Archive pour janvier, 2014

LA LETTERA AGLI EFESINI – IL PROFONDO MISTERO DELLA SALVEZZA IN CRISTO (di Mons. G. Ravasi)

http://www.parrocchie.it/calenzano/santamariadellegrazie/Anno%20Pastrorale.htm#vita

LA LETTERA AGLI EFESINI

ANNO PASTORALE 2001-2002

PAOLO SI RACCONTA …

IL PENSIERO POSSENTE DI S.PAOLO

La Lettera agli Efesini di San Paolo

In alcuni importanti codici antichi, che ci hanno trasmesso le sacre Scritture, nell’indirizzo iniziale di questa lettera manca l’indicazione « a Efeso », per cui si è pensato che essa sia stata originariamente una missiva destinata alle varie Chiese dell’Asia Minore costiera, che avevano il loro centro più significativo nella splendida città di Efeso. Certo è che la lettera si rivela profondamente originale nel linguaggio e nei temi, tanto da far ipotizzare a molti studiosi che essa sia opera di una mano diversa rispetto a quella di Paolo, forse un discepolo che conduce oltre il discorso del maestro. Questo naturalmente non intaccherebbe l’ispirazione e quindi l’appartenenza al Canone biblico della lettera che, tra l’altro, è molto vicina a quella ai Colossesi (probabilmente conosciuta e citata).
Comunque sia, la lettera, che consigliamo vivamente a tutti di leggere, è particolarmente densa e ricca di temi e si rivela nettamente divisa in due parti: i primi tre capitoli affrontano i grandi argomenti teologici, mentre i capitoli 4-6 sono dedicati a illustrare l’impegno morale del cristiano nella sua vita di fede. L’accento è posto su due motivi teologici capitali. Da un lato, si apre una profonda riflessione sulla figura di Cristo, presentato come Signore di tutto l’essere creato e non solo della Chiesa, e cantato in un solenne inno-benedizione posto proprio in apertura alla lettera (1,3-14).
Gesù Cristo è, d’altro lato, alla radice del secondo motivo teologico, quello della Chiesa, che è costituita da Giudei e pagani ornai uniti in un solo corpo che è quello di Cristo, nel quale, però, diversamente da quanto già detto nella prima lettera ai Corinzi (capitolo 12), egli ha la funzione di essere il « capo » (1,22). L’unità di questo corpo, nel quale si manifesta la pienezza della divinità, è operata da Cristo stesso « nostra pace », che ha riconciliato i due popoli separati, Ebrei e pagani, in un solo popolo attraverso il suo sangue (2,14-22). E questa la Chiesa, che dall’apostolo viene presentata come « tempio santo nel Signore » (2,21).
Vivace è anche la parte pastorale della lettera ove, tra l’altro, viene disegnato un « codice » dei doveri familiari (5,21-6,9), che ha al suo interno una suggestiva presentazione del matrimonio cristiano, come grande segno dell’unione vitale tra Cristo e la Chiesa. Uno scritto, quindi, ricco sul piano del « mistero » divino, che è rivelato da Gesù Cristo e che comprende la salvezza di tutti, inclusi i pagani, e sul piano della vita cristiana da condurre in pienezza, come creature che hanno « deposto l’uomo vecchio » per « rivestire l’uomo nuovo » (4,22-24).

IL PROFONDO MISTERO DELLA SALVEZZA IN CRISTO

(di Mons. G. Ravasi)

1 Brevi sono il saluto e l’augurio di apertura di questa lettera. Ben più solenne è, invece, la benedizione iniziale, che ha l’andatura di un inno e si presenta come uno splendido abbozzo del disegno di salvezza rivelato e attuato in Cristo. Dall’orizzonte celeste, cioè dal mistero trascendente di Dio, scendono le benedizioni “spirituali”, cioè i doni di santità che trasformano i credenti. Si delinea, così, l’itinerario a cui essi sono chiamati all’interno del progetto di Dio: prima ancora della loro esistenza, Dio li aveva scelti e destinati a divenire figli adottivi attraverso Cristo; tutto questo avrebbe realizzato la piena gloria di Dio che si compie nel suo donarsi all’umanità, nel suo amore rivelato in Gesù, il Figlio «Prediletto». La salvezza dell’uomo è, quindi, la gioia, la lode, la gloria più alta di Dio.
E questa salvezza si attua attraverso la morte di Gesù, sorgente della redenzione, del perdono e della grazia effusa nell’umanità. Noi conosciamo, dunque, «il mistero della volontà» divina perché non solo ci è stato rivelato, ma anche perché lo viviamo all’interno della storia. Infatti, la «pienezza dei tempi» è l’ingresso di Cristo nel mondo per trasformare la realtà umana secondo il disegno prestabilito fin dall’eternità da Dio. Tutti noi siamo “ricondotti” in Cristo insieme con l’intero universo creato: l’immagine usata rimanda al «capo» che tiene coeso il corpo. Ogni realtà è destinata a trovare senso e unità in Cristo, costituito da Dio come capo unico e universale.
È interessante notare come Paolo in questa visione grandiosa della salvezza sottolinei un aspetto che gli sta a cuore. In 1,11-13 distingue, infatti, due pronomi: da un lato, c’è il «noi», i primi eredi della promessa divina, cioè gli Ebrei, coloro che hanno alimentato la speranza messianica prima della venuta di Cristo; d’altro lato, c’è il «voi», cioè l’orizzonte dei pagani, che hanno ascoltato e accolto nella fede «la parola della verità», il vangelo, e così sono stati consacrati dallo Spirito Santo. L’apostolo passa poi a un ringraziamento per la fede e l’amore testimoniato dai cristiani di Efeso, ai quali augura di ottenere una pienezza nella conoscenza del mistero di salvezza, che ha al centro la risurrezione di Cristo. Essa è cantata in 1,20-23 in una specie di professione di fede di tono innico, dalla quale emerge la figura del Risorto che è il Signore di tutto l’universo e di tutte le sue energie, ma che è anche il capo di quel corpo che è la Chiesa.

DALLA MORTE ALLA VITA PER ESSERE UNA COSA SOLA IN CRISTO
2 Nel capitolo 2, continuando l’intreccio dei due pronomi «noi» e «voi», si esalta la redenzione operata da Cristo per l’umanità peccatrice, sia ebraica sia pagana. L’amore misericordioso di Dio ci ha strappato a Satana, «il principe delle potenze dell’aria», e ci ha fatto partecipare alla stessa vita di Cristo attraverso l’esperienza battesimale che ci ha condotto alla gloria della risurrezione. La salvezza è, quindi, non solo liberazione dal male, ma anche intimità, comunione, partecipazione alla vita divina.
In un linguaggio tipicamente paolino si ribadisce la vicenda della salvezza, che è dono della grazia divina a chi risponde con la fede, e che non è frutto delle opere umane. La centralità di Cristo è ribadita in una pagina di grande intensità, che ha in qualche sua parte un’andatura innica e lirica. Il tema fondamentale della salvezza è considerato secondo un’angolatura che è già stata adottata precedentemente: con la sua morte in croce, Cristo ha costituito un’unica comunità, cancellando le divisioni tra i circoncisi e coloro che erano «stranieri ai patti della promessa», cioè tra Ebrei e pagani. Cristo è, allora, definito come la «pace» per eccellenza, che, nella tradizione biblica, era il tipico dono messianico (Isaia 9,5; Michea 5,4).
Egli ha abbattuto le barriere che dividevano questi due popoli: «il muro di separazione» a cui Paolo fa riferimento potrebbe alludere sia alla legge mosaica sia al setto divisorio posto tra il cortile degli Ebrei e quello dei pagani nel tempio erodiano di Gerusalemme, parete invalicabile, pena la condanna a morte. Cristo ha anche eliminato le osservanze legali che caratterizzavano la religiosità giudaica, e ha fatto sì che tutti si ritrovassero uniti, i vicini e i lontani (vedi Isaia 57,19 e Zaccaria 9,10), destinati a costituire un solo corpo, a essere concittadini e familiari di Dio, appartenenti alla stessa comunità che è la Chiesa, la famiglia di Dio. Tutti costituiscono un tempio vivo, che ha la sua pietra angolare in Cristo e il basamento negli apostoli e nei profeti, cioè negli annunciatori del vangelo (vedi 1Corinzi 3,10-11.16). La rappresentazione di questa unità generata dalla croce di Cristo è preziosa per definire la missione di Paolo aperta ai pagani.

