Santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno Vescovi e dottori della Chiesa

http://www.parrocchiasanbasilio.it/preghiera_a_san_basilio.html
PREGHIERA A SAN BASILIO
Colonna mistica della Santa Chiesa, glorioso San Basilio,
animato da viva fede e da ardente zelo,
non solo abbandonasti il mondo per santificare te stesso,
ma fosti ispirato da Dio a tracciare le regole della perfezione evangelica,
per condurre gli uomini alla santità.
Con la tua sapienza difendesti i dogmi della fede,
con la tua carità ti adoperasti a sollevare ogni sorte di miseria del prossimo.
La scienza ti rese celebre agli stessi pagani,
la contemplazione ti elevò alla familiarità con Dio,
e la pietà ti costituì regola vivente di tutti gli asceti,
esemplare mirabile dei sacri pontefici, e modello
invitto di fortezza a tutti i campioni di Cristo.
O grande Santo, impetrami la fede viva per operare secondo il Vangelo:
il distacco dal mondo per mirare alle cose celesti,
la carità perfetta per amare Dio sopra ogni cosa nel mio prossimo
e specialmente ottienimi un raggio della tua sapienza per dirigere tutte le azioni a Dio,
nostro ultimo fine, e così giungere un giorno all’eterna beatitudine in Cielo.
Amìn!
http://tradizione.oodegr.com/tradizione_index/dogmatica/insegnspiritobasilchr.htm
Panagiotis Christou
L’INSEGNAMENTO DI SAN BASILIO SUL SANTO SPIRITO
1. I pneumatomachi
Durante la prima fase della controversia ariana i teologi si erano esclusivamente preoccupati del problema della situazione del Figlio nella Trinità. Benché fosse evidente che, negando la divinità della natura del Figlio, gli ariani a maggior ragione avrebbero negato la divinità dello Spirito, gli aderenti al dogma di Nicea presero la risoluzione di combattere lungo il fronte in cui l’attacco era più grave. La pneumatomachia fece la sua apparizione quando si distinsero tra gli ariani gruppi di varia tendenza; particolarmente quando alcuni di loro cominciarono ad ammettere la divinità del Figlio, come la formula homoousios, ma in tutti i suoi significati. Verso il 360 apparvero i primi pneumatomachi: i tropicisti d’Egitto e gli anomei dell’Asia minore. Quest’ultimi avevano una modesta opinione riguardo al Figlio e allo Spirito. Nel 370 gli irriducibili pneumatomachi si allearono in una particolare fazione diretta da Eustazio di Sebaste il quale riunì gli omeani e gli omeousiani. Sono costoro che vengono propriamente detti pneumatomachi dal momento che, in confronto agli anomeani avevano un concetto più elevato del Figlio. San Basilio tendeva a supporre che i pneumatomachi, quando cercavano di diminuire l’eminente posizione dello Spirito, fossero condotti da presupposti logici. In realtà la loro maniera di pensare era determinata da diverse motivazioni. Prima di tutto, l’assenza d’una esplicita menzione sulla divinità dello Spirito nella Bibbia infonde l’impressione che i partigiani della divinità dello Spirito introducessero nella Chiesa una divinità che non fosse attestata e che fosse, di conseguenza, inaccettabile. In secondo luogo, il concetto della trascendenza assoluta di Dio escludeva la divinità dello Spirito e dei suoi interventi negli uomini e nel mondo. In terzo luogo, un certo rigore logico vuole che se anche lo Spirito è Dio, si affonda nel triteismo. Coloro che negavano la divinità dello Spirito avrebbero potuto rispondere alla domanda: “Cos’è esattamente lo Spirito?” allo stesso modo dei monarchiani dinamici per i quali lo Spirito non è una persona ma semplicemente una potenza (dynamis). San Basilio non si è confrontato con questa risposta. Inoltre essi avrebbero potuto pure rispondere che lo Spirito è una persona ma non divina. Chi risponde in tal modo parte dal principio che gli esseri esistono sia come ingenerati, come Dio, sia come generati, come il Figlio, sia infine come creature. Lo Spirito non appartenendo né alla prima né alla seconda di queste categorie, è necessariamente posto tra le creature. Tuttavia costoro, per fronteggiare le obiezioni degli ortodossi, hanno trovato una posizione tra Dio e le creature in modo da porre lo Spirito al livello d’un essere semidivino[1]. Detto diversamente, lo Spirito non è un servitore, come nel caso degli esseri creati, non è neppure un signore com’è Dio. È, piuttosto, una terza realtà indipendente[2]. Essi hanno formulato quest’opinione teologicamente e liturgicamente assegnando al Padre, come creatore, il ex hou (dal quale), al Figlio come servitore il di’hou (per il quale) e allo Spirito in quanto contiene in se stesso il tempo e lo spazio, il en hô (nel quale)[3]. Un terzo gruppo, senza considerare lo Spirito come Dio, lo caratterizza come divino subordinandolo e ponendolo al terzo posto dopo il Padre e il Figlio[4].
