ALL’OMBRA DELLE QUERCE DI MAMRE – TESTO BIBLICO GENESI 18, 1-15

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(è un PDF e ho dovuto « stringere » il testo, citazione da Paolo alla fine)

L’ICONA DELLA TRINITÀ: DIO HA VISITATO IL SUO POPOLO

ALL’OMBRA DELLE QUERCE DI MAMRE - TESTO BIBLICO GENESI 18, 1-15 dans immagini e testi, Trinita-di-Rublev

ALL’OMBRA DELLE QUERCE DI MAMRE

TESTO BIBLICO GENESI 18, 1-15

1 Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. 2 Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, 3 dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. 4 Si vada a prendere un po’ di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. 5 Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». 6 Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce». 7 All’armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. 8 Prese latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentr’egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. 9 Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». 10 Il Signore riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda ed era dietro di lui. 11 Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. 12 Allora Sara rise dentro di sé e disse: «Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!». 13 Ma il Signore disse ad Abramo: «Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? 14 C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio». 15 Allora Sara negò: «Non ho riso!», perché aveva paura; ma quegli disse: «Sì, hai proprio riso».

COMMENTO L’icona innanzitutto descrive una scena biblica molto nota: l’ospitalità di Abramo (Gn 18,1-15). Prima di passare ad una interpretazione successiva occorre prendere in considerazione questo passo delle scritture che ha ispirato l’icona e che purtroppo viene spesso trascurato o al massimo considerato come una fonte ispiratrice che tuttavia non ha più nulla da dire per la “lettura trinitaria” dell’icona. Invece mi sembra di poter dire che per una comprensione piena dell’icona occorra partire proprio da qui. Infatti dietro a questa raffigurazione della Trinità, tipica della tradizione orientale, sta l’idea che essa in quanto tale non si possa raffigurare, e che per questo sia necessario ricorrere ad una “prefigurazione” veterotestamentaria del mistero trinitario. La tradizione orientale cioè per rappresentare Dio-Trinità non ricorre direttamente alla raffigurazione del Padre, del Figlio e dello Spirito, ma raffigurando un evento biblico in cui è possibile intravedere qualcosa del mistero di Dio. Non è indifferente a mio avviso che la tradizione iconografica abbia scelto questo brano biblico e non credo che si possa commentare correttamente l’icona senza passare attraverso questo primo livello di interpretazione che fa riferimento ad un testo biblico di cui l’icona – come già abbiamo detto – è “esegesi”, “interpretazione”. Il brano della Genesi narra l’episodio di quando tre uomini giunsero inaspettatamente e misteriosamente presso la tenda di Abramo. Li vediamo sotto un albero seduti intorno ad una tavola. Sono pellegrini hanno il bastone per il viaggio in mano; sono inviati (angeli) hanno le ali… inviati per portare una notizia. La notizia che essi portano è attesa… anzi ormai insperata. Sono passati venticinque anni da quando una voce risuonava nella notte per Abramo: «lascia il tuo paese, la tua famiglia, la casa di tuo padre; va’ nella terra che io ti mostrerò» (Gn 12, 1). Abramo partì senza sapere dove andava percorrendo paesi stranieri come un pellegrino, un viandante. Alla promessa di una terra si aggiunge la promessa di una discendenza: «Esci nella notte, solleva gli occhi verso il cielo, conta il numero delle stelle: così numerosa sarà la tua discendenza… » (Gn 15,5). Terra promessa, ma mai donata; discendenza promessa, ma mai avuta. Abramo continua a camminare nell’attesa del dono promesso, cercando di scorgere la presenza di colui che lo aveva chiamato. Ed ecco che nell’ora più calda del giorno tre uomini stanno in piedi davanti a lui… come accorgersi che quella è la visita tanto attesa (Gn 18,1-14). La promessa viene confermata… si da una scadenza: «tornerò a te alla fine della stagione ed ecco: Sara, tua moglie, avrà un figlio». Una vicenda strana, un episodio affascinante e misterioso… la storia di una “visita di Dio”. Ecco ciò che l’icona raffigura: una visita di Dio. Dio visita Abramo e Sara… misteriosamente, nel momento in cui anche la speranza più forte poteva vacillare. E una delle visite di Dio, forse la più emblematica e misteriosa, diventa richiamo a tutte le viste di Dio nella storia… quando Dio si fa vicino e trasforma la promessa in dono… un dono che supera sempre la promessa. L’icona coglie i sensi spirituali del brano biblico che raffigura… è un’esegesi spirituale a colori. Questa raffigurazione della visita dei tre uomini ad Abramo diventa simbolo di ogni visita di Dio fino a quella visita che è compimento pieno e definitivo di ogni promessa: Gesù di Nazareth. Si tratta, come abbiamo visto sopra, di una forma che assume la lettura spirituale delle Scritture. Già Luca vede in Gesù Dio la visita definitiva di Dio al suo popolo Israele: «Dio ha visitato il suo popolo» (Lc 7, 16). Per questo motivo la tradizione cristiana ha visto in quei tre uomini un riferimento dell’Antico Testamento alla Trinità: perché ogni “visita di Dio” deriva dal suo essere Trinità… cioè “relazione in se stesso”… amore che è portato ad uscire fuori di sé. La natura intima di Dio si rivela nel suo “visitare l’uomo”… non è la trinità a-temporale e lontana che viene raffigurata nell’icona, ma la Trinità all’opera nella storia della salvezza. L’icona “della visita” di Dio è l’icona “delle visite di Dio”… l’icona per l’oggi di ogni credente che attende nella sua realtà che Dio lo visiti per trasformare le promesse in dono. E’ l’icona che apre alla speranza della “visita di Dio” per ogni uomo che vive in “terra straniera”, che sente vacillare la speranza… un icona che per ogni uomo “in terra straniera” diventa invocazione:

