1 CORINZI 2,6-10 (testo e commento)

http://www.nicodemo.net/NN/commenti_p.asp?commento=1%20Corinzi%202,6-10

(stammattina ho trovato la citazione di 1Cor 2,6 su un libro ed ho voluto cercare qualche commento)

1 CORINZI 2,6-10

6 Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; 7 parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. 8 Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. 9 Sta scritto infatti:  Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì,  né mai entrarono in cuore di uomo,  queste ha preparato Dio per coloro che lo amano.  10 Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio.   COMMENTO 1 Corinzi 2,6-10

La sapienza annunziata da Paolo Nella prima sezione della 1Corinzi Paolo affronta il problema delle divisioni che si sono verificate nella comunità di Corinto (1Cor 1,10 – 4,21). Come rimedio, egli indica anzitutto il ritorno a quello che è il centro della predicazione cristiana, la croce di Cristo, nella quale si è manifestata la sapienza e la potenza di Dio (1,18 – 3,4). Dopo aver elaborato la sua argomentazione (1,10 – 2,5), Paolo riprende il tema della sapienza indicando il posto che egli le ricerca nel contesto del suo insegnamento. La sua rinunzia alle tecniche persuasive della retorica e della filosofia avevano forse dato l’impressione che il suo discorso fosse privo di sapienza. Di questo lo accusavano con ogni probabilità i sostenitori di Apollo, il quale invece non ricusava il ricorso a tali espedienti. Nei confronti di queste accuse, Paolo si difende affermando di essere anche lui depositario di una sapienza, che però non è esattamente quella che essi si aspettano (2,6-16). Il testo liturgico riprende la prima parte di questo brano. Egli indica anzitutto in negativo che cosa non è questa sapienza: «Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla» (v. 6). Se i corinzi non si sono resi conto della sapienza di cui Paolo è maestro, ciò si deve al fatto che egli ne parla in termini espliciti solo tra coloro che sono «perfetti» (teleioi), cioè adulti, maturi nella fede. Solo loro infatti sono in grado di capirla. Non servirebbe a niente illustrare questa sapienza a persone che non sono preparate a coglierne il significato profondo. La sapienza annunziata da Paolo non è di questo «mondo»: questo termine indica la realtà creata in quanto si oppone a Dio e rifiuta la salvezza portata da Cristo. Essa non è capita neppure dai «dominatori di questo mondo» (archontes tou aiônos toutou), che qui probabilmente non sono potenze angeliche ma (come appare dal v. 8) coloro che detengono il potere, di qualunque tipo esso sia: politico, religioso, militare, culturale e via dicendo. Proprio il fatto di non cogliere la vera sapienza vota questi dominatori alla distruzione. Paolo passa poi a definire in positivo la sapienza che egli annunzia: «Parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria» (v. 7). Questa sapienza appartiene a Dio, cioè è una delle figure classiche della sua azione nella creazione e nella storia. In quanto tale, essa è «misteriosa» (en mysteriôi, nel mistero), in quanto è Dio che l’ha stabilito prima dei secoli e l’ha tenuta nascosta per rivelarla proprio ora «per la nostra gloria». Con queste espressioni egli si rifà chiaramente al concetto giudeo-ellenistico della sapienza di Dio, riecheggiando temi che erano stati elaborati soprattutto nel libretto di Baruc, dove si dice espressamente che essa è rimasta nascosta ai «capi delle nazioni» (archontes tôn ethnôn) (Bar 3,16.28), ma è stata rivelata da Dio al suo popolo (3,38) e ha preso forma nella legge mosaica (4,1). Paolo sottolinea ulteriormente il carattere nascosto di questa sapienza affermando che «nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria» (v. 8). I «dominatori di questo mondo» (tôn archontôn tou aiônos toutou) sono qui più espressamente i detentori del potere politico e religioso, tra i quali sono annoverate le autorità giudaiche e romane responsabili della morte di Gesù. La sapienza che Paolo insegna si identifica quindi con la persona di Gesù. Tutti i dominatori di questo mondo sono dunque quelli che hanno rifiutato la sapienza che Paolo comunica ai perfetti, perché attraverso la politica o la religione cercano la propria realizzazione umana, chiudendosi al dono di sé che Dio intende fare mediante la persona umiliata e sconfitta del Figlio. Paolo caratterizza poi ulteriormente la sapienza da lui annunziata osservando che «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano» (v. 9). Questo brano viene introdotto come una citazione biblica («Sta scritto…»); in realtà si tratta di una libera ripresa di diversi testi, quali Is 64,3; 52,15; Sir 1,8, letti e interpretati sulla linea di Bar 3,31.37 (cfr. Gb 28,21-23): la sapienza divina, nascosta a coloro che si servono dei mezzi umani, è rivelata da Dio a coloro che lo amano, cioè sono disposti ad accettare con fede il suo dono. Perciò Paolo conclude: «Ma a noi Dio le ha rivelate (apekalypsen) per mezzo dello Spirito» (v. 10a) È solo per mezzo di una rivelazione che Paolo stesso, a cui in questo caso si riferisce il pronome plurale «noi», è venuto a conoscenza delle cose di Dio (cfr. Gal 1,15-16). E questa rivelazione è opera di un mediatore d’eccezione, lo Spirito. Lo Spirito non è una realtà estranea a Dio: «Lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio» (v. 10b). Egli prosegue poi attribuendo allo Spirito una conoscenza di Dio analoga alla conoscenza di sé che è propria dello spirito umano: nessuno può conoscere le cose di Dio senza un intervento speciale dello Spirito, che ai credenti è stato conferito mediante Cristo (vv. 11-16).

Linee interpretative In risposta alle critiche che gli venivano rivolte, Paolo si presenta come un autentico maestro di sapienza. Sebbene non abbia fatto uso di dotte argomentazioni filosofiche, egli ha comunicato un messaggio ricco di sapienza: non si tratta però della sapienza umana, bensì della sapienza di Dio, rivelata mediante lo Spirito. È solo vivendo in un rapporto personale con Cristo che egli ha conosciuto in profondità le cose di Dio, cioè il suo progetto di salvezza. Cristo è quindi l’oggetto centrale del suo insegnamento, che però non è alla portata di tutti, ma solo di coloro che sono mossi dallo Spirito. In questo brano è significativo soprattutto il carattere misterioso della sapienza, la quale risulta incomprensibile soprattutto ai detentori del potere sia religioso che politico: a costoro la sapienza divina è nascosta non perché manchino loro le qualità intellettuali per capirla, ma perché la ricerca del potere a tutti i livelli rappresenta per loro una barriera insuperabile. La drastica condanna da parte di Paolo dei dominatori di questo mondo è un sintomo della distanza presa dai primi cristiani nei confronti non solo della religione ufficiale ma anche della struttura di potere su cui si reggeva l’impero romano. I cristiani rispettavano l’autorità civile dell’impero (cfr. Rm 13,1-7), ma ritenevano di non aver nulla da spartire con la logica di potere che essa incarnava: nel corso della lettera Paolo giungerà al punto di rimproverare i corinzi per aver portato le loro cause davanti al tribunale civile (cfr. 1Cor 6,1-11) 

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