FEDE E OPERE. SULLA GIUSTIFICAZIONE (Rm 4,25-5,1)

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FEDE E OPERE. SULLA GIUSTIFICAZIONE (Rm 4,25-5,1)

EDITORIALE

[Gesù Cristo] è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.
Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo.
(Rm 4,25-5,1)

Quando si sente il termine giustificazione la prima cosa che viene in mente a molti è quel foglietto, firmato dai genitori, che ciascuno di noi doveva riportare alla maestra una volta tornato a scuola dopo un’assenza. Non potevamo redigere o firmare da soli la nostra giustificazione, anche se a volte, con l’astuzia innocente dei bambini, abbiamo sognato di farlo per evitare un’interrogazione incombente. Non è inutile partire da questa comune e semplice esperienza, apparentemente insignificante, per cercare di illuminare una parola che segna l’originalità della fede cristiana, ma è anche stata causa di incomprensioni e profonde separazioni tra le chiese in Occidente. Giustificazione, nell’esperienza dello scolaro e in quella del peccatore perdonato, è un essere giustificati, un esser riammessi nel consesso da cui la malattia (e analogamente il peccato) li aveva allontanati. Il mistero della giustificazione è contemplare l’azione misericordiosa di Dio che in Cristo riscatta i peccatori per costituirli figli, fino a renderli «partecipi della natura divina» (2Pt 1,4).
Diceva il teologo A. Birmelé, in un intervento alla XXXVII Sessione del Segretariato attività ecumeniche: «La grazia guarda e sceglie; è parziale, vive di un partito preso. Dio non è imparziale: ha preso partito per gli esseri umani». La dottrina della giustificazione lo afferma: Dio non è imparziale, anzi rende giusti gli ingiusti, figli i nemici. Davanti a questa affermazione non si può fare a meno di chiedersi perché mai Dio faccia una cosa del genere. Rispondeva Agostino: «Avendo un Figlio unigenito, Dio l’ha fatto figlio dell’uomo, e così viceversa ha reso il figlio dell’uomo figlio di Dio. Cerca il merito, la causa, la giustizia di questo, e vedi se trovi mai altro che grazia» (Disc. 185).
Riflettere ancora sulla giustificazione non è quindi facoltativo per i cristiani, soprattutto per quanti sono immersi nella cultura del commercio, dello scambio a pagamento, in cui lo spazio per la gratuità e per il dono immeritato si va riducendo a un mero ricordo.
La cultura occidentale è stata e sarà sempre tentata di pelagianesimo: salvarsi da soli, mettersi davanti a Dio con una giustizia propria, ecco il «mito» anticristiano di chi non vuole riconoscere l’extra nos della salvezza. La reazione luterana a ogni forma di pelagianesimo portò a interpretare le opere buone che l’uomo compie come «pagamento» per meritarsi la salvezza, finendo per insistere unicamente sulla passività ricettiva degli esseri umani in ordine all’azione di Dio. Questa presa di posizione condusse poi i teologi della Controriforma a sospettare che i luterani non credessero al reale cambiamento dell’uomo giustificato e alla necessità della libera collaborazione all’opera della grazia. Secoli di condanne e di reciproci fraintendimenti, alimentati da un’apologetica aggressiva, hanno scavato tra le confessioni cristiane d’Occidente un fossato. Ci aiuta a risalire alle origini della frattura fra le chiese l’articolo di Jos Vercruysse, che presenta la posizione delle varie comunità riformate (luterani, calvinisti e anglicani) a confronto con le prese si posizione del concilio di Trento e le reciproche condanne dottrinali.
Il 1999 segna una tappa fondamentale nel superamento della divisione. In quell’anno è stata firmata dalla Chiesa cattolica e dalla Federazione luterana mondiale la prima Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione. La novità di questo testo sta nel fatto che l’accordo raggiunto, pur parziale, non è rimasto al livello del dialogo fra teologi, come nel caso di tanti documenti che hanno preceduto la Dichiarazione, ma è stato ufficialmente sottoscritto dalle chiese. L’iter della stesura e della ricezione del documento, che segna una decisiva acquisizione nel progresso dell’ecumenismo, ci viene presentato nell’articolo affidato a PawelHolc. Un’espressione centrale descrive sinteticamente i risultati raggiunti: «Consenso differenziato». Il treno del dialogo viaggia su una coppia di binari che corrono paralleli, senza convergere in una monorotaia né divergere a rischio di tragici deragliamenti. Pur differenziato e parziale il consenso guadagnato è irrevocabile.
Le chiese coinvolte nel dialogo si sono sentite chiamate dalla Dichiarazione congiunta a trovare un nuovo linguaggio, capace di rendere comprensibile agli uomini e alle donne del nostro tempo l’essenziale verità della giustificazione. A questo proposito l’articolo di AndreaToniolo cerca di approfondire il ruolo e le conseguenze della dottrina della giustificazione nella società postmoderna. Egli mette in rilievo il «buon annuncio» della giustificazione per grazia, che libera l’uomo dall’impossibile compito moralistico di salvarsi da solo, e afferma invece il primato della persona al di sopra di ogni conquista o insuccesso individuale.
