Archive pour mai, 2013

« Holy Angels, our friends, our guides, our defenders, our helpers, our intercessors, pray for us. » (Mother Teresa)


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IL SAN PAOLO DI JACQUES MARITAIN: LA VITA È DRAMMA, NON TRAGEDIA

http://sottoosservazione.wordpress.com/2009/06/19/il-san-paolo-di-jacques-maritain/

IL SAN PAOLO DI JACQUES MARITAIN

 LA VITA È DRAMMA, NON TRAGEDIA

Tre sono le opere di Jacques Maritain che hanno avuto la più larga diffusione nel mondo, suscitando consensi e dissensi, Il primato dello spirituale (1927) Umanesimo integrale (1936) e Il contadino della Garonna (1966), e in tutte abbondano le citazioni dalle Lettere di san Paolo. Ma per conoscere la profondità dell’influenza del pensiero paolino su Maritain bisogna esplorare  l’Opera omnia controllando tutti i riferimenti e i rimandi nei temi teologici, politici, culturali della sua lunga riflessione filosofica.
Maritain parte dall’analisi del nodo cruciale della riflessione paolina, la relazione tra la legge e la grazia.
L’uomo è libero, Dio rispetta la sua libertà, ma la libertà di scelta tra il bene e il male non è la vera libertà, è soltanto la  possibilità della libertà, perché l’uomo è realmente libero quando, potendo fare il male, fa il bene e realizza se stesso. Per scegliere occorre una regola, una legge con cui misurare il proprio comportamento.
“Il fatto che ciascuno sarà giudicato secondo le sue opere costituisce agli occhi di Paolo un’indiscutibile premessa, un presupposto, di tutto ciò che egli dice. I pagani saranno giudicati in base alla loro legge, che è la norma di condotta invisibilmente presente alla loro coscienza, in virtù della natura e dei misteriosi suggerimenti divini. I giudei saranno giudicati in base alla loro legge, che è la legge di Dio, scritta e resa pubblica, la legge di Mosè”. San Paolo ci indica i due errori da evitare:  la pretesa di salvarsi da sé o di salvarsi con la semplice conformazione alla legge naturale o mosaica. “L’illusione capitale, a questo punto, è quella di credere che siamo noi a salvarci (o a giustificarci) da soli, con le sole energie della nostra anima e della nostra volontà tese a conformare esattamente la nostra condotta alle regole morali o ai precetti religiosi posti dall’esterno davanti ai nostri occhi”.
Poiché la legge trascende la coscienza, l’uomo non può giudicarsi e giustificarsi da solo. Le riflessioni di Maritain, nelle Nove lezioni sulle prime nozioni della filosofia morale, si raccordano all’insegnamento di san Paolo. “La legge da sola è incapace di rendermi buono, la legge può condannarmi, ma non salvarmi. Amo il bene che mi comanda, ma non voglio farlo. La legge costringe, condanna la mia volontà ribelle”. Si ha qui un netto superamento della morale kantiana, perché si passa dalla colpa al peccato, riconoscendo che l’infrazione della legge è un’offesa al Legislatore, per cui la morale deve, senza perdere il suo valore, risolversi nella religione.
