Archive pour août, 2013

CHE COSA VUOL DIRE «BENEDIRE»?

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CHE COSA VUOL DIRE «BENEDIRE»?

DIALOGHI CON PAOLO RICCA

(Chiesa Evangelica Valdese)

Desidero porre alcune domande sul tema della benedizione, perché vi sono aspetti che non comprendo. Penso di sapere che cosa sia una benedizione. Certe figure nella Bibbia sono state benedette dal Signore e alcuni miei amici anche loro hanno dichiaro di aver ricevuto, con gioia e riconoscenza, una benedizione particolare: a esempio la nascita di un figlio a lungo desiderato, oppure la ripresa fisica di una persona cara dopo una lunga malattia. Anch’io ho avuto nella mia vita momenti di gioia completa, quasi sublime, e forse in quei momenti il Signore mi aveva inviato la sua benedizione. O forse non è così? Era qualcos’altro?
Ma quello che veramente non capisco è chi può pronunciare una benedizione e chi può riceverla. La benedizione è, tra l’altro, quella che il pastore o la pastora pronuncia alla fine del culto. A quanto pare anche il predicatore locale può chiedere o invocare la benedizione del Signore e, visto che la nostra chiesa non è clericale, non è che la benedizione del predicatore locale valga meno di quella del pastore. È proprio così? Ma il punto che mi lascia veramente confusa concerne quei brani nell’Antico Testamento dove l’essere umano (spesso il Salmista) benedice il Signore. Avrei pensato che la benedizione debba arrivare dal cielo a noi sulla terra. Infine: che cosa vuol dire la frase: «Io benedico il Signore»?
Victoria Munsey – Torino
Questa lettera contiene molte domande (alcune anche inespresse), che però, a ben guardare, si riducono a tre: (1) Che cos’è la benedizione dell’uomo da parte di Dio? (2) Chi la può pronunciare e forse conferire, e chi la può ricevere? (3) Che cosa significa la frase: «Io benedico il Signore»? Cercherò di rispondere a ciascuna, ma prima desidero felicitarmi con la nostra lettrice per il tema che, con la sua lettera, propone alla nostra riflessione in questo inizio d’anno: la «benedizione» è un tema bellissimo, il più bello che ci sia, non solo nella Bibbia, ma nell’esperienza umana, è una luce che illumina il mondo, una stella nella notte, una grazia preparata per noi. Eppure, in fondo, se ne parla poco, forse per un senso di pudore, ma più probabilmente perché dimentichiamo con facilità proprio questo lato fondamentale della vita e della fede. Ma veniamo alle domande.

1. Che cos’è la benedizione dell’uomo da parte di Dio? È un aspetto centrale della rivelazione di Dio. Per convincersene basta aprire la Chiave Biblica (*): ci sono almeno 260 passi che parlano di benedizione, sia da parte di Dio, sia da parte dell’uomo, dalla prima all’ultima pagina, nei più disparati contesti storici e culturali, individuali e collettivi. È vero che benedizione (e maledizione!) si trovano anche in altre culture e religioni antiche, dove, come nella Bibbia, sono di solito espresse attraverso una parola o una formula, spesso accompagnata da un gesto, come, a esempio, l’imposizione delle mani. Ma nella Bibbia la benedizione sovrabbonda. Perciò non stupisce che la nostra lettrice, che conosce la Bibbia, pensi di «sapere che cosa sia una benedizione». Sa quindi che benedizione non è solo la nascita di un figlio lungamente desiderato e atteso, ma lo è la nascita di ogni bambino, anche se inatteso e persino indesiderato. Non è un caso che nella Bibbia la prima benedizione di Dio sia direttamente collegata alla moltiplicazione della vita – prima di quella animale (Genesi 1, 22), poi di quella umana (Genesi 1, 28): per tutti gli esseri viventi la benedizione di Dio è la promessa e il dono di una posterità. E la nostra lettrice sicuramente sa che benedizione non è solo la guarigione da una lunga e grave malattia, ma lo è ogni guarigione, anche da piccoli malanni, ogni vittoria della vita, ogni palpito di vita. Ma non solo la vita è benedizione, lo è anche la vita nuova, e ancora di più la vita eterna (Salmo 133, 3). Prosperità, felicità, benessere, protezione, aiuto, salvezza, forza e pace sono benedizioni. Tutto ciò che di bello, buono, vero, giusto, amabile, santo, c’è nella vita di una persona e nella storia del mondo; tutto ciò che favorisce, arricchisce e abbellisce la vita; tutte le relazioni di amicizia, amore, fraternità, condivisione, solidarietà; tutto ciò che suscita qualche gioia – tutto questo è segno e frutto della benedizione divina. Somma benedizione è il perdono dei nostri peccati, la conoscenza di Dio, la storia di Gesù dalla nascita all’ascensione e la sua attuale signoria in cielo e sulla terra. Nella lettera del 28 luglio 1944 Bonhoeffer parla, con l’abituale profondità, della benedizione, descrivendola come del ponte che collega Dio alla felicità umana [l’immagine è mia, il pensiero è suo]. Egli però ricorda anche che essere benedetti non significa essere esentati dalla prova e dalla sofferenza. Giobbe è benedetto, ma attraversa tutto il lungo tunnel della sofferenza. Gesù è benedetto, ma finisce sulla croce. Nella Bibbia dunque non c’è contrapposizione assoluta tra benedizione e croce, né nell’Antico né nel Nuovo Testamento . La differenza tra loro «sta solo nel fatto che nell’Antico Testamento la benedizione racchiude in sé anche la croce, nel Nuovo la croce racchiude in sé anche la benedizione».

