The Emmaus road

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COME SI SCRIVEVA AI TEMPI DI PAOLO, DI GIANFRANCO RAVASI
Scritto da Redazione de Gliscritti: 12 /06 /2010
Riprendiamo dal volume Sulle orme di Paolo, III, pp. 86-91, allegato alla rivista “Jesus”2009, un articolo di Gianfranco Ravasi. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
Il Centro culturale Gli scritti (12/6/2010)
Ora leggiamo le Lettere di Paolo tradotte e stampate nelle varie lingue. Ma vediamo come nascevano in originale, scritte a mano in lingua greca su fogli di papiro, più di venti secoli fa. Nel 1933 veniva pubblicata un’opera molto dettagliata di un autore tedesco, O. Roller, sul Formulario delle lettere paoline, in cui lo studioso affrontava per la prima volta in maniera sistematica la questione: come materialmente venivano stesi gli scritti paolini? Era un’operazione molto più complessa di quanto si possa oggi immaginare. Secondo Roller, Paolo avrebbe dettato a uno scrivano (il librarius latino) alcune lettere: precisamente, la seconda ai Tessalonicesi, la prima ai Corinzi, quella ai Galati, il biglietto a Filemone e l’ultima parte della Lettera ai Colossesi; a questi scritti egli avrebbe poi apposto la firma autografa, per autenticarli. E gli autografi sono: « Il saluto è di mia mano, di Paolo» (1Corinzi 16,21); «Il saluto è di mia propria mano, di me, Paolo » (Colossesi 4,18); «Questo saluto è di mia mano, di Paolo; ciò serve come segno di autenticazione per ogni lettera; io scrivo così» (2Tessalonicesi 3,17). Il biglietto a Filemone è stato scritto probabilmente tutto da Paolo (« di mio pugno», leggiamo al versetto 19), mentre nella Lettera ai Galati troviamo questa curiosa annotazione: « Osservate con che grossi caratteri vi scrivo di mio pugno» (6,11). [...] Per le altre lettere, invece, Roller introduceva un’ipotesi piuttosto azzardata, dicendo in sostanza: esse non sono state scritte né dettate da Paolo, il quale ne abbozzava l’argomento, la struttura e le idee fondamentali, affidandone poi la stesura effettiva a un segretario, lo scriba vero e proprio, un uomo libero, preparato, spesso assunto anche come funzionario statale, archivista, contabile, eccetera. (Negli Atti si ricorda l’opera mediatrice di uno di questi scribi, durante il tumulto degli argentieri contro Paolo a Efeso). Lo scriba, dunque, sempre secondo Roller. sviluppava il testo creando una composizione completa, che poi veniva sottoposta al giudizio e alla firma di Paolo. Uno di questi segretari usati dall’Apostolo emerge dall’anonimato nella Lettera ai Romani (16,22) annotando: «Io, Terzo, che ho scritto la lettera vi saluto nel Signore». Questa tesi dello studioso tedesco, tuttavia, fu rifiutata dalla maggior parte degli altri studiosi paolini, i quali ancora oggi sostengono che le lettere venivano dettate da Paolo e munite poi del suo avallo autografo finale; forse si potrebbe ammettere l’intervento di uno scriba-segretario per il gruppo di lettere dette « pastorali », sensibilmente diverse per stile e impostazione ideologica dalle altre. (Inoltre, […] per questo gruppo di lettere si pensa anche all’opera di discepoli dell’Apostolo, di una « scuola » paolina che le avrebbe redatte, avvalorandole con il suo nome). Dettatura, dunque. E qui bisogna tener presente che a quel tempo erano già noti e praticati sistemi di scrittura veloce, di stenografia. Orazio, per esempio, ci riferisce che Lucilio riusciva a dettare in una sola ora ben duecento versi, mentre Cicerone (secondo Plutarco) in una notte ne dettava cinquecento. E la bravura, evidentemente, era di chi scriveva con quei ritmi. Il materiale sul quale normalmente si scriveva era il papiro, ricavato dall’omonima pianta, importato soprattutto dall’ Egitto. Il nome, come si sa, è restato fino ai nostri giorni per indicare la carta nell’inglese paper, nel tedesco papier e nel francese papier. Il foglio o rotolo di papiro aveva la forma standard di 11 metri di lunghezza per 3 di altezza e veniva più volte piegato, tagliato e arrotolato infine attorno a un’asta dalla quale veniva « svolto » per la scrittura e la lettura. L’asta era chiamata « capitolo » e ad essa probabilmente allude Paolo nella Lettera agli Efesini, quando parla del «disegno di Dio di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (1,10). Nell’antico Egitto, però, si usavano fogli di papiro lunghi sino a 42 metri e alti 5. La preparazione del papiro avveniva asportando la corteccia dell’albero omonimo e tagliando a strisce il midollo. Le strisce venivano disposte in file leggermente sovrapposte l’una sull’altra, così da congiungersi reciprocamente, mentre un altro strato di strisce veniva disteso sul primo, ma in file orizzontali. Il foglio risultante veniva battuto e compresso: seccato e amalgamato, era pronto per l’uso. Tra i papiri antichi giunti fino a noi celebre è quello cosiddetto « di Ryland », scoperto nell’oasi egiziana del Fayyum: contiene i versetti 31-38, dal capitolo 18 del quarto Vangelo, quello di Giovanni, ed è databile attorno al 125-150. Com’è ovvio, si tratta di un documento prezioso per la ricostruzione di quel testo evangelico. l papiro – materiale economico e perciò di largo uso – era scritto solo su una facciata, non su tutt’e due. (Nell’Apocalisse, all’inizio del capitolo 5, si parla di «un rotolo scritto sul lato interno e su quello esterno», proprio per indicare il carattere eccezionale di quel documento). I testi erano redatti in colonne rigorosamente allineate, con una scrittura che attorno al III secolo dopo Cristo si differenzierà in letteraria-maiuscola (più raffinata) e corsiva. Nel II secolo a.C. l’Egitto mise l’embargo sulle esportazioni di papiro; allora – stando almeno alle informazioni di Plinio il Vecchio – il re Eumene II di Pergamo (197-159 a.C.) inventò quella che sarebbe divenuta poi la pergamena. Questo era un materiale assai più resistente del papiro, ma anche più costoso. (La