò che afferma anche altrove, dicendo che se anche non si fa per il marito, si fa però di preferenza per il Signore; oppure: « Se cedi al marito, ritieni di ubbidire servendo come al Signore ». Infatti se « chi si oppone a queste autorità esteriori civili, contrasta la disposizione di Dio », quanto di più colei che non è sottomessa al marito! Così volle Dio sin dall’origine, dice. Affermiamo dunque che l’uomo è al posto del capo, la donna al posto del corpo. In seguito, partendo dalla riflessione che « il marito è capo della moglie » afferma: « come anche Cristo della chiesa ed egli è il salvatore del suo corpo, ma come la chiesa è sottomessa a Cristo, così pure le mogli ai propri mariti in tutto ». Quindi dopo aver detto: « Il marito è capo della moglie, come pure Cristo della chiesa « , aggiunge: « ed egli è il salvatore del corpo »: infatti il capo è la salvezza del corpo. Stabilì così per il marito e per la moglie il fondamento e la disposizione dell’amore, affidando a ciascuno il compito adatto: a questo il compito di comandare e proteggere, a quella di ubbidire. L’unione di Cristo e della Chiesa 2. Orbene « come la chiesa è sottomessa a Cristo », cioè mariti e mogli, così pure « o mogli, siate sotto messe ai mariti come al Signore. O mariti, amate le vostre mogli come anche Cristo amò la chiesa ». Hai udito l’eccesso della sottomissione; hai lodato ed ammirato Paolo come rinsalda la nostra vita, quale uomo mirabile e spirituale! Bene. Ascolta ora ciò che richiede da te; si serve di nuovo dello stesso esempio: « O mariti, amate dice le vostre mogli, come anche Cristo amò la chiesa ». Hai visto la misura della sottomissione?. Ascolta anche la misura dell’amore. Vuoi che la moglie ti ubbidisca come la chiesa a Cristo? Curati anche tu di lei, come Cristo della chiesa; e se anche bisognasse dare la vita per essa ed essere continuamente colpito e sopportare e soffrire qualunque cosa, non sottrarti. Anche se patissi questo, non hai ancora fatto in alcun modo quello che ha fatto Cristo. Tu infatti compi tali cose già unito, quello invece per una che lo detesta e lo odia. Ora come egli con grande sollecitudine riuscì a condurre ai suoi piedi colei che lo detestava e l’odiava e riempiva di sputi ed insultava, non per mezzo di minacce né di violenze né di timore né di altro simile atteggiamento, così anche tu comportati con tua moglie: e anche se tu la vedessi arrogante, che insulta e disprezza, potrai sottometterla ai tuoi piedi con la grande sollecitudine verso di lei, con l’amore, con la tenerezza. Nulla infatti è più tirannico di questi vincoli e specialmente per un marito e per una moglie. Con il timore qualcuno riuscirà forse ad incatenare un servo, anzi neppure quello: presto infatti, slegatosi, fuggirà. La compagna della vita, la madre dei figli, il fondamento di ogni letizia non con il timore e le minacce bisogna incatenarla, ma con l’amore e la condiscendenza. Quale unione, quando la moglie ha timore del marito? Quale gioia gusterà lo stesso marito vivendo con la moglie come con una schiava e non come con una libera? E se anche soffrissi qualcosa per causa sua, non rimproverarla. Cristo infatti non fece questo « ed ha dato se stesso dice per lei, per renderla santa purificandola ». Ed era impura, aveva macchie, era brutta, insignificante. Qualunque moglie prendessi, non prenderai una sposa simile, come Cristo prese la chiesa, né tanto lontana da te quanto la chiesa da Cristo. Eppure egli non la disdegnò né la odiò per l’eccesso della sua bruttezza. Vuoi sentire la sua bruttezza? Ascolta Paolo che dice: « Eravate un tempo tenebre ». Hai visto come era nera? Che cosa è più nero delle tenebre? Ma guarda anche la insolenza. « Vivendo in malvagità, dice, ed invidia ». Guarda anche l’impurità. « Disobbedienti, insensati ». Che dico? Anche stolta era e blasfema. Ma, pur stando così le cose, egli ha dato se stesso per una brutta come per una bella, per una amata, per una meravigliosa. E Paolo stupito per questo diceva: « A malapena uno morirà per un giusto »; ed in seguito: « Se, quando eravamo ancora peccatori, Cristo morì per noi ». E, dopo averla accolta, la rende bella e la lava e non si sottrae neppure a questo. « Per renderla santa dice purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, per porsi accanto la stessa chiesa gloriosa, senza macchia o ruga o qualcosa di simile, ma affinché sia santa ed immacolata ». Col bagno lava la sua impurità. « Mediante la parola », dice. Quale? Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E non soltanto l’adornò, ma la rese gloriosa, « senza macchia o ruga o qualcosa di simile ». Anche noi allora miriamo a questa bellezza e potremo divenire suoi artefici. Non ricercare presso la moglie ciò che non le appartiene. Vedi che la chiesa ricevette tutto dal Signore: per merito suo è divenuta gloriosa, per merito suo immacolata. Non disprezzare la sposa per la sua bruttezza. Ascolta la Scrittura che dice: « Piccola fra gli esseri alati è l’ape e fonte di dolcezza è il suo frutto ». È creatura di Dio: tu non maltratti quella, ma il suo creatore. Che danno potrebbe averne la moglie? Non lodarla per la bellezza: è propria di anime sregolate la lode, quell’odio e lo stesso amore. Ricerca la bellezza dell’anima: imita lo sposo della chiesa. La bellezza esteriore è piena di ostentazione e di dissennatezza e fa cadere nella gelosia e spesso ti fa sospettare assurdamente della realtà. Ma arreca piacere? Sino al primo mese ed al secondo o al massimo ad un anno, ma in seguito non più, ed il prodigio è consunto dall’abitudine: restano invece i mali sopraggiunti a causa della bellezza, la vanità, la dissennatezza e l’orgoglio. Niente di simile invece per colei che non è tale, ma l’amore che è incominciato in modo giusto permane intenso, poiché riguarda la bellezza dell’anima, non del corpo. 