2. Le fonti di san Basilio riguardanti la dottrina dello Spirito Santo Sul versante ortodosso, i primi che hanno affrontato il problema riguardante lo Spirito Santo, in maniera specifica durante questo periodo, sono Atanasio il Grande e Didimo il Cieco. Gli scritti autentici di Didimo su questo problema apparvero più tardi dell’anno 360 e, di conseguenza, tennero conto delle sette pneumatomache più tardive. Comunque, pure se si sono diffusi dopo il 381, comportano probabilmente argomenti che egli ha insegnato abbastanza presto alla scuola teologica di Alessandria. Sia Gregorio il Teologo sia Basilio il Grande probabilmente conoscevano le sue opinioni sullo Spirito prima della pubblicazione dei suoi scritti perché verosimilmente ne avevano seguito i corsi. Ciò spiega in parte la similitudine delle loro dimostrazioni in rapporto alle prove del loro maestro alessandrino. Basilio ha dedicato a questo problema uno scritto particolare: De Spiritu Sancto ad Amphilochium, nel quale giustifica la forma simmetrica della dossologia (Gloria al Padre e al Figlio e al Santo Spirito) impiegata correntemente con la formula asimmetrica dominante (Gloria al Padre, per il Figlio nel Santo Spirito) e presenta un insegnamento d’insieme sullo Spirito. La dottrina di Basilio è ugualmente completata da quanto dice nel terzo libro della sua opera Contro Eunomio, nel trattato Contra Sabellium, Arium et Anomoium e in alcune delle sue Lettere. Come tutti gli ortodossi, Basilio è stato accusato dagli eretici d’essere un innovatore perché riconosceva la divinità dello Spirito. Inoltre è stato violentemente accusato d’introdurre una nuova forma simmetrica di dossologia. Difendendosi da quest’accusa, Basilio è stato assolutamente sincero, dal momento che era perfettamente certo che la sua pneumatologia discendeva direttamente dalla tradizione e dalla vita della Chiesa: “Come potrei essere un innovatore, un creatore di nuove formule, dal momento che cito quali autori e campioni della Parola, nazioni intere, città, usi che risalgono prima di ogni memoria umana, uomini che sono stati pilastri della Chiesa e che sono stati illustrati per la loro conoscenza e la loro potenza spirituale?”[5]. Nel Nuovo Testamento, Basilio non trovò solo la formula battesimale trinitaria nella quale la personalità e la divinità dello Spirito erano liberamente significate – perché poste a fianco delle formule paoline che trattano sullo Spirito[6] –, trovò anche nomi come “paraclito, santo, unto, Signore, Dio” che testimoniavano la comunione[7] con Dio e le energie dello Spirito non convenienti che a Dio come, ad esempio, la conoscenza delle profondità divine[8]. Basilio non si accontenta della semplice citazione della Scrittura poiché anche i suoi avversari ne invocavano l’autorità. Ora, più che a qualsiasi epoca, s’imponeva la difesa d’una dottrina attraverso il richiamo alla tradizione. Precedentemente le discussioni dogmatiche erano limitate al Padre e al Figlio attorno ai quali esistevano abbondanti testimonianze scritturistiche. Quando l’interesse si concentrò sullo Spirito, le testimonianze bibliche erano insufficienti. Dopo Basilio tutta la tradizione della Chiesa, che ha uguale valore della Scrittura poiché ne esprime lo spirito[9], esplicita la divinità dello Spirito: “Non separate lo Spirito Santo dal Padre e dal Figlio; riverite la tradizione. È in questa maniera che il Signore ha insegnato, che gli apostoli hanno predicato, che i Padri hanno conservato e i martiri confermato”[10]. Tra i Padri, Basilio menziona il nome d’Ireneo, di Clemente d’Alessandria, d’Origene, di Gregorio il Taumaturgo e d’“Atenogene” come testimoni della tradizione kerigmatica conosciuta a riguardo della dottrina del Santo Spirito quale persona divina[11]. Comunque Basilio insiste maggiormente sulla tradizione dogmatica non scritta. Secondo la sua visione, che coincide in gran parte con il punto di vista dell’antica scuola alessandrina, gli apostoli e i Padri hanno conservato una parte della verità nascosta nei sacramenti e nei riti in generale: “Il dogma è una cosa, il kerygma un’altra. Se il primo è conservato nel silenzio, il secondo è proclamato”[12]. Il kerygma contenuto nelle Scritture e negli scritti dei Padri è trasmesso ai membri della Chiesa e a coloro che ne sono all’esterno attraverso la predicazione. Il dogma non contraddice il kerygma: ne dona l’interpretazione e un’intelligenza più profonda ma non è formulato. È un’esperienza vivente delle verità della fede nella vita generale e in quella sacramentale della Chiesa. Compreso in questo modo, il dogma non fa parte d’una tradizione segreta, nascosta alla gran massa dei fedeli poiché è la proprietà comune di tutti coloro che partecipano alla vita della Chiesa – anche se vi fosse una certa dissimulazione attraverso i secoli, dissimulazione accentuata dalla lettura segreta delle preghiere liturgiche e dall’erezione dell’iconostasi per nascondere la santa tavola. In ogni caso, le Scritture, l’insegnamento dei Padri, la confessione della fede, i sacramenti e il culto in generale, costituiscono parti legate tra loro delle quali ogni formulazione su uno specifico soggetto deve tenere conto; “noi dobbiamo essere battezzati e glorificare il Padre, il Figlio e il Santo Spirito, come lo crediamo”[13]. Per la prima volta, il culto d’adorazione che si svolge in un luogo difeso diviene un mezzo di difesa. Esistono due mezzi per condurci alla salvezza: la fede e il battesimo. Il primo è attestato dalla confessione che faceva il battezzato nella quale si unisce il Padre, il Figlio e il Santo Spirito[14] e che è giustamente l’antenato della dossologia trinitaria simmetrica[15]. Coloro che negano lo Spirito trasgrediscono naturalmente ogni confessione di fede perché ogni battezzato deve o assumere la fede intera o rinunciare al nome di cristiano[16]. Il secondo mezzo di salvezza, il battesimo, è ugualmente donato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo[17]. Il battesimo persegue due fini: la morte del corpo del peccato, compiuta con l’immersione e la ricezione della nuova vita suscitata dallo Spirito di vita[18]. Coloro che separano lo Spirito dal Padre e dal Figlio rendono, da una parte, il battesimo incompleto e, dall’altra, fanno della confessione di fede una realtà inadeguata[19]. È sicuramente impossibile essere battezzati allo stesso tempo nel nome di due esseri divini e d’un essere creato[20]. Da questi passi emerge chiaramente che Basilio attribuiva una grande importanza all’esperienza pneumatologica del cristiano. Quest’esperienza comincia con la partecipazione del cristiano al sacramento del battesimo. I bisogni spirituali dei cristiani esigono la divinità dello Spirito e la loro esperienza lo conferma. Se lo Spirito fosse una creatura, la dottrina della Trinità e la possibilità d’una deificazione dell’uomo sarebbero distrutti. Ne conseguirebbe l’affondamento di tutta la struttura della Chiesa. È perciò che Gregorio il Teologo esclama: “Se il Santo Spirito non è Dio che lo divenga e che in seguito mi deifichi come suo eguale!”[21].