più antica pergamena è stata trovata a Dura-Europos sull’Eufrate ed è del II secolo a.C.). Materia prima della pergamena è la pelle di pecora. Essa veniva innanzitutto lavata, privata dei peli, immersa nella calce, tesa poi su un telaio, raschiata, inumidita, strofinata con calce in polvere e lisciata con pomice. Alla fine di questa complessa e lunga preparazione era pronta per l’uso. La pergamena teneva l’inchiostro e aveva un altro vantaggio: era possibile cancellarvi un testo raschiandolo via e scriverne un altro; i fogli di pergamena cancellati e riscritti si chiamarono « palinsesti », che vuoi dire appunto « raschiato di nuovo ». Nelle grotte di Qumran si sono trovati testi scritti anche su cuoio. Paolo, oltre al papiro (il cui uso però durerà fino al IV secolo d.C.), conosceva anche la pergamena, come attesta la seconda Lettera a Timoteo, a cui l’Apostolo chiede di «portargli da Troade i libri e soprattutto le pergamene» (4,13). A partire dal II secolo d.C. avvenne una grande svolta nella tecnica editoriale, con l’invenzione del codex, il libro moderno che ben presto soppiantò il rotolo. Secondo alcuni studiosi, gli inventori del codice sarebbero stati proprio i cristiani, perché ci sono giunti quasi esclusivamente codici cristiani contenenti la Bibbia in greco (pensiamo ai preziosi codici Vaticano, Sinaitico e Alessandrino del IV secolo d.C.). Il codice non era più un rotolo, ma un vero e proprio fascicolo, fatto con fogli di papiro o di pergamena scritti su entrambe le facciate, alti solitamente 35 centimetri e larghi 25, ottenuti piegando più volte i rotoli. Sul papiro e sulla pergamena si scriveva con il calamo (un termine greco che signifìca « canna ») ricordato anche dalla terza Lettera di Giovanni: «Molte cose avrei da scrivervi, ma non voglio farlo con inchiostro e penna» (v. 13). Si trattava di una cannuccia tagliata obliquamente all’estremità, così da formare una punta destinata a trattenere e a far affluire progressivamente l’inchiostro. Ogni scriba portava con sé varie penne e un temperino per aguzzarle (leggiamo in Geremia 36,23: «Ora, quando Iudi aveva letto tre o quattro colonne, il re le lacerava col temperino da scriba e le gettava nel fuoco»). L’inchiostro (in greco melan, cioè « nero »; in latino encaustum, « bruciato ») era noto in Egitto fin dalla prima dinastia (2850 a.c.) e anticamente lo si ricavava dal combusto, sciogliendone la fuliggine in una soluzione di colla. Infatti Plinio il Vecchio, nella sua Storia naturale, ricorda che i Romani usavano un liquido per scrivere, prodotto anche in colori diversi, realizzati soprattutto con elementi vegetali; il rosso però si otteneva dal cinabro, un minerale di mercurio. E già nel III secolo a.C. Filone di Bisanzio parlava dell’inchiostro simpatico, cioè incolore, a base di un estratto di noci di Galla. Lo scrittoio spesso poteva essere una tavoletta portatile legata alla cintura. Su di esso si ponevano i calamai. Sugli scrittoi del « monastero » giudaico di Qumran – usati per copiare i manoscritti biblici salvati poi dalla distruzione romana nelle grotte circostanti – sono stati trovati calamai che contenevano ancora fondi secchi di inchiostro. Paolo, proprio partendo dal simbolo di una lettera scritta con inchiostro, stende nella 2Corinzi (3,2-3) uno splendido elogio.
http://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_050_testo.htm
SANT’AGOSTINO – DISCORSO 39
SUL PASSO SCRITTURALE CHE DICE: « NON TARDARE A CONVERTIRTI AL SIGNORE NÉ RIMANDARLO DI GIORNO IN GIORNO »
Dio non ci assicura il domani.
1. Abbiamo ascoltato, fratelli, come Dio per mezzo del profeta ci dica: Non tardare a convertirti al Signore né rimandarlo di giorno in giorno. Improvvisa infatti sopraggiungerà la sua ira e nel tempo della vendetta ti disperderà 1. Ti ha promesso che nel giorno della tua conversione egli dimenticherà tutta la tua precedente malizia. Ma ti ha forse assicurato la vita per il domani? Dio non te l’ha assicurata; ma forse te l’ha assicurata l’astrologo… Con la conseguenza che [Dio] condannerà e te e lui. È salutare che Dio ti abbia lasciato nell’incertezza per quanto riguarda il giorno della morte. Ciascuno pensi salutarmente al termine della sua vita: è misericordia di Dio che l’uomo non sappia il momento della sua morte. L’ultimo giorno è celato perché tutti i giorni si stia all’erta. 2. Ma il mondo ci possiede, i piaceri ci sollecitano tutt’all’intorno: ci alletta l’abbondanza del denaro, ci alletta lo splendore derivante dagli onori e ci alletta vederci temuti perché potenti. Tutte queste cose ci attraggono; ma si ascolti l’Apostolo: Nulla abbiamo recato in questo mondo e nulla potremo portarne via 2. L’onore deve venire in cerca di te, non tu dell’onore. Tu devi sederti nel posto più umile, affinché colui che ti ha invitato ti faccia salire a un posto più ragguardevole 3. Che se egli non vorrà farlo, tu mangia là dove ti sei seduto, poiché nulla hai recato in questo mondo. E ti pare cosa da poco il mangiare della roba altrui? Siediti dove ti capita e mangia! Dirai: Mangerò del mio? Ascolta l’Apostolo: Nulla abbiamo recato in questo mondo 4. Sei venuto nel mondo; hai trovato una tavola imbandita; ma del Signore è la terra e ciò che essa contiene 5. 3. In realtà coloro che vogliono arricchire 6… (Non dice: Coloro che son ricchi ma: Coloro che vogliono arricchire; pone sotto accusa la bramosia, non i beni posseduti), coloro che vogliono arricchire cadono in tentazione e in molti desideri nocivi che sprofondano gli uomini nel baratro della perdizione 7. Il denaro piace; ma tu non temi il resto? Cosa buona è il denaro, cosa buona è una gran copia di denaro; ma, essi cadono in tentazione. E non temi? Essi cadono in molti desideri stupidi e nocivi. E non temi? E questi desideri dove portano? Sprofondano l’uomo nel baratro della perdizione. E seguiti a fare il sordo? Non temi il baratro della perdizione? Dio tuona così e tu sbadigli?.
