I MILLE VOLTI DI PAOLO NELLA STORIA DELL’ARTE
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UNA ICONA DELLA FEDE
I MILLE VOLTI DI PAOLO NELLA STORIA DELL’ARTE
di Rosa Giorgi
Primo tra i santi a essere rappresentato, insieme all’apostolo Pietro, san Paolo è stato oggetto, ininterrottamente, in tutto il percorso della storia dell’arte, di numerosissime rappresentazioni. E, come per ogni particolare iconografia a soggetto sacro del mondo latino-occidentale, anche la rappresentazione di san Paolo ha visto cambiare il proprio aspetto, seppure siano generalmente rimasti invariati alcuni elementi caratteristici quali gli attributi iconografici codificati dall’uso artistico e divenuti suoi propri. La figura di san Paolo, infatti, in quella che è stata l’immagine prodotta dagli artisti lungo il periodo di quasi venti secoli, si è necessariamente adattata al percorso della storia dell’umanità e a quello del cammino della Chiesa e dei credenti; tali adattamenti si sono ottenuti attraverso variazioni di stili e di tecniche (forse le più semplici a essere immediatamente riscontrate), oppure attraverso specifiche scelte iconografiche circa l’aspetto che del santo di volta in volta si è preferito privilegiare. Queste hanno, quindi, determinato le persistenze o le innovazioni su un « tipo » che fonda le sue radici nelle rappresentazioni di tradizione pagana. Già, perché pare che le prime immagini paoline siano derivate dal tipo del « filosofo », in stretto legame con la figura di Plotino. È dunque una storia molto lunga e affascinante quella delle rappresentazioni in arte dell’Apostolo delle genti. Le prime testimonianze visive lo ricordano, quale pilastro della Chiesa cristiana, insieme a Pietro: esse sono rintracciabili in lucerne dove la figura di Paolo ricorre nell’immagine dal volto allungato e con lunga barba, e piccoli vetri catacombali; questi poco più grandi, per noi, di banali fondi di bottiglia, sono preziosissimi poiché dipinti in oro e perché un tempo erano collocati presso le sepolture e presentano così anche le prime scelte iconografiche dei cristiani. Anche qui Paolo si distingue dal principe degli apostoli per la caratteristica immagine dal volto allungato, la lunga barba scura e dai pochi capelli. La certezza che sia proprio lui ci viene data, inoltre, dalle iscrizioni che a questo tempo (siamo tra III e V secolo) sono poste quale chiara didascalia. In questo periodo non è ancora stabile la scelta di un attributo iconografico che definisca il santo ed è possibile, quindi, che sia accompagnato semplicemente da un rotulo (poi sostituito dal codex, il testo nella forma del libro), già generico simbolo per il discepolo, che in seguito verrà identificato quale simbolo dei numerosi e incisivi scritti paolini. La prima opera che già a quest’epoca (secolo IV) presenta scene della vita di san Paolo è il sarcofago di Giunio Basso (359 ca, Roma, Grotte Vaticane), cui seguono alcune tra le più preziose e interessanti realizzazioni del periodo medievale: i mosaici del Duomo di Monreale (fine secolo XII) e quelli della Cattedrale di Cefalù (secolo XII-XIII) ove tra le narrazioni della vita di Paolo si pone l’accento sulla conversione sulla via di Damasco, il battesimo per mano di Anania, la fuga da Damasco nella cesta, l’incontro con l’apostolo Pietro a Roma e la decapitazione. Nello stesso periodo si forma una iconografia autonoma del santo, cioè non legata a episodi della vita, che risulta essere assai presente nella statuaria nelle cattedrali medievali e gotiche. È quindi principalmente in questo contesto che si definisce con forza la scelta dell’attributo iconografico della spada, strumento del martirio subito da Paolo, che da ora (secolo XIII) in poi sarà il più comune per il suo riconoscimento.
Degli episodi della vita di san Paolo il più noto e diffuso nella storia dell’arte è certamente quello della caduta sulla via di Damasco, l’incontro vero e autentico col Risorto che permetterà la successiva conversione del santo. Esso, a rigor di logica, è preceduto almeno da una narrazione che riguarda la sua vita precedente, quando è testimoniata la sua accanita presenza tra i persecutori dei seguaci di Cristo: l’episodio del martirio del diacono Stefano. Nonostante tale episodio non possa correttamente essere indicato come primo tra le narrazioni della vita di Saulo (dal momento che generalmente fa parte dei cicli riguardanti Stefano), vale la pena prenderlo in considerazione anche nel percorso dell’iconografia paolina. Così, secondo la testimonianza degli Atti degli Apostoli, che ricordano come Paolo abbia tenuto i mantelli di coloro che uccisero il diacono Stefano, non è raro riconoscere la sua presenza in alcune rappresentazioni del martirio di santo Stefano. Ecco quindi nell’opera di Pietro da Cortona (1660, San Pietroburgo Hermitage) il giovane Paolo che regge i mantelli dei lapidatori è rappresentato come se l’artista volesse catturare la nostra attenzione per una lettura consapevole della successiva sua vicenda. Infatti sembra gettarsi quasi egli stesso sotto la lapidazione, coinvolto da quanto accade al diacono cristiano, posto in primo piano sulla scena.
