I VIAGGI DI SAN PAOLO IN GRECIA ASPETTI ARCHEOLOGICI
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I VIAGGI DI SAN PAOLO IN GRECIA ASPETTI ARCHEOLOGICI
di Maria Cristina Ricci
tratto dal sito www.instoria.it
La cronologia relativa a San Paolo è stata oggetto di svariati studi, ed ancora oggi gli esegeti non sono del tutto concordi; nel testo è stata seguita la datazione proposta da R. Fabris, che colloca il secondo viaggio missionario di San Paolo negli anni 50-52 d.C.; A. Penna propone una cronologia compresa tra gli anni 50-53 d.C., mentre M. Adinolfi tra il 49 ed il 52 d.C. Il viaggio si svolse per terra e per mare.
Tra le strade percorse da Paolo va ricordata la via Egnazia. Costruita con chiari intenti militari, da Apollonia-Dyrrachion attraversava i Balcani, toccando in Macedonia Eraclea, Edessa, Pella, quindi i centri interessati dal viaggio di san Paolo, da Tessalonica a Neapoli. Superata la Tracia, la strada giungeva fino all’Ellesponto e a Bisanzio. La sua cronologia è ancora motivo di discussione: F.W. Walbank ritiene possibile che la strada sia stata costruita qualche anno dopo la riduzione a provincia della Macedonia (146 a.C.). Al contrario G. Molisani tende ad alzare la cronologia agli anni immediatamente successivi al 168 a.C., quando i Romani sconfissero Perseo, in base a due iscrizioni che riportano il nome di Cn. Egnatius: la prima, scoperta a Corinto sul basamento di una statua, secondo Molisani è precedente al 146 a.C. (anno in cui Corinto fu distrutta), la seconda, trovata a Lucus Feroniae, è di età repubblicana (lo studioso pur con qualche incertezza suggerisce di sciogliere l’abbreviazione PR PR di quest’ultima iscrizione con praetor proconsole; anche se gli ex pretori potevano governare province di media importanza, va però detto che questo scioglimento è piuttosto insolito). F.W. Walbank tuttavia non accetta una datazione così alta e ritiene più plausibile che il Cn. Egnatius della strada omonima sia stato, nel 145 a.C., il diretto successore di Metellus Macedonicus, primo governatore della provincia macedone. Inoltre non è escluso che la persona citata nell’epigrafe di Corinto abbia vissuto in questa città anche dopo il 168, periodo in cui avrebbe comunque potuto offrire i propri servizi a L. Antonius Damonicus, i cui figli fecero costruire la statua dedicatoria.Anche sull’interpretazione di PR PR data da G. Molisani lo studioso ha sollevato alcuni dubbi, notando che il miliario scoperto a Gallico, in cui compare il nome di Cn. Egnatius, presenta l’abbreviazione PRO COS (proconsul), che, in base a quanto riportato, andrebbe sciolta come praetor proconsule, dando luogo ad una evidente forzatura.Per Aik. Romiopoulou Cn. Egnatius appartenne alla tribù Stellatina, rivestendo la carica di proconsole tra gli anni 146 e 120 a.C.; St. Samartzidou, che ha esaminato un altro miliario trovato ad Amygdaleon, con un’iscrizione bilingue in cui compare il nome di Cn. Egnatius, si limita a presentare le varie ipotesi avanzate dai suoi predecessori.Il viaggio di Paolo per Atene invece si svolge per mare, probabilmente partendo da Pidna o da Dium; è probabile che la rotta abbia costeggiato la Tessaglia passando successivamente per il mare Euboicum attraverso lo stretto dell’Euripo e doppiando il Capo Sunio. Molte fonti attestano il passaggio delle navi attraverso lo stretto dell’Euripo, nonostante fosse largo solo 60 m. e le sue correnti, in base alla testimonianza di Strabone, Seneca, Plinio e Pomponio Mela, cambiassero frequentemente corso di giorno e di notte; anche il Casson sostiene che San Paolo lo abbia attraversato. Di diverso avviso è il Fabris, che considerando la pericolosità di questo tratto di mare, ha ipotizzato che l’Apostolo sia passato al