Archive pour août, 2013

S. MONICA (331-387) – MEMORIA IL 27 AGOSTO

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S. MONICA (331-387) – MEMORIA IL 27 AGOSTO

Nacque a Tagaste, antica città della Numidia, nel 332. Madre di Agostino d’Ippona, fu determinante nei confronti del figlio per la sua conversione al cristianesimo. A 39 anni rimase vedova e si dovette occupare di tutta la famiglia. Nella notte di Pasqua del 387 poté vedere Agostino, ormai cristiano convinto profondamente, battezzato insieme a tutti i familiari. Poi Agostino decise di trasferirsi da Milano in Africa e dedicarsi alla vita monastica. Monica morì, a seguito di febbri molto alte (forse per malaria), a 56 anni, il 27 agosto del 387.
Monica, madre di S. Agostino vescovo d’Ippona (Africa), nacque a Tagaste da pii genitori, nel 3.31, Quello che sappiamo della sua vita lo deduciamo dalle celebri Confessioni del figlio, il quale attribuisce la sua conversione alle preghiere e alle lacrime della sua genitrice, rigidamente educata. « Mia madre, scrive egli, lodava per questa sua formazione non tanto la diligenza di sua madre, quanto quella di una vecchia serva che aveva portato suo padre da bambino allo stesso modo che le fanciulle più grandicelle usano portare i bimbi sul dorso. Sia per questo, sia per l’età avanzata e i costumi venerandi era dai padroni trattata con molti riguardi e le avevano perciò affidata la sorveglianza delle loro figliuole; essa la esercitava con cura sapendo essere energica e quando occorreva santamente severa nel tenerle a freno… Infatti, fuori delle ore in casa pranzavano molto frugalmente alla mensa dei genitori, non lasciava bere nemmeno l’acqua, anche se bruciassero dalla sete, per preservarle da una cattiva abitudine, e aggiungeva questa savia osservazione:  »Ora bevete l’acqua, perché non avete a disposizione il vino. Ma quando sarete maritate e sarete padrone della dispensa e della cantina, l’acqua più non vi piacerà e vi dominerà invece l’abitudine del vino ».
Nonostante tanta severità Monica si lasciò dominare dal vizio della gola. « Ordinariamente i genitori la mandavano, fanciulla sobria com’era, ad attingere il vino dalla botte ed essa, attinta la coppa dalla parte superiore, prima di versare il vino nella bottiglia, ne sorbiva poco poco con la punta delle labbra, perché non ne sopportava di più e le ripugnava al gusto… Poiché chi trascura il poco finisce per cadere, aveva ormai fatta l’abitudine di vuotare avidamente bicchieri di vino. Ed ora, dov’era la vecchia piena di saggezza, dov’era quella severa proibizione? Chi avrebbe potuto mai estirpare quella malattia latente, se tu con la tua medicina, o Signore, non vegliassi sopra di noi?… La schiava con la quale era solita recarsi al barile, come sovente accade, si bisticciò con la padroncina; le rinfacciò da sola a sola questa colpa e, con amarissima ingiuria, la chiamò beona. Ferita da ciò, si accorse della sua sconcezza e si affrettò a ripudiarla per liberarsene » (Confessioni, IX, 8).
« Educata pertanto nella castità e nella temperanza, resa sottomessa ai genitori… quando nella pienezza della giovinezza fu da marito, andò a nozze e servi lo sposo come padrone. Cercò di guadagnarlo a te (Dio) parlandogli di Te con l’eloquenza della sua vita morale, di cui tu la rendevi bella, degna di riverente amore, e d’ammirazione ai suoi occhi. Tollerò poi le infedeltà del marito con tanta rassegnazione da non venire mai a diverbio con lui per questo… egli era oltre ciò veramente affettuosissimo, ma altrettanto iracondo. Essa era capace di non fare resistenza al marito in collera, non solo a fatti, ma anche a parole. Quando poi, calmata Pira, tornava tranquillo, faceva al momento opportuno le giustificazioni del suo operato, se mai egli si fosse a torto inquietato Molte altre matrone, pur avendo mariti più mansueti, portavano i segni delle battiture persino sulla faccia sfigurata e, chiacchierando con le amiche, si lagnavano della vita dei loro uomini. Essa riprendeva la loro lingua… Quelle si meravigliavano perché sapevano che marito feroce ella dovesse sopportare e mai s’era sentito dire o s’era scoperto da qualche segno che Patrizio avesse battuto la moglie o che ci fosse stato, anche per un sol giorno, un dissenso domestico tra lei e lui…
« Anche la suocera, che da principio era irritata per i pettegolezzi contro di lei di schiave cattive, fu talmente vinta dal suo perseverante rispetto, dalla sua pazienza e mansuetudine che rivelò spontaneamente al figlio le cattive lingue frapposte tra lei e la nuora per turbare la pace domestica e chiese la punizione…
« E infine ella guadagnò a Te (Dio) anche il marito al termine della sua vita temporale; quando perciò divenne credente non dovette più piangere ciò che di lui sopportava quando non era ancora cristiano. Essa era anche la serva dei tuoi servi. Chiunque di loro la conosceva, molto lodava, onorava e amava tè, poiché avvertiva la tua presenza nel suo cuore, attestata da una vita santa. Fu infatti sposa di un solo uomo; aveva reso il contraccambio ai propri genitori; aveva piamente governata la sua casa; aveva la testimonianza di opere buone. Aveva educato i suoi figli dandoli tante volte alla luce, quante ne vedeva da te deviare (IX, 9).
Quando le nacque Agostino ebbe cura di farlo iscrivere subito tra i catecumeni e di istruirlo nei primi rudimenti della fede. Assalito un giorno da fortissimi dolori di stomaco chiese con grande fede il battesimo. La madre già s’affrettava a farglielo amministrare quando si riebbe e il battesimo gli fu differito secondo l’usanza del tempo. Agostino crebbe nella fede cristiana della madre la quale lo affidò al Padre celeste e, resa forte dalla quotidiana preghiera, riuscì per un certo tempo almeno a sottrarlo all’influsso del padre pagano. Tuttavia, a sedici anni, Agostino fu sopraffatto dalla concupiscenza della carne che si destò in lui violentissima. « I rovi delle mie passioni, confessa egli stesso, sorpassarono la mia testa e non vi era mano alcuna che li potesse sradicare… E di chi erano se non tue, o Signore, quelle parole che facesti sentire alle mie orecchie per mezzo della madre mia, tua serva fedele? Desiderava, e ben ricordo come privatamente mi ammoniva al colmo della sollecitudine, che io non commettessi adulteri. Ma questi mi sembravano consigli femminili e mi vergognavo di metterli in pratica » (II, 3).