Dio, dunque, è la fonte di ogni benedizione. È lui, anzi, la benedizione per eccellenza. E per capire bene che cos’è la benedizione, si osservi semplicemente che benedire significa alla lettera «dire bene». Dio infatti «dice bene» di noi quando dice che siamo giusti benché peccatori, perdonati benché colpevoli, figli benché prodighi. Dio benedice, cioè dice bene, perché pensa bene:«Io so i pensieri che medito per voi, dice l’Eterno, pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza» (Geremia 29, 11). Dio dice quello che pensa e fa quello che dice. Egli benedice, cioè dice bene, perché pensa bene e fa bene. La benedizione è l’azione costante, l’occupazione quotidiana di Dio, è il cantus firmus dell’universo, e, in fondo, la nostra unica speranza.

2. Chi può pronunciare e forse conferire la benedizione? E chi può riceverla? Anche qui la Bibbia ci è maestra: la benedizione di Dio circola liberamente all’interno del suo popolo e diventa in qualche modo patrimonio comune. Dal tempo dei patriarchi in avanti le generazioni si susseguono di benedizione in benedizione. Anche Gesù ha benedetto: i pani da moltiplicare per sfamare la folla (Marco 6, 41), i bambini che ad altri davano fastidio (Marco 10, 41) e i discepoli, prima dell’Ascensione: è significativo che l’ultimo gesto di Gesù sulla terra, che riassume simbolicamente tutta la sua opera, sia stato un gesto di benedizione: «… mentre li benediceva, si dipartì da loro» (Luca 24, 51). Ma la parola biblica più eloquente in risposta alla seconda domanda della nostra lettrice è questa: «In lui [cioè nel Re Messia preannunciato dal Salmista] gli uomini si benediranno a vicenda» (Salmo 72, 17). La benedizione di Dio non è più monopolio di qualcuno (a esempio di un clero o di un’autorità di qualunque tipo), ma diventa una parola di grazia e favore divino che gli uomini e le donne, nel nome di Dio, si scambiano a vicenda. Chi dunque può pronunciare la benedizione? Chiunque, purché sappia quello che fa e creda nel Dio che benedice, il Dio d’Israele e di Gesù. Chi può conferire la benedizione? Nessuno, perché la benedizione appartiene a Dio solo, è lui l’unico titolare di ogni benedizione, a cominciare da quella urbi et orbi. Noi possiamo solo invocare la benedizione di Dio, non la possiamo dare, se non nel nome suo, che è l’unico che può e vuole effettivamente darla. E questa benedizione travalica i confini della chiesa, perché Gesù dice ai discepoli: «Benedite quelli che vi maledicono» (Luca 6, 28), e l’apostolo Paolo dice di sé: «Ingiuriati, benediciamo» (I Corinzi 4, 12). Cioè: la benedizione è più forte della maledizione, lo spirito e la parola di Gesù trasformano in benedizione la maledizione.