largo dell’Eubea. Da Atene a Corinto, mancando elementi interni al testo che indichino un viaggio per nave, forse Paolo seguì un tratto della via Sacra e la via Scironiana; da questa strada, attraversato il Diolkos, si poteva raggiungere Corinto da nord, passando per il porto del Lechaion, oppure da sud, superando Isthmia e Kenkreai.Il viaggio in Asia Minore si era concluso con l’imbarco da Troade in Frigia alla volta della Macedonia, dove San Paolo ed il suo seguito approdano dopo aver oltrepassato Samotracia. Neapoli (At. 16,11) Il porto che li accoglie è quello di Neapoli, punto di scalo della più importante Filippi, ad esso collegata dalla Via Egnazia; questo centro portuale, tappa di passaggio per Paolo, non ha lasciato grandi tracce della sua passata esistenza (At. 16,11; sul suo sito è sorta l’odierna Kavala, la cui presenza non ha permesso di condurre in quest’area opportune indagini archeologiche).Al contrario, lungo il tratto di strada di circa 12 miglia che unisce l’antica Neapoli a Filippi, nella località di Vassilaki vicina al villaggio di Amygdaleonas, sono stati riportati alla luce i resti di una fonte e di alcuni pozzi, identificabili con la statio Fons co; segnalata nella Tabula Peutingeriana tra Filippi e Neapoli col disegno stilizzato di un tempio; per i Levi indicava la presenza di alloggi per i viandanti, mentre per Bosio un importante centro culturale che avesse anche la funzione di mansio.
La via Egnazia da Neapoli si dirigeva verso ovest, lungo un percorso che fu successivamente ripreso in età medievale dalla strada lastricata del monastero di San Silas; attraversato lo stretto passaggio tra le pendici del monte Symbolon la strada girava intorno ad una collina fortificata, ai cui piedi sono stati trovati i resti della fonte, superava l’odierna Amygdaleon per proseguire nella piana di Filippi con orientamento SudEst-NordOvest. Filippi (At. 16,12-40) All’altezza della località Megalo Lithari, dove fu eretto il monumento al legionario Gaio Vibio Quarto e dove la presenza di una fonte aveva inizialmente portato a credere che qui si trovasse Fons CO, la strada piegava bruscamente ad angolo retto e si dirigeva ad ovest, nella città di Filippi, che sorgeva al centro di una zona molto fertile, ricca di fiumi e ruscelli; oggi la sua posizione è messa in evidenza da un’ansa piuttosto accentuata della strada Kavala-Dramas, a circa 12 km a nord di Kavala. Dalla grande Porta di Neapoli, difesa da due torri avanzate, la Via Egnazia, passando lungo il lato settentrionale del foro, attraversava la città della quale era l’asse urbano principale. Qui San Paolo inizia a diffondere il nuovo Credo, rivolgendosi soprattutto alla comunità ebraica del posto che, per celebrare i propri riti (il luogo di preghiera probabilmente era un recinto a cielo aperto), si riuniva il sabato fuori da Filippi oltre la porta occidentale, nei pressi di un fiume (At.16,13). Probabilmente i Giudei non volevano celebrare i loro riti in un ambiente in cui prevalevano i culti pagani; inoltre non è da escludere che questa comunità fosse talmente piccola da non potersi permettere di costruire una sinagoga. Durante il suo regno Claudio aveva emanato una legge secondo cui gli ebrei, a causa dei recenti tumulti che avevano causato, non potevano risiedere a Roma; è possibile che qualche colonia abbia seguito l’esempio della capitale. La frase “Venuto il sabato, andammo fuor di porta, presso al fiume, dove pareva che fosse il luogo della preghiera” si riferisce con ogni probabilità ad una porta, identificata da alcuni con una volta monumentale, ancora esistente ai tempi di Collart, che sorgeva presso le sponde del fiume Angites. L’arco, dalle linee semplici e a fornice singolo, era stato costruito sulla linea del pomerium; la zona compresa tra questo e la cinta muraria era considerata sacra. Tuttavia, se lo si confronta con monumenti simili (ad es. ad Aosta e a Gerasa) si nota che in genere la loro distanza dalle mura non supera i 400 m, mentre in questo caso raggiunge i 2 km.; di conseguenza Frothingham ha considerato il monumento di Filippi un arco territoriale che
