Dal libro del Profeta Isaia 42,1-4.6-7 – commento alla Prima Lettura

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PRIMA LETTURA COMMENTO

Dal libro del Profeta Isaia 42,1-4.6-7

Così dice il Signore: «Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta. Proclamerà il diritto con fermezza; non verrà meno e non si abbatterà, finche non avrà stabilito il diritto sulla terra; e per la sua dottrina saranno in attesa le isole. Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre».

La prima lettura che la Liturgia propone in questa Domenica dedicata al Battesimo di Gesù, è compresa in uno dei quattro poemi che costituiscono il “libretto del Servo” del profeta Isaia. Gli studiosi esprimono opinioni diverse, a volte contrastanti, nell’identificazione di questo “Servo di JHWH”, e la sua immagine resta controversa; se questi canti non si leggono isolati, ma si interpretano nel loro insieme costituito dai capitoli 40-55, si intuisce che per Isaia il “Servo” è lo stesso Israele, come è precisato anche nella Bibbia greca detta “dei Settanta”, dove il primo versetto della presente lettura è tradotto “Ecco Giacobbe, il mio servo…, Israele, il mio eletto…”. Resta comunque indicativo il titolo di “Servo” usato dal Profeta, perché rileva una completa ubbidienza e sottomissione; un servo, infatti, può fare solo quello che il suo padrone gli comanda e quindi, nel contesto della lettura, può fare solo la volontà di Dio.
Nelle parole di Isaia, l’incarico affidato al “Servo” è una missione di giudizio (…porterà il diritto alle nazioni …) sottolineata dall’espressione (Non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta); una frase che ricorda la dura pratica giudiziaria usata nell’antica Israele, secondo la quale, quando era emessa una sentenza, un araldo percorreva le vie della città con una canna e una lanterna, fino alla casa dell’imputato dove, se la sentenza era di condanna (a morte) spegneva la lanterna e spezzava la canna. Il Servo, invece, è incaricato di annunciare a tutte le nazioni un giudizio di salvezza, e il suo ruolo (il ruolo di Israele) è quello di manifestare l’amore e il perdono di Dio per tutti i popoli, amore e perdono che, secondo quanto rivelerà il quarto canto, saranno invece la causa della morte del Servo stesso.
Al Servo è affidata anche una seconda missione, strettamente legata alla prima: essere alleanza di un popolo. In questa parte della lettura si intuisce come l’Autore sacro giochi sull’espressione “popolo dell’alleanza”, rovesciandola per indicare in Israele l’alleanza di un popolo, che diventa così l’umanità intera, come attestano le parole “luce delle nazioni” dello stesso versetto; quindi la stessa alleanza tra Dio e Israele è ora esercitata dal Servo (Israele) nel rapporto tra Dio e l’intera umanità. È la realizzazione della rivelazione del Sinai, dove Dio aveva stipulato l’alleanza con Israele manifestandogli il suo giudizio misericordioso e che ora, nel Servo, allarga a tutti i popoli della terra, rivelando loro il suo giudizio di salvezza e la sua più intima giustizia. Ma tutto questo può avvenire solo tramite il Servo unto dallo Spirito (Ho posto il mio spirito su di lui …), ed è proprio in questa citazione dello Spirito, tanto evocata da Isaia, che già il Targum (traduzione aramaica in parte parafrasata del testo ebraico dell’Antico Testamento, utilizzata nella Sinagoga durante le cerimonie liturgiche) vedeva nel Servo annunciato il futuro Messia. Le parole iniziali del carme sono riprese, quasi integralmente, anche nel Vangelo di Matteo, ma alla luce del mistero pasquale dove il “Servo” diventa “Figlio”; un’interpretazione della “Parola” del grande profeta rigorosamente esatta, poiché l’espressione greca “páis” della vecchia versione, detta “dei Settanta”, può significare sia “servo”, sia “figlio”. Con il termine “Figlio”, Matteo e gli altri Sinottici hanno voluto evidenziare il rapporto “unico” ed esclusivo di Gesù con il Padre.

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