In questo modo abbiamo già risposto implicitamente all’ultima parte della domanda: «Chi può ricevere la benedizione?». Come chiunque, nel nome di Dio, può dare la benedizione, così chiunque può riceverla, se ha fede nel Dio che benedice. E sarebbe bello che facessimo maggior uso della libertà cristiana di benedire e non lasciassimo la benedizione circoscritta all’ambito cultuale e liturgico, ma la innestassimo più frequentemente nella trama della vita quotidiana. Così sarebbe bello se, in particolari momenti, i padri e le madri benedicessero i loro figli, e se i figli, sempre in particolari momenti, benedicessero i loro genitori. Dico che sarebbe bello sia sul piano affettivo dei sentimenti umani, sia sul piano spirituale dei rapporti di fede.

3. Che cosa significa la frase: «Io benedico il Signore»? La risposta a questa domanda è facile. Benedire il Signore significa «dire bene» di lui, sia a lui sia al nostro prossimo. E «dire bene» di lui vuol dire manifestare, con le parole e con la vita, i due sentimenti costitutivi del nostro rapporto con lui: la gratitudine e la lode. Così si conclude il lungo percorso della benedizione divina che scende, sì, dal cielo sulla terra, come dice la nostra lettrice – scende come vita, salvezza e felicità –, ma poi sale dalla terra al cielo, come gratitudine e come lode. Certo, lo sappiamo, non tutto, nella vita umana, è benedizione, c’è anche la sventura e la prova; non tutto è grazia, c’è anche la disgrazia; non tutto è dono, c’è anche la rapina; non tutto è felicità, c’è anche la tribolazione. Perciò, nella Bibbia come nella vita, non c’è solo gratitudine e lode, ma anche gemito e protesta. Come diceva Bonhoeffer, benedizione e croce non si escludono. Ma appunto: la croce non esclude la benedizione, che può, benché contraddetta ma non vinta, tornare a Dio come gratitudine e lode. Così possiamo dire, malgrado tutto e sempre tenendo presente la storia di Gesù: Dio benedice, Dio sia benedetto. Dio è benedizione, e ci benedice affinché anche noi, modestamente, diventiamo, su questa terra, una piccola benedizione per chi ci sta accanto.

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* La nostra casa editrice Claudiana ha pubblicato, nell’ottobre 2009, la Chiave Biblica compilata in base alla versione Nuova Riveduta della Bibbia. È uno strumento utilissimo, per non dire indispensabile, per conoscere a fondo la Sacra Scrittura. Ogni lettore della Bibbia dovrebbe possederla. Come chi ha una casa, deve avere le chiavi di casa, così chi ha una Bibbia, deve avere una Chiave Biblica. Costa un po’, 48 euro, ma non è molto per un’opera del genere, che richiede moltissimo lavoro e che dura tutta la vita.

Tratto dalla rubrica Dialoghi con Paolo Ricca del settimanale Riforma del 15 gennaio 2010

Publié dans:BENEDIZIONE, CHIESA VALDESE |on 10 août, 2013 |Pas de commentaires »

IL SIGNORE TI BENEDICA (01.05.05)

http://pierostefani.myblog.it/tag/benedizione+ebraica

IL SIGNORE TI BENEDICA (01.05.05)

Meditazione sulla “benedizione sacerdotale” (Nm 6,22-27), svolta nel corso del XII convegno di teologia della pace, Sacerdozio: una mediazione per la pace, Ferrara 10 aprile 2005.

        «Il Signore aggiunse a Mosè: “Parla ad Aronne e ai suoi figli e dì loro: Voi benedirete così i figli d’Israele; direte loro:
Ti benedica il Signore
e ti  custodisca.
Il Signore faccia risplendere il suo volto per te
e ti faccia grazia.
Il Signore elevi il suo volto  su di te
e ponga su di te la pace.
Così porranno il mio nome sui figli d’Israele
e Io li benedirò». (Nm 6,22-27).