Patrizio, prima di morire (371) aveva ricevuto il battesimo, ma la grande consolazione spirituale di Monica fu presto offuscata dalla notizia che il figlio era caduto nell’eresia dei manichei durante i suoi studi a Cartagine. Pertanto allorché il giovane rientrò a Tagaste per aprirvi una scuola, ella non si sentì l’animo di ricevere in casa un eretico vivente in concubinato con una misera donna. In quel tempo ebbe un sogno che la riempì di gioia. Dio le aveva fatto capire che il suo figlio prodigo un giorno avrebbe abbracciato la fede. Lo riprese quindi con sé senza cessare dal pregare e dal piangere per colui che ancora per nove anni doveva avvoltolarsi nel fango del vizio.
Un nuovo dolore attendeva la povera vedova. Suo figlio, avvilito dell’indisciplina degli scolari che frequentavano le sue lezioni a Cartagine, aveva deciso di trasferirsi a Roma. Monica fece ogni sforzo per impedirglielo soprattutto per il timore che, lontano da lei, si ostinasse nell’errore. Quando Agostino si recò al porto, ella lo volle accompagnare e il figlio dovette ricorrere ad una bugia per potersi imbarcare. Invitandola a tornare a casa, le disse che voleva accompagnare sulla nave un amico e trattenersi con lui fino al momento della partenza. Poiché ella si rifiutava di ritornare da sola, le suggerì di attendere durante la notte in una chiesetta vicina, dedicata a S. Cipriano. Ella vi rimase a pregare e a sospirare mentre la nave, levatesi il vento favorevole, faceva vela verso l’Italia.
Se a Cartagine gli studenti erano indisciplinati, a Roma defraudavano i maestri del compenso pattuito. Indispettito, Agostino decise di recarsi a Milano (384) dopo che ebbe vinto il concorso per la cattedra di retorica. S. Ambrogio lo ricevette con umanità. Sovente egli predicava nella cattedrale e Agostino, appassionato dell’eloquenza e curioso di vedere se la fama dell’uomo « noto a tutto il mondo » rispondesse alla realtà, correva volentieri ad ascoltarlo. Le preghiere e le lacrime della madre stavano per fruttificare nell’animo del figlio. Monica lo raggiunse ben presto a Milano e fu contenta di apprendere dalla bocca di lui che, pur non essendo ancora credente, si era distaccato dalla setta dei manichei in seguito alle istruzioni domenicali di Ambrogio. Monica benedisse Dio di aver trovato finalmente un alleato nel santo arcivescovo, anche se la fece desistere da una consuetudine africana, che le era cara, di portare cibarie e vino ai sepolcri dei martiri. Ambrogio, però, non tardò ad apprezzare quella cristiana così semplice, così assidua alla chiesa, così fervente nelle opere buone, e sovente, vedendo Agostino, gli faceva grandi elogi della sua santa madre (VI, 1,2).
È rimasta famosa la scena di Agostino prostrato dalla grazia alla lettura di un brano delle Letture di S. Paolo dopo che ebbe udito da una casa vicina un canto, come d’un bimbo e d’una bambina che ripetevano a modo di cantilena: « Tolle lege, tolle lege! ». (Prendi e leggi), mentre stava disteso a terra sotto un fico e intensamente pregava e piangeva. Monica ne esultò e benedisse il Signore che l’aveva esaudita al di là delle sue preghiere e delle sue lacrime.
La conversione del figlio fu totale perché, oltre che a tutti gli ideali di questo mondo, rinunziò pure al matrimonio, fermo nella regola di fede in cui gliel’aveva mostrato, tanti anni prima, il sogno profetico. In quell’occasione Monica si sarà certamente ricordata anche delle parole rivoltele un giorno da un santo vescovo al quale si era raccomandata perché in colloqui privati riconducesse Agostino sulla buona via: « E’ impossibile che possa perire il figlio di tante lacrime ».
Durante le vacanze autunnali del 386 il figlio si ritirò con la madre nella villa dell’amico Verecondo a Cassiciaco, per riposarsi dalle fatiche, approfondire la filosofia e prepararsi al battesimo. Dopo alcuni mesi di vera pace e d’intensa preghiera Agostino fu rigenerato a Cristo, a Milano, per le mani di S. Ambrogio, la vigilia di Pasqua del 387. Avendo in mente un progetto di vita cenobitica, sul finire dell’estate egli partì per la sua Africa con la madre, l’amico Alipio, il fratello Navigio e il figlio suo Adeodato, che aveva ricevuto il battesimo con lui.
Giunta a Ostia, la comitiva sostò per rimettersi dalle fatiche del viaggio. Un giorno Monica e Agostino si trovarono soli a una finestra del loro appartamento che dava sul giardino. Dimentichi del passato ragionarono a lungo delle gioie del paradiso. « Mentre parlavamo pensando a quelle, confessa il figlio, lo raggiungemmo un poco con tutto l’impeto del cuore e sospirammo… Mia madre disse allora: « Figlio, quanto a me nessuna cosa più ha fascino in questa vita. Non so cosa faccio ancora qui, ne perché vi sia, compiute ormai le speranze di questo mondo. Unico era il motivo per cui desideravo restare ancora un poco in questa vita: vederti cristiano prima di morire. Dio me l’ha concesso con maggiore larghezza, facendomi vedere che disprezzi la felicità terrena e ti consacri al suo servizio » (IX, 10).
Dopo alcuni giorni si mise a letto con la febbre. Presagendo prossima la sua fine, disse ai due figli affranti: « Voi seppellirete qui vostra madre… Ponete questo mio corpo dove volete; non vi preoccupate di esso. Vi domando soltanto che di me vi ricordiate presso il Signore in qualsiasi parte vi troviate » (IX, 11). Morì dopo nove giorni di malattia e fu sepolta a Ostia.
Le sue presunte reliquie sono venerate a Roma nella chiesa di Sant’Agostino.
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Sac. Guido Pettinati SSP,

