15 SETTEMBRE 2013 XXIV DOMENICA DEL T.O. – OMELIA: LE PARABOLE DELLA MISERICORDIA
15 settembre 2013 | 24a Domenica – T. Ordinario C | Omelia di approfondimento
LE PARABOLE DELLA MISERICORDIA
Le tre letture (o quattro se vi includiamo il salmo responsoriale) di questa domenica, anche se a chi le vuole approfondire presentano problemi non facili, lasciano chiaramente comprendere un insegnamento nel quale tutte convergono: l’uomo è peccatore, peccando offende Dio e provoca la sua giustizia, ma Dio non dimentica il peccatore ed è pronto a dargli generosamente il perdono.
IL VITELLO D’ORO
Durante il viaggio attraverso il deserto dall’Egitto alla terra promessa, Mosè fu chiamato da Dio, solo, a colloquio sul monte Sinai per ricevere le tavole della Legge e gli ordini che doveva trasmettere alla comunità. A un certo punto, « il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dalla montagna, si affollò intorno ad Aronne e gli disse: « Facci un Dio che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l’uomo che ci ha fatti uscire dal paese d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto »". Aronne, temendo che il malumore degenerasse in disordini e violenze, promosse una raccolta di oggetti d’oro e « li fece fondere in una forma e ne ottenne un vitello di metallo fuso. Allora dissero: « Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto! »" (Es 32,1-4). Anche se non s’intendeva rinnegare il Dio dei padri, il cedimento ad usi consimili delle popolazioni pagane significava la rottura dell’alleanza che legava il popolo eletto al suo Dio. Di qui l’ »ira » di Dio che minaccia di distruggere il suo popolo.
Riconoscere, adorare, amare e servire l’unico vero Dio, il Creatore e Padre di cui ci parla tutta la Bibbia, rivelato dal « Figlio unigenito, che è nel seno del Padre » (Gv 1,18), è il primo e supremo dovere dell’uomo. Sostituire al vero Dio, nel pensiero o nella pratica della vita, un idolo, si chiami esso materia o ragione o scienza o denaro o piacere o potere, è peccato che non può non provocare la giustizia di Dio e meritare i suoi castighi. Ma Dio non disprezza un cuore affranto e umiliato (salmo responsoriale). « Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Egli non continua a contestare e non conserva per sempre il suo sdegno. Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe » (Sal 102,8-10). Veramente, qui non è il popolo peccatore che chiede perdono, ma è la preghiera di Mosè che ottiene la misericordia di Dio. Ciò è vero sempre: in forza della comunione dei santi, Dio si piega alla preghiera dei suoi figli che intercedono per i peccatori. Sappiamo valutare, in una visione di fede, che cosa significano la preghiera e il sacrificio di chi, seguendo una speciale vocazione, « nella solitudine e nel silenzio, nella continua preghiera e nella gioiosa penitenza » (Perfectae caritatis, 7), si fa intercessore per i fratelli?
Mosè considera un suo compito essenziale intercedere a favore del popolo che Dio ha affidato alla sua guida: esempio e monito per tutti quelli che, avendo responsabilità su altri (genitori, educatori, sacerdoti, vescovi), debbono aiutarli anzitutto con la preghiera, memori che « se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode » (Sal 126,1).
« MI È STATA USATA MISERICORDIA »
Nella 2ª lettura siamo ancora di fronte alla realtà del peccato. Non più il peccato di tutto il popolo ebreo, ma di Paolo, « circonciso l’ottavo giorno, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da ebrei » (Fil 3,5), che confessa d’essere stato « un bestemmiatore, un persecutore e un violento », d’essere il primo dei peccatori. Primo, spiega s. Agostino, non in ordine di tempo, ma per la gravità del peccato, a quel modo che parlando di avvocati, per esempio, si dice che uno è il primo non perché sono più anni da che fa l’avvocato, ma perché da quando ha cominciato ha superato tutti gli altri… Nessuno fu più accanito fra i persecutori, dunque nessuno è prima di lui fra i peccatori. Paolo vede il suo caso personale nella luce di una verità che richiama, come « parola sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori ». Vede nella misericordia usata da Gesù Cristo con lui un « esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna ».
