San Francesco riceve le stimmate (Assisi)

http://web.tiscalinet.it/sangregoriovii/2tre_ord/spirit/spir01.htm
LA SPIRITUALITÀ DEL TAU IN SAN FRANCESCO D’ASSISI
INTRODUZIONE
Il Tau è una lettera dell’alfabeto ebraico e di quello greco. Essa corrisponde alla lettera T del nostro alfabeto. Questa lettera come ha potuto diventare il supporto di una mistica e l’espressione della devozione per san Francesco? Per rispondere a questa domanda, bisogna studiare il comportamento di san Francesco, le influenze da lui subite ed il contenuto che per lui ha questo simbolo.
1. IL COMPORTAMENTO DI SAN FRANCESCO
C’è un fatto: Francesco utilizzava con frequenza a scopo di devozione il Tau: lo scriveva sui muri sulle lettere su se stesso. « Familiare gli era la lettera Tau, fra le altre lettere, con la quale firmava i biglietti e decorava le pareti delle celle (3 Cel 3 :828) Con tale sigillo san Francesco firmava le sue lettere, ogniqualvolta o per necessità o per spirito di carità, inviava qualche suo scritto (3 Cel 159:980). « Venerava questo segno e gli era molto affezionato, lo raccomandava spesso nel parlare; con esso dava inizio alle sue azioni e lo scriveva di propria mano sotto quei bigliettini che inviava per motivo di carità » (Legm 2,9:1347).
L’affermazione del Celano concernente la scritta del Tau sui muri, è confermata dall’archeologia: al tempo del restauro della cappella di Santa Maddalena a Fonte Colombo fu rinvenuto nel vano di una finestra, dal lato del Vangelo, un Tau, dipinto in rosso, ricoperto poi con una tinta del secolo XV. Questo disegno risale allo stesso san Francesco.
Che san Francesco abbia segnato con il Tau le sue lettere, ne abbiamo due conferme scritte. La prima è costituita dalla Lettera a tutti i chierici. L’originale è andato perduto, ma se n’è scoperta una copia in un messale del monastero benedettino di Subiaco. Questo documento, trascritto tra il 1229 e il 1238, riproduce scrupolosamente alla fine il Tau con il quale san Francesco aveva segnato la sua lettera. La seconda conferma è l’autografo originale della benedizione per frate Leone, conservato nel Sacro Convento. Il destinatario ha avuto cura di precisare: « Fece lui di sua mano il segno del Tau con la sua base ». E la seconda considerazione sulle Stimmate narra in quali circostanze Leone abbia ricevuto questa carta (Fior: 1907).
Su se stesso infine Francesco tracciava il segno del Tau per consacrare le sue azioni al Signore. Un tale senso ha la visione di fra Pacifico: « Scorse con gli occhi della carne sulla fronte del beato padre una grande lettera Tau, che risplendeva di aureo fulgore » (3 Cel 3 :828). Tale anche il senso dato a questa visione di liturgia dell’ufficio della festa delle stimmate di san Francesco (17 settembre, II Vesp.).
2. BIBBIA E VANGELO
Quale origine ha questa devozione al Tau in san Francesco? Prima di tutto dalla Bibbia e principalmente dal celebre testo di Ezechiele (9,4): « Va’ attraverso la città, va’ attraverso Gerusalemme e traccia il segno del Tau sulla fronte di quegli uomini che sospirano e gemono a causa delle abominazioni che ivi si commettono ». Questo passo era ben conosciuto dai fedeli: tutti i Padri della Chiesa l’avevano commentato ed era sviluppato dalla predicazione medievale. Francesco non poteva non esserne colpito. San Bonaventura mette espressamente in relazione il testo di Ezechiele con la missione di Francesco che consisteva, « secondo il detto del profeta, nel segnare il Tau sulla fronte degli uomini che gemono e piangono, convertendosi sinceramente a Cristo » (LegM 4-9:1079).
Che san Francesco abbia adottato il Tau come distintivo per se stesso, lo si deve alla forma stessa di questa lettera: la grafia del Tau è quella di una croce. Nessun simbolo era di poco conto o ridicolo agli occhi di Francesco per ricordare il suo benamato Cristo; dal momento stesso che egli rispettava il verme della terra e proteggeva gli agnelli, cosi egli venerava il Tau che gli richiamava l’amore del Crocifisso. Per tal motivo egli voleva anche ricordarci che noi dobbiamo « realizzare quelle parole dell’Apostolo: coloro che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne con i vizi e le concupiscenze, e portare nel proprio corpo l’armatura della croce » (LegM 5,1:1086). Questo comportamento, tenuto da san Francesco, era meritevole in una epoca nella quale tutta una corrente catara o neo-manichea, rifuggiva dallo stesso segno di croce, considerandolo indegno dell’opera redentrice di Dio.
3. ANTONIANI E CONCILIO
Può darsi che l’attenzione di Francesco per il Tau sia stata attirata dai suoi rapporti con gli Antoniani. Egli aveva iniziato la sua conversione mediante la cura ai lebbrosi (2 Test 2:110); egli desiderava che i suoi frati « abitassero nei lazzaretti a servizio dei lebbrosi… ai postulanti… si diceva che era necessario servire ai lebbrosi e stabilirsi nei lazzaretti » (Legp 102:1658). Ora a Roma esisteva un lazzaretto nel quale san Francesco ospitava e soggiornava più di qualche volta: l’ospedale di Sant’Antonio (LegM3,9: 1063). Questo ospedale era tenuto dagli Antoniani, cioè dai frati ospedalieri di Sant’Antonio eremita, i quali portavano come distintivo il Tau. Essi portavano in mano un bastone al quale si sovrapponeva un Tau ed avevano pure un grande Tau cucito sopra il loro abito. Il Tau degli Antoniani, che servivano ai lebbrosi, richiamava a Francesco amante dei simboli, « l’amore di Cristo, il quale volle per noi essere riputato 1ebbroso » (Fior 25 :1857).
Se non si deve ampliare l’influsso degli Antoniani, tuttavia c’è un altro influsso che non corre il pericolo di essere esagerato: quello del IV Concilio Lateranense del 1215. Francesco ha assistito a questo concilio durante il quale il papa approvò la Regola del suo Ordine (Legp 7:1618). Ora il papa Innocenzo III l’11 novembre di quell’anno apriva il concilio con un discorso di un’ampiezza ammirevole che suscitò una grande eco. La seconda parte di questo discorso è un commento al capitolo IX di Ezechiele. Il papa fa proprie le parole di Dio al profeta ed egli pure si rivolge a ciascun membro del concilio: « Segna con un Tau la fronte degli uomini. Poi egli aggiunge: « Il Tau è l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico ed ha la forma di una croce, tale quale si presentava la croce prima che fosse posto il cartello di Pilato. Uno porta sulla fronte il segno del Tau, se manifesta in tutta la sua condotta lo splendore della croce; si porta il Tau se si crocifigge la carne con i vizi ed i peccati; si porta il Tau se si afferma: di nient’altro mi voglio gloriare se non della croce di nostro Signore Gesù Cristo…Chi porterà il Tau troverà misericordia, segno di una vita penitente e rinnovata nel Cristo…Siate dunque campioni del Tau e della Croce! ».
Questo è l’appello, inteso da Francesco e che influenzò profondamente la sua spiritualità: appello per una mobilitazione generale della cristianità, per una crociata di conversione e di penitenza. Egli volle dunque per obbedire al papa, segnare se stesso con il Tau della penitenza; egli volle, segnando i suoi frati, richiamare loro le esigenze della loro vocazione; egli volle con ciò segnare tutti i cristiani: la penitenza si fa maggiormente il tema favorito della sua predicazione, fatto questo consultabile nella Regola del 1221 (Rnb 21,3.7.8:55) e nella Lettera a tutti i fedeli (Lf 48:200; 63:203).
4. CONTEMPORANEI
Il simbolismo del Tau era conosciuto molto prima di san Francesco: la cabala giudaica ed i Padri della Chiesa l’avevano largamente diffuso. La devozione al Tau era praticata molto prima di san Francesco; essa potrebbe essere paragonata a quella che sarà suscitata più tardi dal JHS di san Bernardino da Siena. Il fervore popolare vedeva in essa un mezzo magico e miracoloso per essere preservati dalla peste e da ogni potenza diabolica. Lo si portava come anello al dito o come amuleto al collo; lo si disegnava su pergamene contro la peste, lo si dipingeva sugli stipiti delle porte. Nell’anno 546, in occasione di una peste, il vescovo di Clermont in Francia organizzò una processione solenne. Lo storico Gregorio di Tours (contemporaneo dell’avvenimento) dice che subito apparve sui muri di tutte le case e di tutte le chiese « un segno che i cittadini riconobbero essere il Tau », e cosi cessò l’epidemia.