3. Che c’è di più bello del cielo, dimmi, di più bello degli astri? Qualunque corpo potresti menzionare, non è così bianco; qualsiasi occhio potresti descrivere, non è così splendido. Anche gli angeli si stupirono della loro creazione ed anche noi li ammiriamo, ma non come all’inizio. Tale infatti è l’abitudine: non colpisce allo stesso modo. Quanto di più riguardo una donna? Se per caso sopraggiunge una malattia, rapidamente tutto scompare. In una donna cerchiamo la benevolenza, l’equilibrio, la mitezza: questi sono i segni della bellezza; non cerchiamo invece la bellezza del corpo, non rimproveriamola per ciò di cui non è padrona, anzi non rimproveriamola affatto (è proprio dei temerari!) né indispettiamoci né sdegniamoci. Non vedete forse quanti, dopo essere convissuti con splendide donne, finirono miseramente la vita? Quanti invece, convissuti con donne non molto belle, giunsero con grande piacere sino all’estrema vecchiaia? Purifichiamo la macchia interiore, eliminiamo le rughe interne, togliamo le vergogne dell’anima. Dio ricerca questa bellezza: prepariamola bella per Dio, non per noi. Non ricerchiamo le ricchezze, né la nobiltà esteriore, ma la nobiltà dell’anima. Nessuno aspetti di arricchirsi da una donna: infatti questa ricchezza è vergognosa e biasimevole, ed in nessun modo alcuno cerchi di arricchirsi di qui. « Infatti coloro che vogliono arricchirsi, dice, cadono nella tentazione e nei desideri insensati e dannosi e nei lacci e nella rovina e nella perdizione ». Non ricercare quindi da una donna abbondanza di ricchezze, e troverai facilmente tutto il resto. Chi, dimmi, tralasciate le cose più importanti, si prenderà cura di quelle inferiori? Eppure, ahimè!, subiamo ciò dappertutto: se ci siamo procurati un figlio, non ci curiamo che divenga buono, ma di ottenergli una moglie ricca; non che divenga ben educato, ma ben fornito; e se abbiamo un’aspirazione, non che sia allontanato dai peccati, ma che ce ne venga un grande guadagno: e tutto è denaro. Per questo motivo tutto va in rovina, perché ci possiede questo amore. « Così dice i mariti devono amare le loro mogli come i propri corpi ». Che è mai questo? È passato ad un’immagine più elevata, ad un esempio più efficace; e non solo questo, ma per così dire anche ad un altro motivo più vicino e più evidente. Quello infatti non era di molta efficacia. Affinché non si dicesse: « Colui era Cristo, era Dio ed ha dato se stesso », in altro modo pone ormai la stessa istanza dicendo: « Così devono », poiché non si tratta di grazia, ma di dovere. Dopo aver detto: « Come i loro corpi », aggiunse: « Nessuno mai ebbe in odio la propria carne, ma la nutre e la riscalda ». Cioè la cura con molta attenzione. E come è sua carne? Ascolta: « Questo ora è osso dalle mie ossa dice e carne dalla mia carne ». E non solo questo ma anche: « Diventeranno dice una sola carne ». « Come anche Cristo amò la chiesa ». È passato all’esempio precedente. « Poiché siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa ». In ché modo? È nato dalla nostra materia, come anche Eva è carne dalla carne di Adamo. Giustamente ha ricordato ossa e carne: queste infatti sono le parti principali in noi, carni ed ossa; le une poste come fondamento, le altre come struttura. Ora quel fatto è evidente, ma questo come lo è? Come là c’è una tale affinità, così anche qui. Che significa: « Della sua carne »? Vuol dire: veramente di lui. E come siamo realmente membra di Cristo? Perché siamo nati conformi a lui. E come dalla carne? Lo sapete quanti partecipate ai misteri: di qui infatti subito rinasciamo. Ed in che modo? Ascolta di nuovo questo beato ché dice: « Poiché dunque i figli hanno preso in comune carne e sangue, allo stesso modo anch’egli fu partecipe delle stesse cose ». Ma qui egli stesso si mise in comune con noi, non noi con lui. Come dunque siamo della sua carne e delle sue ossa? Alcuni parlano del sangue e dell’acqua, ma non si tratta di ciò: quel che vuole mostrare è questo, che come senza rapporto coniugale quello è stato generato dallo Spirito Santo, così anche noi siamo generati nel battesimo. Guarda quanti esempi perché sia creduta quella generazione! Oh, la stoltezza degli eretici! Ciò che è già stato generato dall’acqua, poiché è nato, lo ritengono una vera generazione; invece non ammettono che noi diventiamo suo corpo. Ma se non divenissimo questo, come si adatterebbe l’espressione: « Dalla sua carne e dalle sue ossa »? Osserva: fu plasmato Adamo, fu generato Cristo; dal costato di Adamo entrò la corruzione; dal costato di Cristo scaturì la vita; in paradiso spuntò la morte, sulla sua croce è avvenuta la sua distruzione. Il mistero del matrimonio 4. Come dunque il figlio di Dio divenne` della nostra natura, così noi della sua sostanza. E come quello ha in se stesso noi, così anche noi abbiamo lui in noi. « Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna ed i due si trasformeranno in una sola carne ». Ecco anche un terzo motivo. Infatti indica che uno, lasciati i genitori dai quali nacque, si unisce a quella ed in seguito il padre, la madre e il figlio sono la carne formatasi dall’unione di entrambi, poiché il figlio nasce dalla mescolanza dei semi, cosicché i tre sono una sola