La misericordia di Dio, di Gesù, non potrebbe essere proclamata in modo più perentorio e solenne. « Mentre Gesù sedeva a mensa », in casa di Matteo, « sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: « Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori? ». Gesù li udì e disse: « Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati »" (Mt 9,10-12). Anche a questo proposito può interessare quello che riguardo ancora a Paolo dice s. Agostino in una predica, riferendosi a un’esperienza che getta luce sui costumi del suo tempo: « Cristo, venuto per dare il perdono ai peccatori che si sono convertiti a lui, anche ai suoi nemici, ha scelto me per primo, come il nemico più accanito, perché, guarendo questo nemico, nessuno fra gli altri si perdesse d’animo. È quello che fanno i medici: quando vengono in un posto dove non sono conosciuti, scelgono dapprima i malati che non hanno più speranza per curarli. Mostrandosi premurosi verso di loro, danno prova della propria abilità, cosicché fra la gente del luogo ognuno dice al suo vicino: Va’ da quel medico, sta’ sicuro, ti guarisce. E l’altro: Mi guarisce? Non vedi come sto male? Io ne so qualcosa, replica il vicino, il tuo male l’ho provato io pure. Così, soggiunge il predicatore, dice Paolo a noi peccatori ».
È il caso di osservare che la bontà del Signore non deve indurci a continuare nel peccato? Ascoltiamo ancora s. Agostino: « Quando uno sente che il Signore Gesù Cristo non è venuto per i giusti ma per i peccatori (cf Mt 9,13), non deve essere contento di essere peccatore, non deve dire in cuor suo: se sono peccatore mi ama, perché è disceso per i peccatori, non per i giusti », e porta il paragone del medico, che certo è per gli ammalati, ma per guarirli; così Gesù è venuto per i peccatori ma per liberarli dal peccato. Dall’esempio di Paolo impariamo che il passato anche più triste di un uomo che si converte non gli preclude la via a un’autentica santità e a una testimonianza di fede e di amore a Cristo che può contagiare innumerevoli fratelli: « La grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù ».
LE PARABOLE DELLA MISERICORDIA
Ed eccoci a quel c. 15 di Luca che ci presenta, come in un trittico di ineguagliabile bellezza e forza emotiva, le tre parabole che illustrano in modo stupendo la misericordia del Signore. L’occasione è offerta a Gesù dai farisei e dagli scribi che « mormoravano: « Costui riceve i peccatori e mangia con loro »". Erano di quelli « che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri » (Lc 18,9). Non capivano, come spiega s. Gregorio Magno, che « la vera giustizia sa compatire, mentre la giustizia falsa si muove a sdegno. È vero che capita anche ai giusti di sdegnarsi contro i peccatori, ma altro è ciò che si fa spinti dall’orgoglio e altro ciò che si fa per desiderio di correggere ». Gesù, invece, non desiderava che convertire e salvare.
Poche osservazioni sulla terza parabola, quella del figlio prodigo, che sarebbe meglio chiamare, come fu osservato, dei due figli, perché dall’uno e dall’altro abbiamo qualcosa da imparare. La vicenda del figlio più giovane mostra che è una grande illusione quando uno crede di trovare la felicità allontanandosi da Dio, il Padre che ci ama (cf Gv 16,27), per inseguire sogni di felicità nella ricerca del piacere a ogni costo. Mostra che la nostra miseria non deve mai farci dimenticare questo amore invincibile. Un torto del figlio prodigo, dopo quello di aver abbandonato il padre, fu di non aver piena fiducia nella sua bontà senza limiti, quando si proponeva di dirgli: « Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni » (ma ne era proprio convinto?).
Il comportamento del figlio maggiore, che si vanta di aver servito suo padre da tanti anni, ma senza vero amore, senza capire nulla del suo cuore di padre, c’insegna che l’osservanza della legge di Dio dev’essere ispirata dall’amore, poiché « l’amore è il pieno compimento della legge » (Rm 13,10), che anzi tutta la legge si riduce all’amore di Dio e del prossimo. Il rifiuto di partecipare alla festa per il ritorno del fratello e il rimprovero al padre che ne è felice ci mette in guardia da quell’orgoglio che ci fa credere migliori degli altri, da quella durezza di cuore che ci chiude ai fratelli. « Questo tuo fratello », deve ricordargli il padre con un accento accorato. Preghiamo per noi e per tutti con Davide, peccatore pentito: « Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia: nella tua grande bontà cancella il mio peccato; lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato ». E poiché « un cuore contrito è sacrificio a Dio », il pentimento dei nostri peccati e il sicuro proposito di conversione ci accompagnino nella celebrazione del sacrificio eucaristico.
Da: PELLEGRINO M., Servire la Parola
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