3. Il doppio aspetto della dottrina del Santo Spirito Ogni realtà concernente Dio è irraggiungibile, è fuori dalla portata dello spirito umano. In effetti Dio partecipa ad una sfera d’esistenza nella quale l’uomo non può penetrare. Ogni conoscenza religiosa sarebbe stata impossibile senza averne avuto rivelazione. San Basilio rifiuta i principi fondamentali dell’insegnamento dei pneumatomachi e degli ariani, l’impossibilità naturale per Dio di entrare nella sfera umana, attraverso alcune distinzioni che giocheranno un importante ruolo nelle discussioni teologiche di dieci secoli più tardi. Se l’uomo, in quanto tale, non può entrare nel dominio divino, Dio può entrare nel dominio del mondo che è la sua creazione. Dio vi penetra attraverso la sua rivelazione, manifestazione della propria persona nel mondo, attraverso le sue energie. Se ignoriamo Dio nella sua inaccessibile essenza lo conosciamo attraverso le sue energie che discendono fino a noi[22]. Le energie sentite dal nostro senso spirituale, contribuiscono alla formazione d’una sorta di conoscenza empirica riguardo le ipostasi della Trinità. Così la dottrina dello Spirito Santo può rapportarsi sia alla sua esistenza eterna, sia alla sua attività nel mondo: nel primo caso, lo Spirito è situato a fianco del Padre e del Figlio; nel secondo è anche con gli uomini: “Quando consideriamo lo Spirito lo vediamo esaltato con il Padre e il Figlio, quando invochiamo la grazia comunicata ai suoi partecipanti, vediamo che lo Spirito Santo è in noi”[23]. Per queste ragioni le preposizioni sun (con) e en (in) sono intercambiabili; così le formule dossolgiche sono entrambe corrette: la simmetrica esprime il posto dello Spirito nella Trinità e l’asimmetrica esprime la sua attività nell’economia divina. Nella sua teologia sullo Spirito, san Basilio – come Atanasio nella sua teologia sul Figlio – parte da questo secondo aspetto. Dove possiamo situare lo Spirito? Gli eretici hanno seguito lo schema “ingenerato, generato, creato”. Ma san Basilio rifiuta tale schema affermando che tali categorie non si applicano allo Spirito poiché egli è lo “Spirito Santo”, un nome che esprime ogni cosa. Esiste una linea di separazione tra Dio e la creazione, e lo Spirito è in una delle due zone: “Nelle coppie di nomi Dio-creazione, signoria-schiavitù, energia santificante ed esseri santificati, da qual lato bisogna porre lo Spirito”[24]. È certamente impossibile a colui che santifica e a colui che ha bisogno d’essere santificato, a colui che insegna e a colui che viene istruito, a colui che rivela e a colui che ha bisogno di una rivelazione, avere un’identica natura[25]. La creazione è schiava, al punto che lo Spirito libera la personalità umana e la rende perfetta; non lo si può dunque concepire che di natura divina. La santificazione e la perfezione non può essere concepita attraverso dei mezzi creati. Nel movimento esicasta del XIV secolo incontriamo ulteriormente gli stessi argomenti, questa volta più sviluppati. Gli esicasti contestano la possibilità d’una rigenerazione e d’una deificazione dell’uomo attraverso mezzi creati, li attribuiscono all’energia increata e naturale del solo Spirito.
4. Esistenza eterna dello Spirito San Basilio, come molti altri Padri greci della stessa epoca, riconduce la teologia ad una triadologia e non sviluppa la triadologia come un prodotto del pensiero filosofico, ma come una verità empirica. Parte dalle ipostasi concrete, attive nel mondo, per raggiungere l’unità di Dio. Le ipostasi divine si manifestano in diverse maniere e in diversi luoghi ma sono apparse in particolari attività in maniera più totale; il Padre nella creazione, il Figlio nell’opera della rigenerazione e lo Spirito nella vita della Chiesa. Il Figlio e lo Spirito sono venuti nel mondo in un senso reale. Alcuni Padri, come Cirillo di Gerusalemme[26] e Gregorio il Teologo[27] ad esempio, parlano della venuta, o dell’incarnazione dello Spirito. Anche Basilio parla della discesa e della dimora nell’uomo dello Spirito anche se non usa lo stesso vocabolario. La causalità provoca in Dio la distinzione delle persone che occupano un determinato posto nella Trinità. Il Padre è ingenerato, il Figlio generato e lo Spirito procede[28]; i loro attributi distintivi corrispondenti sono la paternità, la filialità e la santificazione[29]. Ma dal momento che il termine gennasthai esprime globalmente un modo di derivazione in maniera comprensibile, non è la stessa cosa per quanto riguarda il termine ekporeuesthai poiché tale termine non descrive precisamente l’origine dello Spirito. È questa la ragione per cui san Basilio afferma che lo Spirito procede in maniera ineffabile[30] dal Padre; la processione designa la familiarità e preserva un modo d’esistenza inesprimibile. Tuttavia egli non dubita mai sulla personalità dello Spirito. In nessuna epoca i Padri, chiunque essi fossero, hanno dichiarato che lo Spirito procede anche dal Figlio. Certi passi di Cirillo d’Alessandria, parlando della derivazione dello Spirito dal Figlio, fanno allusione non alla causa ma alla sua missione; l’intera Trinità partecipa alla sua missione tramite un’energia comune poiché tutte le energie divine sono comuni all’insieme della Trinità. Il fatto che le due ipostasi derivino solo dal Padre crea l’impressione facilmente dissipabile della monarchia dell’ipostasi paterna. Ma le proprietà del Figlio e dello Spirito non sono certo ritenute inferiori a quelle del Padre; esse non sono effettivamente distinte che in rapporto alla causa che deve rimanere rigorosamente unica per evitare ogni specie di dualismo, ma esse non lo sono in rapporto alla natura increata. Le ipostasi non sono prima, seconda e terza; esse sono d’uguale valore – e non numerate –, sono designate dal loro santo nome, un solo Dio, Padre, un solo ingenerato, il Figlio, un solo Santo Spirito. Ogni genere di subordinazione conduce al politeismo[31]. Queste distinte ipostasi sono legate in tal maniera che alcuna può essere concepita senza le altre e che ciascuna presuppone le altre due. Esse costituiscono tre persone perfette, inseparabilmente unite: “Poiché dov’è presente il Santo Spirito là è anche il Cristo e dov’è il Cristo anche il Padre è presente”[32]. In tal modo che chiunque non crede nello Spirito non può certamente credere al Figlio e chi non crede al Figlio non può certamente credere in Dio Padre[33]. In che consiste l’unità delle ipostasi? Prima di tutto essa può consistere nella comune ousia. Secondo Aristotele, ousia può significare due cose: a) quant’è comune a tutti e non può essere percepito che dall’intelletto e b) l’esistenza individuale. In alcune sue lettere, san Basilio impiega due espressioni aristoteliche per definire l’ousia (nel primo senso) e l’ipostasi (ousia nel secondo senso)[34]. Di queste categorie non è completamente soddisfatto perché la logica aristotelica esige delle divisioni e delle classificazioni ch’egli rigetta assolutamente perché inapplicabili a Dio. A volte caratterizza le ipostasi come realtà aventi la stessa ousia, homoousios[35]. Egli è conforme al dogma niceno ma cerca d’integrare questa nozione nelle strutture della triadologia della scuola di Cappadocia nella quale ousia non si pone ad un livello più elevato rispetto alle persone, come se fosse una sorta di sorgente dalla quale le persone trarrebbero la loro origine. Il termine