carne. Così dunque noi rispetto a Cristo diventiamo una sola carne per partecipazione, e molto più noi che il figlio. In che modo? Perché dal principio fu così. Non dirmi che qui è in un modo e là in un altro. Non vedi quanti difetti abbiamo nella carne? Uno infatti è zoppo, un altro ha i piedi storti, un altro le mani rattrappite; chi ha un arto infermo, chi ne ha un altro. E ciononostante né se ne affligge né lo recide, ma lo antepone spesso ad un altro, e giustamente, perché gli appartiene. Ora quanto amore ciascuno ha per se stesso, altrettanto vuole che lo abbiamo per la moglie, non perché abbiamo in comune una sola natura, ma perché è maggiore questo rapporto che abbiamo con la moglie, dal momento che non sono due corpi, ma uno solo, quello essendo il capo, questa il corpo. E perché altrove afferma: « Capo di Cristo è Dio »? Anch’io affermo questo, che come noi siamo un solo corpo, così anche Cristo e il Padre sono una cosa sola. Risulta quindi che anche il Padre è nostro capo. Presenta due esempi, quello del corpo e quello di Cristo; perciò soggiunge: « Questo mistero è grande, io intendo riguardo a Cristo ed alla chiesa ». Che vuol dire questo? Lo definisce un grande mistero poiché il beato Mosè, anzi Dio, alluse a qualcosa di grande e mirabile. Ora poi dice: « Intendo riguardo a Cristo », poiché anch’egli, lasciato il Padre, discese ed andò dalla sposa e divenne un solo spirito. Infatti « chi è unito al Signore è un solo spirito ». E bene affermò: « È un grande mistero », come se avesse detto: l’allegoria non elimina l’amore. « Ora anche voi singolarmente ciascuno ami la propria moglie come se stesso. E la moglie tema il marito ». Realmente infatti, realmente è un mistero ed un grande mistero il fatto che, abbandonato chi lo procreò, chi lo generò, chi lo allevò, colei che lo partorì con dolore e patì, coloro che a tal punto lo beneficarono, coloro che vissero in intimità con lui, si unisce a colei che non ha mai visto, con cui non ha mai avuto qualcosa in comune, e la antepone a tutto. È realmente un mistero. Ed i genitori non si rammaricano di ciò che avviene, piuttosto di ciò che non avviene, e si rallegrano delle ricchezze prodigate e della spesa fatta. È realmente un grande mistero, contenente una ineffabile sapienza. Questo all’inizio Mosè profetando voleva rivelare; questo ora Paolo proclama dicendo: « In rapporto a Cristo ed alla chiesa ». E ciò non è detto soltanto per lui, ma anche per la moglie, perché la curi premurosamente come la propria carne, così come Cristo fa con la chiesa. « E la moglie tema il marito ». Non presenta soltanto le esigenze dell’amore, ma che cosa d’altro? « E la moglie terna il marito ». La moglie è la seconda autorità. Non chieda dunque costei la parità di onore: infatti è sottoposta al capo, e quello non la disprezzi come sottoposta: infatti è il corpo, e se il capo disprezzerà il corpo, anch’esso andrà in rovina; invece ponga l’amore come contrappeso all’ubbidienza. Come il capo, così anche il corpo: questo offra a quello in servizio le mani, i piedi, tutte le altre membra; quello si prenda cura di questo, riservando a se stesso ogni giudizio. Niente è migliore di questa unione. E come potrà esserci l’amore, dice, essendoci il timore? Soprattutto allora potrà esserci. Infatti colei che teme ama pure e colei che ama teme in quanto capo ed ama in quanto membro, poiché anche il capo è membro dell’intero corpo. Per tale motivo sottomise questo ma antepose quello, affinché regnasse la pace. Infatti dove ci fosse parità di onore non potrebbe esserci la pace, né se la casa possedesse un libero ordinamento né se tutti comandassero, ma è necessario che ci sia un solo comando. E ciò si verifica dovunque per gli uomini materiali, mentre se ci saranno uomini spirituali ci sarà la pace. C’erano cinquemila anime e nessuno affermava come sua proprietà alcunché delle sostanze, ma gli uni erano sottomessi agli altri n. Questo è l’esempio dell’unione e del timore di Dio. Volle mostrare dunque il modello dell’amore, non quello del timore. L’amore coniugale 5. E guarda come amplia il discorso dell’amore discorrendo di Cristo e della propria carne: « Perciò abbandonerà l’uomo suo padre e sua madre ». Non amplia invece il discorso del timore. Perché mai? Perché vuole che questo soprattutto prevalga, il discorso dell’amore. Essendoci questo, seguono tutti gli altri beni; se invece è presente quello, non seguono in nessun modo. Infatti chi ama la moglie, anche se non l’ha molto docile, sopporterà ugualmente tutto: così difficile ed ardua è la concordia, se essi non sono legati con l’amore assoluto; il timore invece non riuscirà in nessun modo in questo. Perciò si sofferma di più su questo aspetto, che è fondamentale. E la moglie che crede di essere svantaggiata perché le è stato comandato di temere, ne trae vantaggio. Infatti al marito è imposto ciò che è più importante, di amare. « E se la moglie non temesse? », dice. Tu ama, compi il tuo dovere. Anche se ciò non avvenisse da parte degli altri, deve avvenire da parte nostra. Ecco che cosa ti dico: « Sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo ». E che fare allora, se l’altro non sarà sottomesso? Tu ubbidisci alla legge di Dio. E così pure qui: la moglie dunque, anche se non è amata, tema ugualmente, affinché non ci sia niente di difettoso in essa; ed il marito, anche se la moglie non teme, ami ugualmente, affinché egli non manchi in nulla: infatti ciascuno ebbe il suo compito. Ora questo è il matrimonio secondo Cristo, un matrimonio spirituale