Si passa da iussum a iustum, in quanto una norma non è giusta perché è comandata dalla coscienza, ma è comandata dalla coscienza perché è giusta in se stessa, per cui quando si infrange la legge non ci si sente solo in colpa verso se stessi, ma in peccato verso il Legislatore, fondamento ultimo della norma.
Si passa così da un vivere secondo la legge (coscienza sociale) e da un vivere per la legge (coscienza morale) a un vivere oltre la legge (coscienza religiosa). Maritain precisa:  “Il limite insormontabile contro il quale urta la filosofia è dovuto al fatto che questa conosce senza dubbio i soggetti, ma li conosce come oggetti, risulta totalmente circoscritta entro la relazione intelligenza-oggetto, mentre la religione si inscrive nella relazione tra soggetto e soggetto”.
È proprio questa relazione religiosa che è mancata al paganesimo:  “San Paolo incolpa la sapienza pagana di non avere riconosciuto questa gloria di Dio che pur conosceva. Certo conoscere questa gloria significa già adorarla. Ma sapere che Dio è un Io trascendente, e sovrano, ed entrare, invece, con tutto il proprio bagaglio e la propria esistenza in carne e ossa, nel rapporto vitale in cui la soggettività creata viene messa di fronte a questa soggettività trascendente, attende da essa la propria salvezza, trema e ama, sono due cose ben diverse. Questo secondo atteggiamento riguarda la religione”. La coscienza religiosa non cancella, bensì include la coscienza morale. Infatti “una volta giustificato, l’uomo è tenuto più che mai a operare bene, non perché le opere umane siano idonee, da sole, a salvarlo, ma perché le buone opere procedono dalla carità che ha ricevuto in dono”.
Da filosofo precisa che, con le opere, dalla carità “l’uomo, agendo liberamente sotto l’influenza della grazia divina riceve dalla misericordia di Dio la dignità di causa seconda e strumentale nelle vicende della propria salvezza”.
La legge è santa, eppure è foriera di morte, ma il Cristo ci affranca dal regime della legge, perché Dio, che per la libertà dell’uomo permette il male, ripara quel non-essere che l’uomo ha introdotto nella storia. È il dramma della storia dell’uomo, ma non è una tragedia, come intende il pensiero pagano prigioniero della fatalità – basti pensare alle tragedie di Sofocle e all’esistenzialismo di Sartre – perché nel sacrificio di Cristo ha una soluzione positiva per tutti gli uomini, che accettano e partecipano all’Amore riparatore di Dio.
Anche in questo senso la carità è il vertice della vita morale, come dice san Paolo e Maritain commenta:  “L’amore è la pienezza della legge. È l’amore che permette realmente e integralmente tutti gli altri comandamenti. La carità è inseparabile dalla fede e dalla speranza, ma delle tre virtù teologali che ci vengono donate dalla grazia della giustificazione gratuita, la più grande, quella che merita la vita eterna, è la carità”.
Anzi la carità è la stessa vita eterna, come ci dice Benedetto XVI nella sua prima enciclica Deus caritas est. Anche le riflessioni ecclesiologiche di Maritain nascono dalla meditazione ”che la Chiesa è una persona, non una moltitudine dotata, in senso analogico, di una personalità morale, ma veramente una persona, e questo è il suo privilegio, essenzialmente soprannaturale e unico”.

