25 AGOSTO 2013, 21A DOMENICA T.O. C : « SIGNORE, SONO POCHI QUELLI CHE SI SALVANO? »

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25 AGOSTO 2013  | 21A DOMENICA – T. ORDINARIO C  |  APPUNTI ESEGESITICO-SPIRITUALI

« SIGNORE, SONO POCHI QUELLI CHE SI SALVANO? »

È piuttosto sconcertante la domanda di un anonimo a Gesù, mentre si sta dirigendo a Gerusalemme: « Signore, sono pochi quelli che si salvano? » (Lc 13,23). Non sappiamo se sia la richiesta di uno, troppo zelante, che si preoccupa di riservare solo alle persone « per bene » il regno dei cieli; oppure se sia la domanda angosciata di qualcuno davanti al disimpegno dei più circa i problemi fondamentali della salvezza.
Probabilmente si tratta di ambedue i casi, anche se inizialmente la domanda poteva riguardare soprattutto una certa sicurezza dei Giudei (« i primi ») di fronte ai pagani (« gli ultimi »): però, con l’andare del tempo, il problema si deve essere allargato e incominciò a implicare anche una certa perplessità circa le condizioni per ottenere la salvezza e il possibile « rischio » di perderla.
Attualizzando il messaggio evangelico, perciò, Luca invita i cristiani del suo tempo e tutti noi a rivedere il nostro « impegno » per la salvezza, perché non c’è alcuna sicurezza d’ingresso nel regno, per nessuno.

« Sforzatevi di entrare per la porta stretta »
Quasi tutti i loghia di questa pericope lucana ricorrono anche in Matteo, ma dispersi un po’ dappertutto e anche con significati alquanto diversi. Probabilmente Luca ha rispettato di più l’ordine originale dei detti, la cui idea fondamentale sembra essere il rifiuto di Israele e la chiamata dei pagani alla salvezza. Ma vediamo di analizzare il testo.
Prima di tutto è da notare la menzione esplicita del « cammino » di Gesù verso Gerusalemme, che scandisce il ritmo di questa parte del Vangelo di Luca: « Gesù passava per città e villaggi, insegnando, mentre era in cammino verso Gerusalemme » (13,22). Sappiamo che da 9,51 fino a 19,28 tutta la trama narrativa di Luca si svolge sotto il segno dell’andata di Gesù a Gerusalemme: questo contribuisce a dare alle sue parole un senso di maggiore urgenza e decisione, appunto perché è l’appello di uno che « passa » e non si sa se ritorna. In questo sfondo acquista più risonanza la domanda rivolta a Gesù se siano « pochi quelli che si salvano » (v. 23).
Un problema del genere era dibattuto anche nei circoli religiosi giudaici del tempo. I più ritenevano che, per il solo fatto di essere Giudei, si potesse avere sicurezza d’accesso al regno futuro. Così, per esempio, Rabbi Meir insegna che « può essere ritenuto un figlio del mondo futuro colui che abita nel paese d’Israele, parla la lingua santa, e recita mattina e sera la preghiera dello Shema’ ». Secondo alcuni gruppi apocalittici, invece, soltanto pochi si salverebbero: « Sono di più coloro che si perdono che non coloro che si salvano, come la corrente è più grande di una goccia » (4 Esdra 9,15).
Gesù sfugge volutamente da questa casistica, che avrebbe banalizzato il discorso. Non dice né se saranno pochi, né se saranno molti « quelli che si salvano »: lancia solo un appello alla decisione e con alcune immagini particolarmente espressive ne sottolinea l’urgenza: « Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete. Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità. Là ci sarà pianto e stridore di denti… » (vv. 24-28).
Il problema, dunque, non è di sapere quanti siano i salvati, ma di darsi da fare, di « sforzarsi » per entrare nel regno (v. 24). Le immagini della « porta stretta » e di uno spazio di tempo oltre il quale la porta verrà « chiusa » (vv. 24-25), intendono dire la difficoltà e l’urgenza dell’impegno cristiano: nessuno può perdere tempo o rimanere indeciso davanti a un’offerta così grande!
Se qualcuno rimarrà fuori (pochi o molti, non lo sappiamo), non avverrà perché capricciosamente « il padrone di casa » avrà deciso di chiudere la porta, ma solo perché non si è « sforzato » di fare il bene, illudendosi che bastasse solo avere avuto il privilegio di essere concittadino di Cristo, della sua stessa razza: « Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze » (v. 26). Nessuno è privilegiato davanti a Cristo, salvo colui che ha « operato » il bene: proprio il contrario di quegli « operatori d’iniquità » (v. 27), che Gesù dichiara di non « conoscere »!