Quattro brevi pensieri.
1. L’azione sacerdotale non è un atto che ha valore in se stesso; non è dotata di alcun potere intrinseco: è obbedienza alla parola. Tutto inizia dall’ascolto prestato al comando di Dio che scende su Mosè e si dilata verso i sacerdoti: «Il Signore disse a Mosè: ‘Parla ad Aronne e ai suoi figli [i sacerdoti]…». Lo stesso vale per l’incipit del più sacerdotale tra tutti i libri biblici, il Levitico: «Il Signore chiamò Mosè dalla tenda del convegno e gli disse…» (Lv 1,1).
I figli di Aronne sono posti in mezzo tra la parola del Signore, giunta loro grazie a  Mosè, e i figli d’Israele. Il sacerdozio non ha significato senza ascolto obbediente e senza essere posto al servizio della comunità.
2. La mediazione sacerdotale è paragonabile al fermento catalitico: consente la reazione ma non ne fa parte in modo diretto, non è un protagonista in prima persona: «Così benedirete i figli d’Israele, dicendo loro: il Signore vi benedica e vi custodisca». La benedizione del sacerdote sta nel chiedere al Signore di benedire e custodire con impegno (si usa il verbo shamar, lo stesso adoperato per l’osservanza dei precetti)  il proprio popolo. Non c’è benedizione maggiore dell’obbligo di custodia assunto dal Signore nei confronti dei figli d’Israele. La benedizione sacerdotale è quella che chiama in causa in prima istanza il Signore: «Il Signore elevi il suo volto su di te e ponga su di te la pace. Porrete il mio nome sui figli d’Isarele e Io li benedirò». In ebraico la presenza del termine «io» (’ani) è  enfatica, qui dunque si vuole rimarcare volutamente l’azione di Dio. In questo senso i commenti rabbinici sono di una chiarità solare: «“E Io li benedirò”. Queste parole sono aggiunte perché i figli d’Israele non pensino che le loro benedizioni dipendano dai loro sacerdoti; allo stesso modo i sacerdoti non debbono dire “Siamo noi a benedire Israele”» (Sifre Numeri, Naso, par. 43).
3. La cornice della benedizione evoca una dimensione plurale. Inizia dicendo «Così benedirete i figli d’Israele» e si conchiude con la promessa divina «E Io li benedirò». Ci troviamo nell’ambito di una comunità. Nel mezzo però tutto si riferisce a un singolare di seconda persona: «Il Signore ti benedica e ti custodisca…». La benedizione sta nel fatto che il Signore ti riconosce come un soggetto davanti a lui e nel contempo come parte di una comunità. Dio non benedice nazioni, popoli, patrie o bandiere. Qui non lo fa neanche in relazione alla collettività d’Israele. Non si benedice però nemmeno l’individuo in quanto tale o il singolo. Si benedice il soggetto colto come parte di una comunità. Ben lo comprese Francesco d’Assisi quando, dopo aver trascritto la benedizione del libro dei Numeri, concluse con queste parole «il Signore benedica te, Frate Leone». In un documento autentico, inserita nel nome di Leone, si trova una tau vergata dal  pugno del santo. Lo spirito  di Francesco è esattamente quello biblico. Si benedice chi appartiene a un gruppo (Frate), ma ci si rivolge a lui come persona (Leone).
4. «Il Signore faccia risplendere il suo volto (ja’er) per te e  ti faccia grazia (wichunnekh)». Le due cose sono una: il far risplendere il volto (espressione non rara nella Scrittura, cfr. per es. Sal 31,167; 67,2; 80,4.8.20…) coincide con l’atto stesso di far grazia. Per comprenderlo appieno occorre guardare al suo opposto, vale a dire all’espressione che indica il nascondimento del volto (str panim)  di Dio. Essa nella Bibbia  è ancora più frequente (cfr. per es. Dt 31,17; 33,20; Is 8,17; 54,8; 59,2; 64,6; Ger 33,5; Ez 33,23; Gb 13,23-24). Il più delle volte indica un ritrarsi del Signore che lascia l’uomo in preda al suo peccato; in tali circostanze egli è temporaneamente escluso dalla grazia di Dio. Al contrario, quando il volto di Dio risplende su di te significa che il tuo peccato ti è stato cancellato. Questo atto di misericordia ti riconsegna a essere pienamente un soggetto benedetto davanti a Dio e riconciliato con i membri della tua comunità. La pace non è altro che questo: «Elevi il Signore il suo volto su di te [vale a dire non lo nasconda] e ponga su di  te la pace».