marcava la zona rurale della città, non quella urbana.Secondo altri studiosi invece questo monumento commemorava la battaglia di Filippi che in effetti si era svolta nelle vicinanze, mentre Koukouli-Khrysantaki identifica più semplicemente l’arco con la porta occidentale della città, e riconosce nel fiume citato uno dei tanti ruscelli che scorrono nel territorio di Filippi; tuttavia ogni ipotesi presentata non ha avuto finora conferma, quindi la questione è ancora aperta. Invece sulla presenza di ebrei a Filippi è stata scoperta di recente, presso il cimitero ovest, una stele molto interessante, che conferma l’esistenza di questa comunità. Si tratta di una lastra in marmo locale, la cui larghezza diminuisce verso la base, lavorata rozzamente, priva di cornice, con sommità curva. Le numerose scheggiature presenti lungo i bordi, specialmente quelle sul lato sinistro e sulla sommità, non impediscono la lettura dell’epigrafe greca che al primo rigo è preceduta da una foglia d’edera. Le dimensioni sono: altezza 90 cm, larghezza alla sommità 70 cm, larghezza alla base 58 cm; lo spessore varia dai 10 ai 15 cm; le dimensioni delle lettere hanno un’altezza tra i 3 ed i 5,5 cm. Catalogazione: trovata nel cimitero occidentale di Filippi, è oggi conservata nel museo della città.
NIKOSTRATO
AUR.OCUCOLIOS
EAUTO KATASKEU
BASA TO CAMWSO
RON TOUTW. OS AN DE
ETERWN NEKUN KATAQE
SE DWSIPROSTEIMOU THSU
NAGWGH Q MR
“Nikostratos Aurelios Oxycholios stesso ha costruito questa tomba. Se qualcuno vi deporrà il cadavere di altri pagherà una multa alla sinagoga”.Dallo studio dei nomi di vari ebrei stabilitisi in Grecia è emerso che era piuttosto comune usare la lingua e l’onomastica greca (Nikostratos Oxycholios) oltre al gentilicium romano (Aurelios); tuttavia ciò non dimostra che questa minoranza si fosse integrata con la gente del posto.
In particolare l’analisi del nome ricordato nella stele permette la datazione della tomba, poiché il gentilicium indica una data non antecedente al 212 d.C., anno dellaConstitutio Antoniniana, e il cognomen greco Oxycholios compare solo a partire dal III sec. d.C. Di conseguenza la tomba è d’epoca posteriore al viaggio di San Paolo, ma costituisce una testimonianza tangibile dell’esistenza a Filippi di una comunità ebraica nel III sec. La predicazione in questa città si rivelò fruttuosa e portò alla conversione di Lidia, una commerciante di porpora, e della sua famiglia (At. 16,14). La guarigione di una schiava posseduta, che aveva la facoltà di predire il futuro, fu per i padroni motivo di profondo risentimento nei confronti di San Paolo, a tal punto che lo condussero nella pubblica piazza affinché fosse giudicato dai capi della città. L’agorà cui si fa riferimento nel testo greco (At.16,18) oggi presenta solo resti di fase antonina; le indagini di scavo hanno mostrato che alcuni edifici pubblici, tutti orientati a NordEst-SudOvest, sono stati rifondati, con le stesse funzioni ma con un’architettura più imponente, sullo stesso sito