Piero Viotto

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/text.html#13

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SOLENNITÀ DI MARIA MADRE DI DIO : CELEBRAZIONE EUCARISTICA ALLA PORZIUNCOLA – (TEMA: MARIA E SAN PAOLO)

http://www.assisiofm.it/solennit%C3%A0-di-maria-madre-di-dio-2806-1.html

(TEMA: MARIA E SAN PAOLO)
link alle letture: http://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20130101.shtml

SOLENNITÀ DI MARIA MADRE DI DIO

01/01/2013

CELEBRAZIONE EUCARISTICA ALLA PORZIUNCOLA

Omelia del Ministro Provinciale dei Frati Minori di Umbria e Sardegna, fr Bruno Ottavi, tenuta durante la solenne celebrazione eucaristica della Santissima Madre di Dio presieduta nella Basilica Papale di Santa Maria degli Angeli in Porziuncola.
Nella solennità di oggi, la Chiesa ci invita a venerare Maria Santissima Madre di Dio, e questo è molto bello nel primo giorno dell’anno, quando ogni uomo dovrebbe essere nella speranza di un “qualcosa di nuovo” che deve accadere. La novità e la verità che oggi celebriamo è proprio quella di una donna che è divenuta, per grazia, Madre di Dio, cioè ha dato a noi la vera speranza per il mondo, il Figlio Gesù Cristo, Salvatore e Signore dell’umanità.
Lo sguardo della nostra fede continua ad essere rivolto al grande mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, mentre contempliamo la maternità della Vergine Maria, la Madre di Dio. Infatti Maria non è come una madre qualunque, ma è la Madre di Dio, la Thèotokos, ella ci ha donato il Figlio di Dio che ci salva, che ci libera dal male, ma soprattutto ci fa “figli” e non più “schiavi”, come ci ha detto San Paolo nella seconda lettura.
Maria, la Madre di Dio, oggi ci insegna a crescere nella fede: ella “meditava nel suo cuore”. Anche noi oggi dobbiamo meditare questo mistero e metterlo in relazione con il tempo che passa, dove il Signore Gesù diventa il centro del tempo e della storia. Anche se non riusciamo a capire gli avvenimenti della vita, sia personale che del mondo intero, soprattutto di fronte alla sofferenza, al dolore e alla morte, Maria la Madre di Dio, oggi ci insegna, mediante la fede, la speranza cristiana.
San Paolo, in questa lettera ai Galati, accenna in maniera molto discreta a colei per mezzo della quale il Figlio di Dio entra nel mondo: quella donna a cui l’Apostolo accenna è Maria, la Madre di Dio. Nella fede siamo invitati a metterci alla sua scuola, a scuola della fedele discepola del Signore, per imparare da Lei ad accogliere nella fede e nella preghiera la salvezza che Dio vuole donare a quanti confidano nel suo amore misericordioso, nonostante le paure e le crisi di questa nostra società.
Noi cristiani oggi, primo giorno dell’anno, proclamiamo che la salvezza è dono di Dio; nella prima lettura essa ci è stata presentata come benedizione: « Ti benedica il Signore e ti protegga… (Nm 6, 24). All’inizio di un nuovo anno, la liturgia vuole incoraggiarci ad invocare la benedizione del Signore su questo 2013 che muove i primi passi, perché sia per tutti noi un anno di prosperità e di pace. Ed è molto bello iniziarlo con la benedizione di Dio e con il nome di Gesù sulle labbra! Il Vangelo ci dice che gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo. Questo nome che significa “Dio salva” è come l’augurio che, nonostante le preoccupazioni che il nuovo anno ci porta, il Signore continua a promettere la salvezza, cioè la pienezza della vita di Dio.