Le ricchezze causa di superbia. 4. A coloro che son ricchi l’Apostolo dava questo consiglio: Ai ricchi di questo mondo – diceva – comanda di non nutrire sentimenti di superbia 8. La superbia è il verme della ricchezza: è difficile che non sia superbo colui che è ricco. Togli via la superbia, e la ricchezza non [ti] recherà nocumento. Inoltre bada a quello che devi fare con la ricchezza perché quello che Dio ti ha dato non resti inutilizzato presso di te. Non nutrire sentimenti di superbia! Togli questo vizio. Non sperare nelle ricchezze che sono incerte 9. Togli anche questo vizio. Eliminati questi vizi, esercitati nelle opere buone di cui ti senti dire: Siano ricchi – dice – di opere buone. Non sperino nelle ricchezze così incerte 10; ma dove dovranno sperare? Sperino nel Dio vivo, che ci somministra tutte le cose in abbondanza perché ne usufruiamo 11. Dio offre il mondo al povero e lo offre al ricco. Forse che, per essere ricco, egli avrà due pance da riempire? Osservate e vedete come i poveri dormano, saziati dei doni di Dio. Colui che nutre voi, per mezzo vostro nutre anche loro.
Con la morte si lascia ogni ricchezza. 5. Non si ami dunque il denaro. Se lo si possiede ecco come spenderlo. Siate pur ricchi, voi che possedete il denaro; ma ricchi di che cosa? Di opere buone. Dice: Ne distribuiscano con facilità, ne comunichino [agli altri] 12. Ma ecco che l’avarizia si chiude in sé. Ascolta di nuovo il testo: Ne distribuiscano con facilità, ne comunichino [agli altri. Gli succede] come quando si spande dell’acqua fredda: si raggela, stringe il seno e dice: Non voglio perdere i miei lavori. Infelice! non vuoi perdere i tuoi lavori? Ecco, morrai; e come non ti sei recato nulla in questo mondo, così nulla potrai portarti via. Se non potrai portarti via niente, non perderai tutti i tuoi lavori? Ascolta dunque il suggerimento di Dio. Non spaventarti perché ti ha detto di distribuire con facilità e di comunicarlo agli altri. Ascolta il seguito [del discorso]. Aspetta: non chiudere la porta contro di me, non chiudere l’orecchio del tuo cuore; aspetta. Vuoi comprendere come col distribuire con facilità e col comunicare agli altri non perdi nulla e solo in questa maniera non lo perdi? Dice: Si accumulino per l’avvenire un tesoro posto su un fondamento solido per conseguire la vera vita 13. La vita presente, che pur tanto ti diletta, è una vita falsa. Qui vivi quasi dormendo. Se vivi quasi dormendo, quando morrai ti sveglierai e così ti troverai senza aver nulla in mano. È come quando si addormenta il mendico: nel sonno gli era sopraggiunta una eredità e, prima che si alzi, nessuno è più felice di lui. Nel sonno si vede maneggiare vesti lussuose, vasi preziosi di oro e d’argento, passeggiare per campi amenissimi e spaziosissimi, si vede riverito da molte famiglie potenti. Si sveglia e piange. E come l’uomo desto accusa colui che l’ha spogliato [dei suoi averi] così lui accusa colui che l’ha svegliato. Di questo parla in maniera quanto mai chiara il salmo che dice: Dormirono il loro sonno e nulla trovarono, tutti gli uomini ricchi, nelle loro mani 14, quand’ebbero terminato il loro sonno.