occupato dalle strutture preesistenti.Il lato occidentale della piazza aveva carattere prevalentemente amministrativo, quello orientale era dedicato al culto dell’imperatore e della sua famiglia, mentre lungo il lato meridionale erano disposte delle botteghe. Il lato settentrionale infine era chiuso da una fila di monumenti che fiancheggiavano la tribuna degli oratori, o bema, formato da una struttura indipendente (infatti non era il prolungamento del pronao di un tempio, né dipendeva da una scalinata anteriore) addossata alle mura del Foro e alla strada, in modo da dominare così tutta l’area della piazza. Secondo alcuni Paolo fu giudicato proprio di fronte al bema, sebbene altri propongano di cercare il luogo del processo tra gli edifici del lato occidentale dell’agorà, dove, nell’angolo NordOvest, è stata localizzata la curia, sede degli strategoi o archontes, cui era affidato il compito di giudicare i reati di tradimento e di impietas (asebeia, capo di accusa contro Paolo secondo la voce del popolo). Anche questa struttura fu ricostruita nel II secolo d.C. nello stesso sito occupato durante la fase giulio-claudia. Nell’area centrale del foro si ergevano numerosi monumenti e statue dedicati a cittadini di rilievo(vedi ad esempio l’iscrizione per M. Lollius di I sec. a.C.), ad antichi re traci (vedi l’iscrizione per Roemitalces, che si schierò con Roma per reprimere varie ribellioni sviluppatesi in Tracia nel corso del primo trentennio del I sec. d.C.) e ad imperatori tra cui spiccano un ritratto di marmo in onore del giovane Ottaviano o di Gaio Cesare, risalente ai primi venti anni del I sec. d.C., ed un altro di Lucio Cesare, dello stesso periodo. Con le loro accuse i padroni della schiava riuscirono a far rinchiudere in prigione Paolo e Sila (At.16,23), finché un terremoto di notevole intensità, verificatosi nella notte, non convinse i capi a liberare i due prigionieri, che nel frattempo avevano reso noto il loro stato di cittadini romani (At.16,26). Per lungo tempo è stata identificata con la prigione una struttura romana, probabilmente una cisterna, inglobata nel cortile rettangolare che precedeva l’atrio della Basilica A (V sec.); la presunta prigione diventò luogo di culto cristiano dal periodo in cui vennero distrutte la Basilica A e l’Ottagono (fine VI – inizi VII sec.), come attestano gli affreschi lì ritrovati. Recentemente M. Torelli ha ipotizzato che in origine il cortile appartenesse a un tempio romano orientato come l’ala occidentale del Foro, con cui comunicava tramite la scalinata collegata con l’arco d’ingresso e visibile davanti alla cisterna. Ch. Koukouli Chrysantaki sostiene che la cisterna fosse annessa ad un edificio romano inglobato nel complesso della Basilica A, insieme ad un altro edificio esistente ai tempi di Paolo, un piccolo tempio formato da un pronaos ed una cella e costruito in marmo (probabilmente questo edificio templare risale al IV sec. a.C., ed era connesso con il culto di Filippo II, come fa supporre un’iscrizione riutilizzata in un muro della basilica). Ripreso il viaggio, Paolo e Sila si diressero verso la città di Tessalonica; il percorso della Via Egnazia a questo punto attraversava il ponte scoperto nei pressi del villaggio di Mavrolefki e la piana di Filippi fino alla mutatio ad Duodecimum, citata solo nell’Itinerarium Hierosolymitanum, 604,2, ed individuata tra la stazione ferroviaria di Fotalivi e il raccordo con la strada Eleutheropolis – Drama.A questo punto, arrivata alle pendici settentrionali del monte Pangeo, la strada formava un arco e raggiungeva la mutatio Domerus (il cui nome è la forma corrotta della parola doberus (“castello” in macedone). Il sito di questa tappa potrebbe trovarsi presso il moderno villaggio di Straviki (Draviskos). Anfipoli (At. 17,1) Da qui la strada, dirigendosi a sud, conduceva direttamente ad Anfiboli sorta su una collina (154 m s.l.m.) sulla riva destra della grande ansa che il fiume Strymon forma poco prima di sfociare nel Golfo di Orfani. Questo centro è citato in At. 17,1, come semplice punto di passaggio: il tratto meridionale delle mura