In questo primo giorno dell’anno inoltre, la Chiesa ci chiede di pregare per la pace, di invocare questo dono prezioso per la vita del mondo e per ciascuno di noi. Ma quale pace?
La pace costruita dagli uomini con i compromessi della politica? Una pace che è solo la ricerca del quieto vivere, ma in mezzo alle ingiustizie e alle povertà? L’importante è che io sia in pace… poi nel mondo non importa se le guerre, le ingiustizie, la violenza e le armi continuano a dettare legge. Non facciamo più caso alle notizie delle tante guerre che scuotono il pianeta, dall’Africa al Medio Oriente, senza contare quelle guerre anche all’interno delle famiglie che a volte sfociano nella violenza e nei soprusi verso i più deboli.
Oppure desideriamo la pace portata da Gesù? San Paolo nelle sue lettere ci dice che la pace è Gesù stesso! Egli è la no­stra pace (Ef. 2, 14). Ecco dunque cos’è la pace che il Signore ci dona: è la riconciliazione con Dio per mezzo di Gesù Cristo, la pace che ricostruisce l’uomo in unità e gli restituisce quella sicurezza interiore per cui può esclamare: Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? La guerra, la fame? Nien­te potrà mai separarci dall’amore di Dio (Rom. 8, 31.39).
Un uomo che crede fermamente in Gesù Cristo, è anche un uomo che diffonde pace: è «un operatore di pace», come ci dice il Santo Padre nel suo messaggio per la pace di questo 2013. Questa pace non si ferma nel cuore del singolo cristiano; essa nasce e cresce in una comunità di pace che è la Chiesa, che è la comunità dei credenti in Cristo che operano per la pace!
So bene che queste parole possono far nascere un dubbio: se è così, perché a duemila anni dalla venuta di Gesù ci sono tanti odi anche tra i cristiani, tante violenze tra popolo e popolo? Perché la Chiesa non è quel segno di pace tra gli uomini che desideriamo? Per questo dobbiamo chiedere perdono: è per­ché noi cristiani abbiamo tradito il Vangelo, perché non ci siamo impegnati a fondo a convertirci, a rinnovarci, a far emergere in noi quell’uomo nuovo che solo può essere portatore di pace, perché è portatore di Cristo.
Nella prima lettura abbiamo sentito l’augurio col qua­le Dio ordinò a Mosè di benedire gli Israeliti: Il Signore volga su di te il suo volto e ti conceda pace; fra poco nel­l’Eucaristia sarà il Risorto in persona che ci rivolgerà quelle sue dolcissime parole: Vi do la pace, vi do la mia pace; non quella che sa dare il mondo, ma quella che solo io posso dare.
« Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore » (Lc 2, 19). Il primo giorno dell’anno è posto sotto il segno di una donna, Maria. Il Vangelo di Luca la descrive come la Vergine silenziosa, in costante ascolto della Parola di Dio. Alla sua scuola vogliamo apprendere anche noi a diventare attenti e docili discepoli del Signore. Con il suo aiuto materno, desideriamo impegnarci a lavorare come operatori di pace, alla sequela di Cristo, Principe della Pace. Seguendo l’esempio della Vergine Santa, vogliamo lasciarci guidare sempre e solo da Gesù Cristo, che è lo stesso ieri, oggi e sempre! (cfr Eb 13, 8).

