ELZEVIRO LA VERA FEDE EBRAICA – LA TORAH TRADITA DAI PREGIUDIZI (Corriere della Seera 2001)

http://archiviostorico.corriere.it/2001/luglio/24/Torah_tradita_dai_pregiudizi_co_0_010724125.shtml

ELZEVIRO LA VERA FEDE EBRAICA

LA TORAH TRADITA DAI PREGIUDIZI

(mi permetto di copiare dal Corriere della Sera  questo interessante articolo perché è del 24 luglio 2001, spero non dispiaccia)

ELZEVIRO La vera fede ebraica La Torah tradita dai pregiudizi di HAIM BAHARIER Un confronto che si protrae da venti secoli sembra non basti a sfatare uno dei pregiudizi più dannosi appiccicati al popolo di Israele, l’ accusa di venerare senza mai ricredersi il Dio crudele e vendicativo dell’ Antico Testamento. Va ricordato subito che per la tradizione ebraica Iddio è innanzitutto il Dio vivente. Un Dio che non si sogna quindi di stilare alcun testamento. La sua parola è chiamata in ebraico Torah, «insegnamento». Non è né antica né nuova, ma deve essere accolta in ogni momento come se fosse emanata in quel momento. La fonte più citata del pregiudizio è il secondo comandamento. Esaminiamo una recente traduzione, che pure è reputata attenta: «Non ti farai alcuna scultura né qualsiasi immagine Non ti inchinare loro e non adorarli, perché Io, il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso che punisce il peccato dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione per coloro che Mi odiano». Dio geloso, che punisce i figli per le colpe dei padri. Traduzioni-tradimenti come questa alimentano il pregiudizio del Dio implacabile e del popolo compiacente che lo emula. La parola ebraica kanà è resa qui con «geloso», altrove con «zelante», «ardente». Kanà, etimologicamente, si rapporta alla parola ebraica kiniàn, che definisce un atto legale, giuridicamente avvalorato, generatore di responsabilità condivisa: il contrario dell’ accaparramento e della captazione. Nei Salmi di re Davide, il Creatore è chiamato «l’ acquirente legale dei cieli e della terra». E non soltanto, aggiunge il Talmud, ma anche del suo popolo e della sua Legge con i quali Egli si rapporta legalmente. Come Dio non è geloso ma garante della legalità della sua creazione, così Dio non «punisce» ma «verifica» (perché tale è il significato indotto del verbo ebraico pokèd). Dio verifica quanto delle deviazioni e dei comportamenti trasgressivi dei padri è stato trasmesso ai figli. E questa verifica non è affatto inquisitoria, non fa le pulci, ma cerca i segnali del ripensamento, del ritorno, del percorso etico che i figli, o i figli dei figli, potrebbero intraprendere. Una verifica che testimonia la benevolenza di Dio, la sua attesa e la sua fiducia nella capacità degli esseri umani di modificarsi nel corso delle generazioni. «Elohìm vi verificherà» dice Giuseppe ai fratelli che ha convocato prima di morire. In altre parole, Dio sonderà le vostre motivazioni e ne accompagnerà la crescita sino a farvi uscire dall’ Egitto, terra di schiavitù. Sempre pokèd, «verificare», è usato dalla Bibbia per verbalizzare l’ aprirsi di una matrice sterile, il passaggio dalla sterilità alla fecondità. L’ attesa paziente e fiduciosa di Dio si contrappone al perdono anticipato, al perdono scontato che inibisce, vanificandoli, qualsiasi anelito della coscienza a un percorso etico, qualsiasi dinamica di pensiero. Quel perdono che sempre e comunque si porge nega dignità all’ altro, sfocia troppo spesso in delirio di onnipotenza, generando aggressività e violenza. Allo sviluppo della teologia del perdono, l’ ebraismo ha sempre preferito l’ approfondimento a monte del concetto di giustizia, la ricerca e l’ applicazione di un diritto «fine» (in ebraico tzédek), che articolasse insieme tensione universale e attenzione estrema alle esigenze del singolo, che potesse essere fonte di gioia e non di frustrazione. Un altro luogo comune che nutre il pregiudizio del popolo spietato è la presunta legge del taglione, formalizzata nella Bibbia ebraica con l’ espressione «occhio per occhio, dente per dente». Nessuno si è mai chiesto perché questa legge biblica sia sempre stata ricondotta – da tutte le fonti della tradizione orale ebraica – alla nozione di risarcimento. In parole povere, nessun tribunale rabbinico, nei secoli, ha mai pensato di far cavare l’ occhio a chi aveva cavato l’ occhio al suo prossimo. In realtà, la tradizione è mutuata anche da una traduzione fedele che non è «occhio per occhio», ma «occhio in sostituzione dell’ occhio». L’ occhio che si caverebbe al reo ovviamente non potrebbe sostituire l’ occhio perso della vittima. Solo dopo aver valutato attentamente il danno sotto tutti i suoi molteplici aspetti, dice il Talmud, sarà fissata l’ entità del risarcimento economico, l’ unico umanamente realizzabile. Riletture come quelle appena proposte non infrangono il muro di gomma dei pregiudizi, non possono da sole cambiare la faccia che parte del mondo rivolge all’ ebraismo e agli ebrei. Perché i pregiudizi non nascono da letture orientate o erronee, né sono i luoghi comuni a determinare gli atteggiamenti e i comportamenti ostili. Ma questi pregiudizi, atteggiamenti e comportamenti i luoghi comuni sicuramente li giustificano e, radicandoli nella cosiddetta saggezza popolare, li rendono più facilmente trasmissibili di generazione in generazione. Trentaquattro anni fa, di questi giorni, un generale-presidente francese cesellava l’ ultima maschera del pregiudizio ai danni del popolo reduce della Shoah. In un discorso televisivo egli definì gli ebrei come «popolo d’ élite, sicuro di sé e dominatore». Qualche ingenuo se ne compiacque allora. Se ne compiacciono oggi coloro che, nel Medio Oriente insanguinato, conteggiano «morti» da una parte e «uccisi» dall’ altra.

Baharier Haim

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