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Carlo Crivelli c. 1475 – San Bartolomeo

Carlo Crivelli c. 1475 - San Bartolomeo dans immagini sacre saint-bartholomew

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BENEDETTO XVI : BARTOLOMEO APOSTOLO – 24 AGOSTO

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20061004_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

PIAZZA SAN PIETRO

MERCOLEDÌ, 4 OTTOBRE 2006

BARTOLOMEO APOSTOLO  – 24 AGOSTO

Cari fratelli e sorelle,

nella serie degli Apostoli chiamati da Gesù durante la sua vita terrena, oggi è l’apostolo Bartolomeo ad attrarre la nostra attenzione. Negli antichi elenchi dei Dodici egli viene sempre collocato prima di Matteo, mentre varia il nome di quello che lo precede e che può essere Filippo (cfr Mt 10, 3; Mc 3, 18; Lc 6, 14) oppure Tommaso (cfr At 1, 13). Il suo nome è chiaramente un patronimico, perché formulato con esplicito riferimento al nome del padre. Infatti, si tratta di un nome di probabile impronta aramaica, bar Talmay, che significa appunto « figlio di Talmay ».
Di Bartolomeo non abbiamo notizie di rilievo; infatti, il suo nome ricorre sempre e soltanto all’interno delle liste dei Dodici citate sopra e, quindi, non si trova mai al centro di nessuna narrazione. Tradizionalmente, però, egli viene identificato con Natanaele: un nome che significa « Dio ha dato ». Questo Natanaele proveniva da Cana (cfr Gv 21, 2) ed è quindi possibile che sia stato testimone del grande « segno » compiuto da Gesù in quel luogo (cfr Gv 2, 1-11). L’identificazione dei due personaggi è probabilmente motivata dal fatto che questo Natanaele, nella scena di vocazione raccontata dal Vangelo di Giovanni, è posto accanto a Filippo, cioè nel posto che ha Bartolomeo nelle liste degli Apostoli riportate dagli altri Vangeli. A questo Natanaele, Filippo aveva comunicato di aver trovato « colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti: Gesù, figlio di Giuseppe, da Nazaret » (Gv 1, 45). Come sappiamo, Natanaele gli oppose un pregiudizio piuttosto pesante: « Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono? » (Gv 1, 46a). Questa sorta di contestazione è, a suo modo, importante per noi. Essa, infatti, ci fa vedere che, secondo le attese giudaiche, il Messia non poteva provenire da un villaggio tanto oscuro come era appunto Nazaret (vedi anche Gv 7, 42). Al tempo stesso, però, pone in evidenza la libertà di Dio, che sorprende le nostre attese facendosi trovare proprio là dove non ce lo aspetteremmo. D’altra parte, sappiamo che Gesù in realtà non era esclusivamente « da Nazaret », ma che era nato a Betlemme (cfr Mt 2, 1; Lc 2, 4) e che ultimamente veniva dal cielo, dal Padre che è nei cieli.
Un’altra riflessione ci suggerisce la vicenda di Natanaele: nel nostro rapporto con Gesù non dobbiamo accontentarci delle sole parole. Filippo, nella sua replica, fa a Natanaele un invito significativo: « Vieni e vedi! » (Gv 1, 46b). La nostra conoscenza di Gesù ha bisogno soprattutto di un’esperienza viva: la testimonianza altrui è certamente importante, poiché di norma tutta la nostra vita cristiana comincia con l’annuncio che giunge fino a noi ad opera di uno o più testimoni. Ma poi dobbiamo essere noi stessi a venir coinvolti personalmente in una relazione intima e profonda con Gesù; in modo analogo i Samaritani, dopo aver sentito la testimonianza della loro concittadina che Gesù aveva incontrato presso il pozzo di Giacobbe, vollero parlare direttamente con Lui e, dopo questo colloquio, dissero alla donna: « Non è più per la tua parola che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo » (Gv 4, 42).
Tornando alla scena di vocazione, l’evangelista ci riferisce che, quando Gesù vede Natanaele avvicinarsi esclama: « Ecco davvero un Israelita, in cui non c’è falsità » (Gv 1, 47). Si tratta di un elogio che richiama il testo di un Salmo: « Beato l’uomo … nel cui spirito non c’è inganno » (Sal 32, 2), ma che suscita la curiosità di Natanaele, il quale replica con stupore: « Come mi conosci? » (Gv 1, 48a). La risposta di Gesù non è immediatamente comprensibile. Egli dice: « Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico » (Gv 1, 48b). Non sappiamo che cosa fosse successo sotto questo fico. È evidente che si tratta di un momento decisivo nella vita di Natanaele. Da queste parole di Gesù egli si sente toccato nel cuore, si sente compreso e capisce: quest’uomo sa tutto di me, Lui sa e conosce la strada della vita, a quest’uomo posso realmente affidarmi. E così risponde con una confessione di fede limpida e bella, dicendo: « Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele » (Gv 1, 49). In essa è consegnato un primo, importante passo nell’itinerario di adesione a Gesù. Le parole di Natanaele pongono in luce un doppio complementare aspetto dell’identità di Gesù: Egli è riconosciuto sia nel suo rapporto speciale con Dio Padre, di cui è Figlio unigenito, sia in quello con il popolo d’Israele, di cui è dichiarato re, qualifica propria del Messia atteso. Non dobbiamo mai perdere di vista né l’una né l’altra di queste due componenti, poiché se proclamiamo di Gesù soltanto la dimensione celeste, rischiamo di farne un essere etereo ed evanescente, e se al contrario riconosciamo soltanto la sua concreta collocazione nella storia, finiamo per trascurare la dimensione divina che propriamente lo qualifica.
Sulla successiva attività apostolica di Bartolomeo-Natanaele non abbiamo notizie precise. Secondo un’informazione riferita dallo storico Eusebio del secolo IV, un certo Panteno avrebbe trovato addirittura in India i segni di una presenza di Bartolomeo (cfr Hist. eccl. V, 10, 3). Nella tradizione posteriore, a partire dal Medioevo, si impose il racconto della sua morte per scuoiamento, che divenne poi molto popolare. Si pensi alla notissima scena del Giudizio Universale nella Cappella Sistina, in cui Michelangelo dipinse san Bartolomeo che regge con la mano sinistra la propria pelle, sulla quale l’artista lasciò il suo autoritratto. Sue reliquie sono venerate qui a Roma nella Chiesa a lui dedicata sull’Isola Tiberina, dove sarebbero state portate dall’imperatore tedesco Ottone III nell’anno 983. Concludendo, possiamo dire che la figura di san Bartolomeo, pur nella scarsità delle informazioni che lo riguardano, resta comunque davanti a noi per dirci che l’adesione a Gesù può essere vissuta e testimoniata anche senza il compimento di opere sensazionali. Straordinario è e resta Gesù stesso, a cui ciascuno di noi è chiamato a consacrare la propria vita e la propria morte.

