1 SETTEMBRE 2013 – 22A DOMENICA – T. ORDINARIO C: « CON UNA CARITÀ UMILE »

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 1 SETTEMBRE 2013  |  22A DOMENICA – T. ORDINARIO C  | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

« CON UNA CARITÀ UMILE »

Mi ritorna spesso alla mente la figura d’un vescovo al quale fui molto vicino nei nove anni che fu a guida della diocesi di Fossano, mons. Angelo Soracco. Quante volte, meditando sul motto da lui scelto per il suo stemma episcopale – « Humili caritate » – mi veniva spontaneo dire fra me: sono due parole che esprimono a meraviglia lo spirito che informa tutto il comportamento e l’azione del mio vescovo. Non so se egli avesse desunto questo motto programmatico da un altro grande vescovo che lo aveva caro e che lo realizzò meravigliosamente, s. Agostino. Non troviamo queste precise parole nelle letture bibliche di questa domenica, ma vi troviamo il senso profondo, norma di vita per chiunque voglia seguire Gesù.

Umiltà e modestia
La 1ª lettura presenta, dal libro del figlio di Sirach (il « Siracide » o l’ »Ecclesiastico »), una breve scelta di massime che inculcano l’umiltà, l’attenzione alla parola del saggio, l’elemosina. Un’esortazione alla modestia e all’umiltà: « Nella tua attività sii modesto » poi « quanto più sei grande, tanto più umiliati ». Una promessa: « Sarai amato dall’uomo gradito a Dio »; poi « così troverai grazia davanti al Signore, perché dagli umili egli è glorificato ». L’esortazione ritorna nelle parole di Gesù, nelle quali già s. Ambrogio, commentando questa pagina del Vangelo, notava come all’insegnamento sull’umiltà si collega da vicino il richiamo alla carità.
Gesù espone una « parabola », cioè un insegnamento dato in modo indiretto, con un paragone preso dalla vita di tutti i giorni, prima in forma negativa: « Non metterti al primo posto », poi in forma positiva: « Va’ a metterti all’ultimo posto ». Anche qui segue la motivazione: primo, evitare una brutta figura; poi, essere onorato da tutti i commensali. Esito negativo e positivo sono compendiati in una massima scultorea: « Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato ». Chiunque abbia una conoscenza, anche sommaria e superficiale, della Parola di Dio, sa come sia frequente in essa la riprovazione della superbia, in tutte le sue forme, e come l’umiltà, nei rapporti con Dio e con il prossimo, sia raccomandata quale disposizione essenziale per chi vuole avvicinarsi al Signore. Ma più d’ogni esortazione, promessa o minaccia, dovrebbe valere per il cristiano l’esempio di Gesù presentato da Paolo, che riprende probabilmente un inno in uso nella comunità primitiva: « Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini: apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce » (Fil 2,5-8). Anche per Gesù, all’umiliazione segue l’esaltazione: « Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre » (Fil 2,9-11).
L’ »esaltazione », il premio promesso a chi è umile e modesto, fa arricciare il naso a qualcuno, che ci vede una morale interessata e in fondo egoista. Ma sarà bene notare che premio dell’umiltà è l’apertura all’amore di Dio e degli uomini: « Sarai amato dall’uomo gradito a Dio… troverai grazia davanti al Signore », e che tutto torna a gloria di Dio: « Dagli umili egli è glorificato », come la proclamazione che « Gesù è il Signore » è « a gloria di Dio Padre ». In fondo è sempre l’amore che conta; ora l’umiltà è frutto di amore e via all’amore.

« Invita i poveri »
Del resto, proprio in queste pagine l’esortazione all’umiltà non si può disgiungere dall’invito all’amore, alla carità. « Con umile carità ». Nella 1ª lettura, dove si dice: « L’acqua spegne un fuoco acceso, l’elemosina espia i peccati », non occorre vedere un nesso poiché i detti del saggio si susseguono senza un rigoroso filo logico. Ma nelle parole di Gesù è naturale scorgere un’integrazione di quanto ha detto prima nell’insegnamento rivolto « a colui che l’aveva invitato ». Abbiamo qui un’espressione di quella legge dell’amore che, mentre deve abbracciare tutti senza eccezione, riserva le sue preferenze per i più piccoli, per quelli che hanno più bisogno. « Poveri, storpi, zoppi, ciechi »: la corte dei miracoli. L’esemplificazione è eloquente, l’insegnamento è chiaro. L’invito rivolto ai parenti, agli amici, ai ricchi vicini, è troppo facilmente un invito interessato, come ci suggerisce il nostro proverbio: « ‘L pan mol l’è bôn a rendi – il pane fresco è buono a rendere », mentre non c’è pericolo che l’invito venga ricambiato dai « poveri, storpi, zoppi, ciechi ». Ma la ricompensa verrà dal Signore, e sarà ben più grande, « alla risurrezione dei giusti ». Vogliamo persuaderci che più di tutti i successi e le ricompense terrene vale quella che ci attende nel cielo?
Nel salmo Dio stesso è presentato come l’amico e il benefattore dei poveri: « Padre degli orfani e difensore delle vedove è Dio nella sua santa dimora. Ai derelitti Dio fa abitare una casa, fa uscire con gioia i prigionieri ». È un invito a riconoscerci poveri e ad amare i poveri.
Amarli col cuore e con le opere. Domandarci in qual modo li possiamo aiutare veramente, i vicini e i lontani. Anche con l’ »elemosina », intesa nel senso originario della parola, come atto o dono ispirato da una vera partecipazione alla sofferenza del povero, ma soprattutto nelle forme concrete suggerite dalla situazione in cui viviamo: pagare le imposte secondo il dovuto, riconoscere i diritti e le giuste rivendicazioni di quelli che stanno all’ultimo posto, prendere parte, ciascuno secondo la sua vocazione e le sue possibilità, alla vita politica e amministrativa della comunità. Partecipiamo nella Messa alla « adunanza festosa » di tutta la Chiesa, quella della terra e quella del cielo, evocata dalla lettera gli Ebrei, ci accostiamo « al Mediatore della Nuova Alleanza », Gesù, « sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche… presente nel sacrificio della Messa sia nella persona del ministro, « egli che, offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti », sia soprattutto sotto le specie eucaristiche… presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura… presente, infine, quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: « Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro » (Mt 18,20) » (Sacrosanctum Concilium, 7).
L’ »umile carità » ci farà prendere parte con gioia e con frutto, in comunione di fede e di amore, alla nostra celebrazione, nella quale « partecipiamo, pregustandola, alla liturgia celeste [di cui parla la lettera agli Ebrei], che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro dei santi e del vero tabernacolo; con tutte le schiere della milizia celeste cantiamo al Signore l’inno di gloria » (Sacrosanctum Concilium, 8).

Da: PELLEGRINO M., Servire la Parola,

Publié dans : OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |le 30 août, 2013 |Pas de Commentaires »

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