ousia, inoltre, infonde di primo acchito l’impressione d’una realtà materiale e creata, benché il suo uso in teologia ne abbia fatto divenire un termine particolare. La maniera con la quale san Basilio evita d’applicare il termine homoousios al Santo Spirito può spiegarsi considerando le sue esitazioni davanti al termine ousia, per le ragioni menzionate e per l’altra ragione che la stessa parola era utilizzata dai pneumatomachi per designare una subordinazione. San Basilio non si serve di tal termine se non quando è assolutamente indispensabile. I suoi principi teologici non gli permettevano d’insistere troppo sull’homoousios. Egli non vuole dare l’impressione che Dio consiste in questa o quell’ousia, perché è incomprensibile e non può essere definito. Non esplica l’homoousios identificando l’essenza e l’ipostasi poiché la persona si confonderebbe, ma distinguendo l’essenza dall’ipostasi, ciò che stabilisce la distinzione delle persone. Così, in quanto ousia, permane l’illimitata e incomprensibile visione di Dio. Per evitare ogni malinteso, san Basilio scarta deliberatamente il termine homoousios per quanto concerne il Santo Spirito, come farà ulteriormente il secondo concilio ecumenico. Secondo quest’ottica, la Trinità non è composta da una pluralità di ousia, ma è costituita da tre persone definite. Poiché le persone hanno il loro valore e la loro individuale dignità – uguale per tutte e tre – il Santo Spirito possiede lo stesso onore delle altre persone della Trinità, egli è homotimos. San Basilio è più a suo agio quando impiega i termini physis e theotês: “Il Padre, il Figlio e il Santo Spirito hanno la stessa natura e sono un solo Dio”[36]. Il Santo Spirito è “una natura divina e santa”[37]. Natura è il termine che meglio conviene alla persona perché non descrive la costituzione materiale d’una cosa ma caratterizza il modo d’esistenza. San Basilio non attribuisce allo Spirito il nome di Dio. Atanasio ha motivato questo rifiuto per la dispensazione dell’oikonomia e Gregorio il Teologo l’ha giustificato per ragioni di prudenza. Ma quest’ultimo a volte è rimasto turbato da tale riserva e gli ha apertamente chiesto fino a quando nasconderà la luce sotto il moggio[38]. Altri hanno considerato Basilio progressista per quanto riguarda il punto in oggetto mentre gli ariani lo ritenevano modernista per delle ragioni contrarie. Le opinioni secondo le quali san Basilio ha formulato il suo insegnamento trinitario, sia per ragioni d’opportunismo politico sia per simpatia per gli homeousiani, non sembrano rispondere alla situazione di fatto. Vi sono altre ragioni teologiche importanti. Nel sistema teologico di Basilio, troviamo Dio (= il Padre), Dio da Dio (= il Figlio) e Colui che procede da Dio (= lo Spirito). Non dubita che i tre siano Dio; ma se nomina con logica le tre persone divine, teme d’essere accusato di adottare tre dei perché sarebbe costretto a porli in un certo ordine progressivo: primo, secondo e terzo; egli teme inoltre di distruggere il carattere unico della casualità nella Trinità. Per questa ragione, preferisce dare alle tre persone i nomi che le distinguono: Padre, Figlio e Santo Spirito. Il nome del Santo Spirito significa parecchie cose, tra le altre quella ch’Egli è Dio e ciò rivela che egli accetta l’homoousios. Lo ha chiaramente dichiarato in conversazioni private da quanto ne afferma Gregorio il Teologo[39]. Inoltre quanto ha detto sullo Spirito era comunque più di quanto altri facevano. Infatti, altri denominavano il Santo Spirito senza impiegare la formula syn to pneumati nella dossologia. Ma se è molto importante chiamare Dio il Santo Spirito, in certe condizioni anche l’uomo viene chiamato Dio! Ecco perché è molto più importante rivolgerGli preghiere coma ad un Dio. L’unità delle ipostasi della triade è espressa felicemente dall’identificazione della potenza, dell’energia e della volontà. Esiste una corrente indivisa d’energia tra il Padre, il Figlio e lo Spirito: “Così la maniera di conoscere Dio proviene dall’unico Spirito attraverso il Figlio e va all’unico Padre e, inversamente, la naturale bontà, la santificazione e l’ufficio reale vengono dal Padre attraverso il Figlio unigenito verso lo Spirito”[40]. L’attività della Trinità è comune benché certe energie paiano a volte separarsi a causa delle ipostasi. Nella creazione, ad esempio, il Padre è la causa iniziale di tutto quanto è creato nel mondo, il Figlio la causa creatrice e lo Spirito la causa perfezionatrice, ma la sorgente è unica. Senza dubbio nessuna ipostasi ha attività imperfetta in modo da rendere necessaria l’attività delle altre. Si tratta d’una volontà unificata; ciascuna ipostasi ha la volontà d’agire in accordo con le altre[41]. Soprattutto l’unità delle ipostasi è espressa dalla loro comune sorgente, il Padre, com’è stato precedentemente detto. San Basilio caratterizza lo Spirito con una perifrasi, come immagine del Figlio[42], perché in Lui e attraverso di Lui gli uomini vedono il Figlio. Le ipostasi si fanno ciascuna rivelatrice delle altre agli uomini; lo Spirito riflette in Se stesso l’immagine del Figlio, il Figlio quella del Padre. Così l’itinerario della conoscenza di Dio parte dallo Spirito, attraverso il Figlio per arrivare al Padre. Ma nella Trinità non esiste un’immagine dello Spirito che lo rende meno conosciuto rispetto alle altre ipostasi. Il Figlio ha parlato del Padre ed è stato manifestato dallo Spirito che ha parlato nel passato ai profeti come oggi parla alla Chiesa. Nelle scritture troviamo abbondanti testimonianze su queste due persone, il Padre e il Figlio. Inoltre, la loro opera è oggettiva – la creazione del mondo e l’istituzione delle condizioni della rigenerazione dell’uomo – e cade immediatamente sotto i sensi. Quanto allo Spirito la Scrittura lo menziona solo occasionalmente. Senza dubbio egli abita nella Chiesa e si fa conoscere attraverso le sue energie ma l’esperienza spirituale acquisita dagli illuminati è spesso poco precisa e non permette una completa comprensione della sua personalità. Per questa ragione i Padri hanno evitato di precisare le sue origini. Pure il termine di “processione”, come abbiamo detto altrove, non dissipa la nostra ignoranza del modo della sua esistenza, ignoranza che san Basilio considera d’altronde come senza importanza[43]. È la ragione per cui, interpretando l’origine del Santo Spirito in termini non biblici, abbiamo proceduto con prudenza: “Poiché è tipico dell’uomo pio non dire nulla sullo Spirito Santo su ciò che le scritture tacciono e questo perché è nostra convinzione che l’esperienza e la comprensione a suo riguardo risiedono per noi nel mondo futuro”[44]. Era ugualmente prudente quando caratterizzava lo Spirito come homoousios e come Dio, come abbiamo già detto. La Chiesa ha sempre saputo e ha sempre concepito quest’attitudine di prudenza. Benché abbia composto degli inni allo Spirito non ha composto preghiere che gli fossero rivolte ad eccezione di una sola. Nelle sue preghiere a Dio essa chiama in modo generico lo Spirito Santo utilizzando le espressioni: coeterno, di identico valore, di uguale gloria ed homoousios. L’innologia della Chiesa riflette l’insegnamento di Gregorio il Teologo che, nella sua maniera di presentare la divinità dello Spirito era più ardito mentre le preghiere della Pentecoste riflettono l’insegnamento di Basilio il Grande.