Nel 1212, tre anni prima del Concilio Lateranense, al tempo di san Francesco, il Tau fu il simbolo scelto per la crociata dei bambini: prova questa del valore affettivo di questa bandiera e del suo potere ammaliatore.
Anche san Francesco adottò questo simbolo come « stemma ». Anche lui attraverso questo segno fece dei miracoli « Nella città di Cori, nella diocesi di Ostia, un uomo aveva perduto completamente l’uso di una gamba. . Il santo apparve all’uomo che non poteva dormire. Toccò la parte sofferente con un bastoncino, che recava su di sé il segno del Tau. Subito si ruppe l’ascesso e, ricuperata la salute, fino ad oggi è rimasto impressa in quella parte il segno del Tau » (3Cell59;980) .Ma in san Francesco la spiritualità del Tau è molto più ricca e molto più profonda.
5. SPIRITUALITÀ DEL TAU
Analizzando il contenuto spirituale del Tau in san Francesco, se ne ottengono quattro grandi temi essenziali per la sua fede e per la sua mistica.
a) Il Tau è salvezza
Nessuno può essere salvato se non è segnato con il Tau. Quando Francesco vedeva questo segno, riceveva una nuova certezza de la sua salvezza. Il giorno nel quale egli s’accorge che frate Leone è assalito dal dubbio sul suo destino eterno, Francesco disegna la lettera Tau e gli restituisce la speranza. L’autore del Sacrum Commeraum ha colto molto bene quest’aspetto della prospettiva francescana quando fa dire a madonna Povertà: « Quando Gesù salì al cielo, a te lasciò il sigillo del regno dei cieli (il Tau) per segnare gli eletti… perché nessuno può entrare nel regno, se non porta impresso il tuo sigillo » (SCom 21:1979).
b) Il è Tau salvezza attraverso la Croce
Per essere salvato, è necessario essere battezzato nel sangue di Cristo sparso sulla Croce. Tale è il mistero che ogni croce e ogni segno del Tau richiamano per san Francesco e per i suoi compagni. Per questo essi recitavano la preghiera: « Ti adoriamo o Cristo… e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo ». La stessa cosa facevano « dovunque capitava loro di vedere una croce o una forma di croce per terra, sulle pareti tra gli alberi, nelle siepi » (1 Cei 45:399.401). La spiritualità del Tau, dunque, altro non è che la spiritualità della croce, cioè dell’amore di Cristo, morto per noi sulla croce. Il libro dell’Esodo richiamava a Francesco l’agnello pasquale il cui sangue designava un Tau salvatore sugli stipiti delle case ed per questo che egli stesso segnava i muri delle celle dei frati.
c) Il Tau è salvezza attraverso la penitenza
Se la croce ci ha acquistato salvezza una volta per tutte, noi dobbiamo rinnovare in noi quotidianamente questo mistero; noi dobbiamo « portare ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù Cristo » (Am 4, 8 :154). Questa è la crociata del Tau predicata da san Francesco, crociata composta non di soldati armati per conquistare Gerusalemme, ma crociata di uomini penitenti, venuti d’Assisi per predicare a tutti: « Fate penitenza, fate frutti degni di penitenza! » (Rnb 21,3:55; 2 Lf 25:190). E qui la spiritualità del Tau raggiunge la spiritualità della sequela Christi. Gesù aveva detto: « Chi vuole seguirmi deve portare la croce »; san Francesco capisce: « Chi vuole seguirmi deve essere segnato con il Tau, che ha la forma di croce ». Egli avrebbe voluto arrivare fino al martirio pur di essere segnato con un Tau di sangue. Egli lo sarà con le stimmate.
d) Il Tau è segno di vita e di vittoria
Egli è dunque sorgente di gioia. Ecco il segreto profondo della gloria di Francesco. La liturgia del suo tempo attribuiva alla lettera Tau i medesimi attributi che venivano dati alla croce: « Est Tau vivifico insignitus…Crucifixi servulus ».
Questa strofa potrebbe essere applicata a Francesco. La predicazione del suo tempo parlava anche del Tau come di un labarum, segno di vittoria. Con San Paolo san Francesco non avrebbe potuto non cantare la sua gioia d’essere stato salvato: « Io non mi voglio gloriare se non nella croce del nostro Signore » (Fior 8:1836).
6. L’APOCALISSE
C’è un libro del Nuovo Testamento che parla del Tau senza pronunciarne il nome: il libro dell’Apocalisse che presenta gli eletti come coloro che sono segnati sulla fronte dal sigillo dell’Agnello (7,2; 14, 1-7). Questo sigillo viene impresso da un angelo che viene dall’Oriente.
San Francesco è stato colpito da questi testi? Ha egli scoperto delle luci per la sua missione, per la sua crociata del Tau e della penitenza? È possibile che ciò non possa essere provato da fonti scritte. Non lo si può dedurre dall’uso che ne fanno san Giovanni e San Francesco – 22 volte nelle sole Ammonizioni – dell’espressione « servitori di Dio » per indicare da una parte i penitenti segnati del Tau, dall’altra i frati minori.
Ciò che certo, in ogni caso, che questo testo è stato spesso applicato, e talvolta in modo abusivo, a san Francesco, come se san Giovanni avesse avuto in mente di parlare personalmente di san Francesco, mentre parlava dell’angelo che viene dall’Oriente. Una tale interpretazione riscuoteva il pieno favore nella cerchia dei gioachimiti. Accontentiamoci qui di accennare all’allusione (dove si trova più che un gioco di parole tra Assisi e Oriente) che si trova nella Divina Commedia per alludere a san Francesco nell’Angelo che viene dall’Oriente:
« … chi d’esso loco fa parole / non dica Ascesi, ché direbbe corto, / ma Oriente, se proprio dir vuole » (Dante, Par. XI, 52-54 :2 101).
CONCLUSIONE
L’iconografia del Tau è abbondantissima. Innanzitutto non si può passare sotto silenzio la rappresentazione più preziosa e commovente, quella di Greccio: nella grotta in cui Francesco ha celebrato la natività del Signore, un artista ha perpetuato la memoria di questo avvenimento. Sulla casula del sacerdote ha dipinto un bel Tau grande. E il celebrante era probabilmente frate Leone, quel frate Leone al quale San Francesco aveva indirizzato la sua benedizione, contrassegnata dal Tau. È anche interessante ricordare (a motivo del suo rapporto con la vita di San Francesco) l’unica provincia dell’Ordine che ha per sigillo il Tau: la Corsica. Lo storico Gonzaga si fa portavoce di una tradizione immemorabile secondo la quale san Francesco, tornando dal Marocco attraverso la Spagna, prese la strada del mare e fece il primo scalo in Corsica; ivi egli lanciò alcuni frati; l’ex generale Giovanni Parenti vi giunse nel 1233. Da questo tempo daterebbe l’adozione del Tau come sigillo del convento di Calvi e di tutta Ia provincia della Corsica.
Anche ad Assisi il ricordo del Tau non si perduto. Lo Si può vedere ancora e non solamente nel Sacro Convento e nella « Schola Davidica « , ma anche su diversi muri attorno alla basilica in un blasone con l’iscrizione Immunitas, che delimitava probabilmente un territorio che aveva il diritto di asilo. Lo si può vedere scolpito, soprattutto, a piene lettere sulla porta dell’Oratorio Sei pellegrini, dove vengono a raccogliersi anche oggi tutti quelli che vengono ad Assisi per ritrovare dietro san Francesco la gioia di essere salvati.
Damien Vorreux
http://www.diocesi.genova.it/vescovo/tettamanzi/om001004.htm
SOLENNITÀ DI SAN FRANCESCO D’ASSISI – OMELIA
+ Dionigi Card. Tettamanzi
GENOVA, 4 OTTOBRE 2000
SAN FRANCESCO, IL NATALE E IL GIUBILEO 2000
Carissimi fratelli e sorelle nel Signore,
la nostra annuale celebrazione di san Francesco, sempre sentita e festosa, riceve quest’anno una particolare solennità dal Grande Giubileo del 2000. Il cuore di questo Giubileo, come ben sappiamo, è una rinnovata, più intensa e gioiosa confessione di fede e di amore in Gesù Cristo, il Figlio eterno di Dio che si è fatto uomo nel grembo di Maria per essere nostro salvatore. Proprio la nascita di Gesù per noi è il mistero di grazia che il Giubileo intende ricordare, celebrare e vivere.