XXI DOMENICA DEL T.O. – COMMENTI SUL LETTURE: ISAIA 66:18-21, EBREI 12:5-7.11-13; LUCA 13,22-30

http://livingspace.sacredspace.ie/OC211/

(traduzione Google dall’inglese, non è una buona traduzione, ma è leggibile, mi sembrano buoni commenti)

XXI DOMENICA DEL T.O.

COMMENTI SUL LETTURE: ISAIA 66:18-21, EBREI 12:5-7.11-13; LUCA 13,22-30

C’è una tendenza mondiale tra le persone che credono in una religione di sentire che sono un gruppo privilegiato, che portano con loro qualche garanzia in ghisa che il loro futuro è assolutamente sicura. Il concetto di « popolo eletto » non è in realtà confinata agli ebrei. Lo troviamo tra i cristiani, indù, musulmani e anche tra i buddisti militanti (una contraddizione in termini?).
Non è per noi qui a valutare altre credenze religiose. Ci limiteremo ai cristiani. Anche tra gli stessi cristiani non ci sono divisioni su chi viene scelto e sulla strada giusta. Basta ascoltare alcuni dei cristiani di Irlanda del Nord parlano l’uno dell’altro.
I cristiani hanno creduto per lungo tempo che loro e solo loro saranno, come si diceva, « salvato ». « Fuori della Chiesa non c’è salvezza » è stato un grido di battaglia per secoli e, se non andiamo errati, è ancora per un po ‘. Eppure era ben prima del Concilio Vaticano II che il gesuita Leonard Feeney è stato condannato dalla Santa Sede per negare la salvezza ai non cristiani.

Quanti saranno salvati?
Forse questo era ciò che Gesù ‘interrogante aveva in mente quando – nel brano evangelico di oggi – ha chiesto, « ? Ci sarà solo pochi salvati » La domanda riflette la convinzione di molti ebrei in Gesù’ di tempo che loro e solo loro erano di Dio  » popolo eletto « . Per loro che significava, da un lato, che i « pagani » e « non credenti », gente che non osservano la legge di Mosè, furono emarginati per essere respinti da Dio per sempre. La salvezza del popolo di Dio, però, era praticamente garantita, purché mantenuto la Legge.
Come spesso accade, Gesù non risponde direttamente alla domanda di suo Enquirer. Se non lo fa in realtà contatore con un’altra domanda, si parlerà in parabole o immagini. In ogni caso, il suo significato sarà chiaro a una mente aperta. Gesù parla oggi di venire attraverso una porta stretta e di un padrone di casa che si rifiuta di aprire la porta dopo che si è bloccato per la notte. Il fatto che coloro che bussano sostengono di essere compagni a lui noti non fargli cambiare idea. « Sei in ritardo e io non riconosci tu più ». Parole Terribile!
Quindi, in risposta alla domanda di una persona, Gesù non confermare o negare che solo pochi saranno salvati. Che lui non dice è che la salvezza non è garantito per nessuno. « Siamo i tuoi popolo eletto » non sarà sufficiente. Quello che Gesù sta dicendo è che nessuno, non importa chi siano, è una garanzia assoluta di essere salvati, di essere accettato da Dio. Nessuno si salva da rivendicare identità con un particolare gruppo o effettuando un particolare tag nome.