Dio ha fatto il ricco e il povero. 6. Come non ti sei recato nulla [in questo mondo] così non ti porterai via nulla 15. Spedisci lassù ciò che hai potuto trovare, sicuro che non lo perderai. Dàllo a Cristo. Cristo stesso infatti volle ricevere da te in questo mondo; e tu, dando a Cristo del tuo, forse che lo perderai? Non lo perdi affidandolo al tuo servo, e lo perderai se lo affidi al tuo Signore? Non lo perdi quando affidi al tuo servo ciò che ti sei acquistato, e lo perdi affidando al tuo Signore ciò che da lui stesso, il tuo Signore, hai ricevuto? Cristo ha voluto esperimentare il bisogno in questo mondo, ma l’ha fatto per noi. Cristo poteva nutrire tutti i poveri che incontrate, come nutrì Elia servendosi d’un corvo. Tuttavia giunse il momento in cui anche ad Elia fece mancare il corvo. E il fatto che Elia fu sostentato dalla vedova, non fu un beneficio concesso ad Elia ma alla vedova stessa 16. Quando dunque Dio dispone che ci siano i poveri – poiché è lui che non vuole posseggano beni materiali – quando crea i poveri mette alla prova i ricchi. Così infatti sta scritto: Il povero e il ricco si corsero incontro 17. Dove si corsero incontro? In questa vita. Nacque l’uno e nacque anche l’altro: si conobbero, si incontrarono. E chi li fece? Il Signore 18. Fece il ricco perché aiutasse il povero, fece il povero per mettere alla prova il ricco. Ciascuno faccia [l'elemosina] secondo le sue disponibilità. Non deve largheggiare, il ricco, in modo da venirsi a trovare lui stesso nelle strettezze. Non diciamo questo. Il tuo superfluo è necessario all’altro. Or ora, quando si leggeva il Vangelo, avete ascoltato: Chi darà un bicchiere di acqua fresca a uno di questi miei più piccoli per amor mio non perderà la sua ricompensa 19. Mise come in vendita il regno dei cieli, e stabilì che suo prezzo fosse un bicchiere di acqua fresca. Ma questo bicchiere di acqua fresca potrà essere [sufficiente] come elemosina quando chi la fa è anche lui povero; se invece uno ha di più deve dare di più. Quella vedova diede due spiccioli 20; Zaccheo diede la metà del suo patrimonio, riservandosi l’altra metà per risarcire le truffe che aveva commesso 21. Le elemosine giovano a coloro che cambiano vita, e in tanto dài a Cristo bisognoso in quanto ti serve per redimere i peccati commessi. Se viceversa volessi dare presumendo che ti sia lecito continuare nel peccato, non nutriresti Cristo ma tenteresti di corrompere il tuo giudice. Fate dunque l’elemosina perché le vostre orazioni siano esaudite e Dio vi aiuti a cambiare in meglio la vostra vita. Se infatti cambiate la vostra vita, cambiatela in meglio. E in conseguenza delle vostre elemosine e preghiere siano cancellate le vostre colpe passate e vengano su di voi i beni futuri, quelli eterni.
http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/vitesanti/passionedisantagnese.htm
LA PASSIONE DI SANT’AGNESE – 21 GENNAIO
(Sant’Ambrogio, ma non autentica)
L’attribuzione di questa leggenda a sant’Ambrogio vescovo di Milano, è puramente tradizionale: come già avvertirono il Migne e il Baronio, si tratta di un omonimo vissuto in epoca posteriore. La riportiamo nel testo edito dal Battelli, il quale ha provveduto anche a integre alcuni passi (qui riportati fra parentesi) omessi dall’anonimo volgarizzatore del XIII secolo.
Ambruosio, servo delle sacre vergini di Cristo: Questo è ’l sacro dì della festa di Agnesa, el quale dobbiamo celebrare con salmi et inni, e cantare lezioni; e tutto ’l popolo si debba rallegrare, e ’poveri di Cristo sovvenire. Tutti adunque ci rallegriamo nel Signore et a edificazione delle vergini [la passione di] Agnesa santissima a memoria riduciamo. El terzo decimo anno della sua età perdé la morte e trovò la vita, della quale dilesse el fattore. Nell’infanzia d’anni, Agnesa era giovana, ma della mente era vecchia et antica: del corpo era fanciulla, ma dell’animo era canuta: aveva bello visoma più bella fede [e castità più mirabile].
Tornando Agnesa dalla scuola, el figliolo del prefetto della città di Roma s’innamorò di lei. Allora i parenti di quello garzone andarono a’ parenti d’Agnesa domandando di fare parentado con loro, offerendo molto largamente, [e più largamente promettendo]. Et offersero a beata Agnesa molti preziosi ornamenti, la quale, com’ella gli vidde, non gli apprezzò, ma avvililli come sterco. Allora quello giovano [per] questa recusazione che aveva fatto beata Agnesa di quelle vestimenta, più forte si accese de lo amore d’Agnesa, e pensando ch’ella volesse migliori e più preziosi doni di quelli, [le presentò ogni gloria di pietre preziose], e per se medesimo e per gli amici e noti e parenti cominciò [a stancar l’orecchie della vergine] promettendo le ricchezze della sua casa, le sue possessioni e la sua famiglia [e tutte le delizie di questo mondo] se non negasse al suo consentimento e consentisse d’essere sua sposa. Allora beata Agnesa a quello giovano rispuose e disse: “Parteti da me, imperocché da un altro amadore sono stata amata [innanzi], el quale a me molti migliori ornamenti assai che non soni questi m’ha ornata, e dello anello della fede sua me ha sposata e inguardiata, et è molto più nobile di generazione di te e di più dignità. Et ha ornato la mia destra di bello ornamento, e ’l collo e le braccia ha circondato di pietre preziose, e simile le mie orecchie di preziose perle. Tutta mi ha ornata di preziose [e corruscanti] gemme et ha posto un segno nella faccia mia, acciò che nissuno altro amadore abbi se non lui. Egli mi ha ornata di vestimenti [tessuti d’oro e di monili] preziosissimi, e mi ha mostro il suo tesoro che non ha simile, el quale m’ha detto che mi vuole donare se io persevererò ne’ suoi comandamenti…
A Costui solamente servo la fede et a lui con tutta la divozione mi commetto, el quale, come io l’amo, casta sono, come io ’l tocco, monda sono, e come io ’l piglio, vergine sono. Né saranno [per mancare] dopo le nozze i figliuoli, ma ’l parto senza dolore si è [e tuttodì s’accresce la fecondità]”.
Allora, udendo questo, quello insensato e pazzo giovano, accecato dall’amore, essendo in grande angustia d’animo e del corpo, gittossi in sul letto con grandi sospiri, e ’l suo amore aperse a’ medici, e’ quali el fecero noto al padre. Questi con paterna voce ripetè a petizione della vergine Agnesa tutto quello che aveva detto quello giovano, [ma ella rispose] che nollo voleva per nissuno modo per sposo, perché non voleva negare né violare il primo sposo, al quale aveva promesso e data fede. Allora il prefetto, padre di quello garzone, fece cercare chi fusse quello sposo el quale Agnesa tanto amava, per sapere se fusse di maggiore dignità di lui, ch’era prefetto. E uno de’ parasiti di lui disse come Agnesa era cristiana infine dalla puerizia e in arte magica tanto amaestrata che dice che Cristo si è ’l suo sposo.