In questo senso ci viene spontaneo interrogarci sul posto e sul significato che il mistero del Natale, dell’incarnazione e della nascita di Gesù hanno avuto nella spiritualità di san Francesco.
Iniziamo dal fatto, semplice ma significativo, che il poverello di Assisi amava il Natale più di tutte le altre feste. E per quale ragione? La dichiara lui stesso nella Regola non bollata: « E ti rendiamo grazie, perché… hai fatto nascere lo stesso vero Dio e vero uomo dalla gloriosa sempre vergine beatissima santa Maria… » (23, 5). E ancora, come troviamo scritto nella Leggenda perugina: « Francesco aveva per il Natale del Signore più devozione che per qualunque altra festività dell’anno. Invero, benchè il Signore abbia operato la nostra salvezza nelle altre solennità, diceva il Santo che fu dal giorno della sua nascita che egli si impegnò a salvarci. E voleva che a Natale ogni cristiano esultasse nel Signore e per amore di lui, il quale ha dato a noi tutto se stesso, fosse gioiosamente generoso non solo con i bisognosi, ma anche con gli animali e gli uccelli » (110: 1669).
Il presepio di Greccio
L’amore di Francesco per il bambino Gesù è rimasto legato alla famosa celebrazione del Natale a Greccio, nel 1223, tre anni prima della sua morte, quando egli, rappresentando al vivo la scena della nascita di Gesù, si fece « bambino col Bambino » che gli era apparso. Da allora, amò di amore particolare quel luogo e « soleva dire tutto felice ai frati: ‘Non esiste una grande città dove si siano convertite al Signore tante persone quanto ne ha Greccio, un paese così piccolo’ » (Leggenda perugina, 34: 1581).
E’ ancora diffusa l’opinione che sia stato proprio san Francesco a iniziare la tradizione del presepio nelle chiese, nei conventi e nelle case private. In realtà la questione è controversa e per questo la lasciamo volentieri agli studiosi di storia della pietà popolare e delle sue manifestazioni.
A noi, in questo momento liturgico, interessa riascoltare il primo racconto del presepio di Greccio, così come lo ha tracciato Tommaso da Celano, il biografo di san Francesco (Vita Prima, cap. XXX, nn.84-87). Il santo – leggiamo – si rivolge a un certo Giovanni, un uomo nobile e onorato che però « stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne », e gli dice: « Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e preparami quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello ».
Il Celano prosegue così il racconto: « E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme… Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile ».
A questo punto il racconto si sofferma sul momento centrale della scena di Greccio: la celebrazione dell’Eucaristia. Leggiamo: « Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso (Francesco) assapora una consolazione mai gustata prima ». E nella Messa c’è posto per la predica, che viene tenuta dal santo: « Francesco – leggiamo sempre nel racconto del Celano – si è rivestito dei paramenti diaconali… e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava ‘il Bambino di Betlemme », e quel nome ‘Betlemme’ lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come un belato di pecora ».
Qui sta la novità e l’originalità del presepio di san Francesco: « inventare un presepio eucaristico » (Cesario Van Hulst, Natale, in Dizionario Francescano, p.1072). Come nota san Bonaventura, per celebrare l’Eucaristia all’interno della scena del presepio, Francesco si era premunito dell’autorizzazione del Papa. Del resto non era molto frequente, allora, la celebrazione eucaristica su di un « altare portatile ».
Ora è nel « segno » eucaristico del pane e del vino che san Francesco « vede » il Dio vivo e vero che si è fatto carne povera e umile. E’ questo un tratto qualificante della sua visione di fede e della sua spiritualità: c’è un rapporto intimo tra l’incarnazione-nascita di Gesù a Betlemme e la sua venuta sull’altare del sacrificio eucaristico. In un certo senso, possiamo dire che il Natale continua nella vita della Chiesa e nella storia del mondo con la celebrazione dell’Eucaristia.
Come scrive nelle sue Ammonizioni, « Ecco, ogni giorno egli (il Figlio di Dio) si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine: ogni giorno viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sopra l’altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi apostoli apparve in vera carne, così ora si mostra a noi nel pane consacrato; e come essi con lo sguardo fisico vedevano solo la sua carne ma, contemplandolo con gli occhi della fede, credevano che egli era Dio, così anche noi, vedendolo pane e vino con gli occhi del corpo, vediamo e fermamente crediamo che il suo santissimo corpo e sangue sono vivi e veri. E in tale maniera il Signore è sempre presente con i suoi fedeli così come egli dice: Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo » (I, 144-145).
Proprio in questa prospettiva eucaristica, della « nascita » di Cristo sull’altare, possiamo cogliere il senso profondo di quanto leggiamo verso la fine del racconto di Tommaso da Celano sul presepio di Greccio. E’ in questione, infatti, la « nascita » di Gesù nel cuore degli uomini che si convertono e credono. Scrive dunque il biografo: « Uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo ». E commentando spiega: « La visione prodigiosa non discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria ».
E conclude: « Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia ». Potessimo anche noi sperimentare la pienezza di questa gioia ineffabile, propria di chi sa di avere nel cuore la vita divina della grazia, nutrita dalla comunione eucaristica frequente e devota al Corpo e al Sangue del Signore!
Chiamati a imitare Gesù povero e umile
Ma per quale ragione profonda san Francesco ha voluto il presepio di Greccio, la ripresentazione visiva della nascita di Gesù a Betlemme, illuminata per così dire dalla celebrazione dell’Eucaristia?
La risposta sta nelle parole iniziali del racconto, che ci immettono nel cuore stesso della spiritualità di san Francesco: « La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo. Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro » (cap. XXX, n. 84: 466-467).
Nessun dubbio al riguardo: per san Francesco la vita cristiana è essenzialmente sequela Christi, e dunque imitazione di lui. E’ questo il principio che egli stabilisce sin dalle primissime parole della Regola non bollata del 1221: « La regola e la vita dei frati è questa, cioè vivere in obbedienza, in castità e senza nulla di proprio, e seguire la dottrina e l’esempio del Signore nostro Gesù Cristo » (I, 4). Il latino è ancora più plastico ed efficace: vestigia sequi, seguire le orme, e dunque camminare sulla stessa strada percorsa da Gesù, secondo l’immagine giovannea del pastore che cammina davanti alle sue pecore (cfr. Giovanni 10, 4). E Francesco è il primo a presentarsi ai suoi frati come un ritratto vivente e affascinante di Cristo, come metterà in luce san Bonaventura.
In particolare è l’umanità del Figlio di Dio che diviene esempio e modello di vita, di atteggiamenti interiori e di comportamenti concreti da parte di san Francesco: l’umanità così come si mostra nella carne di Gesù a Betlemme e sulla croce. E’ un’umanità che parla di povertà e di umiltà.
E sono proprio queste le virtù che il santo « vede » nel presepio e che rendono singolarmente luminosa la sua vita. Risulta così quanto mai eloquente l’appellativo abituale di « poverello » con cui viene chiamato: e povero egli è, non solo perché spoglio di beni materiali, ma anche e soprattutto perché spoglio dell’orgoglio dello spirito, con l’unico desiderio di essere « immagine viva » della povertà e dell’umiltà di Cristo.
E’ questo il messaggio di estrema attutalità che san Francesco rivolge, innanzi tutto, ai suoi frati e a tutti noi. Se vogliamo seguire Cristo – un’esigenza centrale e irrinunciabile della vita cristiana – dobbiamo amare e vivere la povertà e l’umiltà.
Quanto hanno ascoltato Gesù parlare dell’Eucaristia, del « pane vivo » che è la sua carne e il suo sangue, hanno reagito dicendo: « Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo? » (Giovanni 6, 60). Non è forse analoga la reazione della nostra società – europea, italiana e ligure – di fronte al messaggio evangelico – ma anche umano – della povertà e dell’umiltà?
Ma non è in questione soltanto il rifiuto dal parte del cosiddetto « mondo » nel quale noi tutti viviamo. E’ in questione anche, se non proprio il rifiuto, la dimenticanza, l’indifferenza, la banalizzazione da parte degli stessi cristiani. Diciamolo francamente: degli stessi sacerdoti e religiosi.