cittadine presenta un’interessante porta rinforzata con una torre rettangolare all’interno ed una simile all’esterno, separate da un cortile: in età augustea la porta fu restaurata, secondo quanto riportato dalle iscrizioni di due basamenti di statue poste ai suoi lati. Forse questa porta costituiva l’uscita dalla città della via Egnazia, che entrava ad Anfipoli da nord, probabilmente in corrispondenza con il ponte ligneo tramite cui nel 424 a.C. Brasida riuscì a penetrare nella periferia della città e a conquistarla. Prima di giungere alla città di Tessalonica la Via Egnazia passava per le tappe Pennanae Perpidis , forse identificabile con l’Argilo citata da Erodoto, oggi individuata presso Asprovalta; da qui la
strada costeggiava il golfo fino alla moderna Kato Stavròs per poi penetrare nell’entroterra e arrivare aPeripidis (nelle strette vicinanze di Rendìna), situata sulle coste orientali del lago Volvi (l’antico Bolbe), e ritenuta il luogo dove fu sepolto Euripide (la parola Peripidis è una forma corrotta per Euripidis). Apollonia (At. 17,1) Sulle coste meridionali del lago sorgeva Apollonia, altro punto di passaggio nel viaggio missionario di San Paolo (At.17,1); la situazione di questa città è unica tra tutte quelle ricordate, perché non è ancora stata individuata con certezza la sua posizione, sebbene si siano susseguite numerose ricerche nel corso degli anni, dalla fine del secolo XIX ad oggi; in base agli studi più recenti il sito potrebbe essere localizzato nella zona compresa tra i fiumi Megalo Reuma e Cholomontas Reuma (gli antichi Amnites ed Olinthiakos), lungo la strada Apollonia – Marathousa, dove sono stati trovati sia frammenti ceramici risalenti all’età classica ed ellenistica, sia i resti di una cinta muraria. Tessalonica (At. 17,1-9) La Via Egnazia, proseguendo il suo percorso, raggiungeva Herakleustibus sorta a metà strada tra i laghi Volvi e Koronia, dove oggi sorge il villaggio di Stivos. Oltrepassati questi siti arrivava a Melissurgin (Aghios Vassilikos), presso le coste sud-occidentali del Lago Koronia; quindi la strada si dirigeva a nord fino a Duodecimum oDuodea, che probabilmente si trovava nella zona compresa tra i villaggi di Laina e Kisla.Con una larga curva la strada girava verso sud entrando nella città di Tessalonica, l’ultima delle tappe citate negli Atti raggiungibili tramite la via consolare romana.La via Egnazia collegava la Porta Cassandreotica (Porta Calamaria) ad est con la Porta d’Oro (oggi Porta Vardar) ad ovest, probabilmente lungo il tracciato di una strada urbana di età ellenistica. Nella città esisteva una fiorente comunità ebraica, cui facevano riferimento tutti i Giudei di questa zona della Macedonia. San Paolo si diresse subito tra loro e per tre sabati predicò nella sinagoga (At. 17,2).Il successo riscosso soprattutto tra i greci e tra le nobildonne del posto causò una violenta ribellione tra i Giudei, che decisero di portare di fronte ai capi della città Sila e Paolo; non avendoli trovati a casa di Giasone, che li aveva ospitati, portarono lui ed altri cristiani davanti al popolo (At. 17,5). Della sinagoga e della casa di Giasone, come di numerosi edifici citati da altre fonti, non sono state rinvenute tracce, mentre alcuni saggi di scavo nell’agorà tardo romana condotti al di sotto del lastricato pavimentale hanno riportato alla luce una statua di Atlante tardo ellenistica e frammenti ceramici di età poco precedente, che documentano l’esistenza della fase ellenistica dell’agorà. Non mancano testimonianze risalenti ad età repubblicana: ad Ovest dell’agorà si apre uno spazio libero in cui probabilmente in età romana fu edificato un luogo di culto imperiale, come attestato da una statua di Augusto venuta alla luce nel 