Messaggio è per tutti
Gesù non affatto dire che solo pochi saranno « salvati ». Tutta la spinta del Vangelo, e soprattutto del Vangelo secondo Luca che stiamo leggendo, è che Gesù è venuto a portare l’amore e la libertà di Dio per il mondo intero. Il messaggio del Vangelo è quella che non ci sia una sola persona, non un solo popolo, nazione, razza o classe, che sono esclusi dallo sperimentare l’amore e la liberazione che Dio offre.
Il ruolo primario della comunità cristiana non è mai stato sufficiente a garantire la « salvezza » dei propri membri. Non è la funzione della Chiesa di trasformare tutte le sue energie nel vedere che i suoi membri « salvarsi l’anima » e, talvolta, pregate per coloro che « tenebre di fuori ».
Il ruolo della comunità cristiana, dall’inizio fino ad oggi è prima di tutto per proclamare al mondo intero la Buona Novella dell’amore di Dio per il mondo, per condividere il messaggio del Vangelo su ciò che costituisce vivente reale con il mondo intero. Si spera anche che molti risponderanno al suo messaggio di vita attraverso una conversione della loro vita. La Chiesa tradisce completamente questo mandato quando si diventa ossessionato con la propria sopravvivenza e propri « diritti » e privilegi.
E non è solo un messaggio verbale, l’insegnamento orale di Gesù, che deve essere comunicato. Tutto il nostro stile di vita, individualmente e in comunità, come cristiani è di per sé di essere un proclama a tutti coloro che hanno fame di una vita di verità, di amore, di giustizia e di una maggiore condivisione, una vita di compassione e di sostegno reciproco, una fine alla solitudine e emarginazione, lo sfruttamento e la manipolazione … è che un quadro della comunità cristiana vi appartiene?

Come essere ‘salvato’?
Quante persone saranno salvati? Che cosa significa, « essere salvati »? Non è molto utile per buttare fuori il vecchio catechismo gergo di coloro che muore « in stato di grazia », ?? »senza peccato mortale sulle loro anime ». Cercando di metterla in termini più realistici, per essere « salvato » significa vivere e morire in un rapporto d’amore stretto con Dio e con gli altri. Si tratta di condividere la visione della vita che Gesù ha offerto a noi. E ‘semplice e difficile da fare. « Da questo saranno tutti sapete che siete miei discepoli che si amano l’un l’altro. » Per amarsi in nome e lo spirito di Gesù è davvero tutto ciò che è necessario per essere « salvato ».
Quanti, poi, sarà salvato? Nessuno lo sa, ma sicuramente è la volontà di Dio che dovrebbe essere molti. E, come la Scrittura dice spesso, non saranno frustrati i piani di Dio. Non sta a noi giudicare.

Una posizione abbellito
Ma veniamo più vicino a casa e guardare la seconda parte dell’insegnamento di Gesù ‘oggi. Per appartenere al Popolo di Dio (una frase usata dal Concilio Vaticano II), di appartenere alla comunità cristiana è, per molti versi, una, una posizione privilegiata graziato.
Se davvero parte di una comunità che condivide e spiega la Parola di Dio in un modo che mi aiuta a capire il significato più profondo della vita, se trovo conforto e sostegno – spirituale, emotivo, sociale e materiale – da quella comunità, poi mi sto benedetto davvero. Ma una tale grazia è anche una delle responsabilità.
Gesù esprime questo in diversi modi. Il cammino verso la vita è attraverso una « porta stretta ». Dal punto di vista del Vangelo, la porta verso la vita può essere riassunto nella parola « amore ». In un certo senso, l’amore è una parola onnicomprensiva in entrambi i suoi significati figurativi e letterale. Eppure, per guidare tutta la propria azione solo con l’amore è una scelta che molti non sono in grado di fare. Molti trovano estremamente difficile e molti semplicemente rifiutano. Preferiscono andare per la via più ampia (che pure la invocano « più umano ») di odio, risentimento, gelosia, competitività e vendetta.
Quanti di noi può affermare di essere riusciti a piedi la via stretta di amore incondizionato e incessante? Eppure, se falliamo in amore, che tipo di cristiani siamo? Noi meritiamo la ricompensa finale di fratelli e sorelle, discepoli, di Gesù?

Possibilità spaventosa
Quindi, quello che Gesù sta dicendo oggi è che molti di coloro che si considerano « cattolici » possono trovare la porta chiusa in faccia. Essi potranno sentire quelle parole terribili: « Io non ti conosco ». Come Gesù può non riconoscere qualcuno che è stato battezzato come cattolico e che è andato regolarmente a Domenica Messa? Perché queste persone a loro volta non hanno riconosciuto Gesù stesso a tutte quelle persone che possono avere odiati, risentiti, usato, sfruttato, manipolato, rifiutato, calpestato. « Ogni volta che non siete riusciti a farlo al più piccolo dei miei fratelli, lo avete dimenticato di farlo per me. »
Quando ci troviamo faccia a faccia con Dio – e speriamo – si può essere sorpresi che non c’è. Possiamo anche essere più sorpreso a coloro che ci sono: persone che abbiamo considerato come « pagani » (buddisti, induisti, musulmani), animisti, agnostici e persino atei, persone di altre razze che tendeva a disprezzare, la feccia della società. « La gente da est e ovest, da nord a sud, verranno a prendere posto al banchetto nel regno di Dio ».
Queste persone saranno nel Regno perché, qualunque cosa le etichette che abbiamo dato loro, erano a cuore amorevole, la cura e la condivisione di persone, persone che hanno vissuto la loro vita per gli altri come ha fatto Gesù. Queste persone Gesù riconoscerà. Facciamo in modo che egli sarà in grado di riconoscere a ciascuno di noi, anche. Che cosa intende fare oggi per essere sicuri che Gesù ti conosce?