Sembrano lontanissimi gli anni del Vaticano II, quando si leggevano i testi conciliari sulla povertà della Chiesa. Questo, ad esempio: « E come Cristo ha compiuto la sua opera di redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza… anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria della terra, bensì per far conoscere, anche col suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione. Cristo è stato inviato dal Padre ‘a dare la buona novella si poveri, a guarire quelli che hanno il suore contrito’ (Luca 4, 18), ‘a cercare e salvare ciò che era perduto’ (Luca 19, 10): così pure la Chiesa circonda di affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore povero e sofferente, si premura di sollevarne l’indigenza, e in loro intende di servire a Cristo » (Lumen gentium, 8).
E letti i testi conciliari si finiva, allora, per diventare immediatamente polemici e fortemente contestatori: in genere, non nei riguardi di se stessi, ma degli altri, in particolare della Gerarchia, dei beni, delle strutture e iniziative della Chiesa.
Oggi, il Giubileo che stiamo celebrando e vivendo è occasione propizia, anche sospinti dall’invito del Santo Padre a « purificare la memoria », per distinguere tra critica ingiusta e persino velenosa e critica legittima e doverosa. Dove, comunque, la critica deve iniziare da ciascuno di noi, da ciascuna comunità e istituzione di Chiesa, come premessa necessaria a quella conversione che significa anche distacco dalla ricchezza e dalla superbia e imitazione amorosa della povertà e dell’umiltà di Cristo Signore.
E’ naturale che nella festa di san Francesco siano invitati a questo, in primo luogo, i frati francescani. Desidero rimandarvi, carissimi religiosi, alle pagine dell’esortazione Vita consecrata, di cui avete per la vostra vocazione la grave responsabilità di rendere credibili e incisive nella Chiesa e nella società d’oggi con la vostra vita povera e umile. Così al numero 90 ci è dato di leggere, tra l’altro: « Alle persone consacrate è chiesta una rinnovata e vigorosa testimonianza evangelica di abnegazione e di sobrietà, in uno stile di vita fraterna ispirata a criteri di semplicità e di ospitalità, anche come esempio per quanti rimangono indifferenti di fronte alle necessità del prossimo. Tale testimonianza si accompagnerà naturalmente all’amore preferenziale per i poveri e si manifesterà in modo speciale nella condivisione delle condizioni di vita dei più diseredati ».
Ma, in un certo senso, tutti noi dobbiamo essere « francescani », seguaci del Poverello di Assisi, come lui è stato di Gesù Cristo. E dunque poveri e umili. In profondità: essere veramente umili per essere giustamente poveri.
Lasciamo proprio alle labbra e al cuore di san Francesco di far risuonare dentro di noi la sua voce ammonitrice e suadente. Così scrive nella « Lettera a tutti i fedeli »: « Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto dobbiamo essere semplici, miti e puri… Mai dobbiamo desiderare di essere sopra gli altri, ma anzi dobbiamo essere servi e soggetti ad ogni umana creatura per amore di Dio E tutti coloro che faranno tali cose e persevereranno fino alla fine riposerà su di essi lo Spirito del Signore, ed Egli ne farà la sua dimora, e saranno figli del Padre celeste di cui fanno le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo » (IX, 199-200).
http://www.30giorni.it/articoli_id_9301_l1.htm
FRANCESCO D’ASSISI: UN UOMO DI PACE FORMATO DALLA LITURGIA
Anche la vicenda di Francesco d’Assisi, come avviene per ogni uomo, rimarrà sempre, in un certo qual senso, un mistero. Riconoscere questo non impedisce di continuare ad approfondirla, grazie anche ai risultati già raggiunti fin qui. Proprio in questa prospettiva si sta riconoscendo il ruolo importante, per non dire fondamentale, della liturgia nella vicenda di Francesco
di Pietro Messa
In queste pagine, alcune immagini della pala Il perdono di Assisi, di Prete Ilario da Viterbo (1393), conservata nell’abside
della Porziuncola, Basilica di Santa Maria degli Angeli, Assisi; qui sopra, Francesco annuncia il perdono di Assisi
In queste pagine, alcune immagini della pala Il perdono di Assisi, di Prete Ilario da Viterbo (1393), conservata nell’abside della Porziuncola, Basilica di Santa Maria degli Angeli, Assisi; qui sopra, Francesco annuncia il perdono di Assisi
Non si può non riconoscere che in un certo qual senso Francesco d’Assisi ha avuto una fortuna invidiabile rispetto ad altri santi: dichiarato nel 1992 dal Time Magazine uno degli uomini più rappresentativi del secondo millennio, studiato da centri di ricerca universitari laici e non, innumerevoli pubblicazioni scientifiche e divulgative inerenti alla sua storia, diversi film a lui dedicati, riconosciuto come riferimento ideale da persone di diverse culture e religioni. A tutto ciò si aggiunga la scelta di Assisi, la città di san Francesco, da parte di Giovanni Paolo II per la storica giornata del 27 ottobre 1986 che diede inizio al cosiddetto “spirito di Assisi”, ossia quel movimento interreligioso in favore della pace; il Pontefice vi fece ritorno ancora il 9 e il 10 gennaio 1993 e, nonostante le numerose riserve e perplessità su tale opportunità, il 24 gennaio 2002, cioè dopo gli atti terroristici dell’11 settembre 2001.
Quindi un san Francesco molto valorizzato e anche se il giorno della sua festa, il 4 ottobre, in Italia non è diventato festa nazionale, il suo nome è comunque sinonimo di dialogo interculturale e interreligioso. Tuttavia sappiamo tutti che il confine tra aver successo ed essere inflazionati è molto sottile, e questo vale anche per il santo di Assisi.
Gli studi francescani hanno vagliato le fonti inerenti alla sua esperienza cristiana, mentre innumerevoli studiosi continuano a cercare di perfezionare la conoscenza di tali fonti onde scoprire il volto di questo santo, al di là di ogni immagine agiografica o manipolazione ideologica. Si è approfondita la sua formazione culturale e spirituale, riconoscendovi diverse stratificazioni, ossia: la cultura del figlio del mercante, una ideologia cavalleresca che lo conduceva a indossare ideologicamente i panni dei cavalieri, la cultura cortese che rimase anche dopo la conversione, l’elemento evangelico e perfino le reminiscenze delle antiche vite dei Padri del deserto1. Davanti a questi innumerevoli studi, i cui inizi si riconoscono in Paul Sabatier, sembra che ormai su frate Francesco d’Assisi, il figlio del mercante Pietro di Bernardone, non ci sia altro da approfondire. L’immagine maggiormente divulgata però appare non solo inflazionata, a volte si ha la sensazione che sia monca di qualche aspetto importante, quando non è vittima di qualche operazione ideologica strumentalizzante. Certamente, come avviene per ogni uomo, anche la vicenda di Francesco d’Assisi rimarrà sempre in un certo qual senso un mistero. Riconoscere questo non impedisce però di continuare ad approfondirla, grazie anche ai risultati già raggiunti fin qui. Proprio in questa prospettiva si sta riconoscendo il ruolo importante, per non dire fondamentale, della liturgia nella vicenda di Francesco.
Spesso persino la Bibbia, e quindi il Vangelo, è presente nei suoi scritti mediata dalla liturgia [...]. Ciò che appare a uno studio più approfondito è che conobbe la Scrittura mediante la liturgia, ossia grazie alla mediazione della Chiesa
1. Un periodo di riforma liturgica
Il tempo in cui visse Francesco furono anni di grandi cambiamenti e trasformazioni culturali: lo sviluppo dei comuni, la nascita delle università, l’incentivo agli scambi commerciali, il sorgere di nuove esigenze religiose spesso sfociate nell’eresia ma anche in movimenti pauperistici. Tutti questi aspetti normalmente vengono presi in considerazione dagli studiosi più avveduti, quando inquadrano storicamente la vicenda di Francesco d’Assisi. Tuttavia quasi totalmente trascurata è la considerazione che quegli anni furono uno dei momenti nevralgici della storia della liturgia. Infatti se si prende un qualsiasi manuale di storia della liturgia, si può constatare che Innocenzo III diede inizio a una riforma della liturgia della Curia romana i cui esiti proprio tramite i Frati minori si diffusero ovunque, tanto da essere ancora oggi l’elemento caratterizzante la liturgia latina di rito romano.