ed una nascita spirituale, non dal sangue né dalle doglie del parto. Tale fu pure la nascita di Isacco. Ascolta la Scrittura che dice: « E cessarono di venire a Sara le sue regole femminili ». Il matrimonio deriva non da passione né dal corpo, ma è tutto spirituale, essendo l’anima unita a Dio con un vincolo ineffabile e Dio solo lo conosce. Per questo dice: « Chi è unito al Signore è un solo spirito ». Guarda come si preoccupa di unire la carne alla carne e lo spirito allo spirito. Dove sono gli eretici? Se il matrimonio fosse tra le cose respinte, non avrebbe parlato di sposa e di sposo. E non avrebbe aggiunto esortando questo: « L’uomo abbandonerà il padre e la madre »; né poi avrebbe soggiunto: « È stato detto in rapporto a Cristo ed alla chiesa ». Intorno a questa anche il salmista dice: « Ascolta, o figlia, e vedi, e porgi il tuo orecchio e dimenticati del tuo popolo e della casa di tuo padre ed il re bramerà la tua bellezza ». Per questo anche Cristo diceva: « Io uscii dal Padre e vengo ». Ma quando io dico che lasciò il Padre, non pensare ad un’azione simile a quella degli uomini, ad un cambiamento di luoghi. Come infatti si dice che egli è uscito, non perché sia uscito, ma per l’incarnazione, così anche si dice: « Lasciò il Padre ». Perché dunque non disse anche della moglie: « Si unirà a suo marito »? Perché mai? Perché parlava dell’amore e parlava al marito. Parlando invece a quella del timore dice: « Il marito è capo della moglie », ed in seguito: « E Cristo è capo della chiesa ». Gli parla dell’amore e gli affidò le sue cose e trattò con lui dell’amore per unirlo intimamente ad essa. Chi ha lasciato il padre per la moglie e lascia ed abbandona in seguito questa stessa, quale scusa potrebbe meritare? Non vedi di quale onore Dio vuole che essa goda, dal momento che distaccandoti dal padre ti unì strettamente ad essa? Che avverrà allora, dice, se una volta adempiuti i nostri obblighi, quella non ubbidirà? « Se un infedele si separa, si separi pure ». In tali situazioni non è vincolato il fratello o la sorella. Ma quando senti parlare di timore, pretendi un timore adatto ad una libera, non come quello di una schiava: infatti è tuo corpo e se agirai in tal modo offenderai te stesso, disonorando il tuo corpo. Quale è dunque il timore? Esso consiste nel non contraddire, nel non ribellarsi, nel non desiderare le prime parti: è sufficiente che il timore si limiti a questi atteggiamenti. Se tu ami come ti fu comandato, otterrai frutti maggiori, o meglio non voler ottenere questo col timore, ma lo stesso amore in un certo senso te lo otterrà. Il sesso femminile è sotto qualche aspetto più debole, bisognoso di molto aiuto, di molta condiscendenza. Che potrebbero dire coloro che sono legati a seconde nozze? Non parlo per condannarli, non sia mai! Infatti anche l’apostolo lo permise . Ma, diventando estremamente condiscendente, offrile tutto, fa’ tutto per lei e sappi soffrire: è una necessità per te. A quel punto non ritiene utile introdurre un suggerimento tratto dai pagani, come fa altrove. Bastava infatti il consiglio grande e pressante di Cristo, specialmente riguardo al motivo della sottomissione. Dice: « Abbandonerà il padre e la madre ». Ecco l’esempio tratto dai pagani. Ma poi non disse: « E abiterà insieme », ma « si unirà », volendo indicare la profonda unione, la forza dell’amore. E non si accontentò di questo, ma proseguendo volle indicare la sottomissione in modo tale che i due non apparissero più due. E non disse: « In spirito »; non disse: « In anima »; ciò infatti è ovvio e possibile a chiunque; ma in modo tale che fossero « in una sola carne ». 6. Questa è la seconda autorità, che ha molto potere e molta parità di onore. Il marito però ha ugualmente qualcosa di più. Ciò è la più grande salvezza della casa. Infatti egli ottenne pure quella particolare prerogativa di Cristo, non soltanto perché doveva amare, ma anche dirigere. « Affinché essa sia santa e immacolata », dice. Invece l’espressione « della carne » riguarda l’amare, come pure « si unirà » riguarda pure l’amare. E se la renderà santa ed immacolata, tutto seguirà. Ricerca le cose di Dio, e le cose umane seguiranno con estrema facilità. Dirigi la moglie e così si rinsalda la casa. Ascolta Paolo che dice: « Se vogliono sapere qualcosa, interroghino a casa i propri mariti ». Se amministreremo così le nostre case, saremo adatti anche alla guida della chiesa. Infatti anche la casa è una piccola chiesa. Così è possibile che mariti e mogli, divenuti buoni, superino tutti. Pensa ad Abramo, a Sara, ad Isacco, ai trecentodiciotto servi, come tutta la casa era unita, come era tutta piena di pietà. Quella adempiva pure il precetto dell’apostolo e temeva il marito. Ascolta infatti lei che dice: « Non mi è più successo sino ad ora ed il mio signore è troppo vecchio ». E quello la amava al punto da ubbidire a tutto ciò che essa voleva. Il figlio era virtuoso e gli stessi servi ammirevoli, essi che non rifiutarono di correre pericolo col padrone né differirono né chiesero il motivo, anzi uno di essi, il loro capo, fu così ammirevole da essere affidato a lui il matrimonio dell’unico figlio ed un viaggio in terra straniera. Infatti come per un comandante, se l’esercito è ben unito, in nessun modo il nemico irrompe, così anche qui, se il marito, la moglie, i figli ed i servi si prenderanno cura delle stesse cose, grande sarà la concordia della casa. Infatti, se così non avviene, spesso a causa di un solo servo cattivo tutto crolla e rovina, ed uno solo spesso