5. L’economia dello Spirito Le attività dello Spirito, ineffabili nella loro ampiezza ed innumerevoli[45], si rapportano all’insegnamento, all’adattamento filiale e, in particolare, alla ripartizione dei carismi; nessun carisma è accordato alla creatura senza l’azione dello Spirito[46]. San Basilio riassume i loro frutti nei termini di confermazione, santificazione e perfezione. Il santo così definisce l’attività delle ipostasi nella creazione delle potenze angeliche: “Di conseguenza il numero tre viene allo spirito: il Signore ordina il Logos che crea e lo Spirito che consolida. Ora, cos’è il consolidare se non perfezionare nella santità, questa parola designa sicuramente il fatto d’essere fermo, immutabile e solidamente fissato nel bene. Non esiste santificazione senza lo Spirito”[47]. Queste energie si sono manifestate da tutta l’eternità: prima del mondo invisibile e al di qua del tempo. Esse ricoprono ogni epoca della storia dell’essere capace di ragione. Basilio sembra escludere la creatura priva di ragione dall’attività dello Spirito proprio perché solo gli esseri dotati di ragione e di personalità hanno il bisogno e la capacità di perfezionarsi elevandosi come personalità. È significativo che san Basilio nel passo della sua seconda omelia sull’Examerone, dov’è obbligato ad interpretare il testo “E lo Spirito di Dio si muoveva sulle acque”, non presenta un’interpretazione in base a ciò che crede ma si richiama all’unanime autorità per mostrare che questa frase biblica significa la vivificazione della natura dell’acqua attraverso lo Spirito. Egli ha reso perfette le potenze angeliche con la santificazione, al momento della creazione del mondo, nel corso del progressivo rinnovamento dell’umanità, egli ha donato uno dei suoi più importanti carismi, la profezia[48]; al momento del vero rinnovamento era presente e attivo con Cristo[49]. Nella vita della Chiesa crea il suo adornamento[50] e al momento dell’ultimo giudizio sarà con il Giudice[51]. Da un certo punto di vista, l’attività per eccellenza dello Spirito è la continua e attiva conservazione della rivelazione e la sua ripartizione individuale agli esseri particolari. Lo Spirito abita nella Chiesa ed è simultaneamente posseduto dall’insieme dei suoi membri come da ciascuno in particolare. È il legame che collega i suoi membri nel tempo e nello spazio[52]. I ministri della Chiesa sono illuminati per divenire buoni pastori e i fedeli sono fortificati per divenire buon gregge. Nei due casi l’attività dello Spirito si rapporta alla personalità di colui che ne è il portatore. L’attività dello Spirito è ben più personale nella vita privata del credente. Disceso su tutti i credenti egli tocca solo colui che è puro di cuore come il sole non tocca che l’occhio che gode buona salute[53]. Su questo punto ci si rende conto delle tendenze ascetiche di Basilio. L’illuminazione dello Spirito tocca prima l’anima e il cuore, poi l’intelletto. La sua grazia, ineffabilmente unita alla personalità e all’esistenza umana è una potenza di permanente rigenerazione in loro e li rende spirituali e portatori dello Spirito[54]. Così lo Spirito può essere designato come l’eidos[55], che dona una forma all’uomo naturale, lo libera dalla schiavitù dalle potenze e dalle necessità naturali e ne fa una personalità libera con una metamorfosi piena di forza[56]. L’uomo spirituale è reso conforme all’immagine di Dio, ne è in qualche sorta l’immagine dello Spirito[57] che, dunque, non trovandosi nella Trinità appare nell’umanità. Dimorando nei santi, lo Spirito è da loro visto misticamente; l’ignoranza originale è così superata esistenzialmente. Non manifesta ad essi solo se stesso, manifesta anche la gloria del Figlio e la visione archetipa. “Poiché noi vediamo la bellezza dell’immagine invisibile di Dio, dono allo spettacolo soprannaturale degli archetipi, vi troviamo anche inseparabilmente unito a Dio, lo Spirito di conoscenza che offre in se stesso il potere di vedere l’immagine agli amanti della verità… Egli manifesta anche in se la gloria del Figlio e offre la conoscenza di Dio ai veri adoratori”[58]. Il fine del pellegrinaggio dell’uomo spirituale è la visione del Dio triadico. Questo vuol dire che chi ha già raggiunto un tal grado di perfezione può abitare con Dio, essergli simile e divenire Dio[59]. Attraverso l’attività del Santo Spirito l’umanità è collegata alla Trinità.