«Perché non tornare oggi ad aprire il banchetto di nozze… ecco la nostra tenda è aperta per accogliervi, per accoglierti… e l’ombra delle nostra querce… e l’acqua delle nostre fontane… Tutto questo per rinfrancare voi, te. Prima di riprendere il vostro… il tuo cammino»1 1 D. ANGE, Dalla Trinità all’Eucaristia, p. 117. IL RITMO DELLA VITA TRINITARIA: IL TRE ANGELI TESTO BIBLICO GIOVANNI 1, 14-18

14 E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. 15 Giovanni gli rende testimonianza e grida: «Ecco l’uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me». 16 Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. 17 Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18 Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.

COMMENTO Nell’icona i tre angeli nelle loro espressioni, nella loro posizione, nei colori esprimono il ritmo della vita trinitaria. Prima di vedere gli elementi che indicano questo ritmo vediamo quelli che richiamano all’unità: Un elemento molto importante è il colore blu che, se osserviamo l’icona, è presente nelle vesti di tutte e tre le figure, mentre gli altri colori variano figura per figura. Il blu è il colore della divinità che le tre persone divine condividono, gli altri colori invece sottolineano le specificità di ogni persona. Un atro tratto comune che caratterizza i tre angeli è la somiglianza del volto. Come la presenza del blu che indica la divinità, così anche questo tratto richiama l’unità della trinità. Ogni angelo presenta un volo giovanile, né maschile né femminile, per esprimere l’eternità della divinità delle tre persone. Anche fisicamente i tre angeli sono uguali. Il loro corpo è molto allungato rispetto alle proporzioni normali. Questo è un elemento tipico dell’icona che esprime la diversa dimensione delle figure raffigurate. Non si tratta infatti della raffigurazione di corpi materiali, ma del loro “spessore spirituale”. Questo aspetto è molto rilevante nelle icone dei santi Molto importante per sottolineare l’unità è il cerchio in cui i tre angeli possono essere inscritti (cfr. disegno): il cerchio indica il tutto, l’unità della vita di Dio.

