RAV. RICCARDO DI SEGNI – FUORI DALLE ROVINE
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RAV. RICCARDO DI SEGNI
FUORI DALLE ROVINE
(mi accorgo che ci sono delle lettere che non sono venute bene, ora è tardi, non faccio a tempo a correggere, scusate!)
AllÆinizio del Talmud Babilonese, nel secondo foglio del trattato di Berakhot (3a) Rabbi Iosý racconta che una volta stava camminando per la strada ed entr‗ a pregare in una delle rovine di Gerusalemme. Lo vide Eliahu, il profeta, e lo aspett‗ facendogli la guardia fuori dalla rovina.Finita la preghiera i due si salutarono ed Eliahu fece delle domande: ôPerchÚ sei entrato lÓ dentro?ö. ôPer pregareö.ôNon potevi pregare per strada?ö.ôTemevo di essere disturbato dai passantiö.ôPotevi dire una preghiera cortaö.Rabbi Iosý commenta che da quella conversazione apprese da Eliahu tre regole: che non si entra in una rovina, che si pu‗ pregare per strada e che chi prega per strada deve recitare una formula abbreviata.Il racconto prosegue con Rabbi Iosý che riferisce di aver udito, dentro la rovina, il lamento del Signore per la distruzione del Suo Santuario e per lÆesilio dei Suoi figli.Questo racconto Þ esemplare di un tipo di espressione rabbinica nella quale, dietro un fatto apparentemente banale, si nasconde la discussione su questioni molto importanti.Proviamo a vedere di che si tratta, alla luce di alcuni commenti (come quello di Rav Steinsalz e quello del Maharal di Praga). Prima di tutto chi era Rabbi Iosý: era un maestro del quarta generazione, allievo di Rabbý AqivÓ. Era stato quindi testimone della repressione da parte di Adriano della rivolta di Bar KokbÓ, finita nel 135 con un massacro senza precedenti nella storia ebraica (dellÆordine di grandezza del milione di vittime), la ShoÓh dellÆantichitÓ classica. Lo stesso maestro di Rabbi Iosý, Rabbý AqivÓ, era morto martire, Gerusalemme distrutta era stata riedificata dai romani, trasformata in Aelia Capitolina, e interdetta agli ebrei. Forse quando Rabbi Iosý parlava di una sua visita alle rovine di Gerusalemme non ci sarebbe neanche potuto entrare. E allora? Nel linguaggio rabbinico ôlÆandare per la viaö non ha solo un significato letterale, ma pu‗ significare che il Rav andava vagando dietro ai suoi pensieri, immerso nelle sue meditazioni e sulle preghiere per la distruzione di Gerusalemme. Eliahu se ne accorse e aspett‗ che finisse, rimproverandolo poi con una serie di osservazioni. Da un punto di vista normativo, Þ proibito entrare in un edificio diroccato, per vari motivi, di cui il pi¨ semplice Þ che ci possano essere ulteriori crolli provocando un danno allo sprovveduto visitatore. Quindi Rabbi Iosý aveva violato quella che oggi definiremmo una norma di sicurezza. Ma lÆaveva fatto con il pensiero, ed Eliahu lo aveva rimproverato. Che senso ha questo colloquio? I commenti suggeriscono questa lettura: Rabbi Iosý trascinato da suoi pensieri si isola su quello della distruzione di Gerusalemme e sulla richiesta della fine delle sofferenze ed Eliahu gli dice che sarebbe stato meglio pregare per strada. Se in strada qualcuno potrebbe distrarre o disturbare Þ meglio recitare una formula abbreviata e sbrigativa. Eliahu sta spiegando, in altri termini, che sul tema della sofferenza non bisogna entrare dentro la rovina, ma bisogna riflettere restando per strada. E se per strada qualcuno non ti capisce e potrebbe disturbarti, si deve restare per strada e pregare di corsa.Il tema qua in discussione Þ quello della ricerca di un equilibrio per chi Þ sopravvissuto ad una tragedia storica. Il rischio Þ quello di sprofondare nei propri pensieri e restare vittima di un altro crollo perchÚ, appunto, il luogo della rovina Þ pericoloso, il luogo stesso Þ vittima ma anche carnefice.Meglio rimanere sulla strada, nella vita, nella realtÓ che scorre, anche se lÓ si rischia di non potersi concentrare perchÚ chi non capisce potrebbe interromperti. Il compromesso giusto Þ una preghiera corta, un impegno che non si interrompe ma che deve essere limitato nel tempo.Oggi come 19 secoli fa il rischio del ricordo della Shoah Þ quello di rimanere intrappolati dentro senza poter riprendere la strada.Per molti lÆidentitÓ ebraica si limita al negativo, al ricordo, anzi allÆincubo di fatti terribili. EÆ unÆidentitÓ pericolosa e patologica per il singolo e per la collettivitÓ ebraica.Ben vengano le giornate e le settimane speciali, si mantenga vivo il ricordo come assoluta necessitÓ morale, ma si faccia attenzione a non fuggire dalla realtÓ e a non dimenticare, oltre il nostro passato la necessitÓ di continuare la nostra strada.
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