Agli inizi del Duecento a Roma esistevano fondamentalmente quattro tipi di liturgia: quella della Curia romana, che risiedeva nel Palazzo del Laterano, quella della vicina Basilica di San Giovanni, quella della Basilica di San Pietro e quella cosiddetta dell’Urbe, ossia della città di Roma. Innocenzo III nel suo programma di riforma, che vide uno dei suoi momenti di massima espressività nel Concilio Lateranense IV del 1215, non escluse la liturgia. Della riforma della liturgia uno dei frutti più prestigiosi fu il breviario. Accostando, integrando e adeguando alla vita della Curia romana, spesso soggetta a trasferimenti, testi che precedentemente erano distribuiti in libri diversi, Innocenzo III fornì uno strumento maneggevole soprattutto a coloro che erano spesso in viaggio. Tale breviario, proprio per la sua fruibilità, venne presto adottato anche da alcune diocesi, tra cui quella di Assisi. In questo modo Francesco e la fraternitas minoritica ebbero accesso a un libro liturgico che presto si rivelò conforme alle loro esigenze di persone itineranti che vivevano da “stranieri e pellegrini”2. Così i Frati minori fecero propria la preghiera liturgica e specificatamente quella della Curia romana, ossia del pontefice.
2. Non semplicemente questione di preghiera
Adottare un libro liturgico o l’altro non era indifferente. Lo aveva già compreso precedentemente papa Gregorio VII che vedeva con timore una disparità liturgica perché in alcuni casi conduceva non solo a una disparità giurisdizionale, ma anche dottrinale, vale a dire all’eresia. Ad esempio, adottare il breviario della Curia romana riformato da Innocenzo III significava accogliere tutta una tradizione precedente. La disposizione in esso delle diverse feste, la scelta di determinate letture, l’assemblaggio di passi biblici per formare antifone, versetti e responsorii, la presenza di innumerevoli letture sia patristiche che degli antichi martirologi, erano fondamentalmente il risultato della riflessione ecclesiale e del vissuto soprattutto monastico di tutto il millennio precedente. Quindi, nel far proprio il breviario, Francesco e la fraternitas minoritica si inserirono in una storia che li aveva preceduti e che era stata trasmessa lungo i secoli. Ciò non significa che essi si sentirono oppure agirono come fossero prigionieri di quella tradizione: infatti, come annota una fonte, Francesco non mancò di affermare la propria peculiarità respingendo alcuni modelli a lui precedenti.
Comunque, accogliendo la preghiera del breviario, essi si inserirono dentro quella tradizione spirituale e teologica maturata lungo i secoli nella Chiesa, come si può constatare nella lettura degli scritti di Francesco, in cui le reminiscenze liturgiche sono innumerevoli. Tali reminiscenze, che tecnicamente sono definite casi di “intertestualità e interdiscorsività” – cioè citazioni vere e proprie o semplici rimandi concettuali –, spesso sono una trasmissione di testi patristici interiorizzati dal santo. Se ciò appare sorprendente, soprattutto rispetto a una certa storiografia che ha presentato Francesco di Assisi come il Santo del solo Vangelo – quasi una sorta di precursore della riforma protestante –, ancora più ricco di conseguenze è il fatto che spesso persino la Bibbia, e quindi il Vangelo, è presente nei suoi scritti mediata dalla liturgia. Ciò, naturalmente, conduce a rivedere certe descrizioni dell’esperienza spirituale di Francesco che lo presentano come uno che ha avuto un rapporto immediato, senza mediazioni, con la Scrittura. Invece ciò che appare a uno studio più approfondito è che egli conobbe la Scrittura mediante la liturgia, ossia grazie alla mediazione della Chiesa. E la liturgia è essa stessa una spiegazione della Scrittura, cioè un’esegesi: infatti anche semplicemente la collocazione di una determinata lettura in una festa piuttosto che in un’altra dice già della chiave di lettura e quindi della comprensione di quel determinato brano. Così la lettura del capitolo 11 di Isaia in cui si parla del germoglio che spunta dal tronco di Iesse nel Comune della Vergine Maria è già in sé stessa una prospettiva mariana data a quel determinato brano, accresciuta notevolmente se poi al posto di virga, cioè germoglio – come dovrebbe essere – vi è virgo, cioè Vergine, come risulta esserci nel breviario appartenuto a san Francesco d’Assisi: «Spunterà la Vergine dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici, su di lui si poserà lo spirito del Signore»3.
3. La testimonianza
del Breviarium sancti Francisci
L’importanza della liturgia nella fraternitas minoritica e nella vicenda di Francesco d’Assisi è testimoniata non solo dalla Regola dei Frati minori confermata da papa Onorio III nel 1223, ma soprattutto da un codice conservato tra le reliquie del protomonastero Santa Chiara presso l’omonima Basilica in Assisi. Come testimonia una scritta autografa di frate Leone, cioè di uno dei compagni nonché testimoni del Santo, questo codice fu usato dallo stesso Francesco: «Il beato Francesco procurò questo breviario per i suoi compagni frate Angelo e frate Leone, poiché, mentre era in salute, volle sempre dire l’ufficio, come è contenuto nella Regola; e nel tempo della sua malattia invece, non potendo recitarlo, voleva ascoltarlo; e questo continuò a fare finché visse»4.
Il codice, denominato Breviarium sancti Francisci, consiste fondamentalmente in un breviario, il salterio e l’evangeliario; la prima parte è la più consistente ed è costituita dal breviario della Curia romana riformato da Innocenzo III. L’antichità del testo, che lo rende un testimone privilegiato di tale riforma e quindi della storia dei libri liturgici in generale, è confermata dalla presenza, soprattutto nelle solennità mariane o di santi legati al ministero pontificio, come Pietro, Paolo e Gregorio Magno, di letture tratte dai sermoni dello stesso Innocenzo III; tali letture dopo la sua morte nel 1216 saranno rese facoltative dal successore, papa Onorio III, e immediatamente scompariranno dal breviario5. Infatti il Breviario di san Francesco è l’unico breviario vero e proprio che contiene tali letture per esteso. Questo codice fu usato da Francesco e certamente cooperò a formare in lui una seppur rudimentale cultura teologica che gli permise di esprimere la sua spiritualità e il suo pensiero in alcuni scritti, tre dei quali sono ancora oggi in nostro possesso in formato autografo6.
Considerato questo ruolo svolto dalla liturgia nella formazione culturale e spirituale di Francesco, essa deve essere tenuta nel dovuto conto quando si cerca di comprendere il messaggio del santo d’Assisi. Quindi, soprattutto il contenuto di tale codice va tenuto presente ogniqualvolta si voglia approfondire una tematica particolare del suo pensiero; così il ruolo di Maria Vergine, nel suo pensiero, diventerà maggiormente intelligibile nella misura in cui si leggeranno i suoi scritti tenendo conto dell’Ufficio della Beata Vergine e delle quattro feste mariane contenute nel suddetto codice, cioè la Presentazione di Gesù al Tempio, il 2 febbraio; l’Annunciazione, il 25 marzo; l’Assunzione con la sua ottava, dal 15 al 22 agosto; e la Nascita di Maria, l’8 settembre. Anche se le prime due feste, ossia la Presentazione al Tempio e l’Annunciazione, celebrano due misteri della vita di Gesù Cristo, già da secoli avevano assunto una forte connotazione mariana, tanto che la prima è denominata nel suddetto Breviarium come festa della Purificazione di Maria Vergine7.
L’importanza del Breviarium sancti Francisci fu riconosciuta e testimoniata dallo stesso frate Leone che lo diede alla badessa Benedetta del monastero Santa Chiara in Assisi perché lo conservasse come un testimone privilegiato della santità di Francesco. Tuttavia, prima di consegnarlo, egli segnò nel calendario diversi giorni anniversari di defunti, tra cui quelli di Innocenzo III e di Gregorio IX. Dopo ancora alcuni anni durante i quali fu usato come libro liturgico, il breviario del Santo fu definitivamente collocato tra le reliquie del suddetto monastero, dove ancora oggi si può ammirare. Proprio a causa di tale importanza, nel Seicento la sua copertina fu decorata con due ornamentazioni d’argento raffiguranti san Francesco e santa Chiara.
