UN INEDITO DI RATZINGER TEOLOGO – È LA SUA TESI DI DOTTORATO SU SAN BONAVENTURA – DI SANDRO MAGISTER
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UN INEDITO DI RATZINGER TEOLOGO. DI 54 ANNI FA, MA SEMPRE ATTUALE
È LA SUA TESI DI DOTTORATO SU SAN BONAVENTURA E LA TEOLOGIA DELLA STORIA. CON SULLO SFONDO LA VISIONE DI GIOACCHINO DA FIORE E DI UNA NUOVA CHIESA TUTTA « SPIRITUALE ». IL TESTO INTEGRALE DELLA PREFAZIONE SCRITTA OGGI DAL PAPA
DI SANDRO MAGISTER
ROMA, 18 settembre 2009 – La pubblicazione in tedesco delle « opera omnia » di Joseph Ratzinger prosegue a ritmo accelerato. Dei sedici tomi previsti, il primo è uscito meno di un anno fa. Il secondo è stato presentato al suo autore domenica 13 settembre a Castel Gandolfo (vedi foto). Un terzo uscirà a novembre.
L’interesse del primo volume – propriamente l’undicesimo tomo del disegno generale – era accresciuto dal desiderio dell’autore di ripubblicare per primi i suoi scritti riguardanti la liturgia, da lui definita nella prefazione « attività centrale della mia vita ».
L’interesse di questo secondo volume sta invece nel fatto che dà finalmente alle stampe un testo di Ratzinger che era rimasto fin qui inedito nella sua integralità: la tesi da lui presentata nel 1955 per l’abilitazione alla libera docenza di teologia nelle università tedesche.
Dopo i primi studi su sant’Agostino, al giovane teologo Ratzinger fu proposto di indagare sul più agostiniano dei teologi medievali, il francescano san Bonaventura da Bagnoregio, e in particolare sulle sue tesi riguardanti la divina rivelazione e la teologia della storia.
Ratzinger si impegnò a fondo nella ricerca. E scoprì che in Bonaventura c’era un forte legame con la visione di Gioacchino da Fiore, il francescano che aveva profetizzato l’avvento imminente di una terza età dopo quelle del Padre e del Figlio, una età dello Spirito, con una Chiesa rinnovata e tutta « spirituale », povera, riconciliata con greci ed ebrei, in un mondo restituito alla pace.
La tesi non piacque a uno degli esaminatori, il professor Michael Schmaus. Ma Ratzinger si salvò dalla bocciatura ripresentando la sola seconda parte del suo scritto, che non aveva raccolto obiezioni. Negli anni successivi si ripromise di curare una nuova pubblicazione aggiornata del tutto, ma non vi riuscì. Da cardinale si ripromise di occuparsene quando sarebbe andato in pensione. Ma fu eletto papa e il proposito inesorabilmente sfumò.
Ripubblicata ora nella sua stesura originale e integrale, la tesi appare qua e là superata dagli studi successivi. Ratzinger lo riconosce. Ma ritiene che « la questione dell’essenza della Rivelazione, che è il tema del libro, ha ancora oggi una urgenza, forse anche maggiore che in passato ».
A leggere la sua prefazione a questo secondo volume delle « opera omnia » – riprodotta più sotto – si ricava che Benedetto XVI giudica tuttora attuale la sfida che Bonaventura dovette affrontare come superiore generale dell’ordine francescano: la « tensione drammatica fra i ‘realisti’ che volevano utilizzare l’eredità di san Francesco secondo le possibilità concrete della vita dell’ordine quale era stata tramandata, e gli ‘spirituali’ che invece puntavano alla novità radicale di un periodo storico nuovo ».
Henri De Lubac, uno dei più grandi teologi cattolici del Novecento, dedicò un imponente saggio in due volumi a quella che chiamò « la posterità intellettuale di Gioacchino da Fiore ».
A giudizio di De Lubac, la visione di Gioacchino – il frate « di spirito profetico donato » che Dante collocò nel Paradiso – ha traversato i secoli e continua a influenzare larga parte della cultura d’oggi, anche cattolica: una cultura che sogna « una nuova Chiesa in cui l’amore deve prendere il posto della legge ».
Tutto l’opposto di quella « Caritas in veritate » che intitola l’ultima enciclica di Benedetto XVI e che innerva l’intero suo magistero.
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PREFAZIONE AL SECONDO VOLUME DEI MIEI SCRITTI
DI JOSEPH RATZINGER
Dopo la pubblicazione dei miei scritti sulla liturgia segue ora nell’edizione generale delle mie opere un libro con studi sulla teologia del grande francescano e dottore della Chiesa Bonaventura Fidanza. Fin dall’inizio è stato evidente che quest’opera avrebbe contenuto anche i miei studi sul concetto di Rivelazione in san Bonaventura, condotti assieme all’interpretazione della sua teologia della storia, negli anni 1953-1955, ma finora inediti.