PAOLO, APOSTOLO DEL MISTERO DI CRISTO
3 Egli, infatti, è stato chiamato da Dio proprio a svelare il «mistero di Cristo» che ha nel suo cuore la salvezza universale: «I pagani sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e a essere partecipi della promessa» (3,6), cioè a fruire della dignità donata al popolo ebraico e, così, a costituire l’unico popolo di Dio che è la Chiesa, corpo di Cristo. A questo annunzio l’apostolo ha dedicato se stesso perché il disegno divino, che era celato nel mistero, venisse reso noto a tutti, anche alle potenze cosmiche e celesti, e attuato nella storia. A questo punto Paolo rivolge un’appassionata preghiera a Dio Padre, creatore di tutti gli esseri, perché trasformi la coscienza dei cristiani così da giungere alla piena maturità della fede e dell’amore. Potranno allora scoprire il cuore profondo del mistero divino, che è l’infinito amore di Dio offerto a noi in Cristo, un amore che ci avvolge conducendoci alla pienezza, un amore totale che abbraccia tutto l’essere, rappresentato secondo le quattro dimensioni sotto le quali la tradizione popolare concepiva la realtà: ampiezza, lunghezza, altezza e profondità. Con un’acclamazione di lode finale a Dio Padre (3,20-21) si chiude la prima parte della lettera.

LE ESIGENZE DELLA VITA CRISTIANA
4 Con il capitolo 4 si apre una seconda parte della lettera, di taglio più esistenziale: si intende delineare un profilo della vita cristiana, fondata sull’unità di tutti i credenti nell’unico corpo di Cristo. Si ha innanzitutto un appello a riscoprire questa «unità dello spirito», rafforzata dal «legame della pace», ricordando la sua sorgente, cioè l’unico Dio che agisce in tutti, l’unico Cristo Signore e Salvatore, l’unica fede e l’unico battesimo. Se tutti hanno ricevuto la grazia, ciascuno la manifesta secondo forme diverse che sono espressioni dei doni divini effusi dal Cristo risorto (si cita nel versetto 8 il Salmo 68,19 in modo libero, applicandolo all’ascensione e alla glorificazione celeste di Cristo).
Paolo elenca cinque doni spirituali che costituiscono altrettanti ministeri destinati a condurre alla maturità cristiana tutta la comunità dei credenti: apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri. Ma il modello che tutti dobbiamo tenere davanti agli occhi per raggiungere la maturità della fede è Cristo stesso, che è la pienezza per eccellenza. Solo con questa meta passiamo dall’infanzia, che è ancora debolezza e immaturità, alla maturità. E la via per raggiungere questa completezza spirituale è la «verità nell’amore». Solo così si configura il corpo di Cristo nella sua armonia e nella sua perfetta compagine. Si presenta in questa pagina il tema del corpo di Cristo che è la Chiesa in un modo lievemente differente rispetto a 1Corinzi 12. Là, infatti, la Chiesa era il corpo di Cristo in modo globale; qui si dice che Cristo è il capo e i cristiani sono il corpo. Comune è, però, il rilievo dato all’amore come anima dell’intero organismo.
Si passa poi a una riflessione sull’esperienza battesimale vissuta dai fedeli. Essa è stata una svolta radicale che ha totalmente mutato la realtà dell’uomo. Il battezzato, infatti, deve lasciare alle spalle «l’uomo vecchio», con la sua miseria e il suo peccato, e deve rivestire la qualità di «uomo nuovo», che è il profilo voluto da Dio creatore e che è la condizione umana inaugurata e attuata dalla morte e risurrezione di Cristo. Il tema delle due creature, la vecchia e la nuova, la peccatrice e la redenta, era già apparso in Romani 6,4-6, in 2Corinzi 5,17 e riapparirà in Colossesi 3,10.
Questo mutamento radicale che si è compiuto nel cristiano deve generare un differente comportamento morale, che la lettera esemplifica in alcuni impegni che rimandano al Decalogo e a moniti presenti già nell’Antico Testamento. Si citano, infatti, Zaccaria 8,16 sull’impegno di servire la verità e il Salmo 4,5 per quanto riguarda l’ira; ma si evoca anche il «non rubare», il «non pronunziare falsa testimonianza» del Decalogo e l’esortazione, frequente nella Bibbia, a combattere il peccato di parola. In particolare, in questa che è una nuova lista di vizi da evitare, si sottolinea l’importanza dell’amore e della concordia fraterna, la cui assenza rattrista lo Spirito Santo che è effuso in noi.

IL COMPORTAMENTO DEL CRISTIANO
5 L’amore è, infatti, il cuore della morale cristiana. Il modello ideale è Cristo, che si è donato a noi attraverso la morte in croce, definita come «sacrificio di soave odore», cioè come una vittima sacrificale gradita a Dio e capace di cancellare ogni peccato (per l’espressione usata, tipica dell’Antico Testamento, vedi Genesi 8,21; Esodo 29,18; Salmo 40,7). Il cristiano, purificato da questo atto d’amore divino, deve abbandonare lo stile di vita precedente, che l’apostolo illustra attraverso alcuni vizi emblematici del paganesimo come volgarità, impurità, idolatria. Queste realtà impediscono il legame con Cristo e quindi con la vera vita e la luce. Si ricorre, infatti, alla tradizionale opposizione ­ cara anche al giudaismo ­ tra tenebra e luce, come simboli di due stati di vita antitetici.
I cristiani nel battesimo sono stati illuminati da Cristo e, perciò, dalla tenebra sono divenuti «luce nel Signore» (vedi 1Tessalonicesi 5,4; Romani 13,12; Colossesi 1,12-13). Come conferma si cita un frammento di inno battesimale presentato quasi come fosse una parola biblica («sta scritto» è la formula introduttoria alle citazioni bibliche): immersi nelle tenebre del sonno e della morte, noi siamo risorti e abbagliati dalla luce di Cristo. Si precisa, allora, come dev’essere la vita dei figli della luce. Paolo segnala due atteggiamenti fondamentali.
Da un lato, bisogna fare buon uso del tempo, cioè di questa èra di salvezza in cui ci ha introdotto la Pasqua di Cristo. In essa bisogna scorgere e seguire la volontà di Dio, che ci conduce alla pienezza della vita. D’altro lato, è necessario lasciare spazio allo Spirito che trasforma l’esistenza del credente in un canto di lode e ringraziamento a Dio. Il discorso si fa ora ancor più concreto e si delinea una specie di tavola dei doveri della vita familiare (vedi anche Colossesi 3,18-4,1). Si devono, però, notare due differenze rispetto ai paralleli del mondo giudaico e greco-romano: si sottolinea la reciprocità dei doveri degli sposi, nonostante il contesto maschilista in cui l’apostolo viveva (che pure lascia qualche traccia); inoltre, Gesù Cristo diventa il riferimento fondamentale su cui vivere l’esperienza d’amore, essendo egli la fonte della carità.
È per questo che la considerazione sui doveri dei mariti verso le mogli si trasforma in una catechesi sul rapporto tra Cristo e la Chiesa, sua sposa, purificata attraverso il lavacro battesimale. Il matrimonio diventa, perciò, simbolo dell’unione tra Cristo e la Chiesa, il “grande mistero”, come lo chiama Paolo, cioè il mirabile disegno salvifico di Dio. L’uso dell’immagine nuziale per rappresentare la relazione tra Dio e Israele era già stato praticato dall’Antico Testamento (vedi, ad esempio, Osea 1-3). Ora il matrimonio cristiano ­ illustrato sulla base di Genesi 2,24 ­ diventa segno della nuova alleanza ed è in questa luce che il passo è stato letto come la base della visione sacramentale dell’unione matrimoniale cristiana.