Affinché le chiese possano però confessare insieme la verità da comunicare al mondo assetato di salvezza, è necessario che esse arrivino prima a un consenso più ampio e a una comune espressione delle verità fondamentali. Si apre a questo punto il vasto problema del linguaggio, vera chiave di volta del dialogo ecumenico. Ciò comporta una paziente ermeneutica delle affermazioni del partner di dialogo, per giungere non a sopprimere ogni differenza linguistica, di sottolineature o di formulazione teologica, ma piuttosto a cogliere, nell’espressione dell’altro, i riflessi di una «diversità riconciliata». A questo livello si situa il contributo di BasilioPetrà, che sintetizza i risultati del dialogo tra ortodossi e luterani sul tema della giustificazione. Tale colloquio ha prodotto un’intesa che precede quella cattolico-luterana e ne apre la via, componendo il dissidio sui reciproci malintesi della giustizia imputata e della divinizzazione. Ortodossi e luterani riconoscono adesso che le differenze che permangono nelle loro teologie sono date dalle peculiarità dei loro rispettivi linguaggi, entrambi comunque biblicamente fondati.
Anche LucianoBordignon, partendo da una analisi dei limiti dell’espressione scolastica della giustificazione, si sofferma sulle categorie linguistiche che descrivono l’offerta divina della giustizia. L’articolo propone un interessante studio delle metafore di salvezza contenute nei testi biblici. Quindi, rilevata una certa «estraneità» della mentalità cristiana attuale, sia cattolica che luterana, riguardo al tema della giustificazione, afferma l’urgenza di trovare una metafora-chiave che permetta di rimettere in contatto i cristiani di oggi con questo tema centrale per la vita di fede. L’immagine del dono, con i suoi corollari della gratuità e della gratitudine, viene colta come una possibile via per ridare senso esistenziale alla sopita coscienza della giustificazione.
Se davvero il cammino dell’ecumenismo teologico, come mostra in modo paradigmatico la vicenda della Dichiarazione congiunta, è avviato verso un sempre più ampio consenso nella fede che rispetti la pluralità dei modi di esprimerla, è anche indispensabile approfondire le basi comuni su cui poggia il consenso. In particolare, il recupero della dimensione biblica della giustificazione. AntonioPitta, riflette sulla radice della giustificazione rappresentata dall’offerta gratuita dell’alleanza veterotestamentaria. Essa fiorisce nel Nuovo Testamento nella letteratura paolina, tanto valorizzata dai fratelli luterani;  questo però non deve condurre a trascurare la prospettiva complementare che sottolinea la lettera di Giacomo. Solo così si arriva a una visione completa del rapporto fede e opere in ordine al nostro tema.
Il percorso compiuto nel chiarire la questione della giustificazione mostra, tuttavia, che si è solo agli inizi. Certo, si è riusciti ad accordarsi su un articolo di fede assolutamente centrale, ma sono comunque rimaste aperte varie domande e soprattutto non è stato adeguatamente sciolto il nodo che riguarda la posizione di questo articolo di fede nell’ambito delle teologie cattolica e protestante. Se infatti per i luterani esso è il criterio unico attraverso il quale si può giudicare tutto il complesso dottrinale cristiano, per i cattolici, pur rimanendo centrale, deve essere armonicamente collegato alle altre verità gerarchicamente ordinate. Ci espone questi problemi l’articolo di AngeloMaffeis, che in modo equilibrato sottolinea i risultati raggiunti, senza timore di puntualizzare i motivi che non rendono ancora possibile la piena unità visibile. In particolare si riconosce che non è ancora stata raggiunta un’intesa circa le implicazioni ecclesiali della giustificazione.
GiampieroBof ci fa riflettere sul contributo che può fornire oggi la teologia nell’aiutare le chiese a farsi promotrici di giustizia a ogni livello.
L’articolo di congedo è affidato a Giann iColzani che rilegge il tema della giustificazione seguendo il pensiero di Karl Barth. La sua proposta, pur confessionalmente qualificata, è un tentativo sinceramente cristiano di porre con forza la centralità di Gesù Cristo. La giustizia di Cristo, che diviene nostra in virtù della fede, ha per Barth una vera azione trasformatrice dell’uomo, è una ri-creazione. Nel cogliere gli aspetti positivi della teologia barthiana, Colzani ne rileva anche le fragilità. In particolare la debolezza antropologica: il sola fide, sempre fortemente ribadito, mette l’uomo in una condizione di quasi-estraneità all’opera che Dio compie in lui:  è solo spettatore, mai collaboratore attivo. Un grande merito del dibattito tra autori cattolici e protestanti, a partire dalle posizioni di Barth, è stato quello di chiarire definitivamente il rapporto «motivazione-effetto» tra fede e opere, su cui non sussiste più alcuna disputa.
Nella documentazione non abbiamo voluto far mancare almeno la parte centrale della Dichiarazione (il capitolo 4). L’invito alla lettura, curato da AldoModa,  fa il punto bibliografico sui commenti alla Dichiarazione e aiuta il lettore ad orientarsi nell’approfondimento delle questioni trattate.

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