1.1 L’ANGELO AL CENTRO L’angelo che sta al centro dell’icona è messo in risalto oltre che dalla posizione anche dalla vivacità dei colori e dalle linee che sembrano attirare lo sguardo su di lui. Si potrebbe pensare che si tratti del Padre proprio per questa sua posizione preminente sugli altri due. In realtà sembra preferibile ritenere che si tratti del Figlio. Perché allora il Figlio nell’icona della Trinità è al centro e non il Padre, come ci si aspetterebbe? Mi sembra che i motivi siano due: il primo riguarda una spetto molto importante per la teologia della Trinità secondo la sensibilità orientale: la Trinità si rivela nella storia della salvezza e massimamente nell’opera fatta di parole e opere del Figlio di Dio fatto uomo. Non si può parlare di Dio se non partendo da Gesù, il Figlio. Come abbiamo già detto non si parla della Trinità in astratto, ma facendo riferimento al suo rivelarsi nella storia della salvezza, nelle grandi opere che Dio compie in favore dell’uomo. Il secondo motivo che vedremo meglio più avanti è legato al mistero pasquale, alla morte e risurrezione di Gesù, come il luogo dove l’azione del Padre, per il Figlio, nello Spirito raggiunge la sua massima espressione e l’amore di Dio si rivela. L‘asse centrale dell’icona è quella che presenta i richiami al mistero pasquale e alla croce di Gesù. L’angelo al centro è rivolto verso quello di sinistra, il Padre. Lo sguardo dei due personaggi si incontra e sembra si possa intuire un dialogo in quegli sguardi. In quello sguardo del Figli verso il Padre e del Padre verso il Figlio possiamo vedere la missione che il Figlio riceve dal Padre e che la teologia dell’evangelista Giovanni esprime con un linguaggio molto denso e suggestivo: «In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa» (Gv 5, 19). «Io … ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato» (Gv 5, 36). «… io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare» (Gv 12, 49). «… bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato» (Gv 14, 31) ANCHE UN PASSO DI TERTULLIANO esprime la realtà racchiusa nello sguardo che si scambiano il Padre e il Figlio: Il Figlio ha mostrato il cuore del Padre, ha tutto udito e visto presso il Padre ed ha annunzia ciò che il Padre ha comandato. Egli non ha adempiuto la sua volontà, ma quella del Padre che ha conosciuto da vicino fin dalla sua origine. (Ad Prax. III) In quello sguardo che l’icona rappresenta sta tutto questo ricchissimo sfondo scritturistico e in particolare giovanneo. Nello sguardo del Padre possiamo leggere una domanda simile a quella che risuona nella vocazione del profeta Isaia: «Chi manderò? Chi andrà per noi?» (Is 6,8). Questa domanda è anche espressa dalle dita del Padre che indicano il calice sulla mensa contenente l’agnello. D. ANGE immagina alcune domande presenti nel cuore di Dio: «Inviare un Angelo? Li consolerebbe… Ma potrebbe divinizzarli? Michele in persona? Combatterebbe per loro… Ma sarebbe vinto l’omicida da colui che egli ha fiaccato? Un profeta? Porterebbe una parola di fuoco… Ma il cuore dell’uomo potrebbe rinascere? Un re fortissimo? Porterebbe pace e concordia… Ma potrebbero perdonarsi, senza vedere il nostro modo di essere? Un grande sapiente? Donerebbe un ideale di vita… Ma creerebbe cieli nuovi e terra nuova? Un maestro spirituale? Li guiderebbe verso la conoscenza… Ma l’uomo vedrebbe il suo Dio con la sua carne?»2 Nello sguardo che il Figlio rivolge al Padre potremmo udire la risposta che diede il profeta: «eccomi, manda me!» (Is 6,8). L‘argomento del colloqui che si svolge più attraverso lo sguardo che le parole sembra essere la coppa che sta al centro della tavola e che contiene un agnello. Le mani dei due angeli sembrano indicarla3 . Certamente in primo luogo si tratta dell’agnello che Abramo offrì ai tre pellegrini, ma quell’agnello posto in un calice è anche riferimento «all’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo», il suo “mistero parsale”. Quello sguardo d’amore che il Padre rivolge verso il figlio è dovuto a questo… egli dà la vita: Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. (Gv 10, 17) 3 Le due dita separate della sua mano richiamano la divina liturgia bizantina, dove questo gesto evoca l’ineffabile istero: «Nascosto dal Padre prima di tutti i secoli secondo la divinità, nato in questo ultimo tempo da Maria la Vergine, Madre di Dio, secondo l’umanità, per noi e per la nostra salvezza: un solo e medesimo Cristo, Figlio, Signore, l’Unigenito che si fa conoscere in due nature, senza mescolanza né cambiamento senza divisione né separazione … » (Concilio di Calcedonia). Il rosso della tunica dell’angelo centrale richiama l’amore prontissimo della sua obbedienza “fino alla morte”. In questa figura il blu è il colore del mantello: quel colore che nel Padre era velato e nascosto, qui è manifesto e predominante per dire che è Gesù che ci ha rivelato il vero volto di Dio e il suo amore per noi: egli è colui che ci narra il Padre, al sua misericordia, la sua volontà di salvezza… Dio nessuno l’ha mai visto… il Figlio unigenito che sta nel seno del Padre egli ne ha fatto l’esegesi, la spiegazione, egli ce lo ha narrato. (cfr. Gv 1, 18). Questi due colori poi ci ricordano anche che Gesù è Dio (blu) e uomo (rosso), Dio che si è fatto vicino a noi, è venuto a camminare con noi. L’albero che sta alle spalle dell’angelo centrale richiama l’albero della vita nel paradiso e l’albero della Croce. L’albero è curvo sulle spalle dell’angelo centrale come se egli stesse per caricarselo addosso… è la croce, il nuovo albero delle vita. Cristo è il nuovo