ALTRE ESORTAZIONI E SALUTO
6 Dal rapporto tra i coniugi la “tavola” dei doveri familiari delineata dall’apostolo passa a quello tra i figli e i genitori, con un rimando esplicito al comandamento, presente nel Decalogo (Esodo 20,12), di onorare il padre e la madre. Tuttavia anche in questo caso si esalta la reciprocità: i genitori devono educare i loro figli senza esasperarli. Si riserva poi spazio al settore delle relazioni tra schiavi e padroni. È un’esortazione che risente del contesto storico in cui vive la Chiesa delle origini. Ma c’è una sottolineatura nuova e significativa. Da un lato, lo schiavo deve compiere il suo lavoro con onestà, consapevole che ogni azione del cristiano ha un valore agli occhi di Dio. Dall’altro lato, i padroni devono comportarsi senza violenze o minacce, perché c’è sopra di loro un Signore di tutti che non guarda allo stato sociale o di privilegio, ma giudica ognuno con giustizia.
Conclusa la “tavola” degli impegni del cristiano nella famiglia e nella società, la lettera si avvia alla fine con un’ampia esortazione ad affrontare con decisione la lotta spirituale contro il male, che insidia la vita del credente. Paolo fa esplicito riferimento al diavolo e alle forze oscure che dominano la storia. Egli le denomina secondo il linguaggio apocalittico come principati, potenze, dominatori del mondo tenebroso in cui siamo immersi, e spiriti del male che, invece, trascendono il nostro orizzonte terreno. Si ricorre, così, alla simbologia marziale dell’armatura da indossare. Anche Dio nell’Antico Testamento era raffigurato come un guerriero che si schierava, con il suo re-Messia, a difesa del bene e dei giusti contro l’assalto del male (Isaia 11,4-5; 59,16-18; Sapienza 5,17-23).
Le armi del cristiano sono la verità come cintura, la giustizia come corazza, le calzature per annunziare il vangelo, la fede come scudo, la salvezza come elmo, lo Spirito e la parola di Dio come spada (vedi anche 1Tessalonicesi 5,8). La lotta spirituale dev’essere sostenuta dalla preghiera allo Spirito Santo, perché sia vicino a tutti coloro che annunziano il vangelo. Paolo si colloca tra costoro ed è presentato dalla lettera «ambasciatore in catene» del messaggio di Gesù: anche se non si è certi su questa carcerazione (quella romana o un’antecedente prigionia, forse efesina), è sulla base di questa nota che si colloca lo scritto agli Efesini tra le cosiddette “lettere dalla cattività” (o prigionia).
La lettera è chiusa da un intenso saluto. Al suo interno c’è una particolare esaltazione dell’amore «incorruttibile» che deve unire il cristiano al suo Signore. Prima, però, si fa riferimento a un collaboratore dell’apostolo di nome Tichico, inviato come delegato di Paolo. Egli espleterà la stessa missione anche nei confronti dei cristiani di Colosse (Colossesi 4,7): era, perciò, un rappresentante dell’apostolo nell’area dell’Asia Minore o almeno in alcuni ambiti di essa, nei quali egli comunicava ufficialmente notizie e messaggi paolini.

PAOLO APOSTOLO DI GESÙ CRISTO E DELLE GENTI, IERI E OGGI
Quando appare sul quadrante della nostra storia, Saulo, o con il nome latino Paolo, ha circa 30 anni.
Cartina geograficaA mezzogiorno. Sulla via che va da Gerusalemme in Giudea a Damasco in Siria (240 km circa). Giovane dottore in Legge, zelante difensore delle tradizioni dei padri nella fede, su quella via di Damasco insegue successo e gloria. Si, quel giorno sognato e atteso doveva segnare sull’agenda personale una specie di solenne collaudo del suo primo nome, Sha-ù-l o Saulos (At 7,58). Nome semitico che significa ‘invocato con preghiere, desiderato ‘ e che lo faceva sentire importante nella storia del suo popolo: Sha-ù-l era il nome del primo grande re d’Israele!
« Io sono un giudeo, nato a Tarso, in Cilicia, educato nella città di Gerusalemme, istruito ai piedi di Gamaliele nelle rigorosa osservanza della legge dei padri, pieno di zelo per Dio… »(Atti degli Apostoli, capitolo 22).
Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo, quando ero nel Giudaismo: come perseguitavo la Chiesa di Dio, accanito com’ero nel difendere le tradizioni dei padri… Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò a sé con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo, perché io lo annunziassi ai pagani, io subito andai in Arabía… poi tornai a Damasco… Dopo tre anni salii a Gerusalemme a consultare Cefa… Personalmente ero sconosciuto alle chiese della Giudea che sono in Cristo: avevano solo sentito dire: « colui che un tempo ci perseguitava adesso annuncia quella fede che allora cercava di distruggere », e glorificavano Dio a causa mia. (lettera ai cristiani della Galazia, capitolo 1,13-24)Paolo prigioniero per Cristo, dipinto di Rembrant
Messo a ko sul ring della via di Damasco da Gesù di Nazaret, Colui che egli considerava il suo più grande rivale, tutta l’esistenza di Saulo si qualifica ormai in prima e dopo Damasco. E per amore di Gesù ‘il mio Signore’ diventa volontariamente il più piccolo colui che, per amore di se stesso, mirava con tutto l’essere a diventare il più grande
A me, il più piccolo di tutti (= paulissimus!) è stata concessa questa grazia: di annunziare a tutte le genti la straordinaria ricchezza che è Cristo Gesù. (Lettera ai cristiani di Efeso 3,8; vedi Lettera ai cristiani di Filippi 3).

Disegno di Thomas Geve (15 anni), sopravvissuto ai campi di sterminio [2]

Disegno di Thomas Geve (15 anni), sopravvissuto ai campi di sterminio [2] dans 0. INNO ALLA CARITÀ (1COR 13,1-13) 00370163_b

http://scuolallopera.wordpress.com/tag/musica-della-shoah/

 

RAV. RICCARDO DI SEGNI – FUORI DALLE ROVINE

http://www.ucei.it/giornodellamemoria/default.asp?subpag=34&pag=3

RAV. RICCARDO DI SEGNI

FUORI DALLE ROVINE

(mi accorgo che ci sono delle lettere che non sono venute bene, ora è tardi, non faccio a tempo a correggere, scusate!)

