16 GIUGNO 2013 | 11A DOMENICA – TEMPO ORDINARIO C : « LE SONO PERDONATI I SUOI MOLTI PECCATI, PERCHÉ HA MOLTO AMATO »

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16 GIUGNO 2013  | 11A DOMENICA – TEMPO ORDINARIO C  |  APPUNTI ESEGESITICO-SPIRITUALI

« LE SONO PERDONATI I SUOI MOLTI PECCATI, PERCHÉ HA MOLTO AMATO »

È veramente un messaggio di gioia e di liberazione quello che si sprigiona da tutti i testi liturgici di questa Domenica: la « gioia » di sentirsi liberati dal peccato, piccolo o grande che sia, che ci opprime, ci tormenta, ci chiude in noi stessi, logora le nostre energie, sta sempre lì a dimostrarci che siamo un abbozzo mal riuscito, oppure un uccello dalle ali ferite. Vorremmo volare in alto, verso il cielo, ma siamo come schiacciati verso la terra, e questo ci reca enorme tristezza, direi quasi rabbia e disperazione.
Sentirci allora dire come Davide dal profeta Natan: « Il Signore ha perdonato il tuo peccato: tu non morirai » (2 Sam 12,13), oppure: « Ti sono perdonati i tuoi peccati », come fece Gesù con la peccatrice (Lc 7,48), è provare un senso di liberazione come da un peso opprimente, che ci riempie il cuore di felicità. È come un tornare a rinascere o a rivedere la luce dopo una lunga, oscura prigionia.
Questo senso di gioia lo esprime mirabilmente il Salmo responsoriale: « Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa / e perdonato il peccato… / Ti ho manifestato il mio peccato, / non ho tenuto nascosto il mio errore. / Ho detto: « Confesserò al Signore le mie colpe » / e tu hai rimessa la malizia del mio peccato » (Sal 32,1-5).
Anche se il perdono è gratuito, come ci dimostrerà anche meglio il racconto evangelico, rimane vero che l’uomo deve almeno supplicarlo, « confessandosi » peccatore. Da questo incontro fra l’amore perdonante di Dio e il gemito dell’uomo esplode la felicità di sentirsi « riaccettati » da Dio e dagli altri, come canta il ritornello: « Ridonami, Signore, la gioia del perdono » (cf Sal 51,14).

« Un creditore aveva due debitori… »
Il brano di Vangelo, riportato dal solo Luca, è il commento parlante di quanto veniamo dicendo: esso non ci descrive soltanto la « gioia del perdono » in una povera creatura, ma ci dimostra, la forza « creatrice » di un gesto di perdono, che Dio soltanto può compiere perché in realtà attinge i confini dalla onnipotenza. È l’episodio della « peccatrice » a cui Gesù rimette i peccati, da non confondersi con l’analogo episodio di cui è protagonista Maria, sorella di Lazzaro.
Essendo stato invitato Gesù a pranzo, nella casa di un fariseo, ecco che « una donna, una peccatrice di quella città… venne con un vasetto di olio profumato; e stando dietro, presso i suoi piedi, piangendo cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugò con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. A quella vista il fariseo che l’aveva invitato pensò tra sé: « Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice »" (Lc 7,37-39).
Si noti l’animo cattivo del fariseo: egli coinvolge in un unico giudizio denigratorio Gesù e la donna. Quest’ultima è subito bollata con l’appellativo di « peccatrice », che dovrebbe indicare l’infamante mestiere della prostituta; Gesù viene sospettato di una certa connivenza, perché si lascia addirittura « toccare » da una simile persona. Per dei formalisti come i farisei, c’è una specie di contagio fisico anche del male morale! Non pensano per niente che Dio può compiere il prodigio di « rinnovare » il cuore dell’uomo e che ognuno può essere occasione di salvezza per il fratello caduto nel peccato.
È quanto Gesù cerca di far capire con un’incantevole parabola al fariseo Simone: « Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta… » (vv. 41-43).
La parabola è trasparente e vi si trova benissimo anche il fariseo, il quale però non avverte che essa non è detta solo per la donna ma anche per lui: anche lui è un « debitore » verso Dio, cioè uno che ha peccato, ma che non vuole riconoscersi tale. Per questo nel suo cuore non c’è amore, o ce n’è pochissimo!
Lo stesso invito a pranzo, rivolto a Gesù, è più un gesto formalistico che di vera amicizia, come farà notare subito il Signore confrontando il suo atteggiamento con quello della « peccatrice »: « Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli… Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco » (vv. 44-47).
Gesù riassume tutti i gesti della donna e ne fa vedere il significato di accoglienza ospitale (gli ha lavato i piedi, glieli ha profumati ecc.), di generosità, di amore: lei, più che il fariseo, gli ha fatto « spazio » nella sua casa, cioè nella sua vita. E questo è segno che Dio è già presente nel suo cuore. Ma dove Dio è presente, il peccato è già distrutto.