Adamo, l’uomo nuovo che ci rivela l’uomo vero, l’uomo che sa amare. L’icona non può rappresentare il Figlio senza un albero, la croce che gli si sta caricando sulle spalle, senza un calice che ricorda il suo dono di sé. Il “dono di sé” è la vocazione dell’uomo, perché è il senso della vita di Cristo, quella vita che il Padre contemplava come modello perfetto quando plasmava l’uomo. Adamo aveva allungato la mano verso l’albero per invidia e superbia, Gesù carica su di sé il legno della croce per amarci fino in fondo. Non poteva mancare un riferimento esplicito alla croce, perché è lì sulla croce che il Figlio nel modo più pieno rivela il cuore del Padre che ama in modo gratuito, unilaterale e folle. Sulla medesima linea dell’albero troviamo la tenda di Abramo e il monte. La tenda sorge alle spalle del Padre, dell’angelo di sinistra, è la casa del Padre alla quale tutto gi uomini sono inviatati. E’ una casa in costruzione della quale il «Figlio» è chiamato ad essere l’artefice chiamando un polo «dalle tenebre alla sua ammirabile luce» (1 Pt 2, 9) per l’edificazione di «un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pt 2, 5) che è la pietra angolare. Porte e finestre sono aperte perché è una casa accogliente come la tenda di Abramo e di Sara. Il colle sembra offrirsi al Figlio per essere salito. E’ il colle del calvario sul quale il Figlio darà «la vita per le pecore». Il Padre guarda verso quel colle come Abramo guardò il monte Moira quando saliva per offrire il proprio figlio Isacco. Il Figlio – l’angelo di centro – non guarda l’albero-croce e il colle ma volge loro le spalle… li vede riflessi nello sguardo del Padre, sguardo che parla della nostra salvezza e del cuore di Dio misericordioso e fedele. In questo sguardo sta il mistero della vita divina, il mistero della nostra salvezza, ma anche il mistero della natura umana creata ad immagine di Dio, creata in Cristo. Possiamo pensare che quello sia lo sguardo che il Padre posò sul Figlio mentre plasmava l’uomo fatto a sua immagine. Il Figlio, “prototipo dell’uomo”, vero uomo, primogenito di ogni creatura per mezzo del quale tutto è stato fatto. Egli è la costante vocazione dell’uomo, la sua forma sostanziale: l’uomo è chiamato a camminare verso la pienezza di Cristo, trasformando la sua mente, la sua vita ad immagine di quella di Gesù. L’uomo deve tendere necessariamente verso colui che custodisce la verità della sua natura. Scrive un teologo della chiesa orientale, quella stessa chiesa nel seno della quale è nata l’icona della Trinità: per conoscere Cristo abbiamo ricevuto il pensiero, per correre verso di lui il desiderio e la memoria per portarlo in noi. 4 1.2 L’angelo di sinistra Dell’angelo di sinistra abbiamo parlato parlando di quello centrale, ancora una volta comprendiamo che non si può parlare del Padre senza passare attraverso il Figlio che ne è la rivelazione.Il Padre qui a sinistra siede con solennità sul trono. Lo sguardo e il gesto della mano destra hanno qualcosa di imperativo. Anche il vestito oro e rosa (trasparenza) proclama che lui è l’origine della divinità e la sorgente della vita; il blu in questa figura è quasi totalmente nascosto dal mantello: egli è il Dio che nessuno ha mai visto e che il Figlio ha rivelato e narrato con la sua parola e con le sue opere e massimamente nel suo “mistero pasquale” dove il “cuore di Dio” si è mostrato in pienezza. 5 Abbiamo già notato l’importanze dello sguardo che egli rivolge all’angelo di centro e dei gesti delle sue mani che indicano il calice che contiene l’agnello. 1.3 L’angelo di destra L’angelo di destra è in atteggiamento di “infinita devozione”. Egli è, interamente, soltanto una “grande inclinazione” verso gli altri; il suo corpo disegna un’ampia curva. Sembra ricevere tutto dagli altri e attendere tutto da loro. E’ lo Spirito che nulla dice di suo, ma testimonia tutto ciò che Gesù ha fatto. Il mantello verde richiama la sua azione: dare la vita, rinnovare continuamente il mondo. Spirito vivificante – come diciamo nella professione di fede – che aleggiava sulle acque prima della creazione. La sua funzione è quella di rendere gli uomini simili a Gesù per introdurli nella vita di Dio. Per questo il suo sguardo è rivolto verso coloro che guardano l’icona, anzi precisamente verso l’apertura che si crea davanti alla tavola-altare alla quale i tre sono seduti, il lato vuoto al quale ogni uomo è invitato. Come è importante lo sguardo degli altri due angeli così è importante quello dell’angelo di destra. Quello sguardo indica la missione dello Spirito che è donato nei cuori per plasmare in noi l’immagine del Figlio, per renderci confomi a Cristo e così ricondurci alla nostra primitiva e originaria vocazione. Lo Spirito «è la faccia di Dio inclinata sul mondo»5, i suoi occhi sembrano immergersi verso un abisso che si intuisce lontanissimo e vicinissimo. Ma che rapporto c’è tra l’angelo di centro e l’angelo di destra, tra il Figlio e lo Spirito? Se guardiamo l’angelo di centro, il Figlio, notiamo che egli ha i volto e lo sguardo rivolti verso il Padre per contemplare la sua volontà, ma ha il petto rivolto verso l’angelo di destra come per “inviarlo”6. Lo Spirito effuso è il compimento del mistero pasquale, il compimento della salvezza perché egli ci rende Figli ad immagine del Figlio e quindi in comunione con il Padre. E’ il dono dei tempi messianici annunciato dai profeti, il dono di Dio per eccellenza, il dono che porta in sé ogni altro dono. Una preghiera di un vescovo orientale al Concilio Vaticano II dice bene il modo in cui lo Spirito è inteso dalle chiese d’oriente:

