« UNA BUONA SPERANZA » – (È UN’ALTRA OMELIA MA QUASI TUTTA SU PAOLO)
10 NOVEMBRE 2013 | 32A DOMENICA – T. ORDINARIO C | OMELIA DI APPROFONDIMENTO
(è una seconda omelia, ma praticamente quasi tutta sulla lettera di San Paolo)
« UNA BUONA SPERANZA »
S. Paolo, nella lettura di oggi, non fa cenno alla risurrezione (l’aveva fatto nella lettera scritta in precedenza alla stessa comunità [1 Ts 4,18] e ne parlerà in seguito di proposito e con insistenza); ma quella espressione « una buona speranza » può ben avviare le nostre riflessioni sul tema della risurrezione, che è centrale nella 1ª lettura e nel Vangelo. Del resto è lo stesso Paolo che, nella prima lettera ai Tessalonicesi ora menzionata, compiange i pagani, i quali non credono nella risurrezione, come quelli « che non hanno speranza » (1 Ts 4,13).
Una sicura certezza
Solo una convinzione ben ferma, una fede che non ammette esitazioni e dubbi, poteva indurre i tre fratelli Maccabei (qui non si riferisce il comportamento, altrettanto eroico, degli altri quattro e della madre), sottoposti alle torture più atroci, a resistere fino alla fine motivando così il rifiuto di « trasgredire le patrie leggi ». Dice il secondo dei fratelli: « Il re del mondo… ci risusciterà a vita nuova ed eterna ». Il terzo: « Da Dio ho queste membra e, per le sue leggi, le disprezzo, ma da lui spero di riaverle di nuovo ». Anche il quarto attende « da Dio l’adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitato ». È questo che importa sottolineare. Se poi qualcuno giudica effetto di fanatismo lasciarsi uccidere piuttosto che « cibarsi di carni suine proibite », non potrà non ammirare l’eroismo di questi pii Ebrei che vedevano in ciò un segno di fedeltà al vero Dio a cui non intendevano assolutamente venir meno.
Ma, ritornando al tema della risurrezione, abbiamo la risposta perentoria di Gesù ai sadducei che la negavano. Il caso che gli presentarono può sembrare strano, anche se non era alieno dalle usanze del tempo porre ai rabbini quesiti di tal genere. Quanto a noi, possiamo rallegrarci che l’abbiano fatto, offrendo così al Maestro l’occasione di darci un insegnamento prezioso. Noi risorgeremo. « Il Signore è fedele », ci assicura s. Paolo, e manterrà la parola con cui ce l’ha promesso, nei passi letti ora e tante altre volte, specialmente nel Nuovo Testamento. Come Abramo, Isacco e Giacobbe, morti da tanti secoli, vivono per Dio in quanto egli si è proclamato loro Dio per sempre perché essi sono vissuti per lui, così anche noi siamo chiamati a vivere per sempre grazie alla potenza e alla fedeltà di Dio, a vivere per lui e con lui, se saremo vissuti nella fede e nell’amore per lui.
La Chiesa non si stanca di richiamarci la verità fondamentale della vita che ci attende dopo la morte e della risurrezione. Ci invita a professare questa fede nella conclusione del Credo: « Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà ». Ascoltiamo il richiamo del Concilio: « In faccia alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo. Non solo si affligge, l’uomo, al pensiero dell’avvicinarsi del dolore e della dissoluzione del corpo, ma anche, ed anzi più ancora, per il timore che tutto finisca per sempre. Ma l’istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l’idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe dell’eternità che porta in sé, irriducibile com’è alla sola materia, insorge contro la morte… la Chiesa, istruita dalla rivelazione divina, afferma che l’uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini della miseria terrena. Inoltre la morte corporale, dalla quale l’uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato, insegna la fede cristiana che sarà vinta, quando l’uomo sarà restituito allo stato perduto per il peccato, dall’onnipotenza e dalla misericordia del Salvatore. Dio infatti ha chiamato e chiama l’uomo a stringersi a lui con tutta intera la sua natura in una comunione perpetua con l’incorruttibile vita divina. Questa vittoria l’ha conquistata il Cristo risorgendo alla vita, dopo aver liberato l’uomo dalla morte mediante la sua morte » (Gaudium et spes, 18).
« Come risuscitano i morti? »
È s. Paolo che pone questa domanda in bocca a un ipotetico interlocutore, dopo aver con forza riaffermato la risurrezione di Cristo e la nostra risurrezione. Risponde tentando qualche spiegazione, ma non per soddisfare una curiosità fuor di posto, poiché quello che annunzia è un « mistero » (1 Cor 15,35-51). Non aspettiamo nemmeno da Gesù una risposta che ci faccia comprendere tutto il mistero. Il quesito-tranello dei sadducei non si regge in piedi, perché « quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio ».
La vita dei risorti non la possiamo immaginare; è una vita vera, la più vera, ma trasformata, come quella di Gesù risorto: vita di figli di Dio; con Dio che vedremo « faccia a faccia », che ameremo, e ameremo in lui tutti i suoi figli e nostri fratelli, nel godimento d’una felicità che non ha paragone con tutti i godimenti che ci può offrire la vita su questa terra.
Consolazione, conforto, speranza
Il passo che abbiamo ascoltato della seconda lettera ai Tessalonicesi comincia con un riconoscimento della bontà di Dio per noi: « Lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza », e continua con un augurio: « Conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene ». Anche se qui l’apostolo non si riferisce alla risurrezione, nella luce di questo mistero ciò ch’egli dice acquista un particolare significato d’incoraggiamento e di esortazione; Gesù Cristo nostro Signore e Dio Padre nostro (« Io e il Padre siamo una cosa sola » [Gv 10,30]) ci amano e ci ameranno sempre: la morte non potrà spezzare il vincolo di cui Dio ha detto per bocca di Geremia: « Ti ho amato di amore eterno » (Ger 31,3); la « consolazione » che egli « ci ha dato, per sua grazia », dono immeritato e del tutto gratuito, è « eterna » e fonda in noi « una buona speranza », sulla quale possiamo contare, certi che non sarà delusa. Di qui l’augurio che è anche preghiera: « Conforti i vostri cuori », che nell’amore di Gesù Cristo e di Dio Padre troveranno sempre consolazione e incoraggiamento, « e li confermi », dandovi la forza necessaria per parlare e operare da cristiani. Paolo ha « fiducia nel Signore » che così sarà, e conclude questo brano ancora con un augurio che riprende ed esplicita quanto ha già detto: « Il Signore diriga i vostri cuori nell’amore di Dio », di quel Dio che è padre e che vi ama immensamente più del più tenero fra i padri, « e nella pazienza di Cristo ».
Perché come per Cristo la nuova vita di risorto è stata preparata dalle sofferenze e dall’umiliazione della morte, così noi dobbiamo accettare di soffrire con lui e morire al peccato. Scriverà più tardi Paolo: « Se siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione… Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui… Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri; non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi, tornati dai morti e le vostre membra come strumenti di giustizia per Dio » (Rm 6,5-13). Il sacrificio della Messa, memoriale della morte e risurrezione del Signore, ci confermi in questa certezza, ravvivi la nostra speranza!
Da: PELLEGRINO M., Servire la Parola, Anno C,
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