Amen.

San Paolo e il re Agrippa

San Paolo e il re Agrippa dans immagini sacre Paul_and_king_Agrippa

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BENEDETTO XVI: CANTICO CFR FIL 2, 6-11 – CRISTO SERVO DI DIO

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2005/documents/hf_ben-xvi_aud_20050601_it.html

(è la prima catechesi di Papa Benedetto su Paolo)

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

MERCOLEDÌ, 1° GIUGNO 2005

CANTICO CFR FIL 2, 6-11 – CRISTO SERVO DI DIO

PRIMI VESPRI DELLA DOMENICA DELLA 3A SETTIMANA

1. In ogni celebrazione domenicale dei Vespri la liturgia ci ripropone il breve ma denso inno cristologico della Lettera ai Filippesi (cfr 2,6-11). È l’inno ora risuonato che consideriamo nella sua prima parte (cfr vv. 6-8), ove si delinea la paradossale «spogliazione» del Verbo divino, che depone la sua gloria e assume la condizione umana.
Cristo incarnato e umiliato nella morte più infame, quella della crocifissione, è proposto come un modello vitale per il cristiano. Questi, infatti, – come si afferma nel contesto – deve avere «gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (v. 5), sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di generosità.
2. Egli, certo, possiede la natura divina con tutte le sue prerogative. Ma questa realtà trascendente non è interpretata e vissuta all’insegna del potere, della grandezza, del dominio. Cristo non usa il suo essere pari a Dio, la sua dignità gloriosa e la sua potenza come strumento di trionfo, segno di distanza, espressione di schiacciante supremazia (cfr v. 6). Anzi, egli «spogliò», svuotò se stesso, immergendosi senza riserve nella misera e debole condizione umana. La «forma» (morphe) divina si nasconde in Cristo sotto la «forma» (morphe) umana, ossia sotto la nostra realtà segnata dalla sofferenza, dalla povertà, dal limite e dalla morte (cfr v. 7).
Non si tratta quindi di un semplice rivestimento, di un’apparenza mutevole, come si riteneva accadesse alle divinità della cultura greco-romana: quella di Cristo è la realtà divina in un’esperienza autenticamente umana. Egli è veramente il «Dio-con-noi», che non si accontenta di guardarci con occhio benigno dal trono della sua gloria, ma si immerge personalmente nella storia umana, divenendo «carne», ossia realtà fragile, condizionata dal tempo e dallo spazio (cfr Gv 1,14).
3. Questa condivisione radicale della condizione umana, escluso il peccato (cfr Eb 4,15), conduce Gesù fino a quella frontiera che è il segno della nostra finitezza e caducità, la morte. Questa non è, però, frutto di un meccanismo oscuro o di una cieca fatalità: essa nasce dalla scelta di obbedienza al disegno di salvezza del Padre (cfr Fil 2,8).
L’Apostolo aggiunge che la morte a cui Gesù va incontro è quella di croce, ossia la più degradante, volendo così essere veramente fratello di ogni uomo e di ogni donna, costretti a una fine atroce e ignominiosa.
Ma proprio nella sua passione e morte Cristo testimonia la sua adesione libera e cosciente al volere del Padre, come si legge nella Lettera agli Ebrei: «Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5,8).
Fermiamoci qui nella nostra riflessione sulla prima parte dell’inno cristologico, concentrato sull’incarnazione e sulla passione redentrice. Avremo occasione in seguito di approfondire l’itinerario successivo, quello pasquale, che conduce dalla croce alla gloria.
4. Concludiamo la nostra riflessione con un grande testimone della tradizione orientale, Teodoreto che fu Vescovo di Ciro, in Siria, nel V secolo: «L’incarnazione del nostro Salvatore rappresenta il più alto compimento della sollecitudine divina per gli uomini. Infatti né il cielo né la terra né il mare né l’aria né il sole né la luna né gli astri né tutto l’universo visibile e invisibile, creato dalla sua sola parola o piuttosto portato alla luce dalla sua parola conformemente alla sua volontà, indicano la sua incommensurabile bontà quanto il fatto che il Figlio unigenito di Dio, colui che sussisteva in natura di Dio (cfr Fil 2,6), riflesso della sua gloria, impronta della sua sostanza (cfr Eb 1,3), che era in principio, era presso Dio ed era Dio, attraverso cui sono state fatte tutte le cose (cfr Gv 1,1-3), dopo aver assunto la natura di servo, apparve in forma di uomo, per la sua figura umana fu considerato come uomo, fu visto sulla terra, con gli uomini ebbe rapporti, si caricò delle nostre infermità e prese su di sé le nostre malattie» (Discorsi sulla provvidenza divina, 10: Collana di testi patristici, LXXV, Roma 1988, pp. 250-251).
Teodoreto di Ciro prosegue la sua riflessione, mettendo in luce proprio lo stretto legame sottolineato dall’inno della Lettera ai Filippesi fra l’incarnazione di Gesù e la redenzione degli uomini. «Il Creatore con saggezza e giustizia lavorò per la nostra salvezza. Poiché egli non ha voluto né servirsi soltanto della sua potenza per elargirci il dono della libertà né armare unicamente la misericordia contro colui che ha assoggettato il genere umano, affinché quegli non accusasse la misericordia d’ingiustizia, bensì ha escogitato una via carica di amore per gli uomini e al contempo adorna di giustizia. Egli infatti, dopo aver unito a sé la natura dell’uomo ormai vinta, la conduce alla lotta e la dispone a riparare alla sconfitta, a sbaragliare colui che un tempo aveva iniquamente riportato la vittoria, a liberarsi dalla tirannide di chi l’aveva crudelmente fatta schiava e a recuperare la primitiva libertà» (ibidem, pp. 251-252).

L’ultima cena – icona russa

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Publié dans:immagini sacre |on 3 mai, 2013 |Pas de commentaires »

COMMENTO ALLA PRIMA LETTURA DI MARIE NOËLLE THABUT

http://www.eglise.catholique.fr/foi-et-vie-chretienne/commentaires-de-marie-noelle-thabut.html

(traduco dal francese con Google il commento  alla prima lettura, le traduzioni sono sempre imperfette, ma i commenti di Marie NOËLLE THABUT, sono sempre molto istruttivi)