AllÆinizio del Talmud Babilonese, nel secondo foglio del trattato di Berakhot (3a) Rabbi Iosý racconta che una volta stava camminando per la strada ed entr‗ a pregare in una delle rovine di Gerusalemme. Lo vide Eliahu,  il profeta, e lo aspett‗ facendogli la guardia fuori dalla rovina.Finita la preghiera i due si salutarono ed Eliahu fece delle domande: ôPerchÚ sei entrato lÓ dentro?ö. ôPer pregareö.ôNon potevi pregare per strada?ö.ôTemevo di essere disturbato dai passantiö.ôPotevi dire una preghiera cortaö.Rabbi Iosý commenta che da quella conversazione apprese da Eliahu tre regole: che non si entra in una rovina, che si pu‗ pregare per strada e che chi prega per strada deve recitare una formula abbreviata.Il racconto prosegue con Rabbi Iosý che riferisce di aver udito, dentro la rovina, il lamento del Signore per la distruzione del Suo Santuario e per lÆesilio dei Suoi figli.Questo racconto Þ esemplare di un tipo di espressione rabbinica nella quale, dietro un fatto apparentemente banale, si nasconde la discussione su questioni molto importanti.Proviamo a vedere di che si tratta, alla luce di alcuni commenti (come quello di Rav Steinsalz e quello del Maharal di Praga). Prima di tutto chi era Rabbi Iosý: era un maestro del quarta generazione, allievo di Rabbý AqivÓ. Era stato quindi testimone della repressione da parte di Adriano della rivolta di Bar KokbÓ, finita nel 135 con un massacro senza precedenti nella storia ebraica (dellÆordine di grandezza del milione di vittime), la ShoÓh dellÆantichitÓ classica. Lo stesso maestro di Rabbi Iosý, Rabbý AqivÓ, era morto martire, Gerusalemme distrutta era stata riedificata dai romani, trasformata in Aelia Capitolina, e interdetta agli ebrei. Forse quando Rabbi Iosý parlava di una sua visita alle rovine di Gerusalemme non ci sarebbe neanche potuto entrare. E allora? Nel linguaggio rabbinico ôlÆandare per la viaö non ha solo un significato letterale, ma pu‗ significare che il Rav andava vagando dietro ai suoi pensieri, immerso nelle sue meditazioni e sulle preghiere per la  distruzione di Gerusalemme. Eliahu se ne accorse e aspett‗ che finisse, rimproverandolo poi con una serie di osservazioni. Da un punto di vista normativo, Þ proibito entrare in un edificio diroccato, per vari motivi, di cui il pi¨ semplice Þ che ci possano essere ulteriori crolli provocando un danno allo sprovveduto visitatore. Quindi Rabbi Iosý aveva violato quella che oggi definiremmo una norma di sicurezza. Ma lÆaveva fatto con il pensiero, ed Eliahu lo aveva rimproverato. Che senso ha questo colloquio? I commenti suggeriscono questa lettura: Rabbi Iosý trascinato da suoi pensieri si isola su quello della distruzione di Gerusalemme e sulla richiesta della fine delle sofferenze ed Eliahu gli dice che sarebbe stato meglio pregare per strada. Se in strada qualcuno potrebbe distrarre o disturbare Þ meglio recitare una formula abbreviata e sbrigativa. Eliahu sta spiegando, in altri termini, che sul tema della sofferenza non bisogna entrare dentro la rovina, ma bisogna riflettere restando per strada. E se per strada qualcuno non ti capisce e potrebbe disturbarti, si deve restare per strada e pregare di corsa.Il tema qua in discussione Þ quello della ricerca di un equilibrio per chi Þ sopravvissuto ad una tragedia storica. Il rischio Þ quello di sprofondare nei propri pensieri e restare vittima di un altro crollo perchÚ, appunto, il luogo della rovina Þ pericoloso, il luogo stesso Þ vittima ma anche carnefice.Meglio rimanere sulla strada, nella vita, nella realtÓ che scorre, anche se lÓ si rischia di non potersi concentrare perchÚ chi non capisce potrebbe interromperti. Il compromesso giusto Þ una preghiera corta, un impegno che non si interrompe ma che deve essere limitato nel tempo.Oggi come 19 secoli fa il rischio del ricordo della Shoah Þ quello di rimanere intrappolati dentro senza poter riprendere la strada.Per molti lÆidentitÓ ebraica si limita al negativo, al ricordo, anzi allÆincubo di fatti terribili. EÆ unÆidentitÓ pericolosa e patologica per il singolo e per la collettivitÓ ebraica.Ben vengano le giornate e le settimane speciali, si mantenga vivo il ricordo come assoluta necessitÓ morale, ma si faccia attenzione a non fuggire dalla realtÓ e a non dimenticare, oltre il nostro passato la necessitÓ di continuare la nostra strada

UN’ALLEANZA CHE RIMANE IRREVOCABILE – Rabbino David Rosen

http://www.notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=773:unalleanza-che-rimane-irrevocabile&catid=65:archivio-notizie&Itemid=195

UN’ALLEANZA CHE RIMANE IRREVOCABILE

Intervento del Rabbino David Rosen al Sinodo per il Medio Oriente

Consigliere del Gran Rabbinato di Israele

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 14 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell’intervento pronunciato questo mercoledì pomeriggio all’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi dal Rabbino David Rosen, consigliere del Gran Rabbinato di Israele, direttore del « Department for Interreligious Affairs of the American Jewish Committee and Heilbrunn Institute for International Interreligious Understanding ».