P. Christou, Theologika Meletemata, 2 Grammateia tou IV aionos,Thessaloniki, 1975
http://www.decanati.it/doc/nazianzeno.S.%20Gregorio%20Nazianzeno%20Poesie.pdf
2 GENNAIO: SAN GREGORIO NAZANZIENO, IL TEOLOGO Tra la pace del monastero e la lotta per la Chiesa
Gregorio nacque presso Nazianzo, nella Cappadocia nel 330. Era, come si dice un “filius senectutis”, arrivato un po’ tardi. I genitori, di famiglia nobile, lo accolsero come un vero dono di Dio. E la madre, sull’esempio di quella del profeta Samuele, lo consacrò subito a Dio. Il padre, dopo la conversione, era anche diventato vescovo della città. Per l’educazione di Gregorio i genitori scelsero le migliori scuole. Può veramente vantare un curricolo scolastico di prim’ordine: prima a Cesarea di Cappadocia (con Basilio), poi nella Cesarea di Palestina, quindi ad Alessandria, allora un grande centro culturale, e infine il grande salto verso la città della cultura per eccellenza:Atene (di nuovo con Basilio). Nel 361 il padre lo volle al suo fianco nel governo della diocesi. Accettò contro voglia di essere fatto prete, ma appena gli fu possibile tornò al monastero. Salvo poi venire in soccorso del padre il quale, inesperto teologicamente, aveva firmato una formula ariana. Intanto Basilio era diventato vescovo di Cesarea e dietro sua insistenza (e di suo padre) si lasci? consacrare vescovo di Sasima, un borgo non lontano da Nazianzo. Egli non ne prese mai possesso. Era troppo piccola per lui o quel paese non aveva bisogno di un vescovo? Forse un po’ tutte e due le ragioni. Morto il padre si ritirò di nuovo in un monastero, dando addio (come credeva lui) all’episcopato. Si sentiva fatto per la vita monastica non per la carriera ecclesiastica. Aveva infatti scritto: “Niente mi sembra più meraviglioso che riuscire a far tacere tutti i sensi, e, rapito lontano da essi, dalla carne e dal mondo, rientrare in me stesso e restare in colloquio con Dio ben oltre le cose visibili”. Questo ardentemente voleva e questo quotidianamente sognava il nostro Gregorio. Ma la storia (o meglio lo Spirito Santo, che conduce la sua Chiesa) bussò di nuovo alla sua porta. Questa volta attraverso una delegazione di cattolici da Costantinopoli disperatamente alla ricerca di un … vescovo. Poverini: erano un piccolo gregge in un mare di seguaci dell’eresia ariana. Pochi ma buoni e … tosti, infatti non si arrendevano. Volevano una guida. E nella “top list” c’era proprio … lui, Gregorio. Volevano una personalità di prestigio culturale, e l’avevano trovato, grazie a Dio e a … Basilio. Questi lo esortò con molta forza ad accettare perché» ne andava di mezzo l’ortodossia. Con Gregorio gli ariani avrebbero avuto pane per i loro denti. E le componente narcisistica? Probabilmente tra le preponderanti motivazioni teologico-pastorali (e amicali) che lo convinsero c’era anche questa. Finalmente una sede degna della sua preparazione culturale. Altro che Sasima, borgo non certamente dal richiamo irresistibile. Qui c’era la corte imperiale, questa era la seconda Roma. Siamo nell’anno 379. Ma il suo narcisismo ebbe subito un smacco: di accoglienza trionfale nemmeno l’ombra, anzi gli fu impedito addirittura di entrare nella cattedrale di Santa Sofia. Dovette accontentarsi di una piccola cappella, che egli ribattezzò Anastasis (cioè Resurrezione). Qui i cattolici della città avevano finalmente un punto di riferimento affettivo ed effettivo, spirituale e culturale. Fu proprio qui che Gregorio tenne i suoi famosi 5 Sermoni sulla Trinità. Limpida dottrina, eloquenza travolgente, entusiasmo tra i fedeli alle stelle. La sua fama crebbe enormemente tanto da ribaltare la situazione . Il nuovo imperatore, Teodosio, cattolico, lo accompagnò solennemente a Santa Sofia, acclamato con entusiasmo dal popolo. Tutte le difficoltà finite finalmente? Non proprio. Dio, il sospiro di ogni creatura Due anni dopo Teodosio stesso convocò un Concilio a Costantinopoli (381). E qui Gregorio fece una mossa a sorpresa. Sapendo che alcuni vescovi dubitavano della sua legittimità come vescovo di Costantinopoli, diede con umiltà (e sincerità) le dimissioni. Ma all’unanimità i padri conciliari le respinsero e anzi, morto il moderatore del concilio Melezio di Antiochia, lo elessero presidente dell’assemblea. Tutti poterono ascoltare e ammirare il suo pensiero teologico, specialmente sulla Trinità e nella Cristologia. Gregorio difese con energia la formula neo nicena che affermava “l’articolazione trinitaria di una sostanza (ousia) divina in tre ipostasi sussistenti e collocate al medesimo livello, onore e dignitá: rispetto a Basilio, Gregorio imposta meglio la caratterizzazione delle note individuali che specificano una ipostasi rispetto all’altra…” (M. Simonetti). In campo cristologico difese energicamente (contro varie eresie) l’idea che “Cristo, al fine di redimere l’uomo nella sua totalità, ha assunto l’uomo nella sua totalità, perciò anche l’anima razionale, perché» altrimenti l’uomo non sarebbe stato integralmente salvato”. Affermò inoltre con forza “in Cristo l’unità del soggetto, con pieno equilibrio tra esigenza divisiva (due nature) e unitiva ( un solo soggetto)” (M. Simonetti). La formula sarà perfezionata poi con il Concilio di Calcedonia nel 451. Ma altre difficoltà vennero a Gregorio proprio dalla continuazione del Concilio. Erano sopraggiunti infatti altri vescovi, a quanto sembra pi_ giovani ma meno teologi, più clericalmente “politicizzati” e quindi meno equilibrati. Questi posero di nuovo la questione della sua legittimitá sulla sede di Costantinopoli. Il nostro non sopportò questo nuovo affronto. I suoi nervi cedettero e diede di nuovo le dimissioni (aveva la segreta speranza che venissero di nuovo respinte? Forse sœ, data la componente narcisistica non ancora defunta, a giudicare dalle espressioni di delusione che ebbe dopo). Gregorio aveva detto che nel Concilio “i più giovani cinguettavano come uno stormo di gazze e si accanivano come una sciame di vespe” e “i vecchi si guardavano bene dal moderali”. Parole dure, forse esagerate, dettate dalla delusione. Gregorio comunque pronunciò il suo solenne addio all’assemblea conciliare e se ne tornò a Nazianzo, frustrato e scoraggiato, deluso e invocante ‘sorella morte’. Scrisse infatti: “C’è una sola via di uscita ai miei mali: la morte. Ma anche l’aldilà mi fa paura, se devo giudicarlo dall’aldiqua”. Accettò tuttavia il governo della diocesi che fu di suo padre, in attesa che trovassero un altro vescovo. In una delle sue poesie teologiche aveva scritto a Dio: “Sii, benigno, Tu, l’al di lá di tutto”. E Dio accoglieva tra le sue braccia di Padre questo suo figlio e servo fedele che l’aveva descritto, servito e cantato in poesia con tanto amore e intelligenza. Correva l’anno 390.