DIMANCHE 5 MAI : COMMENTAIRES DE MARIE NOËLLE THABUT

PREMIERE LECTURE – Actes 15, 1-2. 22-29

Abbiamo già sentito parlare della comunità di Antiochia in Siria nei testi di domeniche precedenti … Oggi troviamo di fronte a una crisi grave che siamo intorno all’anno 50 dC, fin dall’inizio, ad Antiochia c’erano cristiani ebrei e dei cristiani gentili, ma pochi solo tra di loro, la convivenza è diventato sempre più difficile, i loro stili di vita sono troppo diversi. Non solo i cristiani ebrei sono circoncisi e considerano i pagani che non sono, ma ancora più importante, tutti gli oggetti della vita di tutti i giorni, a causa della molteplicità di pratiche che i cristiani ebrei di origine Pagan non voleva sottomettersi: molte regole di purificazione, le abluzioni e le regole particolarmente severe per quanto riguarda il cibo.
 E poi un giorno i cristiani di origine ebraica venuti espressamente da Gerusalemme a convertire la contestazione, spiegando che bisogna ammettere che il battesimo cristiano di ebrei, in particolare, i Gentili sono invitati a essere ebrei prima (circoncisione compresa) prima di diventare cristiani.
 Dietro a questo argomento, ci sono almeno tre questioni: in primo luogo, dovrebbe sforzarsi di coerenza? Per vivere l’unità, la comunione, dovrebbe avere le stesse idee, gli stessi rituali, le stesse pratiche?
 La seconda questione è una questione di lealtà: tutti questi cristiani di tutte le provenienze vogliono rimanere fedeli a Gesù Cristo, è ovvio …! Ma in concreto, che cosa è la fedeltà a Gesù Cristo? Lo stesso Gesù Cristo era un Ebreo e non circonciso che dice di diventare un cristiano deve prima diventare un Ebreo come lui?
 E ‘anche vero che i primi cristiani erano tutti ebrei. Dal momento che gli apostoli scelti da Cristo erano tutti ebrei … e anche, di andare oltre, erano tutti dalla Galilea … Non limitare l’annuncio del Vangelo a tutti i Galilei … è ovvio!
Noi non limitare ad ebrei per nascita, non di più … Inoltre, la questione è già stata risolta in Antiochia. Alcuni cristiani di origine pagana, si è deja vu. Ma questi cristiani di origine pagana, forse avrebbe introdurre in primo luogo al giudaismo e poi farli cristiani? Concretamente, questo significa che siamo d’accordo a battezzare i pagani, a condizione che aderiscono prima alla religione ebraica e che sia circonciso.
 Sì, ma si può avere un altro motivo: Gesù Cristo ha fatto in circostanze in cui si trovava, in altre circostanze, avrebbe agito in modo diverso, per esempio, che era un Galileo è circondato da Galilea, ma non è un requisito per diventare un cristiano.
 La decisione, al momento, a Gerusalemme, abbiamo appena letto, come adottare questa seconda visione: essere fedeli a Gesù Cristo non significa necessariamente riprodurre un modello statico. In altre parole, la fedeltà non è ripetizione quando si studia la storia della Chiesa, siamo stupiti proprio adattabilità sapeva distribuire a rimanere fedele al suo Signore attraverso le fluttuazioni storia!
 Infine, c’è una terza questione, ancora peggio: è la salvezza donata da Dio incondizionatamente, sì o no? « Se non si riceve la circoncisione, non potete essere salvati », questo sta cominciando a sentire in Antiochia: ciò significherebbe che Dio stesso non può salvare non ebrei … vorrebbe dire che siamo noi a decidere al posto di Dio, che può o non può essere salvato … Infine, vorrebbe dire che la fede in Gesù Cristo non è sufficiente? Eppure Gesù stesso ha detto: « Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo » e lui non aggiungere che doveva essere Ebreo circonciso e … e quindi, per definizione, la grazia è gratis! Non possiamo aggiungere alle nostre condizioni alla grazia di Dio.
 Sappiamo che la fine della storia, gli Apostoli hanno preso due decisioni: gli ebrei cristiani non dovrebbero imporre la circoncisione e pratiche ebraiche di cristiani gentili, ma d’altra parte, i cristiani di origine pagana, in segno di rispetto per i loro fratelli ebrei, astenersi da che potrebbe disturbare la vita comunitaria, soprattutto per il pranzo. E ‘molto interessante notare che impone alla comunità cristiana che le regole che mantengono comunione. Questo è sicuramente il modo migliore per essere veramente fedele a se stesso Gesù Cristo, che ha detto « questo è l’amore che hai per l’altro che noi che siete miei discepoli » (Gv 13, , 35).
 ———————–
 Supplementi
 Questi problemi circa la circoncisione e le pratiche della legge ebraica possono sembrare di un’altra epoca: siamo davvero preoccupati?
 Sì, perché la domanda fondamentale circa la grazia è ancora valida, abbiamo ancora bisogno di sentire ancora una volta diciamo che la grazia è libero: è il senso della parola! Questo significa che Dio non ha mai i conti con noi!

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