PAOLO E LE ARTI MAGICHE

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PAOLO E LE ARTI MAGICHE

Questa voce è stata pubblicata il 21 febbraio, 2009,

La “magia” – che qui intendiamo semplicisticamente come insieme eterogeneo di saperi e di pratiche di “confine”, basati sul controllo e la manipolazione di forze naturali e “soprannaturali” – era una realtà ampiamente diffusa al tempo di Paolo. Le stesse fonti protocristiane descrivono a più riprese lo scontro ingaggiato dall’apostolo con taumaturghi e guaritori: ma si tratta di un aspetto della biografia paolina che viene spesso trascurato dagli studiosi, anche per effetto di quell’ipoteca sull’indagine concreta delle esperienze religiose che continua a reggere molta esegesi moderna, interessata più a dirimere le complesse questioni teologico-dottrinali presenti nelle lettere che il quadro storico-sociale ad esse soggiacente.
Eppure, come dicevamo, i riferimenti non mancherebbero. Nella lettera indirizzata ai Galati, ad esempio, l’apostolo nomina la pharmakéia, parola che oggi tradurremmo agevolmente con “stregoneria”, annoverandola fra le «opere della carne», indegne della vita nuova dei credenti in Cristo (Gal 5,20), e collegandola ad altri fenomeni come l’astrologia o il culto delle potenze celesti. L’apostolo, su questo punto, resta fedele al proprio retaggio farisaico, e più in generale al vocabolario angelologico ereditato dal giudaismo (basti pensare alla fortunata distinzione fra dynámeis, kosmokrátores, thrónoi, etc.).
La lettera agli Efesini, considerata da molti come pseudepigrafa, proclama in proposito il definitivo de-potenziamento delle forze angeliche, per il tramite invincibile della Croce «e per la straordinaria grandezza della Sua [di Dio] potenza verso di noi che crediamo, come attesta l’efficacia della Sua forza irresistibile, che [Dio Padre] dispiegò nel Cristo risuscitandolo dai morti e insediandolo alla Sua destra nella sommità dei cieli, al di sopra di ogni principio, autorità, potenza, signoria e di ogni altro nome che viene nominato non solo in questo secolo, ma anche in quello avvenire…» (Ef 1,19-21).
La crocifissione e la resurrezione di Gesù procurano per Paolo un definitivo “scuotimento delle potenze” (cf. Lc 21,26), potenze che vengono talora presentate come demoniache ed ostili, talaltra come angeliche (Paolo attribuisce ad intermediari celesti anche il dono della Torah, in Gal 3,19), e in alcuni casi come semplicemente umane, quali sono gli «arconti di questo mondo» nominati nella prima lettera ai Corinzi (da identificare probabilmente con le autorità religiose sinagogali), che «hanno crocifisso il Signore della gloria» perché ignoravano la «sapienza divina e avvolta nel mistero, che è rimasta nascosta» sino ai tempi ultimi (i nostri).
Paolo si avvale pure di espressioni che ricorrono frequentemente nei papiri magici dell’epoca, come stoicheîa toû kósmou (lat. elementa mundi, “elementi del cosmo”: Gal 4,3.9; Col 2,8.20), rimandando con ogni probabilità a speculazioni cosmologiche sugli spiriti astrali.
I testi giudaici extra-biblici ci rendono edotti riguardo a svariate concezioni angelologiche, e concordano con la testimonianza di Paolo sull’esistenza e la diffusione, anche in ambiente ebraico, di un culto rivolto agli angeli (cf. Col 2,18, dove l’apostolo critica appunto la threskeía tôn angélôn). In alcuni ambienti, a quanto risulta, l’angelologia era divenuta per così dire il baricentro non solo della cosmologia (con la distinzione diversificata e minuziosa dei cieli), ma anche delle diverse valutazioni sulla storia degli uomini.