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Oggi il rapporto tra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico rappresenta una felice trasformazione per i nostri tempi- si può dire senza paralleli storici. Nelle sue parole nella grande sinagoga di Roma lo scorso mese di gennaio, Sua Santità Papa Benedetto XVI ha ricordato l’insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II come “un punto fermo a cui riferirsi costantemente nell’atteggiamento e nei rapporti con il popolo ebraico, segnando una nuova e significativa tappa”. Naturalmente questa straordinaria trasformazione nel modo in cui il popolo ebraico viene considerato e presentato ha dovuto e deve ancora confrontarsi con l’influenza di secoli, se non di millenni di “insegnamento del disprezzo” nei confronti degli ebrei e dell’ebraismo, che ovviamente non può essere eliminato di punto in bianco e neppure dopo quarantacinque anni. Inevitabilmente l’impatto di questa trasformazione nei rapporti cattolico-ebraici varia considerevolmente da un contesto all’altro, a seconda dell’influenza di fattori sociologici, educativi e perfino politici. Si può dire che l’internazionalizzazione più drastica ha avuto luogo negli Stati Uniti d’America, dove ebrei e cristiani vivono in una società aperta fianco a fianco come minoranze vibranti, sicure di sé e civilmente impegnate. Di conseguenza qui i rapporti hanno raggiunto un livello unico, comprendendo cooperazione e scambi tra le comunità e le loro istituzioni educative; oggi gli Stati Uniti vantano letteralmente dozzine di istituzioni accademiche di studi e relazioni cattolico-ebraiche, mentre nel resto del mondo ne esistono forse tre. In effetti tra le comunità ebraiche degli Stati Uniti è diffusa la percezione della Chiesa cattolica come di una amica autentica con profondi valori e interessi comuni. È mio privilegio essere a capo della rappresentanza internazionale interreligiosa dell’American Jewish Committee (Comitato Ebreo Americano), che è stato e continua a essere la principale organizzazione ebraica per quanto riguarda questa importante e storica trasformazione. Tuttavia esistono molti paesi in cui questi fattori sociali e demografici non esistono. Nella maggior parte dei paesi in cui il cattolicesimo rappresenta la forza sociale dominante, le comunità ebraiche sono piccole, se non del tutto assenti, e i rapporti tra la Chiesa e l’ebraismo spesso sono trascurabili. Confesso di essere rimasto sorpreso di scoprire nel clero cattolico e talvolta anche nella gerarchia di alcuni paesi non solo ignoranza nei confronti dell’ebraismo contemporaneo, ma spesso perfino della Nostra Aetate, il documento del Concilio che ne è scaturito, e di conseguenza degli importanti insegnamenti del Magistero riguardo agli ebrei e all’ebraismo. Mentre, come abbiamo detto, l’esperienza ebraica negli Stati Uniti ha fatto molto per mitigare le impressioni negative del tragico passato, nel mondo ebraico esiste ancora una diffusa ignoranza del cristianesimo – soprattutto quando i contatti con i cristiani di oggi sono sporadici o inesistenti. Nell’unico sistema politico mondiale del mondo in cui gli ebrei sono la maggioranza, lo Stato di Israele, questo problema è ulteriormente aggravato dal contesto politico e sociologico. In Medio Oriente, come nella maggior parte del mondo, le comunità tendono a vivere nei propri ambienti linguistici, culturali e confessionali, e Israele non fa eccezione. Inoltre gli arabi cristiani in Israele sono una minoranza dentro una minoranza – circa 120.000 su una popolazione araba di quasi un milione e mezzo che per la maggior parte è musulmana e che rappresenta forse il venti per cento di tutta la popolazione di Israele ( intorno ai sette milioni e mezzo). È vero che gli israeliani arabi cristiani rappresentano una minoranza religiosa particolarmente affermata sotto molti aspetti. I loro standard socio economici ed educativi sono ben al di sopra della media – le loro scuole registrano i voti migliori agli esami di maturità annuali – molti di loro sono politici ad alto livello e sono stati in grado di attingere ai molti benefici del sistema democratico di cui sono parte integrante. Tuttavia la vita quotidiana della stragrande maggioranza di arabi ed ebrei si svolge in seno ai loro rispettivi contesti. Di conseguenza la maggior parte degli ebrei israeliani non incontrano i cristiani contemporanei; e perfino quando si recano all’estero tendono a considerarli non-ebrei come tali, non cristiani moderni. Di conseguenza fino a poco tempo fa la maggior parte della società israeliana non ha avuto alcun sentore dei profondi cambiamenti nei rapporti tra cattolici ed ebrei. Tuttavia questa situazione ha iniziato a cambiare significativamente nell’ultimo decennio per diversi motivi, di cui due particolarmente importanti. Il primo è rappresentato dall’impatto della visita del compianto Papa Giovanni Paolo II nell’anno 2000, a seguito dello stabilimento dei rapporti diplomatici bilaterali tra Israele e la Santa Sede di sei anni prima. Mentre quest’ultimo fatto era già stato percepito in Israele, è stato il potere delle immagini visive, il cui significato Papa Giovanni Paolo II comprendeva così bene, che ha rivelato chiaramente alla maggior parte della società israeliana la trasformazione che si era operata negli atteggiamenti e negli insegnamenti cristiani riguardo al popolo ebraico con il quale lo stesso Papa ha mantenuto e ha continuato a promuovere mutua amicizia e rispetto. Per Israele vedere il Papa al Muro del Pianto, frammento del Secondo Tempio, stare in piedi in segno di rispetto per la tradizione ebraica e porvi il testo che aveva composto per una liturgia del perdono che aveva avuto luogo due settimane prima qui, a San Pietro, in cui chiedeva il perdono divino per i peccati commessi contro gli ebrei nel corso dei secoli, è stato straordinario e commovente nel suo effetto. Gli ebrei di Israele hanno ancora molta strada da fare per superare un passato negativo, ma non c’è dubbio che da quella storica visita gli atteggiamenti sono cambiati. Essa inoltre ha portato all’importante nuovo cammino verso il dialogo, la comprensione e la collaborazione grazie alla commissione bilaterale del Gran Rabbinato di Israele e la Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l’Ebraismo, istituita per iniziativa di Giovanni Paolo II e ampiamente lodata da Papa Benedetto XVI nel corso del suo pellegrinaggio in Terra Santa lo scorso anno, come pure nelle sue parole alla sinagoga di Roma all’inizio di quest’anno. Un altro fattore importante è l’influsso di altri cristiani che hanno raddoppiato l’assetto demografico del cristianesimo in Israele. Mi riferisco innanzitutto ai circa cinquantamila cristiani praticanti che facevano parte del flusso migratorio dall’ex Unione Sovietica verso Israele negli ultimi due decenni. In quanto strettamente legati allo stesso tempo con la società ebraica a motivo di vincoli familiari e culturali, si può dire che essi rappresentino la prima minoranza cristiana che si considera allo stesso tempo parte di una maggioranza ebraica da quando si è formata la comunità cristiana degli albori. Questi cristiani, come le comunità arabo cristiane, sono cittadini israeliani che godono del pieno diritto di cittadinanza e di uguaglianza di fronte alla legge. Tuttavia esiste un terzo importante popolo cristiano in Israele, la cui permanenza legale è talvolta problematica. Si tratta delle molte migliaia di cristiani praticanti su circa un quarto di milione di lavoratori immigrati – dalle Filippine, dall’Europa dell’est, dall’America Latina e dall’Africa sub-Sahariana. La maggior parte di loro sono ospiti del paese legalmente e provvisoriamente. Tuttavia circa la metà di loro sono entrati, o risiedono illegalmente e la loro posizione è precaria dal punto di vista legale. Tuttavia la sostanziale presenza cristiana in mezzo a questa popolazione alimenta una vita religiosa piena di vitalità e rappresenta una significativa terza dimensione della realtà cristiana nell’Israele di oggi. Questi fattori hanno contribuito, fra gli altri, a una crescente familiarità in Israele con il cristianesimo odierno. Inoltre, mentre esistono circa duecento organizzazioni israeliane che promuovono la comprensione e la collaborazione arabo-ebraiche in generale, esistono anche letteralmente dozzine di organismi che promuovono incontri interreligiosi, dialogo e studi, e la presenza cristiana al loro interno è esorbitante e assai significativa. Ciò naturalmente è dovuto sostanzialmente alla presenza di istituzioni cristiane e ai loro presbiteri, alunni, rappresentanti internazionali delle chiese, e così via, che contribuiscono, in modo del tutto sproporzionato rispetto al loro numero, a questi sforzi, soprattutto nel campo dell’istruzione. Inoltre il fatto che nello Stato di Israele i cristiani, come i musulmani, rappresentino una minoranza che vuol essere accettata e compresa dalla maggioranza degli ebrei, è servito da stimolo per l’impegno interreligioso (contrariamente ad altri luoghi, dove spesso accade l’inverso). I cristiani in Israele si trovano naturalmente in una situazione molto diversa di quella delle loro comunità sorelle in Terra Santa, che fanno parte di una società palestinese che lotta per la propria indipendenza, e che vengono inevitabilmente coinvolte tutti i giorni nel conflitto Israelo-palestinese. In effetti l’ubicazione di alcune di queste comunità ai confini tra Israele e la giurisdizione palestinese fa sì che queste spesso debbano sopportare l’affronto delle misure di sicurezza che lo Stato ebraico si sente in obbligo di mantenere al fine di proteggere i propri cittadini dalla continua violenza dall’interno dei territori palestinesi. È giusto e opportuno che questi cristiani palestinesi esprimano il loro disagio e le loro speranze riguardo alla situazione. Tuttavia è rilevante e deplorevole che tali espressioni non siano sempre conformi con la lettera e lo spirito del Magistero riguardo ai rapporti con gli ebrei e l’ebraismo. Ciò