Piero Stefani

San Lorenzo

San Lorenzo dans immagini sacre DSCN0711

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Publié dans:immagini sacre |on 9 août, 2013 |Pas de commentaires »

10 AGOSTO: SAN LORENZO – DIACONO E MARTIRE – PATRONATO: CITTÀ DI ROMA

http://liturgia.silvestrini.org/santo/240.html

10 AGOSTO: SAN LORENZO – DIACONO E MARTIRE – PATRONATO: CITTÀ DI ROMA

BIOGRAFIA
Basilica di San Lorenzo in RomaMorto nel 258. La « Passione di san Lorenzo » fu scritta almeno un secolo dopo la sua morte, e di conseguenza non è attendibile. Essa afferma che san Lorenzo, uno dei diaconi di Sisto II, fu messo a morte tre giorni dopo il martirio del papa venendo arrostito su una graticola; la maggioranza degli studiosi moderni sostiene invece che fu decapitato come Sisto II. Lorenzo è però sempre stato tra i più celebri fra i numerosi martiri romani, sia in Oriente che in Occidente. Il suo martirio deve avere prodotto una profonda impressione nei cristiani romani; la sua morte, dice Prudenzio, fu la morte dell’idolatria a Roma, perché da allora essa cominciò a scomparire. Lorenzo fu sepolto sulla Via Tiburtina nel « Campus Veranus » dove sorge la omonima basilica.

MARTIROLOGIO
Festa di san Lorenzo, diacono e martire, che, desideroso, come riferisce san Leone Magno, di condividere la sorte di papa Sisto anche nel martirio, avuto l’odine di consegnare i tesori della Chiesa, mostrò al tiranno, prendendosene gioco, i poveri, che aveva nutrito e sfamato con dei beni elemosinati. Tre giorni dopo vinse le fiamme per la fede in Cristo e in onore del suo trionfo migrarono in cielo anche gli strumenti del martirio. IL suo corpo fu deposto a Roma nel cimitero del Verano, poi insignito del suo nome.

DAGLI SCRITTI…
1447-50.Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
Fu ministro del sangue di Cristo

Oggi la chiesa di Roma celebra il giorno del trionfo di Lorenzo, giorno in cui egli rigettò il mondo del male. Lo calpestò quando incrudeliva rabbiosamente contro di lui e lo disprezzò quando lo allettava con le sue lusinghe. In un caso e nell’altro sconfisse satana che gli suscitava contro la persecuzione. San Lorenzo era diacono della chiesa di Roma. Ivi era ministro del sangue di Cristo e là, per il nome di Cristo, versò il suo sangue. Il beato apostolo Giovanni espose chiaramente il mistero della Cena del Signore, dicendo: «Come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3, 16). Lorenzo, fratelli, ha compreso tutto questo. L’ha compreso e messo in pratica. E davvero contraccambio quanto aveva ricevuto in tale mensa. Amò Cristo nella sua vita, lo imitò nella sua morte.
Anche noi, fratelli, se davvero amiamo, imitiamo. Non potremmo, infatti, dare in cambio un frutto più squisito del nostro amore di quello consistente nell’imitazione del Cristo, che «patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme» (1 Pt 2, 21). Con questa frase sembra quasi che l’apostolo Pietro abbia voluto dire che Cristo patì solamente per coloro che seguono le sue orme, e che la passione di Cristo giova solo a coloro che lo seguono. I santi martiri lo hanno seguito fino all’effusione del sangue, fino a rassomigliarli nella passione. Lo hanno seguito i martiri, ma non essi soli. Infatti, dopo che essi passarono, non fu interrotto il ponte; né si é inaridita la sorgente, dopo che essi hanno bevuto.
Il bel giardino del Signore, o fratelli, possiede non solo le rose dei martiri, ma anche i gigli dei vergini, l’edera di quelli che vivono nel matrimonio, le viole delle vedove. Nessuna categoria di persone deve dubitare della propria chiamata: Cristo ha sofferto per tutti. Con tutta verità fu scritto di lui: «Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati, e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2, 4). Dunque cerchiamo di capire in che modo, oltre all’effusione del sangue, oltre alla prova della passione, il cristiano debba seguire il Maestro. L’Apostolo, parlando di Cristo Signore, dice: «Egli, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio». Quale sublimità!
«Ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso» (Fil 2, 7-8). Quale abbassamento! Cristo si é umiliato: eccoti, o cristiano l’esempio da imitare. Cristo si é fatto ubbidiente: perché tu ti insuperbisci? Dopo aver percorso tutti i gradi di questo abbassamento, dopo aver vinto la morte, Cristo ascese al cielo: seguiamolo. Ascoltiamo l’Apostolo che dice: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 3, 1).(Disc. 304, 14; PL 38, 1395-1397).

11 AGOSTO 2013 | 19A DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C : « TENETEVI PRONTI! » MA PERCHÉ?

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/12-13/05-Ordinario/Omelie/19-Domenica-2013_C/19-Domenica-2013_C-MP.html

 11 AGOSTO 2013  |  19A DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO C  | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

« TENETEVI PRONTI! » MA PERCHÉ?