4. Francesco e la Chiesa
Uno degli argomenti più dibattuti nella storiografia francescana è il rapporto di Francesco con la Chiesa. C’è chi ha parlato di Francesco come di una sorta di rivoluzionario, chi invece, non potendo contraddire le fonti, ha cercato la ragione della sua obbedienza alla gerarchia nella sua scelta di vivere nella minorità: sia in un senso che nell’altro, il suo è sempre un atteggiamento visto in un modo che possiamo definire distaccato, estrinseco. La considerazione dell’importanza della liturgia nella vicenda di Francesco può aiutare a comprendere meglio il suo rapporto con la Chiesa: egli visse l’inserimento, certamente non in modo passivo, in una storia che lo precedeva e che si era espressa anche mediante determinate formule liturgiche. La preghiera e la meditazione di testi a lui precedenti, espressione della vita e della santità della Chiesa lungo i secoli, divennero per Francesco il luogo di comunione con la storia della salvezza. Proprio per questo egli fu molto determinato contro coloro che non volevano recitare l’Ufficio, come è testimoniato da quanto scrive nel suo testamento: «E sebbene io sia semplice e infermo, tuttavia voglio sempre avere un chierico che mi reciti l’Ufficio così come è prescritto nella Regola. E tutti gli altri frati siano tenuti a obbedire così ai loro guardiani e a dire l’Ufficio secondo la Regola. E se si trovassero dei frati che non dicessero l’Ufficio secondo la Regola, e volessero variarlo in altro modo, o non fossero cattolici, tutti i frati, ovunque siano, siano tenuti per obbedienza, ovunque trovassero qualcuno di essi, a farlo comparire davanti al custode più vicino al luogo dove l’avranno trovato. E il custode sia fermamente tenuto per obbedienza a custodirlo severamente, come un uomo in prigione giorno e notte, così che non possa essergli tolto di mano finché non lo consegni di persona nelle mani del suo ministro. E il ministro sia fermamente tenuto, per obbedienza, a mandarlo per mezzo di tali frati che lo custodiscano giorno e notte come un uomo imprigionato, finché non lo presentino davanti al signore di Ostia, che è signore, protettore e correttore di tutta la fraternità»8. Tale trafila che si conclude con la consegna al “signore di Ostia”, cioè al cosiddetto cardinal protettore dell’Ordine minoritico, è stata considerata una delle “durezze” di frate Francesco che tanto contrasta con una certa sua immagine irenica; e tale durezza è nei confronti di coloro che non recitano il breviario. Ciò è dovuto al fatto che quella determinata preghiera, e quindi anche il suo rifiuto, era direttamente correlata all’ortodossia o meno della persona e della comunità.
L’assioma lex orandi, lex credendi, lex vivendi lo possiamo constatare vissuto da Francesco e anche ritenuto dallo stesso, anche se non esplicitamente, uno dei riferimenti della sua esperienza cristiana. La modalità con cui Francesco ha pregato, e che ha voluto fosse anche quella della fraternitas minoritica, ossia la recita del breviario, è espressione della sua fede, quella della Chiesa rappresentata dal pontefice, che si è espressa nel suo vissuto concreto. Quindi, se si vuole comprendere appieno il vissuto del santo di Assisi e della sua predicazione di pace – con il significato che ha assunto lungo la storia e soprattutto grazie al pontificato di Giovanni Paolo II –, non può essere trascurata la sua fede espressa mediante la preghiera, soprattutto liturgica, e la recita del breviario.
http://digilander.iol.it/benparker/Pinnelli/francesco.htm
(il sito è sull’esicasmo)
APPROFONDIMENTI SULLA PREGHIERA DI GESU’
LEONARDO PINNELLI
PREGHIERA DI GESÙ E PREGHIERA DEL CUORE
CAPITOLO QUARTO – LA PREGHIERA CONTINUA IN SAN FRANCESCO D’ASSISI
4.1 – La figura di San Francesco
Abbiamo avuto modo di affermare già in precedenza che la preghiera del cuore è uno “stato” spirituale nel quale l’orante è costantemente immerso in Dio e lo contempla in ogni istante. Se questa affermazione, che abbiamo cercato di presentare nei suoi vari addentellati, nei paragrafi precedenti, è vera, significa che la preghiera del cuore non è da considerarsi una specie di “monopolio” di coloro i quali praticano la preghiera di Gesù – sia essa effettuata secondo il metodo di san Giovanni Climaco o secondo lo schema esicasta – ma può essere raggiunta da tutti. Perché il Signore è vicino a quanti lo invocano, a quanti lo cercano con cuore sincero (Sal 145, 18). Il Signore si mostra a quanti cercano il suo volto, il suo cuore. Se la preghiera continua è dono dello Spirito Santo, perché è lo Spirito di Dio che continuamente geme di fronte al volto del Signore (Gal 4, 6), significa che l’orante è abitato in profondità dalla Sua presenza, è pneumatoforo (portatore dello Spirito Santo), è santo.
In questa prospettiva possiamo certamente allargare l’orizzonte ecclesiale e culturale della preghiera del cuore. A guardare con obiettività la questione ci si può rendere perfettamente conto che non solo nella Chiesa d’Oriente abita questa possibilità di contemplazione della presenza di Dio, ma anche nella chiesa d’Occidente non mancano le testimonianze in merito a questa “universalità” della preghiera del cuore, perché dove c’è la santità c’è la presenza dello Spirito di Dio.
Ci venga permesso un esempio che vogliamo trarre dagli insegnamenti di Doroteo di Gaza, esempio che non ha, per così dire, nulla di scientifico ma che può aiutarci nell’esplicazione di quanto andremo a trattare in questo paragrafo.
Supponiamo che per terra ci sia un cerchio, cioè una linea tonda tracciata con un compasso dal centro. Centro si chiama propriamente il punto che sta in mezzo al cerchio. Adesso state attenti a quello che vi dico. Pensate che questo cerchio sia il mondo, il centro del cerchio sia Dio, e le linee che vanno dal cerchio al centro siano le vie, ossia i modi di vivere degli uomini. In quanto dunque i santi avanzano verso l’interno, desiderano avvicinarsi a Dio e si avvicinano gli uni agli altri, e quanto più si avvicinano a Dio, tanto più si avvicinano l’un l’altro, e quanto più si avvicinano l’un l’altro, tanto più si avvicinano a Dio. Similmente immaginate anche la separazione. Quando infatti si allontanano da Dio e si rivolgono verso l’esterno, è chiaro che quanto più escono e si dilungano da Dio, tanto più si dilungano gli uni dagli altri, e tanto più si dilungano anche da Dio. Ecco, questa è la natura dell’amore. Quanto più siamo fuori e non amiamo Dio, altrettanto siamo distanti dal prossimo; se invece amiamo Dio, quanto più ci avviciniamo a Dio per mezzo dell’amore per lui, altrettanto ci uniamo all’amore del prossimo, e quanto siamo uniti al prossimo, tanto siamo uniti a Dio[1].
In questo insegnamento Doroteo di Gaza vuole affermare che la vicinanza tra gli uomini, la fraternità è possibile se si è vicini a Dio; al contrario la fraternità è il criterio per poter capire quanto siamo vicini a Dio e quanto è vera l’esperienza che noi facciamo di Lui. In un senso più ampio, che è quello che vogliamo sottolineare in questo paragrafo, la santità è un’esperienza comune agli uomini che cercano Dio: più si è vicini a Dio più l’esperienza di Santità, intesa nella maniera appena descritta, diventa comune.
In questo contesto è vero quanto studiosi come p. Yannis Spiteris[2] e p. Tomáš Špidlík[3] hanno detto in merito a san Francesco o a sant’Ignazio di Loyola i quali, a loro parere, avrebbero avuto il dono della preghiera pura.
In questo paragrafo ci soffermeremo in maniera particolare sulla figura di san Francesco.
4.2 – San Francesco: santo ecumenico
Che San Francesco sia stato un uomo particolarmente carismatico e che la sua santità sembra coniugarsi bene con la spiritualità orientale[4], questo appare in maniera evidente dai suoi scritti, dalle regole che egli ha redatto e dalle varie biografie.
Padre Spiteris nel suo libro “Francesco e l’Oriente cristiano, un confronto” sottolinea molto bene questa concordanza tra l’esperienza francescana e la santità orientale. In uno dei capitolo del suo libro egli affronta il tema della preghiera sottolineando come l’esperienza di preghiera di San Francesco sia un’esperienza di preghiera pura, di preghiera del cuore.
In questo contesto di confronto irenico tra la figura di San Francesco e la santità orientale ci sembra importante sottolineare alcuni dei punti di contatto tra questi due mondi, quelli che a nostro parere sembrano essere più significativi.
4.2.1 – San Francesco: un “Pazzo per Cristo”
Nella tradizione delle Chiese d’Oriente esiste una tipologia agiografica che non è contemplata nella Chiesa d’Occidente e che è propriamente chiamata “pazzia per Cristo”.