MARIO SCUDU SDB Dio ti chiede solo amore Riconosci l’origine della tua esistenza, del respiro, dell’intelligenza, della sapienza, ci? che più conta, della conoscenza di Dio, della speranza del Regno dei cieli, dell’onore che condividi con gli angeli, della contemplazione della gloria, ora certo come in uno specchio e in maniera confusa, ma a suo tempo in modo più pieno e più puro. Riconosci, inoltre, che sei divenuto figlio di Dio, coerede di Cristo e, per usare un’immagine ardita, sei lo stesso Dio! Donde e da chi vengono a te tante e tali prerogative? Se poi vogliamo parlare di doni più umili e comuni, chi ti permette di vedere la bellezza del cielo, il corso del sole, i cicli della luce, le miriadi di stelle e all’armonia ed ordine che sempre si rinnovano meravigliosamente nel cosmo, rendendo festoso il creato come il suono di una cetra? Chi ti concede la pioggia, le fertilità dei campi, il cibo, la gioia dell’arte, il luogo della tua dimora, le leggi, lo stato, e aggiungiamo, la vita di ogni giorno, l’amicizia e il piacere della tua parentela?… Fu Dio. Ebbene, egli in cambio di tutto ci? che cosa ti chiede? L’amore. Richiede da te continuamente innanzitutto e soprattutto l’amore a lui e al prossimo. L’amore verso gli altri egli lo esige al pari del primo (Dal Discorso 14 Sull’amore verso i poveri) Cristo è sulla terra, gridate la vostra gioia Cristo è nato, rendetegli onore. Cristo è disceso dai cieli, venite a incontrarlo; Cristo è sulla terra, gridate la vostra gioia. Canta al Signore tutta la terra. Anch’io proclamerò la grandezza di questo giorno: l’immateriale si incarna, il Verbo si fa carne; l’invisibile si mostra agli occhi; colui che le nostre mani non possono raggiungere può ora essere toccato, l’intemporale ha un inizio, il Figlio di Dio diventa Figlio dell’uomo: E’ Gesù Cristo colui che ieri, oggi e nei secoli è per sempre. Ecco dunque la solennità che celebriamo: l’arrivo di Dio presso gli uomini, perché noi possiamo andare a Dio piuttosto o più esattamente, perché noi ritorniamo a Lui… (Dal Sermone sulla teofania) Tu, l’al di là di tutto Tu sei l’al di là di tutto … Tutte le cose ti cantano… Comuni sono i desideri, di ogni essere creato. Comuni i gemiti che tutt’attorno ti circondano. Te chiama con supplice preghiera, il tutto. A te è diretto un inno di silenzio: lo pronunciano tutti gli esseri che contemplano il tuo ordine. E’ per te solo che tutto permane. E’ per te solo che tutto si muove, del moto universale. E di ogni cosa Tu sei il compimento: uno, tutto, nessuno, anche se non sei nè unico nè tutti.. Sii benigno, Tu, l’aldilà di tutto … (Poesie I.1.29)
http://famiglia.diocesidicagliari.it/docum/Colossesi%20e%20Efesini%20-%20Lai.pdf
DIOCEDI DI CAGLIARI
[LO PROPONGO PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE]
TEMI: EFESINI 2, 14-18 – COL 2, [19,20] – UNITÀ UOMO DONNA
[14]Egli infatti è la nostra pace,
colui che ha fatto dei due un popolo solo,
abbattendo il muro di separazione che era frammezzo,
cioè l’inimicizia,
[15]annullando, per mezzo della sua carne,
la legge fatta di prescrizioni e di decreti,
per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo,
facendo la pace,
[16]e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo
corpo,
per mezzo della croce,
distruggendo in se stesso l’inimicizia.
[17]Egli è venuto perciò ad @annunziare pace$
a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini.
[18]Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli
altri, al Padre in un solo Spirito.
Un cantico esultante e gioioso. Cosa c’era di tanto grande e nuovo da suscitare un tale slancio ed un tale vigore? C’era un evento che aveva già prodotto, per esempio, una situazione del tutto unica nel mondo e nella storia: ex giudei ed ex pagani che insieme formavano un’unica Chiesa. Dove le differenze di cultura d’origine, pur senza sparire, venivano superate verso una più grande e piena unità. C’è ben di che sottolineare una tale novità e di che esultarne ! una cosa così nuova da essere essa stessa prova dell’azione salvifica di Dio.
Il mistero della volontà di Dio.
Col 2, [19,20]:
Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza [20] e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.
Il “desiderio” di Dio è un tuttuno col mysterion di cui parla Paolo. Egli lo ha annunciato da secoli e lo ha realizzato in Cristo. Cristo è la pienezza della verità divina, cosmica e umana. Il mistero è rivelato in Lui, ma resta ancora mistero, verità altra, non totalmente comprensibile all’uomo e tuttavia verità e vita alla quale l’uomo può aderire e partecipare
attraverso la fede e l’esperienza che ne consegue. In Cristo il mistero è accessibile e, anche se non totalmente possedibile, esso è totalmente partecipabile. È già e non ancora… Un punto fondamentale nell’adesione al mistero è che esso è per la piena liberazione dell’uomo. Chiamato da Dio, entrando e vivendo nel mistero di Cristo, l’uomo è
realmente liberato e integrato nella Vita. Egli è pienamente vivo. Contro questo mistero rivelato e accessibile ci sono le false dottrine. Esse sono frutto della pretesa umana di trovare logicamente le “giuste” e “concrete” soluzioni ai problemi, che tengano conto di tutti i parametri in gioco nella dovuta proporzione. In questa pretesa si insinua e si
espande facilmente la volontà diabolica di distinguere, di precisare ambiti e competenze, contrapporre interessi competitivi. Si maschera la sete di possesso e prevaricazione con criteri di giustizia ed eguaglianza, ma questo processo tendenzialmente acuisce ed esaspera le diversità fino allo scontro violento. Frutto dell’essere innestati in Cristo è al contrario la riconciliazione, l’unità nella diversità, la complementarietà, il servizio reciproco. Tutto questo non significa appiattimento noioso, uguaglianza banalizzante. La diversità è vita ed essa non è a scapito dell’unità ma è a servizio di essa nella complementarietà. Uomini diversi, storie diverse, culture diverse hanno senso completandosi a vicenda pur restando distinti. L’unità non è mediata dall’uguaglianza ma dal servizio reciproco. Il primo è colui che
serve: la gara al primato è gara ad un servizio più ampio e più profondo, fino al dono totale di sé, come Cristo ha concretamente mostrato. Gareggiare nel dono è gareggiare nella carità, che è amore gratuito. Quando non è più possibile distinguere e tenere il conto di chi più ha dato e chi più ha ricevuto, ciascuno per quello che può, allora si accende l’unità piena.
L’unità fra uomo e donna.