disperde e corrompe tutto. Prendiamoci quindi molta cura delle mogli, dei figli e dei servi, sapendo che renderemo per noi stessi facile il comando, avremo i risultati buoni e convenienti e diremo: « Ecco me ed i figli che Dio mi ha dato ». Se il marito è ammirevole ed il capo buono, anche il resto del corpo non subirà alcuna violenza. Ora dichiarò accuratamente quali sono gli esatti compiti della moglie e del marito, esortando quella a temerlo come capo e questo ad amarla come moglie. Come potrà avvenire ciò?, dice. Egli mostrò che deve avvenire; come poi, ve lo dirò io: se disprezzeremo le ricchezze, se mireremo ad un unico scopo, alla virtù dell’anima; se avremo dinanzi agli occhi il timore di Dio. Infatti come trattando dei rapporti con i servi diceva: « Qualunque cosa di bene o di male ciascuno farà, questo riceverà dal Signore », così anche qui. Ora non bisogna amarla tanto per sé, quanto per Cristo. A questo punto volle alludere dicendo: « Come al Signore ». Perciò ubbidendo « come al Signore » e facendo tutto per lui, fa’ tutto così. Questo basta per convincere e persuadere e impedire che sorga qualche lite e dissenso. Non si dia credito a nessuno che calunnia il marito presso la moglie, ma neppure il marito sia portato a credere facilmente contro la moglie e la moglie non si dia a sorvegliare inutilmente entrate ed uscite; in nessun modo poi il marito si renda colpevole di qualche sospetto. Perché mai, dimmi, concedi te stesso tutto il giorno agli amici e invece alla moglie solo la sera e neppure in questo modo riesci a soddisfarla e a distoglierla dal sospetto? E anche se la moglie ti accusa, non sdegnartene: è segno di amore, non di dissennatezza; sono accuse di un amore ribollente e di un affetto ardente e di timore. Infatti teme che qualcuno le rubi il suo letto, che qualcuno la danneggi nella somma dei suoi beni, che qualcuno le sottragga il capo, che qualcuno le rovini il letto. C’è poi un altro motivo di suscettibilità : nessuno pretenda dai servi qualcosa oltre misura, né il marito dall’ancella né la moglie dal domestico; basta questo per generare sospetti. Fa’ bene attenzione a quei giusti: la stessa Sara ordinò al patriarca di prendere Agar; essa lo impose; nessuno ve la costrinse né il marito l’assalì anzi, sebbene fosse vissuto lungo tempo senza figli, preferì non diventare padre piuttosto che affliggere la moglie. Ciononostante dopo tutto questo che cosa dice Sara? « Giudichi Dio tra me e te ». Ora se fosse stato uno degli altri non si sarebbe mosso a sdegno? Non avrebbe steso le mani quasi dicendo: « Che dici? Non volevo andare insieme con questa donna: sei tu responsabile di tutto ciò che è avvenuto e di nuovo mi accusi? « . Quello però non disse nulla di simile, ma che cosa? « Ecco, l’ancella è nelle tue mani: fa’ di lei come a te piace ». Rinviò la compagna del suo letto per non affliggere Sara. Veramente non c’è nulla di più grande di questo a proposito della benevolenza. Infatti se l’assidersi insieme a tavola desta anche nei malfattori un sentimento di concordia verso i loro avversari (e il salmista dice: « Tu che insieme con me gustasti dei cibi »), il diventare ormai una sola carne (questo infatti significa avere il letto in comune) quanto più vale per attrarre a sé! Tuttavia nessuno di questi argomenti riuscì a convincere il giusto, ma la rinviò alla moglie, mostrando che niente avveniva per sua colpa; anzi, di più, la rinviò incinta. Chi non avrebbe avuto pietà di colei che aveva concepito un figlio da lui? Ma il giusto non si piegò: a tutto egli infatti anteponeva l’amore per la moglie. 7. Imitiamo anche noi questo. Nessuno rinfacci la povertà al prossimo, nessuno brami le ricchezze e tutto si risolve. E la moglie non dica al marito: « Vile e meschino, pieno di pigrizia, di indolenza e di molto sonno! Quel tale, modesto e di modeste origini, affrontando pericoli e intraprendendo viaggi, fece molta fortuna e la moglie indossa oro ed incede su cocchi di bianchi muli, si aggira dovunque, ha schiere di servi e cortei di eunuchi; tu invece hai paura e vivi inutilmente ». Non dica questo la moglie e cose simili a queste: infatti è corpo, non per comandare al capo, ma per ubbidire ed essere sottomessa. Come allora riuscirà a sopportare la povertà? Donde troverà conforto? Scelga presso di sé quelle più povere, rifletta a sua volta quante fanciulle nobili e di nobili origini non solo non ricevettero nulla dai mariti, ma anzi diedero ad essi e perdettero tutte le loro sostanze. Pensi ai pericoli che derivano da tali ricchezze ed amerà la vita senza affanni. Insomma se sarà disposta affettuosamente verso il marito non dirà niente di simile, ma preferirà avere vicino a sé lui che non le offre nulla piuttosto che innumerevoli talenti d’oro con l’affanno e la preoccupazione che viene sempre alle donne a causa dei viaggi. Il marito poi che sente queste cose, dal momento che ha il comando non si dia alle violenze ed alle percosse, ma la consigli, l’ammonisca, la convinca con riflessioni come più imperfetta, non stenda mai le mani. Lungi da un’anima libera questi atti: né violenze né rimproveri né oltraggi, ma la diriga come trattandosi di un essere meno ragionevole. Come potrà avvenire questo? Se conoscerà la vera ricchezza e la celeste saggezza, non rivolgerà nessuno di tali rimproveri. Le insegni che la povertà non è affatto un male; le insegni non solo mediante ciò che dice, ma anche ciò che fa; le insegni a disprezzare la gloria, e la moglie non dirà né desidererà nulla di simile. Come se ricevesse