« Alcuni tra gli ultimi saranno primi e alcuni tra i primi
saranno ultimi »
È evidente da tutto il contesto che qui si parla della sicurezza dei Giudei, che vantavano i loro privilegi (legge, circoncisione, elezione, ecc.) davanti ai pagani, forse anche nell’ambito della stessa Chiesa (cf At 15). Per Luca il discorso vale anche per i cristiani di tutti i tempi: anche per loro ciò che conta non è l’essere battezzati e neppure ricevere l’Eucaristia o essere costituiti in autorità nella Chiesa, ma adempiere gli impegni del proprio Battesimo e della propria specifica missione.
Tanto poco il numero di coloro che si salveranno è ristretto, come potrebbe apparire a una prima lettura del nostro brano, che la pericope evangelica si chiude con una visione universalistica: « Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi » (vv. 29-30).
È un altro colpo alla pretesa sicurezza dei Giudei: Dio chiamerà i salvati da tutte le nazioni e da tutti gli orizzonti; come del resto avevano predetto anche i Profeti. Si direbbe che Gesù ha il gusto di demolire tutti gli appoggi dell’uomo e le sue false sicurezze, perché finalmente riconosca che nessuno « si salva » da se stesso, ma che Dio solo salva, per grazia e per amore, guidando gli uomini per le sue « vie ».
Proprio per questo il « regno » sarà molto più grande di quanto neppure ci sappiamo immaginare! C’è solo da averne gioia, non invidia, come forse ne doveva provare l’anonimo interpellante del Vangelo. Ci saranno delle sorprese, però, in quel regno: « Alcuni tra gli ultimi saranno primi e alcuni tra i primi saranno ultimi » (v. 30). Questo, ovviamente, vale anche per i cristiani.

« Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue »
La prima lettura è precisamente uno di quei testi profetici, evocati dal precedente riferimento « universalistico » di Gesù. È la parte conclusiva del libro di Isaia che, in spiccato stile apocalittico, raccoglie il meglio di tutte le aspirazioni messianiche.
L’avvento messianico segnerà la riunione dei popoli nel tempio dell’unico vero Dio: « Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle genti, ai lidi lontani che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunzieranno la mia gloria alle nazioni. Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutti i popoli come offerte al Signore… Anche tra essi mi prenderò sacerdoti e leviti » (Is 66,18-21).
Mi sembra che in questo brano siano affermate almeno due cose. La prima è che Dio ormai apre le porte della salvezza non solo a tutti, ma addirittura fa « suo » popolo tutti i popoli della terra, prendendo da loro perfino « sacerdoti e leviti » per il culto (v. 21). La seconda è che questi « convertiti » si faranno a loro volta « missionari » e annunciatori delle « meraviglie » del Signore presso altri popoli: in tal modo il cerchio della salvezza si dilata e arriva fino agli estremi confini della terra per la cooperazione di coloro stessi che Dio ha salvato.
È la dimensione « missionaria » del popolo di Dio, convocato ormai da tutte le nazioni, che viene qui messa in evidenza. E non può non essere così!

La vocazione « missionaria » della Chiesa
Proprio perché la Chiesa è « cattolica », cioè aperta e destinata a « tutti », è essenzialmente missionaria, ha cioè « l’attitudine a estendersi a tutta la terra, a tutti comprendere, a inserirsi in ogni popolo e rendere fratelli tutti gli uomini. E ciò non certo come risultato di una sopraffazione d’un popolo sull’altro, d’una classe sociale su altra classe sociale, d’un totalitarismo inesorabile e intollerabile, che può nascere dall’unificazione forzata e artificiale dell’umanità, non più libera della libertà dei figli di Dio. Ma può sorgere solo dalla diffusione del « regno » loro aperto da Cristo, oltre l’orizzonte di questo mondo, il quale pure può derivare dalla cattolicità della Chiesa feconde e inesauribili sorgenti di temporale civiltà ».
Oggi noi sappiamo che la « missione » non è necessario andare a farla molto lontano, ma dobbiamo incominciare proprio da casa nostra. È evidente, infatti che viviamo in un’era « post-cristiana », come dicono molti studiosi, e bisogna ricominciare a « convertire » i battezzati. Di qui la priorità che deve riacquistare su tutto l’opera di « evangelizzazione »: è la « gloria » del Signore che anche noi, come dice Isaia, dobbiamo annunziare (v. 19) alla nostra generazione, che incomincia ormai a essere disillusa della « gloria » che i progressi tecnici e scientifici e il diffuso benessere le avevano suggerito di ricercare invece solo in se stessa.
« La cultura tardo-medioevale aveva come centro motore la visione della Città di Dio; la società moderna si è costituita perché la gente era mossa dalla visione dello sviluppo della Città Terrena del Progresso. Nel nostro secolo, tuttavia, questa visione è andata deteriorandosi, fino a ridursi a quella Torre di Babele che ormai comincia a crollare e rischia di travolgere tutti nella sua rovina ».
Solo una comunità di fede e di amore come è la Chiesa, che si pone a servizio di tutti per tutti « salvare », e non soltanto alcuni, come pensava l’anonimo interrogante del Vangelo, può costituire l’alternativa valida a questa nuova « torre di Babele », che certamente Isaia ha tenuto presente nel descriverci il quadro messianico di universalità e di fraternità degli ultimi tempi (cf Gn 10 e Is 66,19), in contrasto con lo spirito di divisione che Babele ha sempre rappresentato.

 Da: CIPRIANI S., Convocati dalla Parola.

Publié dans : OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |le 23 août, 2013 |Pas de Commentaires »

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