Per completare tutto questo lavoro il manoscritto avrebbe dovuto essere rivisto e corretto secondo le moderne modalità editoriali, cosa che io non mi sono sentito in grado di fare. La professoressa Marianne Schlosser di Vienna, profonda conoscitrice della teologia medievale e in particolare delle opere di san Bonaventura, si è degnamente offerta di svolgere tale lavoro necessario e di certo non facile. Per questo non posso che ringraziarla di tutto cuore. Discutendo del progetto ci siamo subito trovati d’accordo che non si sarebbe tentato di rielaborare il libro dal punto di vista contenutistico e di portare la ricerca allo stato attuale. Più di mezzo secolo dopo la stesura del testo, questo avrebbe significato in pratica scrivere un nuovo libro. Inoltre desideravo fosse un’edizione « storica », che offrisse così com’era un testo concepito in un lontano passato, lasciando alla ricerca la possibilità di trarne utilità anche oggi. Della cura editoriale svolta tratta l’introduzione della professoressa Schlosser, che con i suoi collaboratori ha investito molto tempo e molto impegno dedicato all’allestimento di un’edizione storica del testo, confidando nel fatto che teologicamente e storicamente valesse la pena renderlo accessibile a tutti nella sua interezza.
Nella seconda parte del libro viene nuovamente presentata « La teologia della storia di san Bonaventura » come fu pubblicata nel 1959. I saggi che seguono sono tratti, con poche eccezioni, dallo studio sull’interpretazione della Rivelazione e della teologia della storia. In alcuni casi sono stati adattati per poter costituire un testo in sé completo, modificandoli leggermente secondo il contesto.
L’idea di aggiornare il manoscritto e presentarlo come libro al pubblico dovetti abbandonarla temporaneamente assieme al progetto di uno studio commentato dell’ »Hexameron », perché l’attività di esperto conciliare e le esigenze della mia docenza accademica erano così impegnative da rendere impensabile la ricerca medievalistica. Nel periodo postconciliare la situazione teologica mutata e la nuova situazione nell’università tedesca mi assorbirono così tanto che rimandai il lavoro su Bonaventura al periodo successivo al pensionamento. Nel frattempo il Signore mi ha condotto lungo altre vie e così il libro viene pubblicato ora nella sua forma presente. Auspico che altri possano svolgere il compito di commentare l’ »Hexameron ».
In un primo momento l’esposizione del tema dell’opera potrebbe apparire sorprendente e di fatto lo è. Dopo la mia tesi sul concetto di Chiesa di sant’Agostino, il mio maestro Gottlieb Söhngen mi propose di dedicarmi al medioevo e in particolare alla figura di san Bonaventura, che fu il più significativo rappresentante della corrente agostiniana nella teologia medievale.
Per quanto riguarda il contenuto, ho dovuto affrontare la seconda importante questione di cui si occupa la teologia fondamentale, ovvero il tema della Rivelazione. A quel tempo, in particolare a motivo della celebre opera di Oscar Cullmann « Christus und die Zeit [Cristo e il tempo] » (Zürich, 1946), il tema della storia della salvezza, specialmente il suo rapporto con la metafisica, era diventato il punto focale dell’interesse teologico. Se la Rivelazione nella teologia neoscolastica era stata intesa essenzialmente come trasmissione divina di misteri, che restano inaccessibili all’intelletto umano, oggi la Rivelazione viene considerata una manifestazione di sé da parte di Dio in un’azione storica e la storia della salvezza viene vista come elemento centrale della Rivelazione. Mio compito era quello di cercare di scoprire come Bonaventura avesse inteso la Rivelazione e se per lui esistesse qualcosa di simile a un’idea di « storia della salvezza ».
È stato un compito difficile. La teologia medievale non possiede alcun trattato « de Revelatione », sulla Rivelazione, come invece accade nella teologia moderna. Inoltre, dimostrai subito che la teologia medievale non conosce neanche un termine per esprimere da un punto di vista contenutistico il nostro moderno concetto di Rivelazione. La parola « revelatio », che è comune alla neoscolastica e alla teologia medievale, non significa, come si è andato evidenziando, la stessa cosa nella teologia medievale e in quella moderna. Per questo ho dovuto cercare le risposte alla mia impostazione del problema in altre forme linguistiche e di pensiero e addirittura modificarla rispetto a quando mi ero avvicinato all’opera di Bonaventura. Innanzitutto bisognava condurre difficili ricerche sul suo linguaggio. Ho dovuto accantonare i nostri concetti per capire cosa Bonaventura intendesse per Rivelazione. In ogni caso si è dimostrato che il contenuto concettuale di Rivelazione si adattava a un gran numero di concetti: « revelatio », « manifestatio », « doctrina », « fides », e così via. Soltanto una visione d’insieme di questi concetti e delle loro asserzioni fa comprendere l’idea di Rivelazione in Bonaventura.