sembra riflettersi in un contesto geografico più ampio, dove l’impatto del conflitto Arabo-Israeliano ha rappresentato troppo spesso un disagio per molti cristiani nei confronti della riscoperta da parte della Chiesa delle proprie radici cristiane e talvolta una preferenza per il pregiudizio storico. Tuttavia la difficile situazione dei Palestinesi in generale, e dei Cristiani Palestinesi in particolare, dovrebbe preoccupare profondamente gli Ebrei sia in Israele che nella Diaspora. Per incominciare, proprio l’ebraismo ha mostrato al mondo che ogni persona umana è creata a Immagine Divina; e che di conseguenza, come insegnano i saggi del Talmud, ogni atto irrispettoso nei confronti di un’altra persona è un atto irrispettoso nei confronti del Creatore stesso. Noi abbiamo una responsabilità particolare nei confronti del prossimo che soffre. E tale responsabilità è ancora più grande quando la sofferenza scaturisce da un conflitto cui partecipiamo e in cui, paradossalmente, abbiamo precisamente il dovere morale e religioso di proteggere e difendere noi stessi. Per me personalmente, in quanto Israeliano di Gerusalemme, la penosa situazione in Terra Santa e la sofferenza di tante persone da entrambe le parti dello spartiacque politico è causa di grande dolore, anche se mi rendo perfettamente conto del fatto che essa viene usata ed abusata per fomentare tensioni che vanno ben oltre il contesto geografico del conflitto stesso. Ringrazio Dio per il gran numero di organizzazioni che nella nostra società operano per alleviare quanta più sofferenza possibile in questo difficilissimo contesto. Sono orgoglioso di essere il fondatore di una di queste organizzazioni, “Rabbis for Human Rights” (Rabbini per i Diritti Umani), il cui direttore e i cui membri, proprio in veste di leali cittadini israeliani, continuano a lottare per difendere e promuovere la dignità umana di tutte le persone e in particolare dei più vulnerabili. Naturalmente, sono consapevole delle stragi sulle strade delle nostre città, nel passato recente, e delle persistenti minacce che, nel presente, vengono da coloro che sono apertamente impegnati nella distruzione e nello sterminio di Israele. Tuttavia, dobbiamo sforzarci di fare tutto il possibile per alleviare la durezza delle condizioni, specialmente per coloro che appartengono alle comunità cristiane di Gerusalemme e dintorni. Di fatto, negli ultimi mesi le condizioni sono notevolmente migliorate, per esempio per quel che riguarda la libera circolazione del clero; inoltre, recentemente, sembrano esserci segnali di una crescente comprensione dei bisogni delle comunità cristiane locali da parte delle autorità, malgrado le sfide poste dalla sicurezza. Noi siamo a favore di tutto ciò, nella convinzione che sia assolutamente nell’interesse di tutti. Dunque, la responsabilità ebraica di garantire la fioritura di comunità cristiane in mezzo a noi, in considerazione del fatto che la Terra Santa è la terra in cui nacque il Cristianesimo e dove si trovano i luoghi sacri, viene rafforzata dalla nostra rinnovata e crescente fraternità. Tuttavia, anche andando oltre il nostro particolare rapporto, i Cristiani presenti come minoranza in ambiente ebraico o mussulmano svolgono un ruolo molto speciale nel contesto delle nostre società. La situazione delle minoranze si riflette sempre profondamente sulle condizioni sociali e morali di una società nel suo insieme. Il benessere delle comunità cristiane in Medio Oriente non è altro che una specie di barometro delle condizioni morali dei nostri paesi. Il grado dei diritti civili e religiosi o delle libertà di cui godono i cristiani testimonia lo stato di salute o di malattia delle rispettive società mediorientali. Inoltre, come ho già detto, i Cristiani svolgono un ruolo assai importante nella promozione del dialogo e la collaborazione interreligiosi nel paese. Dunque, vorrei suggerire che proprio questa è la funzione dei Cristiani, ovvero contribuire al superamento del pregiudizio e del malinteso che affliggono la Terra Santa e che, naturalmente, sono sostenuti nel resto della regione. Sebbene non sia giusto aspettarsi che le piccole comunità cristiane locali siano in grado di sopportare da sole tale responsabilità, forse possiamo sperare che, se sostenute in questo dalla loro Chiesa universale e dall’autorità centrale, possano fungere da salutari operatori di pace nella città il cui nome significa pace e che tale significato ha mantenuto per le nostre comunità. La direzione cattolica locale ha già dato un segno di ciò istituendo in anni recenti il Consiglio degli Istituti Religiosi in Terra Santa, che riunisce il Gran Rabbinato di Israele, i tribunali della Sharia e il Ministero degli Affari Religiosi dell’Autorità Palestinese, nonché la direzione cristiana ufficiale in Terra Santa. Tale consiglio non solo facilita la comunicazione fra le diverse autorità religiose, ma è anche impegnato nella lotta ai malintesi, al fanatismo e alll’istigazione, cercando di essere un punto di forza per la riconciliazione e la pace, in modo che due nazioni e tre religioni possano convivere nella stessa terra con dignità, libertà e tranquillità assolute. L’Instrumentum Laboris di questo sinodo speciale per il Medio Oriente cita Papa Benedetto XVI nella sua intervista all’Osservatore Romano, mentre si recava in Terra Santa; dice: “è importante, da una parte avere i dialoghi bilaterali – con gli ebrei e con l’Islam – e poi anche il dialogo trilaterale” (96). Proprio quest’anno, per la prima volta il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e la Pontificia Commissione per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo ha ospitato insieme al Comitato Ebraico Internazionale per le Consultazioni Interreligiose (IJCIC) e la Fondazione Le Tre Culture, a Siviglia, in Spagna, il nostro primo dialogo trilaterale. È stata per me una gioia particolare, poiché la proposta di ciò venne avanzata quando ero presidente del IJCIC e spero vivamente che sia solo l’inizio di un dialogo trilaterale più esteso, che possa vincere il sospetto, il pregiudizio e i malintesi, in modo che possiamo mettere in luce i valori condivisi dalla famiglia di Abramo per il bene di tutta l’umanità. Mi sembra che la suddetta commissione bilaterale con il Rabbinato di Israele ed il consiglio degli Istituti Religiosi in Terra Santa costituisca in questo senso un’opportunità e una sfida ancor più grandi. L’Instrumentum Laboris ci permette di comprendere meglio la natura dei rapporti dei Cristiani sia con gli Ebrei sia con i Mussulmani. Cita infatti le parole di Papa Benedetto XVI a Colonia, nell’agosto del 2005, quando descrisse le relazioni con l’Islam: “… una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro” (95). In Medio Oriente ciò si può toccare con mano. A seconda che il concetto di dar el Islam sia inteso soltanto in un contesto geografico/culturale o piuttosto teologico, la domanda fondamentale per il futuro delle nostre comunità è se i fratelli mussulmani saranno capaci di considerare la presenza dei cristiani e degli ebrei come parte integrante e pienamente legittimata della regione nel suo insieme. La necessità di affrontare questo problema è veramente “una necessità vitale… da cui… dipende il nostro futuro”. Ciò si ricollega precisamente alla questione che è alla radice del conflitto arabo-israeliano. Coloro che rivendicano l’ “occupazione” come“causa originaria” del conflitto non sono sinceri, nel migliore dei casi. Questo conflitto è in atto da decenni, da molto prima della Guerra dei Sei Giorni del 1967, il cui esito portò Gaza e Cisgiordania sotto il controllo israeliano. L’”occupazione” è infatti una conseguenza del conflitto, la cui “causa originaria” è in realtà se il mondo arabo possa o meno tollerare un sistema di governo sovrano non arabo al suo interno. Tuttavia l’Instrumentum Laboris nel commento alla Dei Verbum descrive il dialogo della Chiesa “con i suoi fratelli maggiori” non solo necessario, ma “essenziale” (87). Proprio durante la visita alla grande sinagoga di questa città, quest’anno il Papa Benedetto XVI ha citato il Catechismo della Chiesa Cattolica (839) “E’ scrutando il suo stesso mistero che la Chiesa, Popolo di Dio della Nuova Alleanza, scopre il proprio profondo legame con gli Ebrei, scelti dal Signore primi fra tutti ad accogliere la sua parola”; aggiunge in seguito: “la fede ebraica è già risposta alla rivelazione di Dio”. Queste parole fanno eco a quelle del suo predecessore, Giovanni Paolo II, che nella sua storica visita alla stesso luogo di adorazione degli ebrei, in questa città nel 1986, dichiarò che la “religione ebraica non è estrinseca, ma in certo qual modo è intrinseca alla nostra religione. Con l’Ebraismo dunque abbiamo un rapporto che non abbiamo con nessun’altra religione”. Inoltre, nell’Esortazione apostolica del 28 giugno 2003, il pontefice descrisse “…il dialogo con l’ebraismo” come “di fondamentale importanza per l’autocoscienza cristiana”, in linea con l’appello del sinodo a “riconoscere le comuni radici che intercorrono tra il cristianesimo e il popolo ebraico, chiamato da Dio a un’alleanza che rimane irrevocabile”. Come ho detto, le realtà politiche in Medio Oriente non sempre facilitano il riconoscere, da parte dei cristiani, e ancor meno a far proprie, queste esortazioni. Tuttavia, prego che il miracolo di ciò cui Giovanni Paolo II si è riferito come “la fioritura di una nuova primavera nei reciproci rapporti” diventi sempre più evidente in Medio Oriente e nel mondo intero. A questo scopo, dedichiamoci sempre più devotamente, attraverso la preghiera e le opere, alla pace e alla dignità per tutti. Preghiamo con le parole di Papa Giovanni Paolo II presso il muro occidentale di Gerusalemme, con cui il pontefice Benedetto XVI ha concluso la presentazione nella grande sinagoga di Roma.“Manda la tua pace in Terra Santa, nel Medio Oriente, in tutta la famiglia umana; muovi i cuori di quanti invocano il tuo nome, perché percorrano umilmente il cammino della giustizia e della compassione”.