I pazzi per Cristo sono chiamati in greco saloi e in russo yurodivij.[5] A fondamento di questa categoria di santi c’è un versetto della prima lettera ai Corinzi di san Paolo (1Cor 4,10): «Noi stolti a causa di Cristo». I pazzi in Cristo hanno rigettato la saggezza umana per acquisire solamente la saggezza spirituale [6]; essi appaiono dapprima nell’ambiente monastico dell’Egitto e della Siria, e solo successivamente – nel XVI sec. – arrivano in Russia.
Uno degli aspetti peculiari della pazzia per Cristo è il desiderio di identificazione con il Cristo povero e crocifisso e l’atteggiamento di denuncia che essi hanno nei confronti del malcostume degli uomini o dei monaci. Tra i pazzi per Cristo ricordiamo una figura esemplare come quella di san Nicola Pellegrino detto Kyrie eleison, del quale riportiamo alcuni tratti biografici:
Nicola nasce nel 1075 circa in un villaggio nei pressi del Monastero di San Luca di Stirion da poveri agricoltori; non riceve alcuna istruzione e, all’età di otto anni circa, è mandato a pascolare le pecore. Illuminato tuttavia dalle increate Energie, un giorno, all’improvviso, comincia a gridare: Kyrie eleison!
La madre ricorre a minacce e botte, nell’intento di far rinsavire il figlio; quando si rende conto di non riuscire a distoglierlo da quella pratica, lo caccia di casa. I monaci chiudono Nicola in una torre, e fermano la porta con un macigno: verso la mezzanotte, ecco un tuono, il macigno rotola e il ragazzo può uscire liberamente e si reca in chiesa, esclamando come al solito Kyrie eleison.
A Oraco e continua a intagliare croci di legno di cedro. E’ così occupato quando gli viene incontro, a cavallo, il monaco Massimo, economo del monastero di Stirio, uomo violento e severo, il santo lo saluta con umiltà e gli dice: – Perché maltratti i lavoratori a te soggetti e li opprimi e affliggi ingiustamente? [7].
Sotto questo aspetto la figura sembra essere molto affine alla figura di molti pazzi per Cristo. Ricordiamo che san Francesco dice di sé: «Il Signore mi ha rivelato essere suo volere che io fossi pazzo nel mondo: questa è la scienza alla quale Dio vuole che ci dedichiamo»[8]. Nella sua “confessione” poi egli dice di essere un “ignorante e illetterato”[9].
Un altro aspetto che accomuna san Francesco all’esperienza dei saloi è rappresentato dagli episodi della sua vita nei quali egli rimane nudo: all’indomani della sua conversione san Francesco decide di vivere la radicalità evangelica, lascia tutto e si spoglia di fronte al vescovo.[10] Altri episodi sono narrati nelle Fonti Francescane e culminano nell’episodio della sua morte quando vuole essere deposto «nudo sulla terra nuda »:
Quando sentì vicini gli ultimi giorni, nei quali alla luce effimera sarebbe succeduta la luce eterna, mostrò con l’esempio delle sue virtù che non aveva niente in comune con il mondo. Sfinito da quella malattia così grave, che mise termine ad ogni sua sofferenza, si fece deporre nudo sulla terra nuda, per essere preparato in quell’ora estrema, in cui il nemico avrebbe potuto ancora sfogare la sua ira, a lottare nudo con un avversario nudo[11].
4.2.2 – San Francesco contempla la bellezza del creato: theôria physikê
Un altro aspetto che accomuna San Francesco alla santità dell’Oriente cristiano è la contemplazione del Creato, quella che i Padri chiamano theôria physikê[12]. Afferma padre Špidlìk :
La conoscenza di Dio attraverso le opere è proclamata da tutti i Padri. Così ogni uomo è capace di pervenire alla conoscenza di Dio attraverso la creazione. L’universo visibile diventa quindi un libro aperto per gli amici di Dio, una scuola per le anime. Dio vide che ciò era buono (Gen 1,9), perché contemplava i logoi[13] delle cose che sono già pronti per la messa (Gv 4,35)[14].
La contemplazione della Creazione è una “scala” che ci conduce a Dio, è uno strumento – il più immediato che l’uomo conosca – per poter intravedere la Sua presenza nel mondo. Il Creato ha la capacità di far scorgere all’uomo un lembo del Paradiso, alimenta in lui il desiderio di incontrare il volto dell’Altissimo, suscita in lui un fervente “ricordo di Dio”[15]: Il prof. Panaghiotis Yfantis descrive bene questa dinamica applicandola all’esperienza di San Francesco:
I Santi considerano la creazione con discrezione: non la divinizzano, né la disprezzano. La rispettano perché in essa vedono un mezzo anagogico, capace di condurre alla visione di Dio. Negli occhi spirituali[16] di Francesco, tutte le creature formano una “scala” verso il Creatore. Nelle sue biografie leggiamo che amava molto l’allodola, perché questo uccello gli sembrava portare la cuffia monacale ed era umile, e il suo volto simboleggia i frati buoni che isolati dal mondo lodano Dio[…][17] Questo metodo esemplaristico ha il suo corrispettivo nel tentativo continuo dei santi orientali di avere sempre la mente orientata a Dio[18].
Questa capacità di San Francesco di cogliere la presenza di Dio in ogni cosa, non in modo panteistico, emerge in maniera chiara dalla comprensione che egli stesso ha delle creature. Il santo chiama ognuna “fratello” e “sorella”.[19] Questo aspetto specifico della spiritualità francescana è risultato essere, nel corso dei secoli, anche il più malinteso tanto che San Francesco, a titolo di esempio, è diventato il “santo dell’ecologia”[20].
Ma la comprensione che il santo aveva della creazione è ben lungi dall’essere “animalista” od “ecologista”: egli proclamava, semplicemente, la bontà del creato come opera delle mani di Dio. Il mondo è una “teofania” di Dio, un “sacramento” della Sua presenza come tutta la tradizione patristica ha sempre sottolineato[21]. È mirabile questo “sentire” di san Francesco ed egli lo esprime in maniera geniale nel suo Cantico di frate Sole, nel quale sembra farsi presente l’invito di san Paolo: «State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie» (1 Ts 5, 16-17):
Altissimu, onnipotente, bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu Te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo quale è iorno et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Acqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke ’I sosterrano in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po’ skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ’I farrà male.
Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate[22].
4.2.3 – Lo Spirito Santo nella vita di san Francesco: la théosis
Uno degli aspetti che san Francesco sottolinea volentieri è l’”acquisizione dello Spirito Santo”: anche per lui la santità di una persona deriva dall’intima unione con la SS. Trinità che abita nel cuore del servo di Dio. Sarà lo stesso santo a esortare i suoi frati nella Regola non bollata ad accogliere questa inabitazione della Trinità[23].
È interessante notare che per san Francesco l’obiettivo principale da raggiungere, lo scopo da conseguire nella vita dei “penitenti” è l’acquisizione dello Spirito[24]: per il santo di Assisi non deve abitare nel cuore altra preoccupazione che non sia quella di rendere operante la grazia di Dio nel proprio cuore; questa grazia si “attiva” solo in un cuore puro da ogni passione:
Ammonisco, poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino i frati da ogni superbia, vana gloria, invidia, avarizia, cure e preoccupazioni di questo mondo, dalla detrazione e dalla mormorazione.
E coloro che non sanno di lettere, non si preoccupino di apprenderle, ma facciano attenzione che ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, di pregarlo sempre con cuore puro e avere umiltà, pazienza nella persecuzione e nella infermità e di amare quelli che ci perseguitano e ci riprendono e ci calunniano[25].
Un consiglio simile, in merito all’acquisizione dello Spirito Santo, è riscontrabile anche in un noto santo della Chiesa Ortodossa, san Serafino di Sarov[26], il quale definisce il fine della vita cristiana in vista dell’inabitazione dello Spirito Santo nell’uomo. Questi, per il santo russo, deve praticare il commercio spirituale: l’uomo è chiamato a pregare per ottenere lo Spirito del Signore e attraverso di Lui il maggior numero possibile di grazie. Riportiamo, a tale proposito, un brano dal “Colloquio con Motovilov”:
Il vero fine della vita cristiana consiste quindi nell’acquisizione di questo Spirito di Dio, mentre la preghiera, le veglie, il digiuno, l’elemosina e le altre azioni virtuose fatte in nome di Cristo sono solo dei mezzi per acquistarlo.
- Come “l’acquisizione”? – Chiesi a Padre Serafino. – Non capisco perfettamente.