Udendo questo, el prefetto se ne fece lieto e subito mandò a fare richiedere Agnesa da tutta la sua corte ch’ella comparisse innanzi al suo tribunale. Et essendo venuta Agnesa, el prefetto imprima la cominciò con parole piacevoli a lusingare in segreto, e poi le cominciò a dire terribili parole. Allora la vergine di Cristo non per lusinghe si lassò isvolvere l’animo suo, né per parole di minaccie e terribili non mosse el suo volto e stette coll’animo fermo, cosi alle parole di lusinghe come alle parole terribili. E di tutto si rideva…
Vedendo el prefetto che tutto quello ch’egli parlava era invano e senza frutto a lei, sedendo per tribunale comandò che Agnesa si fusse presentata; alla quale disse: “Le superstizioni de’ cristiani, del quale numaro tu sei, incantatrice di magiche arti, se da te non si partiranno, non potrai la pazzia dal tuo petto partirti, né prestare consenso a saggi consigli. E però bisogna che tu adori e facci reverenzia alla idea Vesta, e se ti piace di perseverare nella verginità, [dì e notte] e’ sacrifici reverendi ti bisogna fare alla idea Vesta”.
Allora beata Agnesa disse: “Se ’l tuo figliuolo, [benché] d’amore iniquo tribolato, ma pur vivente, ho ricusato – un uomo [infine ragionevole] il quale vede e ode e palpa e va e ’l fiore di questa luce può godere [insieme co’ buoni] – se io per cagione dello amore di Cristo per nissuna ragione nollo posso guardare, gl’idoli sordi e mutoli, che non hanno anima né sentimento, in che modo gli posso adorare, e fare questo ad ingiuria del sommo Iddio, e inchinare il capo alle pietre, dicendo: – Iddio se’ tu? –”… Allora Simproniano prefetto disse: “De’ due partiti eleggi quale tu vuoli; o veramente tu colle vergini della idea Vesta sacrifica, o veramente tu colle meretrici andarai al luogo pubblico. E allora saranno a te di longa e’ cristiani, e’ quali t’hanno [così] insegnato l’arte magica, che questa calamità e miseria [tu confidi poter sopportare con animo intrepido]. E però anco ti dico, o tu sacrifica alla idea Vesta a laude della tua progenie, o veramente, a tua vergogna e de’ tuoi, andarai al luogo pubblico coll’altre meretrici a stare pubblicamente”.
Allora beata Agnesa con grande constanzia disse: “Se tu sapessi qual è lo Iddio mio, tu non parleresti queste parole. E poiché io so la virtù del Signore mio Gesù Cristo, sono sicura, e non temo le tue minaccie. E sappi che io non sacrificherò agli idoli tuoi, e non sarò contaminata con li uomini del luogo, perch’io ho con esso meco il guardatore del corpo mio, cioè l’angelo di Dio. E l’unigenito figliuolo di Dio, che tu non conosci, egli è a me come muro che non si può passare, ed è mia guardia che mai non dorme, ed è mio difenditore che mai non manca; e’ tuoi iddii [o sono di bronzo, de’ quali meglio si fanno vasi ad uso degli uomini] o sono di pietra, le quali d’esse si fanno le strade per amore de’ fanghi. La divinità non consiste nelle pietre, ma in cielo; non in metalli, ma nel regno superno sta. E tu adunque, e quelli che sono simili a te, se non vi levarete dalla adorazione de’ vostri idoli, sarete conchiusi con pena, siccome loro, nel fuoco, e sì come loro sono posti nelle fiamme del fuoco acciò sieno fusi, così saranno quelli che gli adorano; in perpetuo saranno nel fuoco ardente consumati, e in eterno saranno confusi”.
Allora lo senza sentimento giudice fece espogliare beata Agnesa ignuda, e comandò ch’ella fusse menata al luogo pubblico delle meretrici; e uno con la tromba andava innanzi bandendo e dicendo con grande boce: “Agnesa, sacrilega vergine, gli iddii ha bestemmiati, e per quello è data agli uomini che tengono il luogo pubblico delle meretrici”. E come beata Agnesa fu spogliata, di subito e’ suoi capegli crescerono, e in tanta quantità per la divina grazia le furono concessi, che pareva che fusse coperta insino a terra, e meglio stessero che una vesta. E intrata dunque beata Agnesa nel luogo turpissimo, l’angelo di Dio trovò a lei apparecchiato, acciò che la circondasse d’immenso lume, acciò che nissuno per quello grande splendore la potesse vedere né appressarsele.
Risplendeva quella celletta dove fu messa beata Agnesa come el sole quando nella sua altezza è vertù del dì, e quando più gli occhi di quelli che erano circostanti cercavano di volerla vedere, tanto più i loro occhi erano obombrati che non la potevano vedere. E stando beata Agnesa in orazione all’altissimo Iddio, apparbe innanzi a lei uno vestimento candidissimo. Allora ella el prese, e d’esso si vestì e disse: “Grazie te rendo, Signore mio Gesù Cristo, che me hai annoverato nel numaro delle tue ancille et el vestimento mirabile comandasti che io avessi”. Et era quello vestimento a misura del corpo di beata Agnesa, et era tanto cando più che la neve, el quale non è a dubitare che per mano d’angeli fu fatto et apparecchiato. E in questo, quello luogo fu fatto come un oratorio, e tutti quelli che v’erano intrati adoravano e davano onore a quello immenso lume, e mondi uscivano fuore più che non v’erano intrati.