« Tenetevi pronti! ». Possiamo cogliere in questa esortazione che Gesù rivolge ai suoi discepoli, per estenderla – rispondendo a Pietro – a tutti, un ammonimento che emerge dalle letture di questa domenica. Nella prima, è rievocata l’attesa del popolo ebreo, pronto per partire, al cenno di Dio, dall’Egitto in cui gemeva sotto l’oppressione, verso la patria promessa ai suoi padri. Il salmo esprime l’attesa, nella speranza dell’aiuto che verrà da Dio: « L’anima nostra attende il Signore, egli è nostro aiuto e nostro scudo ». La lettera agli Ebrei esalta la prontezza con cui Abramo parte, senza « sapere dove andava », per la terra promessa. Luca riferisce la raccomandazione di Gesù a tenersi pronti per la venuta del Figlio dell’uomo.

Tenersi pronti: perché?
Perché il Signore un giorno verrà. Da tanto tempo il popolo ebreo soffriva in terra straniera, oppresso e sfruttato. Dio aveva preparato in Mosè il liberatore; se i passi compiuti da lui e dal fratello Aronne presso il Faraone e i prodigi con cui Dio aveva confermato il suo messaggio (le « piaghe » d’Egitto) sembravano senza risultato, la promessa divina non poteva rimanere vana. Perciò il popolo « si attendeva la salvezza dei giusti come lo sterminio dei nemici ». Abramo si teneva pronto nell’attesa perché Dio gli aveva promesso un luogo « che doveva ricevere in eredità » per i suoi discendenti.
Perché dobbiamo tenerci pronti? Gesù risponde con due immagini: quella del padrone che ritorna, non si sa quando, da una festa di nozze, e quella del ladro che viene senza preavviso a scassinare la casa. E spiega subito il significato: « Il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che voi non pensate ». Il Figlio dell’uomo è lui stesso che parla. Verrà, per tutti, alla fine dei tempi come giudice. Verrà, per ognuno di noi, all’ora della nostra morte, che sarà l’incontro con lui. Le morti improvvise: esperienza di tutti i giorni. Il Figlio dell’uomo è venuto: i fratelli si sono incontrati col Signore.

Come tenerci pronti
Con la fede che ispira e sostiene la speranza. Questa risposta è accennata nella 1ª lettura, dove si ricorda che gli Ebrei nell’Egitto « avevano creduto » alle promesse di Dio e che la notte della liberazione fu loro preannunziata « perché… stessero di buon animo ». Il salmo responsoriale invita i giusti a esultare nel Signore, perché « l’occhio del Signore veglia su chi lo teme, su chi spera nella sua grazia, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame ». « La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono »: con queste parole, con cui Dante comincerà la sua risposta a s. Pietro quando sarà esaminato sulla fede, la Sacra Scrittura indica come sulla fede e sulla speranza si costruisca tutta la vita del cristiano.
Non si è cristiani solo perché si va in chiesa (anche se è dovere andarci); non si è cristiani solo perché si è onesti e galantuomini (anche se è verissimo che chi non è onesto e galantuomo non è cristiano). « Senza la fede », dirà poco dopo la lettera agli Ebrei, « è impossibile essere graditi a Dio: chi infatti s’accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano » (Eb 11,6; dovrà credere anche altre cose, in primo luogo che Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto).
Poi incomincia la litania di nomi con cui ci sono presentati gli uomini dell’Antico Testamento che ci lasciarono esempi luminosi di fede (e nel Nuovo Testamento e nella storia della Chiesa l’elenco continua e continuerà fino alla fine del mondo, contro tutti i pessimismi di chi considera la fede come un relitto di tempi tramontati per sempre). Nella pagina che ci è proposta oggi è esaltata la fede dimostrata da Abramo in due momenti. Prima, nell’obbedire alla chiamata di Dio lasciando la sua terra, partendo « senza sapere dove andava ». Poi, nel credere alla promessa fattagli da Dio, mentre sia lui che la moglie Sara erano ormai vecchi, di un figlio, anzi, di « una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia innumerevole che si trova lungo la spiaggia del mare ». È un invito a dar credito a Dio e alla fedeltà con cui egli adempie le sue promesse, anche quando queste sono una sfida a tutte le risorse e le possibilità umane e naturali. Alla speranza Gesù esorta i suoi discepoli: « Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno ».
Come essere pronti? Stando svegli, dice Gesù. Secondo Origene, questo vuol dire che dobbiamo tener aperto « l’occhio dell’anima », tener accesa la lampada che è l’intelligenza attenta alle cose della fede, non lasciarci prendere dal torpore che ci fa dimenticare Dio, la sua parola, i grandi orizzonti della fede in cui deve muoversi il pensiero, il cuore, la vita del cristiano. L’ascolto e la lettura assidua della Bibbia, la frequentazione degli ambienti in cui si cerca di capire e vivere il Vangelo, l’attenzione ai fratelli che danno un’autentica testimonianza di fede, ci aiutano a stare svegli, a tenerci pronti.
Come tenerci pronti? « Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro ». Il nostro lavoro è quello che ci attende nella famiglia, nel mestiere, nella professione. Lavoro che certo dev’essere mezzo per guadagnarci il pane, ma che è anche l’adempimento d’una missione per il bene dei fratelli. Il nostro lavoro è l’impegno a cui siamo chiamati, ciascuno secondo le proprie possibilità e le necessità dell’ambiente, anche fuori del campo professionale, nell’apostolato, nell’esercizio della carità, nel servizio alla comunità civile.
Come tenerci pronti? Ancora una risposta: « Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignuola non consuma. Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore ». Il distacco dal denaro. Se siamo schiavi del denaro e ne facciamo lo scopo della vita, non saremo mai pronti ad accogliere il Signore quando verrà. Il nostro vero tesoro non può essere sulla terra, dove tutto passa, ma « nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignuola non consuma ». Là dunque dev’essere rivolto il nostro pensiero e il nostro cuore. O diremo una menzogna quando, all’invito del celebrante: « In alto i nostri cuori », rispondiamo senza esitazione: « Sono rivolti al Signore »?