Permettemi, come colui che viene a voi dalla città santa e prediletta da noi tutti, di concludere con le parole del salmista: “Ti benedica il Signore da Zion e pssa tu vedere il bene di Gerusalemme tutti i giorni della tua vita!” (Salmo 128:5)

 

25 GENNAIO: SOLENNITÀ DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO APOSTOLO – Basilica Cattedrale di Reggio Calabria

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25 GENNAIO: SOLENNITÀ DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO APOSTOLO

Basilica Cattedrale di Reggio Calabria

La conversione di Paolo che siamo chiamati a celebrare e a vivere, esprime la potenza della grazia che sovrabbonda dove abbonda il peccato. La svolta decisiva della sua vita si compie sulla via di Damasco, dove egli scopre il mistero della passione di Cristo che si rinnova nelle sue membra. Egli stesso perseguitato per Cristo dirà: ‘Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa’. Questa celebrazione, già presente in Italia nel sec. VIII, entrò nel calendario Romano sul finire del sec. X. Conclude in modo significativo la settimana dell’unità dei cristiani, ricordando che non c’è vero ecumenismo senza conversione (cfr Conc. Vat. II, Decreto sull’ecumenismo ‘Unitatis redintegratio’, 7). (Mess. Rom.) Martirologio Romano: Festa della Conversione di san Paolo Apostolo, al quale, mentre percorreva la via di Damasco spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore, Gesù in persona si manifestò glorioso lungo la strada affinché, colmo di Spirito Santo, annunciasse il Vangelo della salvezza alle genti, patendo molto per il nome di Cristo.  Sabato 25 gennaio 2014, alle ore 17.30, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, il Santo Padre Francesco presiederà la celebrazione dei Secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo, a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani sul tema: «Cristo non può essere diviso» (cfr. 1 Cor 1, 1-17). Prenderanno parte alla celebrazione i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali presenti a Roma. Sono invitati, in modo particolare, il clero e i fedeli della diocesi di Roma.   »Paolo viene da Saulo come un agnello uscito da un lupo. Primo avversario, poi apostolo; prima persecutore, poi testimone del Vangelo. »

S.Agostino, Le Confessioni « Paolo è la tromba del Vangelo, il ruggito del leone, un fiume di eloquenza divina. Ogni volta che lo leggo mi sembra di udire non parole, ma tuoni. » San Girolamo   Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura (Mc 16, 15) Oggi, si celebra la conversione di San Paolo e la Chiesa ci invita a rinnovare la nostra fede. Il brano del Vangelo di Marco ci apre dinanzi la missione degli apostoli, missione universale, per tutto il mondo, per ogni creatura. La risposta a tale chiamata sarà sempre o adesione alla fede, battesimo, salvezza o incredulità, rifiuto, condanna Gesù assicura che la predicazione degli apostoli sarà sostenuta da segni particolari che manifesteranno che Gesù è il Signore del creato: i miracoli elencati indicano che è iniziato il tempo del superamento di tutti i mali che affliggono l’umanità. Oggi, la Chiesa continua a realizzare la promessa di Cristo non solo attraverso la proclamazione del Vangelo anche attraverso una molteplicità immensa di opere a favore della vita e in particolare dei poveri: scuole di ogni livello, orfanotrofi, ospedali, case per i malati terminali, case di riposo per anziani, movimenti che lavorano per la giustizia in tutti gli ambiti, liberazione di schiavi, pace ecc. ecc. Ovunque si trovano vescovi, sacerdoti, suore, laici cristiani, là Cristo continua la sua missione nella Chiesa. « Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte sono un corpo solo, così anche il Cristo. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui ». San Paolo   Omelia a cura di Eremo San Biagio Apostoli della conversione Chi si converte non solo opera un miracolo in sè, ma anche opera dei miracoli attorno a sè. proprio come lo è stato per San Paolo. La salvezza dalla confusione, dalla paura, dalla solitudine sono i primi miracoli; il non essere contagiati dai veleni del mondo, dalla logica delle tenebre, il parlare lingue nuove nello Spirito, il guarire le malattie morali, eccone altri. Il mondo è pieno di miracoli, laddove la conversione attua un modo di vedere e analizzare le cose dal punto di vista dello Spirito. Ecco che allora la tenebra è trasformata in luce, il peccato in grazia, il limite in risorsa, e tutto quanto era di ostacolo diventa aiuto e sostegno nel cammino. L’apostolo, come Paolo, trova il suo riferimento nell’atto della grazia posto sul suo cammino di conversione, laddove la luce si fa densa di energia rinnovante dello Spirito, e la creatura nuova appare nel suo splendore. Essere segni di luce è opera e testimonianza della conversione, del cambiamento dentro e fuori la persona che si è incontrata misteriosamente e prodigiosamente con il Mistero della vita. La conversione dell’Apostolo è ora illuminante anche per noi, richiamandoci il percorso di Dio, che scende sempre nella nostra storia.