Il fatto che nella dottrina medievale non esistesse alcun concetto di « storia della salvezza » nel senso attuale del termine, è stato chiaro fin dall’inizio. Tuttavia due indizi dimostrano che in Bonaventura era presente il problema della rivelazione come cammino storico.
Innanzitutto si è presentata la doppia figura della Rivelazione come Antico e Nuovo Testamento, che ha posto la questione della sintonia fra l’unità della verità e la diversità della mediazione storica posta sin dall’età patristica e poi affrontata anche dai teologi medievali.
A questa forma classica della presenza del problema del rapporto tra storia e verità, che Bonaventura condivide con la teologia del suo tempo e che tratta a suo modo, si aggiunge in lui anche la novità del suo punto di vista storico, nel quale la storia, che è proseguimento dell’opera divina, diviene una sfida drammatica.
Gioacchino da Fiore (morto nel 1202) aveva insegnato un ritmo trinitario della storia. All’età del Padre (Antico Testamento) e all’età del Figlio (Nuovo Testamento, Chiesa) doveva seguire un’età dello Spirito Santo, nella quale con l’osservanza del Discorso della Montagna si sarebbero manifestati spirito di povertà, riconciliazione fra greci e latini, riconciliazione fra cristiani ed ebrei, e sarebbe giunto un tempo di pace. Grazie a una combinazione di cifre simboliche l’erudito abate aveva predetto l’inizio di una nuova età nel 1260. Intorno al 1240 il movimento francescano si imbatté in questi scritti che su molti ebbero un effetto elettrizzante: questa nuova età non era forse iniziata con san Francesco d’Assisi? Per questo motivo all’interno dell’Ordine si venne a creare una tensione drammatica fra « realisti », che volevano utilizzare l’eredità di san Francesco secondo le possibilità concrete della vita dell’Ordine quale era stata tramandata, e « spirituali », che invece puntavano alla novità radicale di un periodo storico nuovo.
Come ministro generale dell’Ordine, Bonaventura dovette affrontare l’enorme sfida di questa tensione, che per lui non era una questione accademica, ma un problema concreto del suo incarico di settimo successore di san Francesco. In questo senso la storia fu improvvisamente tangibile come realtà e come tale dovette essere affrontata con l’azione reale e con la riflessione teologica. Nel mio studio ho cercato di spiegare in che modo Bonaventura affrontò questa sfida e mise in rapporto la storia della salvezza con la Rivelazione.
Dal 1962 non avevo più ripreso in mano lo scritto. Quindi per me è stato entusiasmante rileggerlo dopo così tanto tempo. È chiaro che l’impostazione del problema così come il linguaggio del libro sono influenzati dalla realtà degli anni Cinquanta. Oltre tutto per le ricerche linguistiche non esistevano i mezzi tecnici che abbiamo ora. Per questo motivo l’opera ha i suoi limiti ed è evidentemente influenzata dal periodo storico in cui è stata concepita. Tuttavia, rileggendola ho ricavato l’impressione che le sue risposte siano fondate, sebbene superate in molti dettagli, e che ancora oggi abbiano qualcosa da dire. Soprattutto mi sono reso conto che la questione dell’essenza della Rivelazione e il fatto di riproporla, che è il tema del libro, hanno ancora oggi una loro urgenza, forse anche maggiore che in passato.
Al termine di questa prefazione desidero aggiungere al ringraziamento alla professoressa Schlosser anche quello al vescovo di Ratisbona Gerhard Ludwig Müller, che attraverso la fondazione dell’Institut Papst Benedikt XVI. ha reso possibile la pubblicazione di quest’opera e ha seguito, con attiva partecipazione, il processo editoriale dei miei scritti. Ringrazio inoltre i collaboratori dell’Istituto, il professor Rudolf Voderholzer, il dottor Christian Schaller, i signori Franz-Xaver Heibl e Gabriel Weiten. Non da ultimo ringrazio l’editrice Herder, che si è occupata della pubblicazione di questo libro con l’accuratezza che la caratterizza.
Dedico l’opera a mio fratello Georg per il suo ottantacinquesimo compleanno, grato per la comunione di pensiero e di cammino di tutta una vita.
Roma, solennità dell’Ascensione di Cristo 2009.
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