Il drammatico e stravolgente episodio della visione e la caduta sulla via di Damasco che dà origine alla conversione del persecutore, è però l’immagine certamente più incisiva dell’iconografia paolina. L’arte lo ha narrato secondo due principali versioni; in esse il grande persecutore dei cristiani viene rappresentato sia mentre viaggia a piedi, in particolare nelle più antiche rappresentazioni, sia mentre viaggia a cavallo. Si tratta di un episodio straordinario e fondamentale per l’Apostolo delle genti e, al tempo stesso, drammatico, coinvolgente ed edificatorio per un’arte che aveva in sé necessariamente funzione catechetica e fungeva da ausilio per la predicazione. Ogni epoca della storia dell’arte si è soffermata su questo tema, ogni epoca della storia dell’arte ha cercato di coinvolgere i fedeli nella visione di Saulo e nella sua caduta, nella ricerca delle soluzioni più adatte per indicarne la forza travolgente e per dare corpo all’apparizione di Cristo che si presentava a interrogare Saulo: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Tra le opere più note vi sono le due versioni caravaggesche entrambe realizzate tra il 1600 il 1601: la Caduta di san Paolo della Collezione Odescalchi di Roma e la Caduta di san Paolo della Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo, la seconda sostitutiva della prima che non era stata accettata. Ai nostri occhi oggi appare più drammatica e sconvolgete la versione rifiutata (quella ora della Collezione Odescalchi): la scelta narrativa e compositiva non lascia adito a dubbi nel comprendere che il Cristo è visibile solo a san Paolo (il soldato sembra muovere nell’aria la sua lancia senza vedere contro chi deve combattere), nell’immaginare l’improvvisa cecità, e nell’anticipo di quelle che saranno le successive vicende del santo illuminato dalla luce della Grazia. Questa è simboleggiata dalla naturalistica immagine del crepuscolo che, per ragioni simboliche, risulta volutamente contraddittoria rispetto alla fonte – Paolo stesso – che riferisce che l’episodio sia accaduto verso mezzogiorno. Tale drammaticità così presente nelle rappresentazioni del Seicento, viene affiancata nello stesso periodo, in particolare nell’attenzione dei pittori classicisti, dalla rappresentazione di un altro momento determinato e di grande forza spirituale della vita di Paolo: il rapimento al terzo Cielo, di cui l’apostolo stesso riferisce (nella II Lettera ai Corinzi). Gli esempi più noti di questo particolare momento estatico sono rappresentati dalle opere di Nicolas Poussin (Rapimento al Terzo Cielo, 1649-1650, Parigi, Louvre), e Domenichino (Rapimento al Terzo Cielo, 1606-1608, Louvre) ove entrambi gli artisti si riferiscono all’iconografia dell’Assunzione per rappresentare il dolce rapimento estatico in cui il santo è trasportato in cielo dagli angeli.
Infine l’episodio del compimento: il dono completo della vita per la causa di Cristo. Il martirio, la decollazione di Paolo, conclude il ciclo degli episodi della sua vita. Presente fin dai primi cicli, ad esempio nelle tavole dedicate a Paolo nel Polittico Stefaneschi (1330 ca, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana), tale narrazione non vede sostanziali cambiamenti iconografici, ma verrà affiancata da una particolare invenzione iconografica: il momento dell’incontro con l’apostolo Pietro proprio mentre i due sono condotti al martirio, nello stesso giorno, per volontà di Nerone, fuori dalle mura di Roma. La narrazione di questo episodio, frutto della devozione popolare, è caratterizzata dall’intensità degli sguardi e dalla determinazione che spesso in essi si legge, come nell’interpretazione data da Giovanni Serodine (1625-26, ora alla Galleria nazionale di arte antica di Roma), in cui la figura di Paolo è presentata vicina a quella di Pietro e i due guardandosi con forza negli occhi si stringono la mano, come estremo sì alla volontà del Signore.
Rosa Giorgi

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