Omelia di don Luciano Sanvito  Chi sei, o Signore? Celebriamo oggi la conversione di san Paolo. Egli era un accanito persecutore di cristiani, ma egli stesso racconta negli Atti degli Apostoli, che un giorno… »mentre ero in viaggio e mi stavo avvicinando a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso, una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: « Saulo, Saulo, perché mi persèguiti? ». Io risposi: « Chi sei, o Signore? » Mi disse: « Io sono Gesù, il Nazareno, che tu persèguiti ». Quella luce celeste lo folgorò dentro l’anima e divenne anche cieco negli occhi perché chi non crede in Gesù è cieco e insipiente: non vede la Verità, che è Gesù Cristo, Luce del mondo, ma vive nelle tenebre e nella confusione di questo mondo e di se stesso. Saulo capì e credette in Gesù: si fece battezzare nel suo Santo Nome e divenne un Apostolo di fuoco, l’Apostolo delle genti. Egli arrivò fino a Roma per testimoniare la sua fede ardente in Gesù Cristo; e qui seppe dare la sua estrema testimonianza di fede a Lui e fino a versare il suo sangue. Egli venne decapitato là alle Tre Fontane, dove oggi sorge il monastero benedettino. Apostolo di Gesù Cristo, grande apostolo. E oggi Gesù nel vangelo ci dice: « andate il tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato ». San Paolo, prega per noi e per la nostra conversione, tu che hai creduto a Gesù che ti chiamava alla vera fede, aiutaci ad essere veri cristiani.

Il mandato: « Andate… » Gesù aveva iniziato la sua predicazione con un messaggio semplice, essenziale: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo». Egli parlava del tempo « compiuto », dalla realizzazione cioè delle promesse antiche con la sua venuta tra noi, parlava dell’avvento del Regno, ormai prossimo a stabilirsi definitivamente nel mondo, parlava di fede ed infine esortava tutti alla conversione. Oggi festeggiamo proprio una grande conversione, quella di Paolo di Tarso. Da persecutore di Cristo, folgorato dalla grazia sulla via di Damasco, diventa l’apostolo delle genti. Una conversione, quella di Paolo, che egli stesso racconta con accenti di commozione e di gratitudine e che ha segnato come una corsia preferenziale, sulla quale si sono immessi dopo di lui, una schiera innumerevole di persone che, come lui, con esperienze di vita, prima lontane da Dio e talvolta nemici dichiarati di Lui, hanno poi ritrovato la strada del ritorno. La conversione è un rinnegamento degli errori passiti, una inversione di rotta rispetto ai percorsi del male, un sincero pentimento degli errori commessi e il conseguente innamoramento di un bene nuovo, vero, autentico. Coinvolge l’uomo in tutta la sua esistenza, ma è sempre frutto della grazia divina: è Dio che agisce. Spesso il Signore dopo la chiamata, sollecita ad un impegno e ad una missione speciale. Anche Paolo, come gli altri apostoli, sentirà imperioso il comando del Signore ad andare in tutto il mondo a predicare il vangelo ad ogni creatura. Egli diventerà, insieme a Pietro, la colonna portante dell’edificio della Chiesa. Coronerà la sua missione, dopo fatiche e persecuzioni di ogni genere, con la palma del martirio. Come fedeli in Cristo e convertiti dal paganesimo, dobbiamo immensa gratitudine a questo Apostolo: lui per primo ci ha annunciato la vera fede e con i suoi scritti a reso perenne quell’annuncio. La conversione, in quanto costante ed indefessa tensione a Dio, è dovere di ogni cristiano ed è un impegno che non dobbiamo mai smettere. Omelia a cura dei Monaci Benedettini Silvestrini

Atti degli Apostoli 18 9 E il Signore disse in una notte in visione a Paolo: non temere; ma parla e non tacere.

Atti degli Apostoli 22 3 Ed egli continuò: « Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamalièle nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi. 4 Io perseguitai a morte questa nuova dottrina, arrestando e gettando in prigione uomini e donne, 5 come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii per condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme, per essere puniti. 6 Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me; 7 caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? 8 Risposi: Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti. 9 Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava. 10 Io dissi allora: Che devo fare, Signore? E il Signore mi disse: Alzati e prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia. 11 E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni, giunsi a Damasco. 12 Un certo Ananìa, un devoto osservante della legge e in buona reputazione presso tutti i Giudei colà residenti, 13 venne da me, mi si accostò e disse: Saulo, fratello, torna a vedere! E in quell’istante io guardai verso di lui e riebbi la vista. 14 Egli soggiunse: Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, 15 perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. 16 E ora perché aspetti? Alzati, ricevi il battesimo e lavati dai tuoi peccati, invocando il suo nome. 17 Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi 18 e vidi Lui che mi diceva: Affrettati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me. 19 E io dissi: Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nella sinagoga quelli che credevano in te; 20 quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anch’io ero presente e approvavo e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano. 21 Allora mi disse: Va’, perché io ti manderò lontano, tra i pagani ».

Atti degli Apostoli 26 12 In tali circostanze, mentre stavo andando a Damasco con autorizzazione e pieni poteri da parte dei sommi sacerdoti, verso mezzogiorno 13 vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. 14 Tutti cademmo a terra e io udii dal cielo una voce che mi diceva in ebraico: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Duro è per te ricalcitrare contro il pungolo. 15 E io dissi: Chi sei, o Signore? E il Signore rispose: Io sono Gesù, che tu perseguiti. 16 Su, alzati e rimettiti in piedi; ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto e di quelle per cui ti apparirò ancora. 17 Per questo ti libererò dal popolo e dai pagani, ai quali ti mando 18 ad aprir loro gli occhi, perché passino dalle tenebre alla luce e dal potere di satana a Dio e ottengano la remissione dei peccati e l’eredità in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me.

Lettera ai Romani 15 17 Questo è in realtà il mio vanto in Gesù Cristo di fronte a Dio; 18 non oserei infatti parlare di ciò che Cristo non avesse operato per mezzo mio per condurre i pagani all’obbedienza, con parole e opere, 19 con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito. Così da Gerusalemme e dintorni fino all’Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo. 20 Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunziare il vangelo se non dove ancora non era giunto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui, 21 ma come sta scritto: Lo vedranno coloro ai quali non era stato annunziato e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno.

Statua di San Paolo, Basilica di San Paolo fuori le mura

Statua di San Paolo, Basilica di San Paolo fuori le mura dans IMMAGINI (DI SAN PAOLO, DEI VIAGGI, ALTRE SUL TEMA) bosps-IMG_1668a1

http://mstecker.com/images/Europe/rome2011/bosps-IMG_1668a1.jpg

Caravaggio, Conversione di San Paolo

Caravaggio, Conversione di San Paolo dans immagini sacre 487px-Caravaggio_-_Conversione_di_San_Paolo_%28Odescalchi%29

http://it.wikipedia.org/wiki/File:Caravaggio_-_Conversione_di_San_Paolo_(Odescalchi).jpg

Publié dans:immagini sacre |on 25 janvier, 2014 |Pas de commentaires »
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