E mentre che queste cose si facevano, el figliuolo del prefetto, el quale era stato cagione di questa scelleraggine, venne a quello luogo, co’ suoi compagni giovani, quasi per assaltare quella fanciulla, colla quale credeva la sua libidine esercitare. E avendo mandato innanzi a sé quelli furi e cattivi giovani, vedendo che uscivano pieni d’ammirazione e di venerazione, cominciò a farsi beffe di loro [giudicandoli vani e molli e impotenti]; e ridendosi di loro entrò sfrontatamente in quello luogo dove beata Agnesa orava, e vedendo quello lume intorno a beata Agnesa, non dette onore a Dio, ma gittossi in quello lume per mettere le mani addosso a beata Agnesa: e innanzi che la sua mano giongesse a lei, egli cadde in terra, colle mani al volto, e ’l diavolo lo strozzò, e cosi spirò…
Il prefetto, come udì che ’l suo figliuolo era morto, di subito con grande furia e pianto venne a quello luogo dov’era morto e intrato in quello luogo dove el figliuolo suo giaceva morto, con grandi grida disse a beata Agnesa: “Crudelissima sopra a tutte le femmine, la quale sopra el figliuolo mio hai dimostrato le tue arti magiche!”. E dicendo il prefetto queste et altre parole, domandando della cagione della morte di quello suo figliuolo, disse allora beata Agnesa: “Colui al quale el tuo figliuolo lui voleva contrastare alla sua volontà, ed Egli in lui esercitò la sua potestà; e questi altri che a me sono intrati, sani ne sono usciti, perché tutti hanno dato onore a Dio, el quale mandò l’angelo suo che mi vestì questo vestimento della misericordia d’Iddio, ed ha guardato el corpo mio, che per insino che io ero nella culla, a Cristo fui consegnata e offerta. E tutti quelli che vedevano lo splendore dell’angelo, tutti si partivano senza lesione, ma questo tuo figliuolo impudente, fremitando, distese la mano verso di me per pigliarmi, e l’angelo di Dio el rimandò indietro, e come tu vedi è morto!”.
Disse allora el prefetto: “In questo apparirà che tu non coll’arte magica questo hai fatto, e però prega quello angelo che restituisca a me el figliuolo sano”. Allora beata Agnesa disse: “Posto però che per la fede vostra questo io da Dio impetrare non merito; ma perché egli è tempo che la virtù del mio Signore Gesù Cristo si manifesti; e però uscite tutti fuore, et io sola in orazione starò”. Et essendo tutti usciti di quella celletta, e beata Agnesa si pose in terra in orazione e incominciò a pregare el Signore che risuscitasse quello giovano. Et orando beata Agnesa, apparbe a lei l’angelo di Dio e la rizzò dal pianto e confortò l’animo suo, e quello giovano risuscitò.
Essendo risuscitato, el figliuolo del prefetto uscì subito fuore di quella cella, et incominciò con boce pubblica a gridare et a dire: “Uno è Iddio in cielo e in terra e in mare, el quale è lo Dio de’ Cristiani, e tutti gli iddii de’ templi sono vani e non possono aiutare loro propri né quelli che gli adorano”.
A questa boce tutti gl’indivinatori de’ templi e i pontefici si conturbarono, e fu fatto rumore grande nel popolo. E gridavano: “Tolle la maga, tolle la malefica, la quale mente delli uomini muta e gli animi [aliena]”. Allora el prefetto, vedendo tali cose miracolose, fu stupefatto, ma temendo [la proscrizione se facesse centra a’] pontefici del tempio, e’ vedeva che non poteva liberare beata Agnesa dalla sua sentenzia, e nolla poteva defèndare. Allora el prefetto fece uno vicario [per la sedizione] del popolo, e poi si partì con tristezza e dolore perché nolla poteva defèndare dopo la resurrezione del suo figliuolo, e per quanto si era dolente.
Allora quello vicario fatto dal prefetto, el quale si chiamava Aspasio, comandò che fusse fatto uno grande fuoco in presenzia di tutti, e comandò che beata Agnesa fusse gittata nel mezzo di quello fuoco. E subito el comandamento del vicario [fu eseguito]. E le fiamme allora si divisero in due parti, di qua e di là, e beata Agnesa istava nel mezzo e non sentiva nissuno incendio né caldo di fuoco, né nissuno male le fece el fuoco. Allora el popolo con boci grandissime incominciò a gridare dicendo: “Questo non è per divinità della vergine, ma per la sua arte magica e per li suoi incanti”.
Et allora beata Agnesa, essendo in mezzo del fuoco, distese le mani sue al cielo, e in queste parole orò al Signore e disse: “Omnipotente, da adorare e da riverire e da temere, Padre del Signore mio Gesù Cristo, io benedicoti, el quale per lo figliuolo tuo io ho scampato le minaccie degli uomini impii, e la spurcizia del diavolo io ho passata, ed ecco ora per lo Spirito Santo la rugiada celestiale è venuta, e ’l fuoco intorno a me si è spento, e la fiamma divisa, e ’l calore e lo incendio si è andato a coloro che ’l facevano per me. Io Te benedico, Padre da predicare, el quale in fra la fiamma ti prego che Tu mi lassi a Te venire, imperò che quello che io credo io el veggo, e quello nel quale io spero già el tengo, e quello che desideravo l’ho abbracciato. Te confesso colla bocca mia, e col cuore e con tutto el corpo mio desidero. Ecco che a Te vengo, Tu che se’ vivo e vero Iddio, el quale col Signore nostro Gesù Cristo e collo Spirito Santo vivi e regni ora e sempre, per infinita secula seculorum, amen”.