 Da: PELLEGRINO M., Servire la Parola, Anno C, Elledici,

·Statue by Geoff Lucas of St. Edith Stein, in the barn named in her honour at Aylesford Carmelite Priory, Kent.

·Statue by Geoff Lucas of St. Edith Stein, in the barn named in her honour at Aylesford Carmelite Priory, Kent. dans immagini sacre edithstein03

http://www.carmelite.org/index.php?nuc=saints&func=view&id=24&item=22

Publié dans:immagini sacre |on 8 août, 2013 |Pas de commentaires »

PREGHIERA A SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE

http://www.preghiereperlafamiglia.it/edith-stein-santa-teresa-benedetta-della-croce.htm

SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE

(Edith Stein)

COMPATRONA D’EUROPA

PREGHIERA A SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE

O Santa Teresa Benedetta della Croce,
figlia del Popolo Eletto e figlia prediletta della Chiesa,
 che prendesti su di te le sofferenze e la persecuzione del tuo popolo,
 fino a morire con loro e per loro,
ottienici di scoprire la Verità che si nasconde nella scienza della Croce
 che tu riuscisti a gustare nella spiritualità del Carmelo.

O Santa Teresa Benedetta della Croce,
che facesti della tua sete di verità
una preghiera continua
intuendo che chi cerca la verità cerca Dio,
ottienici di cercare sempre la Verità.
Tu che incontrasti la Verità nella Croce di Cristo
fa’ che siamo illuminati anche noi dalla luce
che si sprigiona dal mistero della Croce.
Facci il dono di saper abbracciare la Croce
come l’hai abbracciata tu.

Tu che scopristi la Verità che cercavi
leggendo la semplice vita di Santa Teresina,
ottienici di scoprire nella semplicità quotidiana
la grandezza della presenza di Dio.

Tu che ti donasti pienamente all’Amore
che hai incontrato, fa’ che tanti giovani
possano donarsi al Signore che chiama
senza la paura di perdere,
ma con la gioia di dare.

Tu che nel campo della morte ti prodigasti
con dolcezza e premura verso il tuo popolo
infondendo conforto e coraggio,
ottienici in tutte le occasioni
di vivere la carità verso il prossimo.

Tu che nell’ora della morte, prima di entrare
nella camera a gas, facesti tua la preghiera di Gesù:
« Se non può passare questo calice,
sia fatta la tua Volontà »,
ottienici di poter chinare il capo serenamente
negli ultimi momenti della nostra vita,
abbandonati all’Amore di Dio che è fedele sempre.

Santa Teresa Benedetta della Croce,
prega per noi!

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