1939; inoltre in una casa di Via dell’Olimpo è stata scoperta un’iscrizione del 60 a.C. In base a quanto riportato da Cicerone, che visse per un certo periodo a Tessalonica, c’era un Quaestorium di cui non si sa nulla, come sono sconosciuti il palazzo e la piazza con un tesoro seppellito al centro di cui parla Diodoro Siculo; secondo Vickers si potrebbe ipotizzare che il palazzo fosse quello di Filippo V, il quale trascorse gli ultimi anni della sua vita a Tessalonica. La notte dello stesso giorno in cui Giasone ed i cristiani che con lui erano stati portati a giudizio vennero liberati, Paolo e Sila furono costretti a riprendere il loro viaggio verso Berea. Berea (At. 17,10-14) La prima parte del viaggio per questa città si svolgeva ancora lungo la via Egnazia, che superava le tappe ad Decimum e Gephyra , stazione al ponte sul fiume Axios, fino all’altezza dell’odierna Nea Khalkhidon da dove partiva un’antica strada che si dirigeva a SudOvest verso Berea ed Atene, stazione che si potrebbe localizzare nelle prossimità del villaggio di Yefira, che si affaccia sulla riva occidentale destra del fiume, oppure sulla sponda sinistra, nel punto in cui passa la ferrovia da Belgrado. La presenza di una fiorente città moderna, Veria, sorta su quella antica, ha reso praticamente impossibile la scoperta di strutture. Abbiamo invece numerose epigrafi. A Berea le parole di San Paolo ricevono un’ottima accoglienza tra alcune nobildonne del posto e tra i Giudei che frequentavano la sinagoga; l’eco di questo successo giunge fino a Tessalonica, dove coloro che avevano già una volta ostacolato l’opera missionaria di Paolo decidono di intervenire contro di lui anche in questa città (At.17,10). Nuovamente in pericolo, Paolo viene portato verso la costa, come riportato in At. 17,14), sul Golfo Termaico, dopo aver superato Acerdos, forse detta anche Ascordus, da un fiume ricordato da Livio che successivamente ha cambiato nome in Palatisa 5; e Aloros o Arulos, sito non ha ancora una localizzazione certa: Plinio ricorda che la città si trovava tra Pidna e il fiume Haliakmon, mentre Strabone la colloca a 70 stadi da Methone, in Bottiaea e non in Pieria; o a Dion (localizzata nei pressi di Malathria) o, ancora più a sud, a Sabatium , il cui sito è stato localizzato a Nord dell’odierna Platomona. Pritchett registra altre due tappe tra Pidna e Dion, Anamo, localizzata presso Korinos, a 9-10 km da Pidna, eHatera, che probabilmente corrisponde all’odierna Katerine. Atene (At. 17,15-34) Probabilmente per arrivare ad Atene Paolo preferì imbarcarsi, in quanto un viaggio via terra attraverso la Tessaglia, oltre ad essere estremamente lungo, era anche piuttosto pericoloso per la presenza di predoni. Preso il mare da Pidna, dopo aver costeggiato la Tessaglia, la rotta doppiava il capo Sepìas, si inoltrava nel mare Euboicum, toccava Calcide e, attraversato lo stretto dell’Euripo, puntava verso il capo Sunio per risalire poi lungo la costa occidentale dell’Attica fino ad Atene. Secondo R. Fabris Paolo sbarcò nel porto del Falero, più piccolo del Pireo, dove attraccavano le grandi navi da guerra, ma più vicino alla capitale: il porto del Falero per le sue dimensioni era preferibile per l’attracco di piccole imbarcazioni destinate al traffico locale; al contrario il Pireo ospitava spesso grandi navi mercantili e da guerra. La testimonianza di Strabone ricorda che il Falero era il primo demo sulla costa ad est del Pireo, e Pausania lo colloca a venti stadi da Atene; queste indicazioni hanno favorito l’identificazione del sito della città con l’area del promontorio in cui sorge la Chiesa di Haghios Georgios, mentre ‘ampia rada della spiaggia di Phaleron tra il promontorio e Mounychia ad Ovest probabilmente era il porto.