« Ti sono rimessi i tuoi peccati »
Si sarà notato che la conclusione, che Gesù ricava dall’atteggiamento della donna, sembra capovolgere i termini della parabola: « Le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato » (v. 47). Per maggiore coerenza si sarebbe dovuto dire: « Poiché le è stato perdonato molto (i cinquecento denari), per questo ama molto ». L’amore, che qui esprime soprattutto la gratitudine, viene prima o dopo il perdono, ne è causa od effetto?
Direi che Gesù va oltre questa casistica teologica ed afferma una cosa infinitamente più grande: l’amore sta alla radice di tutto, all’inizio e al termine di ogni incontro dell’uomo con Dio, proprio perché « Dio è amore » (1 Gv 4,8.16) ed egli lo dispensa gratuitamente ad ognuno che ne ha bisogno. Per una creatura che ha « molto peccato », come la donna del Vangelo, che sente disagio della sua situazione, che desidera di rompere le catene del male, che sente il fascino di Cristo, gli si muove incontro, gli offre in omaggio i frantumi della sua vita, significata dalla rottura di quel vaso di olio profumato, perché egli li ricomponga insieme, non è necessario che venga « prima » il perdono perché essa ami, in contraccambio, di più: l’amore è già nella ricerca appassionata del perdono, così come il perdono viene offerto solo perché c’è l’amore. Amore e perdono si incontrano e, in un certo senso, si identificano.
Quello che dirà subito dopo Gesù alla donna: « Ti sono rimessi i tuoi peccati… La tua fede ti ha salvata; va’ in pace » (vv. 48.50), è solo la registrazione di qualcosa che è già avvenuto nell’intimo della sua coscienza. Ed è detto ad alta voce, per tutti i presenti, perché si guardino dentro e vedano se nel loro cuore c’è un minimo di amore per ottenere il perdono, o come « segno » del perdono già ottenuto. Dal modo con cui essi hanno osservato, quasi scandalizzati, ciò che faceva la peccatrice, c’è da pensare che ci fosse poco amore in loro.
Ed è proprio per loro e per Simone il fariseo che Gesù ha detto quella frase terribile: « Quello a cui si perdona poco, ama poco » (v._47). L’amare « poco » è segno che c’è il peccato dentro di noi: la prostituta, che si china a baciare i piedi del Signore, è già liberata dal suo male. I pretesi « giusti », che la condannano, sono sotto il segno del peccato, mentre lei è « giustificata » per mezzo della fede e dell’amore. Cristo capovolge tutto: l’unica « santità » è quella di riconoscere che « lui solo è il Santo », perché « lui solo è il Signore » che ha il potere di trasformare il nostro cuore cancellando così il nostro peccato.