E come ebbe finita l’orazione, allora tutto el fuoco fu spento, e non vi rimase nissuno caldo di fuoco. Allora Aspasio, vicario della città di Roma, vedendo che ’l popolo non si fermava né rifrenava, comandò che a beata Agnesa fusse dato d’uno coltello nella gola. E subito usci el sangue suo come rose vermiglie. E in questo modo consacrò Cristo la sposa sua Agnesa, sua vergine e martire.
Da: SANT’AMBROGIO, La passione di Sant’Agnese, a cura di Guido Battelli.
http://camcris.altervista.org/armat.html
(forse, l’autore è una « Pastora » forse, che contestò il Papa, ma non sono sicura, d’altronde sapete che io propongo anche quello che non è cattolico, ma avverto sempre; il sito credo sia evangelico, ma propone anche testi cattolici ed ortodossi)
L’ARMATURA DI DIO
ESORTAZIONE RIVOLTA AI CRISTIANI, DA UNO STUDIO BIBLICO DEL MINISTERO SABAOTH
« Perciò prendete la completa armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio, e restare in piedi dopo aver compiuto tutto il vostro dovere. State dunque saldi: prendete la verità per cintura dei vostri fianchi; rivestitevi della corazza della giustizia; mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace; prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infocati del maligno. Prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio… » Efesini 6:13-17 L’Apostolo Paolo, guidato dallo Spirito Santo, in Efesini 6:14 ci consiglia cosa fare per resistere nei giorni di lotta. Egli dice che dobbiamo vestire l’armatura di Dio per poter far fronte ai giorni malvagi. Nel testo sono elencate le varie parti di cui è composta questa armatura. Ogni pezzo designa le forme di attacco del nemico contro di noi e la provvidenza di Dio verso ogni tipo di attacco. L’armatura è di Dio, quindi è Lui che ci provvede ogni pezzo. Noi non sappiamo quando arriverà il giorno malvagio, perciò dobbiamo indossare sempre l’armatura di Dio. Tutti i pezzi dell’armatura rappresentano armi da difesa ad eccezione della spada dello Spirito che è arma di attacco.
LA VERITÀ COME CINTURA DEI FIANCHI (v.14) Il primo attacco è quello contro la verità di Dio, contro ciò che Dio proclama. È dai tempi dell’Eden che Satana cerca di conquistare l’uomo con la menzogna, l’inganno e le mezze verità. « Voi siete figli del diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. Quando dice il falso, parla di quel che è suo perché è bugiardo e padre della menzogna. » Giovanni 8:44 Cosa significa avere cinti i fianchi della verità? Ai tempi biblici la tunica era un indumento usato sia dagli uomini che dalle donne, l’unica differenza era che gli uomini usavano una tunica fino alle caviglie e in genere di un solo colore, ricamata ai bordi e al collo: « Quando gli uomini dovevano lavorare o correre sollevavano il fondo della tunica e lo infilavano nella cintura per acquistare maggiore libertà di movimento. Si diceva « cingersi i fianchi », e tale espressione divenne una metafora per indicare l’essere pronti. Ad esempio, Pietro raccomanda di aver le idee chiare invitando i cristiani a « cingersi i fianchi » della mente (I Pietro 1:13, testo latino). Anche le donne sollevavano l’orlo della tunica quando dovevano trasportare oggetti da un luogo all’altro. Le Scritture confermano: « Mangiatelo in questa maniera: con i vostri fianchi cinti, con i vostri calzari ai piedi e con il vostro bastone in mano; e mangiatelo in fretta: è la Pasqua del Signore. » Esodo 12:11 Quindi bisogna cingersi i fianchi con la verità ed essere pronti a proclamare la verità di Dio. Gesù afferma: « Santificali nella verità: la tua parola è verità ». Giovanni 17:17 Allora cingiamoci con la verità attraverso lo studio, la meditazione, la confessione e l’ubbidienza alla Parola di Dio.
LA CORAZZA DELLA GIUSTIZIA (v.14) L’attacco in quest’area si manifesterà sottoforma di accusa, condanna e orgoglio, cercherà di colpire i nostri sentimenti. Satana cercherà di accusarci davanti a noi stessi e di accusare Dio e i fratelli, lanciando su di noi sentimenti di colpa anche per i peccati già confessati e quindi già perdonati. La Parola di Dio in Romani 8:1 dichiara: « Non c’è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù… » Egli cercherà anche di investirci con orgoglio spirituale, con « bontà personale », così da portarci a peccare contro Dio, contro i fratelli, la Chiesa, le nostre autorità, ecc. In genere quando accettiamo queste cose per noi è arrivato il giorno malvagio. Dobbiamo dunque essere custoditi dalla giustizia di Dio, credendo che tutto ciò che abbiamo è frutto della Sua bontà, non permettendo che il diavolo ci accusi o ci condanni, perché siamo già stati giustificati da ogni fallo e delitto. « …vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono – infatti non c’è distinzione… » Romani 3:22 « essi, che hanno mutato la verità di Dio in menzogna e hanno adorato e servito la creatura invece del Creatore, che è benedetto in eterno. Amen. Perciò Dio li ha abbandonati a passioni infami: infatti le loro donne hanno cambiato l’uso naturale in quello che è contro natura… » Romani 1:25-26
LE CALZATURE AI PIEDI (lo zelo per annunciare il Vangelo) (v.15) Qui l’attacco avviene in forma di persecuzione e disanimo per soffocarci e toglierci dal territorio di Dio, provocando passività, cadute in compromessi, ed ogni altra cosa, pur di portarci ad una posizione di comodità. Il compromesso con il peccato o la semplice passività sono tattiche molto usate dal nemico. Molti credenti nelle Chiese sono passivi e accettano tutto ciò che succede loro senza reagire e combattere per ciò che posseggono. Uno dei primi frutti che si manifestano nella nostra vita cristiana quando veniamo a Gesù, è lo zelo per la propagazione del Vangelo. Infatti desideriamo che i nostri famigliari, amici, colleghi e tutto il mondo conoscano come noi i benefici della salvezza e l’immensa gioia che questa porta, ma subdolamente Satana innalza qualcuno per diffamarci, per darci dei « pazzi », per scoraggiarci o ancora, per mettere persone ambigue sul nostro cammino, proponendoci anche ottime occasioni lavorative o qualsiasi altra attrattiva pur di distrarci e portarci via il nostro zelo. Questa forma di attacco purtroppo non si manifesta solo nella vita dei neofiti, ma in modo continuo nella vita di ogni singolo credente. Il profeta Ezechiele menziona l’ozio e la vita facile tra i peccati di Sodoma (« Ecco, questa fu l’iniquità di Sodoma, tua sorella: lei e le sue figlie vivevano nell’orgoglio, nell’abbondanza del pane, e nell’ozio indolente; ma non sostenevano la mano dell’afflitto e del povero. » Ezechiele 16:49). Certamente questa non è la volontà di Dio per noi, per questo dobbiamo difenderci mantenendo i nostri cuori pieni di zelo per la propagazione del Vangelo, non accettando nulla di meno nelle nostre vite di un cuore che bruci per Dio e per la salvezza delle anime. Tutto ciò allontanerà da noi questo tipo di attacco. Ricordiamoci che le calzature dello zelo coprono i piedi e questo significa che senza zelo non possiamo correre bene. Se il diavolo riesce a rubarcelo saremo fermati.