una statua, così fin da quella sera che la accoglierà nel talamo, le insegni la temperanza, la modestia, come vivere santamente, subito fin dagli inizi e respingendo dalle stesse soglie l’amore delle ricchezze; e le insegni la saggezza e la esorti a non possedere pendenti d’oro alle orecchie e lungo le guance né messi attorno al collo né disposti attorno al talamo né vesti d’oro e di lusso messe in disparte. Ma l’ornamento sia splendido e lo splendore non vada a finire nell’insolenza. Invece, lasciate queste cose a coloro che stanno sulle scene, abbellisci la casa con molto decoro, facendo in modo che spiri temperanza piuttosto che qualche altro buon profumo. Di qui deriveranno due, anzi tre vantaggi: primo, che la sposa non soffrirà se sono terminate le feste nuziali e sono restituiti a ciascuno i vestiti e gli ori e le suppellettili d’argento; secondo, lo sposo non dovrà preoccuparsi della perdita e della custodia degli oggetti presi in prestito; terzo poi, oltre questi, ed è la somma dei beni, in base a queste stesse cose mostrerà la propria convinzione, che cioè non gode affatto di ciò e che lascerà da parte tutto il resto e non permetterà mai che ci siano danze e canti ignobili. So bene che sembro ugualmente molto ridicolo ad alcuni prescrivendo tali cose. Tuttavia se mi ubbidirete, col trascorrere del tempo ed esperimentandone realmente il vantaggio, allora ne comprenderete l’utilità; ed il riso scomparirà e deriderete il costume attuale e vedrete che è davvero proprio di ragazzi insensati e di uomini ebbri ciò che accade ora, mentre ciò che vi consiglio è proprio della temperanza, della saggezza e della vita più elevata. Che cosa dunque affermo che bisogna fare? Allontana dalle nozze tutti i canti turpi, satanici, i ritornelli volgari, le corse dei giovani dissoluti, e questo atteggiamento potrà rendere temperante la sposa. Subito infatti penserà tra di sé: « Oh!, chi è mai questo marito? È saggio, non stima affatto la vita presente, mi ha condotto nella sua casa per generargli dei figli, per allevarli, per custodire la sua dimora ». Sono spiacevoli queste cose alla sposa? Solo sino al primo e al secondo giorno, ma poi non più, anzi ne trarrà grandissimo piacere, distogliendo da sé ogni sospetto. Infatti chi non tollera né flauti né danzatori né canti sfrenati e questo già al tempo delle nozze, difficilmente costui si indurrà a fare o a dire qualcosa di turpe. Successivamente, quando avrai eliminato tutto ciò dalle nozze, accostandola a te, plasmala sapientemente, lasciando durare per lungo tempo il suo senso del pudore, senza infrangerlo bruscamente. Infatti, anche se la fanciulla è un po’ sfacciata, sa temporaneamente tacere; presa dal pudore verso il marito e dallo stupore verso la nuova situazione. Tu quindi non violare bruscamente questo senso di verecondia, come fanno gli uomini dissoluti ma fallo durare per lungo tempo: ciò sarà per te un grande guadagno. Non ti rimprovererà durante questo tempo né ti riprenderà per quanto avrai deciso di fare. Pudore e amore 8. Ordina dunque ogni cosa in quel tempo in cui il pudore, come un freno posto all’anima, non permette né di biasimare né di criticare ciò che avviene. Infatti quando avrà raggiunto la libertà di parola, con molta sicurezza sconvolgerà e confonderà ogni cosa. Quando dunque si presenta un altro tempo così adatto per plasmare la moglie come quello in cui ha rispetto del marito e prova ancora timore ed ha soggezione?. Imponile allora tutte quante le leggi ed ubbidirà totalmente, volentieri e malvolentieri. In che modo non cancellerai il pudore? Quando anche tu non apparirai meno riservato di quella, discorrendo di poche cose e di queste con grande serietà e sobrietà. Falle allora i discorsi sulla saggezza: infatti l’anima è disposta ad accoglierli; mettila nella migliore disposizione, del pudore intendo dire. Se poi volete, vi dirò a mo’ di esempio di quali cose bisogna discorrere con lei. Infatti se Paolo non rifuggì dal dire: « Non privatevi l’un l’altro » e fece risuonare parole di una pronuba, anzi non di una pronuba ma di un’anima spirituale, con maggior ragione noi non ci tratterremo dal parlare. Di che cosa dunque bisogna discorrere con lei? Ora con molta grazia bisogna dirle: « Noi, o fanciulla, ti scegliemmo compagna della vita e ti introducemmo a prendere parte con noi delle cose più importanti e necessarie, cioè della generazione dei figli e della guida della casa. Che cosa dunque ti chiediamo? ». O meglio, prima di questo tratta di ciò che riguarda l’amore: infatti niente serve tanto per convincere chi ascolta ad accogliere ciò che si dice quanto il sapere che viene detto con molto amore. Come dunque mostrerai l’amore? Se le dirai: « Pur potendo scegliere molte spose e più ricche e di illustre origine, non le scelsi, ma mi innamorai di te, della tua condotta, del tuo decoro, della tua modestia, della tua temperanza ». Quindi dopo questo prepara la via ai discorsi intorno alla saggezza e biasima il denaro con qualche circonlocuzione. Infatti se prolungherai semplicemente il discorso contro il denaro, riuscirai importuno; se invece saprai cogliere il momento adatto, risolverai tutto. Parrà infatti che tratti la cosa come per difesa, non da uomo austero e senza grazia ed avaro; ma quando trarrai l’occasione dalle sue stesse esigenze, ne gioirà pure. Le dirai dunque (bisogna allora riprendere il discorso): « Pur essendo possibile sposarne una ricca ed abbiente, non lo volli ». E perché mai? Ho imparato non a caso né inutilmente ma giustamente che