25 AGOSTO 2013, 21A DOMENICA T.O. C : « SIGNORE, SONO POCHI QUELLI CHE SI SALVANO? »

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/12-13/05-Ordinario/Omelie/21-Domenica-2013_C/21-Domenica-2013_C-SC.html

25 AGOSTO 2013  | 21A DOMENICA – T. ORDINARIO C  |  APPUNTI ESEGESITICO-SPIRITUALI

« SIGNORE, SONO POCHI QUELLI CHE SI SALVANO? »

È piuttosto sconcertante la domanda di un anonimo a Gesù, mentre si sta dirigendo a Gerusalemme: « Signore, sono pochi quelli che si salvano? » (Lc 13,23). Non sappiamo se sia la richiesta di uno, troppo zelante, che si preoccupa di riservare solo alle persone « per bene » il regno dei cieli; oppure se sia la domanda angosciata di qualcuno davanti al disimpegno dei più circa i problemi fondamentali della salvezza.
Probabilmente si tratta di ambedue i casi, anche se inizialmente la domanda poteva riguardare soprattutto una certa sicurezza dei Giudei (« i primi ») di fronte ai pagani (« gli ultimi »): però, con l’andare del tempo, il problema si deve essere allargato e incominciò a implicare anche una certa perplessità circa le condizioni per ottenere la salvezza e il possibile « rischio » di perderla.
Attualizzando il messaggio evangelico, perciò, Luca invita i cristiani del suo tempo e tutti noi a rivedere il nostro « impegno » per la salvezza, perché non c’è alcuna sicurezza d’ingresso nel regno, per nessuno.

« Sforzatevi di entrare per la porta stretta »
Quasi tutti i loghia di questa pericope lucana ricorrono anche in Matteo, ma dispersi un po’ dappertutto e anche con significati alquanto diversi. Probabilmente Luca ha rispettato di più l’ordine originale dei detti, la cui idea fondamentale sembra essere il rifiuto di Israele e la chiamata dei pagani alla salvezza. Ma vediamo di analizzare il testo.
Prima di tutto è da notare la menzione esplicita del « cammino » di Gesù verso Gerusalemme, che scandisce il ritmo di questa parte del Vangelo di Luca: « Gesù passava per città e villaggi, insegnando, mentre era in cammino verso Gerusalemme » (13,22). Sappiamo che da 9,51 fino a 19,28 tutta la trama narrativa di Luca si svolge sotto il segno dell’andata di Gesù a Gerusalemme: questo contribuisce a dare alle sue parole un senso di maggiore urgenza e decisione, appunto perché è l’appello di uno che « passa » e non si sa se ritorna. In questo sfondo acquista più risonanza la domanda rivolta a Gesù se siano « pochi quelli che si salvano » (v. 23).
Un problema del genere era dibattuto anche nei circoli religiosi giudaici del tempo. I più ritenevano che, per il solo fatto di essere Giudei, si potesse avere sicurezza d’accesso al regno futuro. Così, per esempio, Rabbi Meir insegna che « può essere ritenuto un figlio del mondo futuro colui che abita nel paese d’Israele, parla la lingua santa, e recita mattina e sera la preghiera dello Shema’ ». Secondo alcuni gruppi apocalittici, invece, soltanto pochi si salverebbero: « Sono di più coloro che si perdono che non coloro che si salvano, come la corrente è più grande di una goccia » (4 Esdra 9,15).
Gesù sfugge volutamente da questa casistica, che avrebbe banalizzato il discorso. Non dice né se saranno pochi, né se saranno molti « quelli che si salvano »: lancia solo un appello alla decisione e con alcune immagini particolarmente espressive ne sottolinea l’urgenza: « Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete. Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità. Là ci sarà pianto e stridore di denti… » (vv. 24-28).
Il problema, dunque, non è di sapere quanti siano i salvati, ma di darsi da fare, di « sforzarsi » per entrare nel regno (v. 24). Le immagini della « porta stretta » e di uno spazio di tempo oltre il quale la porta verrà « chiusa » (vv. 24-25), intendono dire la difficoltà e l’urgenza dell’impegno cristiano: nessuno può perdere tempo o rimanere indeciso davanti a un’offerta così grande!
Se qualcuno rimarrà fuori (pochi o molti, non lo sappiamo), non avverrà perché capricciosamente « il padrone di casa » avrà deciso di chiudere la porta, ma solo perché non si è « sforzato » di fare il bene, illudendosi che bastasse solo avere avuto il privilegio di essere concittadino di Cristo, della sua stessa razza: « Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze » (v. 26). Nessuno è privilegiato davanti a Cristo, salvo colui che ha « operato » il bene: proprio il contrario di quegli « operatori d’iniquità » (v. 27), che Gesù dichiara di non « conoscere »!

« Alcuni tra gli ultimi saranno primi e alcuni tra i primi
saranno ultimi »
È evidente da tutto il contesto che qui si parla della sicurezza dei Giudei, che vantavano i loro privilegi (legge, circoncisione, elezione, ecc.) davanti ai pagani, forse anche nell’ambito della stessa Chiesa (cf At 15). Per Luca il discorso vale anche per i cristiani di tutti i tempi: anche per loro ciò che conta non è l’essere battezzati e neppure ricevere l’Eucaristia o essere costituiti in autorità nella Chiesa, ma adempiere gli impegni del proprio Battesimo e della propria specifica missione.
Tanto poco il numero di coloro che si salveranno è ristretto, come potrebbe apparire a una prima lettura del nostro brano, che la pericope evangelica si chiude con una visione universalistica: « Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi » (vv. 29-30).
È un altro colpo alla pretesa sicurezza dei Giudei: Dio chiamerà i salvati da tutte le nazioni e da tutti gli orizzonti; come del resto avevano predetto anche i Profeti. Si direbbe che Gesù ha il gusto di demolire tutti gli appoggi dell’uomo e le sue false sicurezze, perché finalmente riconosca che nessuno « si salva » da se stesso, ma che Dio solo salva, per grazia e per amore, guidando gli uomini per le sue « vie ».
Proprio per questo il « regno » sarà molto più grande di quanto neppure ci sappiamo immaginare! C’è solo da averne gioia, non invidia, come forse ne doveva provare l’anonimo interpellante del Vangelo. Ci saranno delle sorprese, però, in quel regno: « Alcuni tra gli ultimi saranno primi e alcuni tra i primi saranno ultimi » (v. 30). Questo, ovviamente, vale anche per i cristiani.

« Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue »
La prima lettura è precisamente uno di quei testi profetici, evocati dal precedente riferimento « universalistico » di Gesù. È la parte conclusiva del libro di Isaia che, in spiccato stile apocalittico, raccoglie il meglio di tutte le aspirazioni messianiche.
L’avvento messianico segnerà la riunione dei popoli nel tempio dell’unico vero Dio: « Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle genti, ai lidi lontani che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunzieranno la mia gloria alle nazioni. Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutti i popoli come offerte al Signore… Anche tra essi mi prenderò sacerdoti e leviti » (Is 66,18-21).
Mi sembra che in questo brano siano affermate almeno due cose. La prima è che Dio ormai apre le porte della salvezza non solo a tutti, ma addirittura fa « suo » popolo tutti i popoli della terra, prendendo da loro perfino « sacerdoti e leviti » per il culto (v. 21). La seconda è che questi « convertiti » si faranno a loro volta « missionari » e annunciatori delle « meraviglie » del Signore presso altri popoli: in tal modo il cerchio della salvezza si dilata e arriva fino agli estremi confini della terra per la cooperazione di coloro stessi che Dio ha salvato.
È la dimensione « missionaria » del popolo di Dio, convocato ormai da tutte le nazioni, che viene qui messa in evidenza. E non può non essere così!

La vocazione « missionaria » della Chiesa
Proprio perché la Chiesa è « cattolica », cioè aperta e destinata a « tutti », è essenzialmente missionaria, ha cioè « l’attitudine a estendersi a tutta la terra, a tutti comprendere, a inserirsi in ogni popolo e rendere fratelli tutti gli uomini. E ciò non certo come risultato di una sopraffazione d’un popolo sull’altro, d’una classe sociale su altra classe sociale, d’un totalitarismo inesorabile e intollerabile, che può nascere dall’unificazione forzata e artificiale dell’umanità, non più libera della libertà dei figli di Dio. Ma può sorgere solo dalla diffusione del « regno » loro aperto da Cristo, oltre l’orizzonte di questo mondo, il quale pure può derivare dalla cattolicità della Chiesa feconde e inesauribili sorgenti di temporale civiltà ».
Oggi noi sappiamo che la « missione » non è necessario andare a farla molto lontano, ma dobbiamo incominciare proprio da casa nostra. È evidente, infatti che viviamo in un’era « post-cristiana », come dicono molti studiosi, e bisogna ricominciare a « convertire » i battezzati. Di qui la priorità che deve riacquistare su tutto l’opera di « evangelizzazione »: è la « gloria » del Signore che anche noi, come dice Isaia, dobbiamo annunziare (v. 19) alla nostra generazione, che incomincia ormai a essere disillusa della « gloria » che i progressi tecnici e scientifici e il diffuso benessere le avevano suggerito di ricercare invece solo in se stessa.
« La cultura tardo-medioevale aveva come centro motore la visione della Città di Dio; la società moderna si è costituita perché la gente era mossa dalla visione dello sviluppo della Città Terrena del Progresso. Nel nostro secolo, tuttavia, questa visione è andata deteriorandosi, fino a ridursi a quella Torre di Babele che ormai comincia a crollare e rischia di travolgere tutti nella sua rovina ».
Solo una comunità di fede e di amore come è la Chiesa, che si pone a servizio di tutti per tutti « salvare », e non soltanto alcuni, come pensava l’anonimo interrogante del Vangelo, può costituire l’alternativa valida a questa nuova « torre di Babele », che certamente Isaia ha tenuto presente nel descriverci il quadro messianico di universalità e di fraternità degli ultimi tempi (cf Gn 10 e Is 66,19), in contrasto con lo spirito di divisione che Babele ha sempre rappresentato.

 Da: CIPRIANI S., Convocati dalla Parola.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 23 août, 2013 |Pas de commentaires »

Beata Vergine Maria Regina

Beata Vergine Maria Regina dans immagini sacre 129_Queenship_1

http://www.traditioninaction.org/SOD/j129sdQueenship_4-31.htm

Publié dans:immagini sacre |on 22 août, 2013 |Pas de commentaires »

BENEDETTO XVI: BEATA VERGINE MARIA REGINA (22 AGOSTO)

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2012/documents/hf_ben-xvi_aud_20120822_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

CORTILE DEL PALAZZO APOSTOLICO DI CASTEL GANDOLFO

MERCOLEDÌ, 22 AGOSTO 2012

BEATA VERGINE MARIA REGINA (22 AGOSTO)