Vieni, Santo Spirito, perché senza di te Dio è lontano, Gesù risorto resta nel passato, il Vangelo appare una lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità un puro esercizio del potere, la missione una propaganda, il culto un arcaismo, l’agire morale un agire da servi. Conte, invece, o Spirito Santo, il cosmo è mobilitato, il Risorto si fa presente, Dio è vicino, il Vangelo è potenza di vita, la Chiesa diventa comunione, l’autorità è un servizio gioioso e forte, la liturgia è memoriale vivente, l’agire umano etico e morale è un cammino forte e costruttivo di libertà. IGNATIUS HAZIM, metropolita di Lattakia DIO HA TANTO AMATO IL MONDO Testi biblico Giovanni 3, 16-17 16 Dio… ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.

COMMENTO Prendendo in considerazione i singoli personaggi dell’icona abbiamo già visto come sia forte il riferimento alla Pasqua del Figlio come momento massimo della rivelazione del Dio-Trinità: è sulla croce che massimamente il Figlio ha rivelato la volontà di salvezza del Padre inaugurando la Nuova Alleanza; è sulla croce che il Figlio ha donato lo Spirito per rendere possibile ad ogni uomo l’accesso alla comunione con Dio. Per ogni uomo di ogni tempo lo Spirito plasma l’immagine del Figlio rendendo attuale e salvifica nella nostra vita la Pasqua di Gesù. Oltre all’albero che richiama la croce, abbiamo visto che anche il calice che sta davanti all’angelo centrale con dentro l’agnello immolato richiama il mistero pasquale. Tanto più la cosa è significativa se osserviamo che la tavola alla quale i tre sono seduti in realtà è un altare. Basta considerare la finestrella sul davanti che è tipica degli altari dell’antichità costruiti sulle tombe dei martiri. Il calice posto sull’altare richiama dunque l’eucaristia e il senso dell’eucaristia è proprio racchiuso nel mistero del Figlio obbediente fino alla morte e alla morte di croce perché nel pane spezzato si rivela il senso della sua morte che si fa dono per la vita degli altri e nel calice del vino si realizza la Nuova Alleanza che la croce ha reso possibile e inaugurato. Nell’icona il riferimento all’eucaristia illumina il Cristo caricato della croce, ma nello stesso tempo la croce illumina il senso dell’eucaristia. Ma se osserviamo bene l’icona e allarghiamo il nostro sguardo a partire dal calice che sta sulla tavola-altare vediamo che i contorni dei due angeli laterali formano la sagoma di un altro calice che contiene l’angelo centrale cioè il Figlio. A questo punto è ancora più chiaro il senso del calice posto sull’altare. I due calici si richiamano, illuminandosi vicendevolmente. L’agnello nel calice sull’altaremensa è identificato chiaramente con il Figlio amato dal Padre perché “da la vita”. In questo modo possiamo vedere come l’icona coinvolga tutte e tre le persone della trinità nella Pasqua di Gesù e del suo dono sulla croce. Il dono di sé di Gesù è dono di sé di Dio, sua autocomunicazione all’uomo. Con l’effusione dello Spirito questo dono si fa incontro all’uomo e lo porta alla salvezza. Nella croce, nel calice, nell’agnello immolato si rivela l’amore di Dio che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». Per mezzo del Figlio Dio dona al mondo la possibilità della salvezza che per Giovanni sta nella comunione con Dio. Entrare nel rapporto che intercorre tra il Padre e il Figlio è salvezza, entrare in quello sguardo, tramite l’altro sguardo che lo Spirito ci rivolge. Una ferita o un posto vuoto? Testo biblico Giovanni 14, 1-23 14,1 «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2 Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; 3 quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. 4 E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». 5 Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». 6 Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7 Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». 8 Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 9 Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? 10 Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. 11 Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse. [12-14] 15 Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. 16 Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, 17 lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. 18 Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi. 19 Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20 In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. 21 Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui». 22 Gli disse Giuda, non l’Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». 23 Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.