Seguendo la strada che collegava il Falero ad Atene, si arriva alla porta sud, detta anche Halàde, sbucando proprio di fronte alla Stoà di Eumene, al Teatro di Dioniso e all’Odeon di Pericle, alle cui spalle sorge l’Acropoli. In At 17,16 viene evidenziato come Paolo si irritasse nel vedere quanti idoli fossero sparsi per la città (At. 17,16), in cui sorgeva un numero notevole di templi. Passando lungo la via delle Panatenee, che tagliava trasversalmente l’agorà, era possibile ammirare le stoai che ne occupano il lato settentrionale e parte di quello occidentale, dove si dispongono anche il tempio di Apollo Patroos, il Metroon e la Tholos; il lato orientale della piazza è costituito dalla grandiosa stoà di Attalo, ed anche il lato meridionale consiste in un portico, la stoà di mezzo, che separa l’agorà principale dall’agorà sud. Di fronte alla stoà di Attalo si trova il bema, da dove San Paolo potrebbe aver parlato alla gente che affollava la piazza. Nell’area interna, invece, dominano a sud il monumentale Odeon di Agrippa, intorno al quale si dispongono l’altare degli Eroi Eponimi, quello di Zeus Agoraios, costruito originariamente sulla Pnice, ed il tempio di Ares, che fu trasportato qui dal demo di Acharnai durante il regno di Augusto. Inoltre, sul Kolonos Agoraios, la collina ad ovest dell’agorà, svetta il tempio di Efesto, altro notevole simbolo del culto pagano ad Atene. In un simile ambiente, aperto alle novità, le parole di Paolo furono inizialmente accolte con interesse da alcuni filosofi, epicurei e stoici, i quali lo portarono sull’Areopago (At.17,18), o colle di Ares, che era la sede del più antico tribunale di Atene e del primo Parlamento aristocratico; dalla seconda metà del V sec. in poi qui si esercitò solo il potere giuridico e si svolsero i processi per i casi di omicidio. Secondo la testimonianza di Pausania sull’Areopago c’era un altare dedicato ad Atena Area, formato da due pietre (la Pietra dell’Implacabilità e la Pietra della Violenza), sulle quali salivano da un lato l’accusatore, dall’altro l’imputato; sempre in questa zona sorgeva anche il Santuario delle Erinni, in cui erano conservate – oltre alla tomba di Edipo, posta all’interno del recinto – le statue di queste divinità insieme con quelle di Plutone, Ermes e Gea; in genere qui gli imputati prosciolti ringraziavano gli dei facendo sacrifici in loro onore. Oggi non restano tracce di questo altare, e nemmeno di quello visto da San Paolo dedicato al Dio Ignoto (At. 17,23). Il messaggio cristiano tuttavia non fu compreso dagli Ateniesi, i quali trovavano assurdo il concetto di resurrezione; negli Atti viene ricordato il nome di un solo convertito, Dionigi l’Areopagita, e la mancanza nell’epistolario paolino di riferimenti ad Atene fa pensare che qui non si formò una comunità cristiana come era successo nelle precedenti città (At. 17,32). Corinto (At. 18,1-26) In seguito a questi eventi Paolo lasciò Atene, proseguendo il suo viaggio verso Corinto (At. 18,1); sebbene gli Atti tacciano riguardo alla strada (o alla rotta) percorsa, in genere viene accettata l’ipotesi di un percorso via terra, lungo la famosa Via Sacra fino ad Eleusi e poi per la Via Scironiana. La Via Sacra, fiancheggiata lungo tutto il suo percorso da numerosi monumenti funebri e altari, da Atene passava per la località Sciro, quindi per il demo dei Laciadi; tra i vari monumenti che si incontravano lungo la strada, alcuni sono stati individuati nel luogo in cui ora sorgono delle chiese bizantine, come nel caso del sacro recinto di Zeus Meilichios, i cui resti sono stati riutilizzati per la chiesa di Haghios Sabas, o del tempio di Kyamites, oggi Haghios Gheorghios. Prima di entrare nel territorio di Eleusi era necessario superare i Riti, due laghetti di acqua marina che costituivano uno dei punti di confine tra il territorio ateniese e quello eleusino: il più piccolo dei due era legato al culto di Demetra, mentre l’altro a quello di Kore. Dopo aver oltrepassato la zona detta Reggia di Crocone, dal nome del primo signore di Eleusi, il percorso raggiungeva un ponte, di cui restano tracce di età adrianea, tramite cui si superava il Kephisos (Sarantapotamos); quindi si arrivava ad Eleusi.Dalla tappa successiva, Megera, si proseguiva per un breve tratto lungo ca. 4 km