Nel Libro dei Giubilei, un testo apocrifo di provenienza palestinese, databile al II sec. a.C. e certamente conosciuto a Qumran, si parla ad esempio di una lotta cosmica fra due schiere angeliche, una composta da angeli buoni (guidati dal cosiddetto “Angelo del Volto”, una figura paragonabile al Sar ha-Orim che ritroviamo nei testi di Qumran e all’arcangelo Michele della tradizione ebraico-cristiana), l’altra di angeli malvagi (guidati dall’angelo Mastema, accostabile ad altre figure angeliche come Beliar, Samaele o Satana): la storia terrena è vista dunque come una manifestazione, quasi una ripetizione “liturgica”, delle vicende di un’immensa lotta che si svolge al di sopra della sfera “storica”.
Non è chiaro, tuttavia, a quale tipo di classificazione angelica possa essersi riferito Paolo, ma il fatto ch’egli condividesse la credenza dei suoi interlocutori nell’esistenza di forze spirituali inframondane è assolutamente indubitabile. Paolo sembra concentrare l’attenzione, in particolare, su potenze di tipo malefico, da lui collocate in una zona del cosmo detta “dell’aria” o “del firmamento”, inferiore a quella delle sfere propriamente celesti. Nella lettera agli Efesini, si dice ancora che «la nostra lotta non è contro la carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo oscuro, contro gli spiriti maligni che abitano le regioni celesti» (Ef 6,12).
Anche un testo come l’Ascensione di Isaia, di poco posteriore alla stesura dell’epistolario paolino (almeno per quel che riguarda la sua redazione ultima), suppone la presenza di uno spazio fisico popolato da potenze di segno negativo, intermedio fra i sette cieli superiori e l’abisso degli angeli malvagi.
Un’identificazione precisa di tutte le potenze angeliche nominate dall’apostolo, ciò nonostante, è resa praticamente impossibile dall’assenza di una presentazione sistematica: è necessario prestare attenzione, di volta in volta, al contesto della citazione e alle intenzioni dello scrivente. Ad ogni modo, Paolo si rivela deciso negatore di qualsiasi mediazione angelica nel piano della salvezza: il primato di Cristo è tale da coinvolgere persino la subordinazione degli angeli all’uomo credente («Non sapete che giudicheremo gli angeli?»: 1Cor 6,3).
L’apostolo si oppone pure ad alcune «vane osservanze» diffuse presso i Galati, i quali a suo dire si sarebbero sottomessi a precetti di purità legale e di calendario collegate verosimilmente alla venerazione di potenze astrali personificate (vd. Gal 4,10). In Col 2,15 si afferma poi che Dio «ha spogliato i principati e le potenze e ne ha fatto pubblico spettacolo, dopo aver trionfato (da thriambeúô, “trascinare un prigioniero in corteo trionfale”) su di loro per tramite di Cristo».
Perfettamente coerenti con l’atteggiamento dimostrato da Paolo nelle lettere si rivelano infine i numerosi dettagli biografici desumibili dal testo canonico degli Atti, che riferiscono di un incontro fra l’apostolo e un mago ebreo, un certo Elimas, a Cipro (At 13,6-12), mentre la situazione descritta al capitolo 19, che vede coinvolti alcuni «esorcisti ambulanti giudei» di Efeso che invocavano il nome di Gesù per guarire gli indemoniati, conferma il ruolo di quella città come centro di propagazione e diffusione di pratiche “occulte” nel I secolo.
La conclusione del narratore, al riguardo, è indicativa. Il testo dice che «non pochi di coloro che avevano esercitato le arti magiche (tà períerga) ammucchiavano i loro libri e li bruciavano in presenza di tutti: l’ammontare del loro prezzo fu calcolato in cinquantamila denari d’argento» (At 19,19): una cifra notevole (forse iperbolica), se pensiamo che una moneta d’argento corrispondeva approssimativamente al salario quotidiano d’un bracciante!
Praticare la magia, allora come oggi, era evidentemente un affare molto diffuso, e pure molto costoso.

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