LO SCUDO DELLA FEDE (v.16) La Bibbia dichiara: « Or senza fede è impossibile piacergli; poiché chi si accosta a Dio deve credere che egli è, e che ricompensa tutti quelli che lo cercano ». Ebrei 11:6 « …poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com’è scritto: ‘Il giusto per fede vivrà’. » Romani 1:17 « Poiché tutto quello che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede. » I Giovanni 5:4 È chiaro che Satana cercherà di minare la nostra fede in modo da non essere più graditi a Dio e non potere più adempiere alla sua volontà di vivere per fede e di vincere il mondo. L’attacco maligno in questo caso avverrà attraverso l’incredulità, il dubbio e le paure. Lo scudo è l’arma di difesa più importante perché se usato bene può proteggere anche tutto il corpo. Questo attacco alla nostra fede può avvenire in svariati modi: con l’incredulità, il dubbio e le paure. La Bibbia dice che la fede è certezza (Ebrei 1:1), perciò noi rimaniamo fermi su questa certezza acquisita attraverso la Parola di Dio per resistere agli attacchi maligni (« Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze affliggono i vostri fratelli sparsi per il mondo. » I Pietro 5:9).
L’ELMO DELLA SALVEZZA (v.17) L’elmo della salvezza ci parla di un attacco nella mente. La mente è la sede dell’anima dove risiedono le nostre emozioni, i desideri, la volontà, ecc. ed è proprio nella nostra mente che Satana cercherà di intrufolarsi con i suoi pensieri per farci pensare in modo carnale, facendoci desiderare il mondo dei sensi invece del mondo dello Spirito. Per difenderci da questi attacchi dovremo continuamente ricordarci che la salvezza è totale e che comprende anche l’anima. La nostra mente viene rinnovata di continuo e dal momento in cui accettiamo Gesù il destino della nostra anima è la salvezza, quindi non dobbiamo permettere a nessun tipo di pensiero che non sia in accordo con la Parola di Dio di occupare le nostre menti. Così facendo saremo protetti dagli intenti maligni. « Quindi, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri. » Filippesi 4:8
LA SPADA DELLO SPIRITO, LA PAROLA DI DIO (v.17) La spada rappresenta chiaramente un’arma di attacco ed è l’unica arma di attacco presente nell’armatura del credente. Dato che dunque dobbiamo attaccare, lasciamo ogni dubbio sulla Parola di Dio. Il diavolo cercherà sempre di rubare la Parola di Dio dai nostri cuori, così che non produca frutto (Matteo 13:19), o ancora cercherà di accecare le nostre menti così da non farci riconoscere la verità (II Corinzi 4:4). Non solo, ma si intrufolerà in mezzo ai santi con « …dottrine di demoni… » (I Timoteo 4:1), con accuse sulle nostre vite, su chi siamo in Gesù, sui fratelli, ecc. Come lo farà? Seminando nella mente dubbi, confusioni e incomprensioni che noi dovremo immediatamente confrontare con la Parola di Dio per respingerli. Ogni volta che veniamo attaccati dobbiamo chiederci se ciò che riceviamo nella nostra mente provenga dal diavolo oppure dalle persone che ci stanno intorno e se sia in accordo o in disaccordo con la Parola di Dio. È importante inoltre non dimenticare che il diavolo usa le persone che ci stanno intorno per colpirci, soprattutto quelle a noi più vicine o che abbiano maggior influenza affettiva su di noi, sempre che essi si lascino manipolare. « …il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti. » Efesini 6:12
ALCUNE CARATTERISTICHE DELLE ARMI DA COMBATTIMENTO SPIRITUALI « …infatti le armi della nostra guerra non sono carnali, ma hanno da Dio il potere di distruggere le fortezze, poiché demoliamo i ragionamenti e tutto ciò che si eleva orgogliosamente contro la conoscenza di Dio… » II Corinzi 10:4-5a Sono armi date da Dio.
ARMI DI LUCE « La notte è avanzata, il giorno è vicino; gettiamo dunque via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. » Romani 13:12 Se una persona inizia la battaglia spirituale e si trova nel peccato ne rimarrà ferita.
ARMI DI GIUSTIZIA « …con le armi della giustizia a destra e a sinistra… » II Corinzi 6:7b lett: le armi di destra, offensive (la spada), e di sinistra, difensive (lo scudo). La giustizia di Dio è dunque la nostra arma di difesa e di attacco.