- L’acquisizione è la stessa cosa dell’ottenimento. Sai cosa significa acquisire denaro? Per lo Spirito Santo è lo stesso. Per la gente normale il fine della vita consiste nell’acquisizione del denaro, del guadagno. I nobili inoltre desiderano ottenere onori, medaglie ed altre ricompense per servizi resi allo Stato. Anche l’acquisizione dello Spirito Santo è un capitale, ma un capitale eterno, dispensatore di grazie, analogo ai capitali temporali e che si ottiene con gli stessi procedimenti[27].
[…] – Cerca di ottenere le grazie dello Spirito Santo facendo fruttificare in nome di Cristo tutte le virtù possibili, fanne un commercio spirituale, traffica con quelle che danno il maggior numero di benefici[28].
[…] Come nel commercio il fine è quello di ottenere il maggior guadagno possibile, così nella vita cristiana il fine dev’essere non solo quello di pregare e fare il bene, ma anche quello di ottenere il maggior numero di grazie.[29]
4.3 – San Francesco preghiera vivente: la preghiera del cuore
In questo paragrafo vogliamo affrontare in maniera specifica il tema della preghiera nell’esperienza di San Francesco il quale a più riprese nei suoi scritti esorta i frati ad avere sempre un cuore disponibile a Dio e tutto rivolto a Lui[30], sempre pronto alla preghiera, come è scritto nel commento al Padre nostro:
[Tutti] ti amiamo con tutto il cuore, sempre pensando a te; con tutta l’anima, sempre desiderando te; con tutta la mente, orientando a te tutte le nostre intenzioni e in ogni cosa cercando il tuo onore; e con tutte le nostre forze, spendendo tutte le nostre energie e sensibilità dell’anima e del corpo a servizio del tuo amore e non per altro; e affinché possiamo amare i nostri prossimi come noi stessi, trascinando tutti con ogni nostro potere al tuo amore, godendo dei beni altrui come dei nostri e nei mali soffrendo insieme con loro e non recando nessuna offesa a nessuno[31].
E ancora nella Regola non bollata troviamo questa ammonizione di san Francesco;
E ovunque, noi tutti, in ogni luogo, in ogni ora e in ogni tempo, e ogni giorno e ininterrottamente crediamo veramente e umilmente e teniamo nel cuore e amiamo, onoriamo, adoriamo, serviamo, lodiamo e rendiamo grazie all’altissimo e sommo eterno Dio, Trinità e Unità, Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose e Salvatore di tutti coloro che credono e sperano in lui che è senza inizio e senza fine[32].
Questa necessità di essere sempre alla presenza di Dio richiede che il servo di Dio abbia un cuore puro[33], distaccato – come direbbero i Padri – da ogni attaccamento passionale e preoccupazione. Così è scritto nella Regola non bollata:
Sempre costruiamo in noi una casa e una dimora permanente a Lui, che è il Signore Dio Onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, e che dice: Vigilate dunque e pregate in ogni tempo, affinché possiate sfuggire tutti i mali che accadranno e stare davanti al Figlio dell’uomo. E quando vi mettete a pregare, dite: Padre nostro che sei nei cieli. E adoriamolo con cuore puro, poiché bisogna sempre pregare senza stancarsi mai; infatti il Padre cerca tali adoratori [34]
È interessante vedere come in san Francesco la “purità di cuore” non ha solo l’accezione di una sorta di “pulizia morale” ma è l’atteggiamento che rende possibile la contemplazione di Dio; a tal proposito lo stesso santo nell’Ammonizione XXVII ha un’espressione che ricorda da molto vicino il modo in cui gli esicasti intendevano la purezza del cuore:
Dove è il timore del Signore a custodire la sua casa (il cuore), ivi il nemico non può trovare via d’entrata[35].
Per San Francesco la purezza di cuore è dunque la libertà da ogni preoccupazione terrena, è saper custodire la casa interiore[36] da ogni attacco del nemico. Nei paragrafi precedenti abbiamo avuto modo di affrontare questo tema a proposito della custodia del cuore: solo un cuore puro può vedere il Volto dell’Amato, può contemplarLo.
La visione di Dio, nella preghiera pura degli esicasti, è detta theoria [37], essa ha sempre le radici in un cuore limpido[38], che sa disprezzare le cose del mondo:
Beati i puri di cuore, poiché essi vedranno Dio. Veramente puri di cuore sono coloro che disdegnano le cose terrene e cercano le cose celesti, e non cessano mai di adorare e vedere il Signore Dio, vivo e vero, con cuore ed animo puro[39].
Un cuore e una mente inquinati dalle passioni, da pensieri impuri, dal peccato non possono assolutamente contemplare la luce divina: per poter godere dello splendore di Dio è necessario che l’uomo riacquisti la bellezza originaria, ritornando alla condizione naturale. L’uomo è trasformato dallo Spirito: passa dall’immagine alla somiglianza con il Prototipo che é Cristo[40].
Solo così i sensi spirituali possono godere della presenza di Dio: l’uomo prova così anche compassione per tutto il creato, per ogni creatura, come scrive Isacco di Ninive :
Quando fai il bene, non darti pensiero dello scopo della ricompensa immediata e sarai ricompensato doppiamente da Dio. E se è possibile, [non agire] neppure per la ricompensa futura. Ma sii virtuoso al di sopra di tutto, per amore del servizio di Dio. Il desiderio dell’amore è più intimo del servizio di Dio, e più di quest’ultimo è intimo nei misteri di lui. Più di quanto l’anima sia intima al corpo […]. Cos’è la purezza? È un cuore misericordioso per ogni creatura […]. E che cos’è un cuore misericordioso? È l’incendio del cuore per ogni creatura: per gli uomini, per gli uccelli, per le bestie, per i demoni e per tutto ciò che esiste. Al loro ricordo e alla loro vista, gli occhi [di un tale individuo] versano lacrime, per la violenza della misericordia che stringe il [suo] cuore a motivo della grande compassione. Il cuore si scioglie e non può sopportare di udire o vedere un danno o una piccola sofferenza di qualche creatura. E’ per questo che egli offre preghiere con lacrime in ogni tempo, anche per gli esseri che non sono dotati di ragione, e per i nemici della verità e per coloro che la avversano, perché siano custoditi e rinsaldati; e perfino per i rettili; a motivo della sua grande misericordia, che nel suo cuore sgorga senza misura, a immagine di Dio[41].
Anche san Francesco aveva il dono della preghiera continua, «la sua disposizione stabile era tale che, dove poteva, pregava. Questa era la sua normale disposizione del cuore»[42], come viene descritto bene da Tommaso da Celano nella sua biografia seconda:
Quando [invece] pregava nelle selve e in luoghi solitari, riempiva i boschi di gemiti, bagnava la terra di lacrime, si batteva con la mano il petto; e lì, quasi approfittando di un luogo più intimo e riservato, dialogava spesso ad alta voce col suo Signore: rendeva conto al Giudice, supplicava il Padre, parlava all’Amico, scherzava amabilmente con lo Sposo. E in realtà, per offrire a Dio in molteplice olocausto tutte le fibre del suo cuore, considerava sotto diversi aspetti Colui che è sommamente Uno. Spesso senza muovere le labbra, meditava a lungo dentro di sé e, concentrando all’interno le potenze esteriori, si alzava con lo spirito al cielo. In tale modo dirigeva tutta la mente e l’affetto a quell’unica cosa che chiedeva, Dio: non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente[43].
È evidente che per san Francesco la preghiera non è tanto un modo di rapportarsi a Dio ma è un atteggiamento vitale. Come il corpo ha necessità di respirare, così il cuore dell’uomo ha costantemente bisogno di attingere, nella preghiera, allo Spirito del Signore, per non morire, per non indurirsi.
Tutti gli aspetti della spiritualità francescana che abbiamo finora esposto sono comunicanti tra loro, infatti:
à un cuore limpido è purificato dalle passioni e disprezza ogni attaccamento mondano;
à il cuore puro è abitato dallo Spirito del Signore che trasforma dal di dentro l’uomo; l’opera del nemico viene dall’esterno del cuore giacchè, attraverso i logismoi, egli vuole entrare nel giardino interiore. L’azione dello Spirito Santo, al contrario, opera dal di dentro dell’uomo, lo trasforma dall’immagine alla somiglianza con il Prototipo che é Cristo;
à il cuore purificato ha l’occhio profondo e scorge i logoi in tutta la creazione che non è più nemica dell’uomo.
à ogni creatura diventa “fratello” e “sorella”, anche la morte; la creazione eleva la mente e il cuore a Dio;
à un cuore abitato dallo Spirito del Signore geme continuamente di fronte al volto del Signore; esso ha in dono dal Signore la preghiera continua.