la ricchezza non è affatto un guadagno, ma una cosa spregevole ed adatta ai furfanti, alle meretrici ed ai ladri di tombe. Perciò, lasciate queste cose, mirai alla virtù della tua anima, che antepongo a tutto l’oro. Infatti una fanciulla giovane, intelligente e libera e che ha cura della pietà vale tutto quanto il mondo. Per questi motivi ti abbracciai e ti amo e ti preferisco alla mia stessa anima. Nulla vale la vita presente, e supplico e prego e faccio di tutto in modo che siamo ritenuti degni di vivere la vita presente così da potere anche di là, nel secolo futuro, stare insieme l’un con l’altro con grande sicurezza. Infatti questo tempo è breve e caduco, ma se saremo stati ritenuti degni di piacere a Dio trascorrendo così questa vita, saremo sempre con Cristo e l’un con l’altro con maggiore letizia. Io preferisco ad ogni cosa il tuo amore e nulla mi è così gravoso e molesto quanto il dissentire talora da te. E se anche dovessi perdere tutto e diventare più povero di Iro e sottostare agli estremi pericoli e soffrire qualsiasi cosa, tutto sarà per me sopportabile e tollerabile finché tu sarai ben disposta verso di me. Ed i figli saranno per me desiderabili finché tu sarai benevola verso di noi. Bisognerà che anche tu faccia questo. In seguito inserisci anche le parole dell’apostolo, che cioè Dio vuole che la nostra concordia sia così strettamente rinsaldata. Ascolta infatti la Scrittura che dice: « Perciò lascerà l’uomo suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna ». Non ci sia da parte nostra alcun motivo di suscettibilità; via le ricchezze, la folla degli schiavi, gli onori esteriori. Questo è per me preferibile a tutto. Di quale oro e di quali tesori non saranno più desiderabili per la moglie queste parole? Non temere che la tua diletta sia talora in disaccordo con te, ma confessale che la ami. Le etere che si congiungono ora a questo ora a quello giustamente si potrebbero sollevare contro i loro amanti se sentissero tali parole. Invece una donna libera ed una fanciulla nobile non si potrebbe mai adontare per queste parole, anzi si sottomette ancora di più. Mostrale che stimi molto la sua compagnia e preferisci per lei essere in casa che in piazza, e anteponila a tutti gli amici ed ai figli che hai avuto da lei e questi siano da te amati in vista di essa. Se farà qualcosa di bene, lodala ed ammirala; se invece farà qualcosa di insolito e come capita alle fanciulle, esortala e consigliala. Biasima in ogni modo le ricchezze ed il lusso e mostrale l’ornamento che proviene dal decoro e dall’onestà ed insegnale continuamente ciò che le conviene. Unità dell’amore 9. Siano comuni le preghiere tra di voi. Ciascuno vada alla chiesa e di ciò che viene detto e letto là, il marito in casa chieda conto alla moglie e quella al marito. Se la povertà in qualche modo si facesse sentire, porta l’esempio dei santi uomini Paolo e Pietro, che ottennero una stima maggiore di tutti i sovrani e ricchi, e come passarono la vita nella fame e nella sete! Insegnale che nulla si deve temere delle cose della vita tranne soltanto l’offendere Dio. E se uno si sposerà proprio per questi motivi non sarà di molto inferiore a chi conduce vita monastica né lo sposato a quelli che non lo sono. Se poi vuole fare pranzi ed offrire banchetti, non invitare nessun impuro, nessun indegno, ma se troverai un santo povero che può benedire per voi la casa, che con l’accesso dei suoi piedi può introdurre ogni benedizione di Dio, questo invita. Devo dirti un’altra cosa? Nessuno di voi si dia da fare per sposarne una più ricca, ma piuttosto una molto più povera. Infatti non entrerà tanto motivo di piacere dalle sue ricchezze, quanto piuttosto dispiacere dai rimproveri, dall’esigere di più di quanto ha portato, dagli oltraggi, dal lusso, dalle parole importune. Infatti dirà probabilmente così: « Non consumai nulla del tuo, sono ancora fornita del mio che mi hanno donato i miei genitori ». Che dici, o moglie? Sei ancora fornita del tuo? Che cosa ci sarebbe potuto essere di più infelice di questa parola? Non hai più un corpo proprio ed hai delle ricchezze proprie? Dopo le nozze non siete più due carni, ma diveniste una sola, e due sono le sostanze e non una! Oh, l’amore delle ricchezze! Siete divenuti un uomo solo, un solo essere vivente ed ancora dici: « Le cose mie »? Questa parola maledetta ed empia proviene dal diavolo. Dio rese per noi comune tutto ciò che è più necessario di queste, e queste non sono comuni? Non è possibile dire: la mia luce, il mio sole, la mia acqua; sono per noi comuni tutte le cose più grandi e le ricchezze non sono comuni? Vadano in rovina infinite volte le ricchezze, anzi non le ricchezze, ma le scelte che non sanno usare le ricchezze e le antepongono ad ogni cosa. Insegnale fra il resto ciò, ma con molta grazia. La stessa esortazione alla virtù ha di per sé un aspetto molto severo, soprattutto per una fanciulla tenera e fresca. Quando le parole riguardano la saggezza fa’ uso di molta grazia ed elimina da quell’anima soprattutto questo: « Il mio e il tuo ». Se dirà: « Le mie cose », dille: « Quali cose dici tue? Non lo so infatti; non possiedo niente di proprio e come dunque dici: « Le cose mie », essendo tutto tuo? ». Condonale l’espressione. Non vedi che facciamo così per i bambini? Quando hanno preso qualcosa a noi di mano e vogliono avere di nuovo qualcos’altro, acconsentiamo e diciamo: « Sì, questo è tuo ed anche quello ». Facciamo così anche per la moglie. Infatti la sua mente è più infantile. E se dirà: « Le mie cose », dille: « Tutto è tuo, anch’io sono tuo ». Non è una parola di adulazione, ma di molta accortezza. Così potrai frenare la sua ira e placare la sua insoddisfazione. È adulazione infatti se qualcuno compie qualcosa di ignobile per il male: ciò invece è grandissima saggezza. Dille dunque: « Anch’io sono tuo, o figliola. Questo mi raccomandò Paolo dicendo: « Il marito non ha potere sul proprio corpo, ma la moglie. Se io non ho potere sul mio corpo ma tu, quanto di più per le ricchezze! ». Dicendo ciò l’hai placata, hai spento la fiamma, hai svergognato il diavolo, l’hai resa schiava più di una comprata col denaro, l’hai legata con queste parole. Così in base a quanto tu dici insegnale a non dire mai: « Mio e tuo ». E non chiamarla mai semplicemente, ma con tenerezza, con riguardo, con molto amore. Onorala e non sentirà il bisogno di onore da parte di altri; non proverà necessità della gloria da parte di altri se godrà di quella da parte tua. Preferiscila a tutto, per ogni cosa, per bellezza, per intelligenza, e lodala. Così la convincerai a non attaccarsi a nulla di esteriore, ma a disprezzare tutto il resto. Insegnale il timore di Dio e tutto sgorgherà come da una fonte e la casa sarà traboccante di infiniti beni. Se cercheremo le cose incorruttibili, sopravverranno anche quelle corruttibili. Dice infatti: « Cercate prima il regno di Dio e tutto ciò vi sarà dato in più ». Quali bisogna pensare che siano i figli di tali padri? Quali i servi di tali signori? Quali tutti gli altri che si accostano a loro? Non accadrà che anch’essi siano colmati di infiniti beni? Infatti come i servi il più delle volte uniformano i loro costumi su quelli dei loro signori e fanno propri i desideri di quelli, amano le loro cose, parlano delle stesse cose che hanno imparato, vivono nelle stesse condizioni; così , se formeremo in tale modo noi stessi e attenderemo alle Scritture, impareremo la maggior parte delle cose da esse e così potremo piacere a Dio e trascorrere virtuosamente tutta la vita presente e conseguire i beni promessi a quelli che lo amano. Volesse il cielo che tutti noi ne fossimo ritenuti degni, per la grazia e la benevolenza del nostro Signore Gesù Cristo, al quale col Padre insieme con lo Spirito Santo sia gloria, potenza, onore, ora e sempre e per i secoli dei secoli. Così sia.
http://www.tanogabo.it/religione/saldi_nella_fede.htm
STATE SALDI NELLA FEDE
Colossesi 2,6-7 Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l’avete ricevuto, ben radicati e fondati in lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, abbondando nell’azione di grazie.
Galati 5,1 Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.
Ebrei 3,14 Siamo diventati infatti partecipi di Cristo, a condizione di mantenere salda sino alla fine la fiducia che abbiamo avuta da principio.
Colossesi 2,8 Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo.
2Corinzi 6,14 Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli. Quale rapporto infatti ci può essere tra la giustizia e l’iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre?
Efesini 5,7,8,10 Non abbiate quindi niente in comune con loro. Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; Cercate ciò che è gradito al Signore
RIFLESSIONI: La nostalgia di quell’Ospite gradito “ll punto di partenza di ogni cammino di ricerca è costituito dal luogo e dal tempo in cui si è posti. Dobbiamo chiederci: «Dove mi trovo?», e dobbiamo declinare questa domanda secondo prospettive molteplici. A livello personale: «quali sono le mie certezze e le mie relazioni, la mia vocazione e le mie prospettive?». A livello sociale e culturale: «quali pensieri attraversano il mondo, e quali eventi stanno segnando la storia? Cosa mi offre e cosa mi chiede la società in cui abito?». In questo punto di partenza abbiamo già una certezza, importante e per nulla scontata: non siamo uomini per caso”. Così si è introdotto il Card. Dionigi Tettamanzi nella sua catechesi ai giovani, ai quali ha ricordato la necessità di “un respiro che porti l’uomo oltre il proprio limite ed oltre il confine delle sue possibilità”, invitando a cercare e ad accogliere Dio, quale “ospite gradito”.
Card. Dionigi Tettamanzi, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù del 2011, scrisse sul tema Saldi nella fede: (qui c’è un link al testo itegrale ma si apre con Word)
Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi. Ai catecumeni di Costantinopoli san Gregorio Nazianzeno, detto anche “il Teologo”, consegna questa sintesi della fede trinitaria: “Innanzi tutto, conservatemi questo prezioso deposito, per il quale io vivo e combatto, con il quale voglio morire, che mi rende capace di sopportare ogni male e di disprezzare tutti i piaceri: intendo dire la professione di fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Io oggi ve la affido. Con essa fra poco vi immergerò nell’acqua e da essa vi trarrò. Ve la dono, questa professione, come compagna e patrona di tutta la vostra vita. Vi do una sola divinità e potenza, che è Uno in Tre, e contiene i Tre in modo distinto. Divinità senza differenza di sostanza o di natura, senza grado superiore che eleva, o inferiore che abbassa […]. Di tre infiniti è l’infinita connaturalità. Ciascuno considerato in sé è Dio tutto intiero […]. Dio le Tre Persone considerate insieme […]. Ho appena incominciato a pensare all’Unità ed eccomi immerso nello splendore della Trinità. Ho appena incominciato a pensare alla Trinità ed ecco che l’Unità mi sazia…” [San Gregorio Nazianzeno, Oratio, 40, 41: PG 36, 417].