COMMENTO Ed ecco alla conclusione del nostro cammino un posto vuoto, un’apertura fissata dallo Spirito. La prospettiva inversa dell’icona e in particolare delle pedane dei troni dei due angeli laterali crea un naturale coinvolgimento, come se l’icona fosse un invito alla comunione e anticipazione della patria. Ma quell’apertura può anche essere vista come una ferita… una “ferita” in Dio quasi che il cerchio della vita divina sia in qualche modo lacerato7 , una lacerazione attraverso la quale lo Spirito può effondersi. In quella lacerazione della vita di Dio, sta la nostra chiamata alla comunione. Ma quella ferita è anche la ferita dell’uomo: la lacerazione in Dio è il suo amore per l’uomo, mentre la lacerazione dell’uomo è la sua sete di Dio. Entrambi gli aspetti nell’icona si fondono… il desiderio di Dio e il desiderio dell’uomo… per tutti e due desiderio di comunione. Se notiamo nell’asse centrale dell’icona sono allineati l’albero-croce, l’angelo centrala, il calice con l’agnello, l’altare, l’apertura ai piedi dell’icona. Sembra quindi che l’apertura ai piedi dell’icona sia messa in corrispondenza con gli elementi che indicano la passione-morte di Gesù. Ma qual è questo rapporto? Certamente la salvezza che si realizza nella comunione piena con Dio non è qualcosa di esterno al mistero pasquale. Ne è il frutto, ma potremmo anche dire che ne fa parte perché ciò che si compie nel Figlio di Dio fatto uomo, morto in croce, risorto e assiso alla destra del Padre è già pegno e profezia di ciò che si compirà per ogni uomo in ogni tempo, in ogni luogo. Per questo la salvezza di ogni uomo non sta fuori dal mistero pasquale di Cristo, ma ne è parte integrante. Nelle scritture e nei Padri questo è espresso con il vocabolario della sponsalità, dove il rapporto Dio/uomo è espresso attraverso l’immagine del matrimonio. Nella Pasqua di Cristo Dio ha celebrato il suo matrimonio con l’umanità, ha fatto nuova la sua sposa, l’ha “rigenerata” da prostituta a sposa fedele. Così afferma un Inno pasquale (Pseudo Ippoito):