La dinamica uomo-donna è forse l’esempio più eclatante di dinamica unità-diversità. Uomo e donna si cercano, si desiderano, hanno bisogno l’uno dell’altra, ma pure si fronteggiano, sono in guerra fra loro. Sono in guerra perché non si capiscono mai pienamente, nessuno dei due può pretendere di “prendere” l’altro in pienezza, anche se lo desiderasse profondamente e per un nobile fine. Nella dinamica tipicamente umana e tipicamente sociale, questo porta spesso a due schieramenti contrapposti, alla rivendicazione di diritti non accordati, alla prevaricazione reciproca, operata ora con prepotenza, con la violenza fisica e non solo, ora con l’inganno ed il sotterfugio. Ciascuna parte può restare ancorata alla sua propria sensibilità, al suo proprio modo di vedere e di essere, ritenersi fondamentalmente non capita, in una solitudine profonda e incolmabile. In questa situazione l’uno o l’altra, e spesso ambedue insieme, cercano di prendere quello che possono a danno dell’altro, perché si sentono ampiamente in credito rispetto alla controparte: mi riprendo solo qualcosa che mi è stata tolta ingiustamente, ma mai ti toglierò abbastanza, perché tu mi hai rovinato la vita! Uomo e donna, pur essendo evidentemente “l’uno per l’altra” per la loro stessa natura, possono essere profondamente divisi e inconciliabili. La mentalità umana è normalmente guidata dalla paura di non concedersi troppo, per non restare delusi e non rischiare di essere “fregati”, perché l’”altro” – uomo o donna che sia – non se ne approfitti. Questo è il punto di partenza per la creazione di territori ed ambiti distinti e per fondare l’impossibilità di una piena unità. Una unione che in partenza pone delle riserve alla piena donazione reciproca, si mette di fronte ad una salita impervia e piena di buche in cui rischia di inciampare e sprofondare. L’idea di base di questa dinamica è che la gratuità piena non esiste e l’amore non essendo mai pieno, neppure è mai eterno. È un rapporto che si articola sullo stare guardinghi, sul concedere e concedersi ma non troppo, sul riservarsi porzioni private di vita dai quali l’altro è
scontatamente escluso. È una vita a due faticosa, complicata ma – si sa – da che il mondo è mondo è sempre andata così. D’altronde a non sposarsi, superata una certa età ci si sente soli, almeno i figli servono a darci un futuro!
Oggi le “false dottrine”, le dottrine dell’individualismo e della prevaricazione, dilagano. La coppia esplode. Non è chiaro se ciò dipenda da una maggior forza raggiunta dalle false dottrine o semplicemente perché molti tabù di “decenza” e dignità di facciata sono caduti. Forse ambedue le cose, ma forse la sostanza nel rapporto uomo-donna non è poi così tanto cambiata. È vero, le vecchie false dottrine oggi sembrano avere più forza, una diffusione
socialmente più capillare, nuovi mezzi tecnologici all’avanguardia. La vera dottrina ha invece sempre solo un unico mezzo: l’amore gratuito. Qualcuno ha amato per primo così. Qualcun altro si è sentito amato così. Il dono di sé nasce quando si fa esperienza di questo sentirsi amati gratuitamente. Allora si diventa capaci di credere che è possibile fare
altrettanto e si è presi dalla sete di ripetere quel gesto del dare e del ricevere all’infinito, perché solo lì si è perimentata la vera vita, la vera felicità. Scatta la reciprocità, parte la gara del dono. È una dinamica in cui si capitalizza insieme una tale quantità di bene e felicità che questa poi diventa una riserva, un capitale da utilizzare per superare i momenti di carestia, di aridità, che pure ci sono, a causa delle nostre chiusure e ignoranze, degli egoismi, dei sospetti che sempre sono pronti a farsi strada nei momenti di difficoltà. È la dinamica e la logica di Cristo, che non è la logica del mondo. Chi ha sperimentato questa logica del vivere considera l’altra come spazzatura e le persone che vi vivono come dei disgraziati da tirar fuori dalla miseria, come qualcun altro ha già fatto con noi.
Maschilismo e femminismo in Efesini 5, 21-33. Ovvero: chi è il migliore, il marito o la moglie?
Quando durante la messa viene letto questo brano le donne si indispettiscono e gli uomini o si gongolano o si imbarazzano. Magari guardano le mogli con un sorrisino tra l’ebete ed il compiaciuto: se le cose andassero così, che stai sottomessa, allora tutto andrebbe meglio, stanne certa! Le più giovani, al limite del disgusto, con un fremito di rabbia mal trattenuto, si guardano fra loro per spirito di corpo. Le meno giovani, ma comunque già ampiamente emancipate, si ripetono: cose di altri tempi – è chiaramente un brano ancorato alla mentalità dell’epoca e S. Paolo qui rivela il suo limite di uomo (maschio) di 2000 anni fa. La chiesa dovrebbe cambiare e ammorbidire certe posizioni ormai sorpassate… Pensieri che salgono come un brusio dalla platea che subisce nervosamente questo scomodo brano…
Ma qui non c’è ebreo né gentile, non schiavo né padrone e non c’è uomo né donna, perché tutti sono uno in Cristo. E come sono uno in Cristo? È fondametale il fatto che nell’unione le differenze non svaniscono ma si valorizzano. L’unità avviene non per privazione degli attributi di ciascuna parte ma attraverso il dono reciproco, ciascuno nel suo ruolo: siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Chi dei due, dunque, è il più grande? Colui che fra i due è più “sottomesso”, chi dei due più “serve”. Il più grande fra tutti gli uomini è Cristo non tanto perché figlio di Dio, ma
perché, pur essendo Dio, scelse di spogliare se stesso, donandosi totalmente. Se la logica è quella del dono e non del dominio, che è la logica del diavolo, il senso del brano è molto diverso. Quasi mette alla prova il nostro grado di comprensione del mistero. Sembra quasi che Paolo dica: mariti, volete essere i più grandi? bene, buona idea! Potete
farcela!, ma sappiate che il prezzo della grandezza è la totalità del dono, è il sacrificio della vostra individualità per la vostra sposa. Mogli, volete essere le più grandi? Bene! Buona idea, potete farcela anche voi! Ma sappiate che il prezzo è l’abbassamento, il servizio per l’altro, l’essere disposte a lavare i piedi anche ad un marito che non vi è superiore, come fece Gesù, inginocchiandosi davanti ai suoi discepoli per lavar loro i piedi. Se voi mariti e mogli non entrerete in questa logica del dono gratuito, non può esserci unità ed il dono di Cristo può essere reso vano. Ma se entrerete, sarete una corpo solo e troverete Cristo stesso, la pienezza della vita, stabilire la sua dimora presso di voi e con voi rimanere sempre fino alla rivelazione totale del mistero, quando tutti potremo vederlo faccia a faccia.
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[21]Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.
[22]Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; [23]il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. [24]E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto.
[25]E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei,
[26]per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola,
[27]al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata.
[28]Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso.
[29]Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, [30]poiché siamo membra del suo corpo.
[31]Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola
[32]Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!
[33]Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.