prima di imboccare la Via Scironiana, una strada lunga 9 km a strapiombo sul mare, nota per la sua pericolosità fin dai tempi più antichi; successivamente, attraversata la piana litoranea di Kinetta, si giungeva a Krommyon (Haghii Theodori), che sorgeva in un punto strategico lungo il lato nord del Golfo Saronico, e a Schoinous. Superato il Diolkos presso l’estremità meridionale, le tappe successive in direzione sud erano il Santuario di Poseidon, Isthmia, e Kenchreai, da dove il percorso arrivava nel cuore della città attraversando la stoà sud dell’agorà; se invece Paolo proseguì il viaggio fino al Lechaion, probabilmente entrò a Corinto da nord, lungo la strada del Lechaion, che portava anch’essa nell’agorà, tagliandone il lato settentrionale.Il Diolkos era la principale via di comunicazione tra il golfo Saronico e quello di Corinto, che permetteva un facile trasporto delle navi via terra; costruito nel VI sec. a.C. durante la tirannide di Periandro questo passaggio era formato da blocchi di pietra calcarea (oggi è possibile vedere i profondi solchi lasciati dal passaggio delle navi che di solito erano sistemate su piattaforme per il trasporto); la larghezza della strada poteva raggiungere i m 6 da un minimo di m 3.40. Delle sue estremità quella occidentale consisteva in un molo pavimentato, mentre l’altra fu risistemata nel corso del IV sec. a.C.; l’utilizzo del Diolkos è attestato fino al IX sec. d.C. Al suo arrivo Paolo viene accolto da una coppia di giudei, Priscilla e Aquila, che erano stati costretti ad abbandonare l’Italia a causa dell’editto di Claudio (At. 18,2); in quegli anni infatti si era manifestato un irrigidimento dell’impero nei confronti del mondo giudaico, tanto da indurre l’imperatore stesso ad ordinare che tutti i giudei residenti a Roma lasciassero la città. Questa notizia è riportata anche da Svetonio il quale però riferisce che l’ordine di espulsione era limitato ai soli seguaci di Cristo. San Paolo a Corinto seguitò a diffondere la Parola di Dio ogni sabato nella sinagoga, mentre durante la settimana lavorava come fabbricante di tende presso i suoi ospiti; egli aveva rivolto la sua predicazione anche alle famiglie pagane, e nonostante la reazione ostile di alcuni giudei nei suoi confronti, in molti, corinzi ed ebrei – tra cui va annoverato il capo della sinagoga Crispo – abbracciarono la nuova fede. L’animosità dei giudei rimasti fedeli al culto ebraico era rimasta viva, a tal punto che, ad un anno e mezzo dal suo arrivo, Paolo fu trascinato nell’agorà davanti al tribunale di Gallione, allora proconsole dell’Acaia, con l’accusa di diffondere un culto diverso da quello giudaico (At. 18,11). In quel periodo Corinto era una delle più importanti e ricche città della Grecia, e l’agorà aveva beneficiato di questa situazione: divisa in due da una fila di edifici con orientamento SudOvestNordEst, la piazza era occupata nella parte inferiore da numerosi templi che si disponevano lungo il suo lato occidentale, da una stoà e dalla grande via per il porto del Lechaion sul lato settentrionale. Ai lati di questa strada si affacciavano altri imponenti edifici, come la basilica settentrionale, un lungo e stretto edificio – all’interno un colonnato delimitava un grande ambiente – che veniva utilizzato come tribunale. L’agorà superiore era caratterizzata dalla monumentale stoà, che ne occupa tutto il lato meridionale; alle spalle di questo portico si alternavano botteghe ed edifici utilizzati per varie funzioni; tra di essi uno fu eliminato per permettere l’ingresso nell’agorà alla via per Kenchreai. In asse con questa strada, inserito tra le strutture che dividono la piazza, si trova il bÁma –
riguardo il quale Kent riporta un’iscrizione che faceva parte di uno degli ortostati della decorazione, di cui attesta l’appartenenza ad un periodo compreso tra il 25 ed il 50 d.C.
costituito da una piattaforma fiancheggiata da due camere poste al livello dell’agorà inferiore e comunicanti con essa tramite due scalinate; l’ingresso principale si apriva sul lato meridionale, forse tra due colonne sistemate su basi quadrate, ed era completato da un parapetto la cui funzione era di offrire uno sfondo ornamentale a chi proveniva dall’agorà inferiore.

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