« Tu sei quell’uomo! »
L’episodio di Davide, riferitoci nella prima lettura, conferma mirabilmente quanto ci ha detto fin qui il Vangelo.
Davide aveva commesso adulterio con Betsabea e per non avere recriminazioni da parte del marito, anzi per possedere definitivamente la donna, aveva ordinato al generale Joab di collocarlo nel punto più pericoloso della battaglia che egli stava conducendo contro gli Ammoniti, in modo che venisse ucciso: ciò che di fatto avvenne (cf 2 Sam 11). All’adulterio si aggiunsero, dunque, il tradimento e l’assassinio. Qualcosa di incredibile in un uomo come Davide, che Dio si era « scelto » fra tutti i figli di Israele per farlo capo del suo popolo!
È a questo punto che Dio inviò il profeta Natan per rimproverare apertamente il re dei suoi crimini banditeschi. Ciò che egli fece raccontando la parabola del povero che aveva una sola pecora, che amava come fosse « una figlia », e del ricco prepotente che, per imbandire un pranzo ad un ospite che nel frattempo era venuto da lui, non prese dal suo numeroso gregge, ma ordinò che fosse uccisa l’unica pecora del vicino (cf 2 Sam 12,1-4).
Allo scoppio di collera di Davide, che voleva subito far punire il colpevole, il Profeta risponde che il colpevole era proprio lui: « Tu sei quell’uomo! Così dice il Signore, Dio d’Israele: Io ti ho unto re d’Israele, e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la casa del tuo padrone e ho messo tra le tue braccia le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa di Israele e di Giuda… Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Uria l’Hittita, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti… » (2 Sam 12,7-10).
La colpa di Davide è tanto più grande non solo perché Dio lo aveva colmato di benefici, ma soprattutto perché non mancava di nulla, neppure di donne da prendere in moglie, senza « rubarne » una che già apparteneva al proprio marito, che poi bisognava far fuori per regolarizzare la propria posizione davanti alla gente. A Davide interessava più in quel momento apparire « pulito » di fronte ai suoi sudditi che non di fronte a Dio, che pur « scruta il cuore e le reni ». Era davvero un abisso di male quello in cui stava piombando « l’eletto di Dio »!
Ma proprio l’orrore dell’abisso e soprattutto il richiamo sferzante della « parola » hanno salvato all’ultimo momento Davide: egli ha visto il suo male, ne ha sentito pentimento e dolore, lo ha confessato davanti al profeta di Dio, e Dio lo ha perdonato. « Allora Davide disse a Natan: « Ho peccato contro il Signore! ». Natan rispose a Davide: « Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai »" (v. 13).
È a questo punto che il re d’Israele si è sentito come « rinnovato » nel suo cuore: il suo passato più non esisteva, tutto ricominciava da quel momento, come una nuova « creazione ». Il più meraviglioso e consolante fra tutti i Salmi, il « Miserere », sembra sia stato composto in questa occasione. È proprio lì che si parla del perdono come di una « creazione » e di una immensa fonte di « gioia »: « Crea in me, o Dio, un cuore puro, / rinnova in me uno spirito saldo… / Rendimi la gioia di essere salvato… » (Sal 51,12.14).
Con un precedente così clamoroso, che doveva essergli ben noto, come poteva Simone il fariseo scandalizzarsi del perdono concesso da Gesù alla « peccatrice » e del senso di « festa », espresso proprio durante un banchetto, con cui la donna aveva voluto esprimere la sua gratitudine al Signore? Contrariamente a quello che pensavano Simone e i suoi amici farisei, dal cuore dell’uomo, fosse pure grande e generoso come quello di Davide, non viene che il male: Dio solo ci salva con il suo amore!

« L’uomo non è giustificato dalle opere della legge,
ma soltanto dalla fede in Gesù Cristo »
È quanto ci dice S. Paolo nel brano della lettera ai Galati, che si riferisce al suo scontro con Pietro ad Antiochia, allorché quest’ultimo era ondeggiante nel suo comportamento relativamente a certe pratiche giudaiche, creando disagio nei cristiani di quella comunità e persino a Barnaba. L’Apostolo reagisce, richiamando l’assoluta priorità della « fede » nell’opera della salvezza, così come era stato stabilito nell’assemblea di Gerusalemme.
E la priorità della « fede » significa, in concreto, accettare di essere salvati esclusivamente per l’opera di Cristo, abbandonandosi al suo amore e imitandone i gesti. Proprio come era avvenuto per la « peccatrice », di cui ci parla Luca, e tutto il contrario di quanto presumevano i farisei, che rivendicavano la « giustizia » proveniente dalle loro opere: essendo, anzi, « orgogliosi » di queste!
« Fratelli, sapendo che l’uomo non è giustificato dalle opere della legge, ma soltanto dalla fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno… Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me » (Gal 2,16.19-20).
Qui abbiamo il nucleo della più caratteristica dottrina paolina, che affida solo a Dio, per la mediazione di Cristo, l’opera della salvezza, di modo che nessuno possa « gloriarsi » davanti a lui; ma qui non abbiamo il tempo di approfondirla. Vorrei solo far notare la forza dell’ultima espressione: mediante la « fede » Paolo è stato come calamitato in Cristo, di modo che ne ripercorre l’esperienza di « crocifissione » e di « vita » conseguente alla prima.
La « fede » che salva, perciò, non è una fede teorica, accademica, da scuola di teologia; ma una fede che afferra la vita, inchiodandola alla « croce » di Cristo, e agganciandola alla sua « risurrezione ». Una fede che ha bisogno di realizzarsi, dunque, di produrre frutti: perciò una fede rischiosa, dinamica, « compromissoria ».

 Da: CIPRIANI S., Convocati dalla Parola. Riflessioni biblico-liturgiche

Publié dans : OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |le 14 juin, 2013 |Pas de Commentaires »

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