Cari fratelli e sorelle,

ricorre oggi la memoria liturgica della Beata Vergine Maria invocata con il titolo: “Regina”. E’ una festa di istituzione recente, anche se antica ne è l’origine e la devozione: venne stabilita, infatti, dal Venerabile Pio XII, nel 1954, al termine dell’Anno Mariano, fissandone la data al 31 maggio (cfr Lett. enc. Ad caeli Reginam, 11 octobris 1954: AAS 46 [1954], 625-640). In tale circostanza il Papa ebbe a dire che Maria è Regina più che ogni altra creatura per la elevazione della sua anima e per l’eccellenza dei doni ricevuti. Ella non smette di elargire tutti i tesori del suo amore e delle sue premure all’umanità (cfr Discorso in onore di Maria Regina, 1° novembre 1954). Ora, dopo la riforma post-conciliare del calendario liturgico, è stata collocata a otto giorni dalla solennità dell’Assunzione per sottolineare lo stretto legame tra la regalità di Maria e la sua glorificazione in anima e corpo accanto al suo Figlio. Nella Costituzione sulla Chiesa del Concilio Vaticano II leggiamo così: «Maria fu assunta alla gloria celeste e dal Signore esaltata come Regina dell’universo, perché fosse più pienamente conformata al suo Figlio» (Lumen gentium, 59).
E’ questa la radice della festa odierna: Maria è Regina perché associata in modo unico al suo Figlio, sia nel cammino terreno, sia nella gloria del Cielo. Il grande santo della Siria, Efrem il Siro, afferma, circa la regalità di Maria, che deriva dalla sua maternità: Ella è Madre del Signore, del Re dei re (cfr Is 9,1-6) e ci indica Gesù quale vita, salvezza e speranza nostra. Il Servo di Dio Paolo VI ricordava nella sua Esortazione apostolica Marialis Cultus: «Nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo e tutto da lui dipende: in vista di lui Dio Padre, da tutta l’eternità, la scelse Madre tutta santa e la ornò di doni dello Spirito, a nessun altro concessi” (n. 25).
Ma adesso ci domandiamo: che cosa vuol dire Maria Regina? E’ solo un titolo unito ad altri, la corona, un ornamento con altri? Che cosa vuol dire? Che cosa è questa regalità? Come già indicato, è una conseguenza del suo essere unita al Figlio, del suo essere in Cielo, cioè in comunione con Dio; Ella partecipa alla responsabilità di Dio per il mondo e all’amore di Dio per il mondo. C’è un’idea volgare, comune, di re o regina: sarebbe una persona con potere, ricchezza. Ma questo non è il tipo di regalità di Gesù e di Maria. Pensiamo al Signore: la regalità e l’essere re di Cristo è intessuto di umiltà, di servizio, di amore: è soprattutto servire, aiutare, amare. Ricordiamoci che Gesù è stato proclamato re sulla croce con questa iscrizione scritta da Pilato: «re dei Giudei» (cfr Mc 15,26). In quel momento sulla croce si mostra che Egli è re; e come è re? soffrendo con noi, per noi, amando fino in fondo, e così governa e crea verità, amore, giustizia. O pensiamo anche all’altro momento: nell’Ultima Cena si china a lavare i piedi dei suoi. Quindi la regalità di Gesù non ha nulla a che vedere con quella dei potenti della terra. E’ un re che serve i suoi servitori; così ha dimostrato in tutta la sua vita. E lo stesso vale per Maria: è regina nel servizio a Dio all’umanità, è regina dell’amore che vive il dono di sé a Dio per entrare nel disegno della salvezza dell’uomo. All’angelo risponde: Eccomi sono la serva del Signore (cfr Lc 1,38), e nel Magnificat canta: Dio ha guardato all’umiltà della sua serva (cfr Lc 1,48). Ci aiuta. E’ regina proprio amandoci, aiutandoci in ogni nostro bisogno; è la nostra sorella, serva umile.
E così siamo già arrivati al punto: come esercita Maria questa regalità di servizio e amore? Vegliando su di noi, suoi figli: i figli che si rivolgono a Lei nella preghiera, per ringraziarla o per chiedere la sua materna protezione e il suo celeste aiuto, dopo forse aver smarrito la strada, oppressi dal dolore o dall’angoscia per le tristi e travagliate vicissitudini della vita. Nella serenità o nel buio dell’esistenza, noi ci rivolgiamo a Maria affidandoci alla sua continua intercessione, perché dal Figlio ci possa ottenere ogni grazia e misericordia necessarie per il nostro pellegrinare lungo le strade del mondo. A Colui che regge il mondo e ha in mano i destini dell’universo noi ci rivolgiamo fiduciosi, per mezzo della Vergine Maria. Ella, da secoli, è invocata quale celeste Regina dei cieli; otto volte, dopo la preghiera del santo Rosario, è implorata nelle litanie lauretane come Regina degli Angeli, dei Patriarchi, dei Profeti, degli Apostoli, dei Martiri, dei Confessori, delle Vergini, di tutti i Santi e delle Famiglie. Il ritmo di queste antiche invocazioni, e preghiere quotidiane come la Salve Regina, ci aiutano a comprendere che la Vergine Santa, quale Madre nostra accanto al Figlio Gesù nella gloria del Cielo, è con noi sempre, nello svolgersi quotidiano della nostra vita.
Il titolo di regina è quindi titolo di fiducia, di gioia, di amore. E sappiamo che quella che ha in mano in parte le sorti del mondo è buona, ci ama e ci aiuta nelle nostre difficoltà.
Cari amici, la devozione alla Madonna è un elemento importante della vita spirituale. Nella nostra preghiera non manchiamo di rivolgerci fiduciosi a Lei. Maria non mancherà di intercedere per noi presso il suo Figlio. Guardando a Lei, imitiamone la fede, la disponibilità piena al progetto d’amore di Dio, la generosa accoglienza di Gesù. Impariamo a vivere da Maria. Maria è la Regina del cielo vicina a Dio, ma è anche la madre vicina ad ognuno di noi, che ci ama e ascolta la nostra voce. Grazie per l’attenzione.

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