O Gioia dell’Universo, Banchetto di Grazia! Tu dissipi le tenebre della morte, Tu apri le porte della vita! In Te le promesse sono compiute I canti sono restituiti alla terra! Alleluja! O Pasqua, Nozze dell’Agnello, Il Dio del cielo viene a unirsi a noi nello Spirito. L’immensa sala delle Nozze, E’ riempita di commensali. Tutti portano la veste nuziale E nessuno è respinto! Alleluja! O Pasqua, Nuova Luce, Splendore del corteo verginale, Presso tutti il Fuoco della Grazia Arde nel corpo e nello Spirito. Le lampade non si spegneranno più, Perché è l’olio di Cristo che arde in esse. Alleluja! Veramente questa icona è un roveto che arde e che mai si consuma. Davanti ad essa verrebbe da esclamare come Paolo: «O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11, 33). Ma queste vie sorprendenti e inaccessibili sono state aperte a noi per grazia dal Padre per il Figlio nello Spirito Santo, Dio benedetto nei secoli dei secoli. Amen!

Testo curato da Matteo Ferrari – Eremo San Giorgio – luglio 2002 Monaci Benedettini Camaldolesi—Eremo di San Giorgio

Publié dans : immagini e testi,, immagini sacre |le 4 décembre, 2013 |Pas de Commentaires »

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