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DOMENICA: S. TRINITÀ : NOI SAPPIAMO COM’E’ FATTO DIO

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26 MAGGIO 2013  |  8A DOMENICA: S. TRINITÀ – T. ORDINARIO C | OMELIA DI APPROFONDIMENTO

NOI SAPPIAMO COM’E’ FATTO DIO

Com’è fatto veramente Dio? È la domanda delle domande che ha percorso i secoli e sollecitato la mente delle creatura umane: dai grandi pensatori alle persone più umili.
La questione è importante. Il nostro modo di credere e di pensare Dio, influenza totalmente il nostro modo di essere, la nostra maniera di comportarci, il nostro modo di vedere noi stessi, il mondo e i nostri simili..
Per questo da sempre gli esseri umani si sono interrogati su Dio, ben sapendo di non essere in grado di avere una risposta semplice. Un filosofo, André Comte-Sponville, sintetizza così il problema: « Veniamo alla parte più difficile, o più incerta. Due questioni, a proposito di Dio, si impongono prima di tutto: quella della sua definizione, e quella della sua esistenza. Nessuna scienza sa rispondervi, né lo saprà mai. Non è un motivo per rinunciare a pensarci. Nessuna scienza sa neppure dirci come vivere, né come morire. Non è una ragione per vivere o morire in un modo qualsiasi » (Lo spirito dell’ateismo, 62).
Una cosa però sappiamo: Dio non è un enigma e non gioca a nascondino con gli uomini. Vuole che noi lo conosciamo. Perché cercare la verità è un dovere. Gesù l’ha detto e ripetuto. Stando ai Vangeli, egli non si scandalizza quando chi lo ascolta e i suoi seguaci lo interrogano sull’identità sua e del Padre. Al contrario, è lui stesso a provocare le domande.
Conoscere Dio è l’essenziale. Gesù lo afferma chiaramente: « La vita eterna è questo: conoscere te, l’unico vero Dio e conoscere colui che tu hai mandato, Gesù Cristo » (Vangelo di Giovanni 17).
Gesù afferma un giorno: « C’è poi il Padre che mi ha mandato: anche lui ha testimoniato a mio favore, ma voi non avete mai ascoltato la sua voce e non avete mai visto il suo volto. La sua parola non è radicata in voi, perché voi non avete fede nel Figlio che egli ha mandato. A me non importa affatto di ricevere i complimenti degli uomini. D’altra parte io vi conosco: so bene che non amate Dio ».
« Chi mi ha mandato dice la verità. Ma voi non lo conoscete » (Vangelo di Giovanni 7, 28).
Chi sono gli ascoltatori? Chi sono le persone a cui Gesù sbatte in faccia queste parole terribili? Sono brave persone. Gente di Dio dalla nascita.
Ma sono rimasti al sacerdozio di Aronne: « Gli Israeliti videro che Mosè tardava a scendere dalla montagna; allora si riunirono intorno ad Aronne e gli dissero: « Su, costruisci per noi un dio che ci guidi. Ormai non sappiamo che fine abbia fatto quel Mosè che ci ha portati fuori dell’Egitto ». Aronne disse loro: « Raccogliete gli anelli d’oro che le vostre mogli, i vostri figli e le vostre figlie portano agli orecchi e dateli a me ».’Tutta la gente si tolse gli anelli e li portò da Aronne. Egli li prese, li fece fondere e fabbricò la statua di un vitello. Allora dissero:  » O Israeliti, ecco il vostro Dio, che ci ha fatto uscire dall’Egitto! ».Quando Aronne vide questo, costruì un altare davanti al vitello; poi proclamò: « Domani è festa in onore del Signore ». Il giorno dopo, al mattino presto, gli Israeliti bruciarono sacrifici completi e ne offrirono
altri per il banchetto sacro. Poi si sedettero per mangiare e per bere: alla fine si misero a far festa » (Esodo 32, 1-6).
Un dio a nostro uso e consumo è certamente più comodo del Dio di Gesù.
Se l’avessimo inventato noi, Dio sarebbe di sicuro molto somigliante al vitello d’oro.
L’avessimo inventato noi, non saremmo qui a Parlare di Santissima Trinità.
Era il giorno della Cresima. I cresimandi erano allineati nella navata centrale della chiesa. Il vescovo si sedette e, come spesso succede, cominciò a dialogare con i ragazzi. Chiamò una bambina che si avvicinò.
« Come ti chiami? » domandò il vescovo.
« Manuela », rispose la bambina, molto emozionata.
« Dimmi, Manuela, cosa diciamo facendo il segno della croce? ».
« … ». »Diciamo », l’aiutò il vescovo, sorridendo: « Nel nome del Padre, del Figlio e… ».
« …e della Mamma! » concluse la bambina.
Di certo non si è offeso lo Spirito Santo. La bambina ha dato una definizione bellissima di Trinità, il modo con cui esprimiamo l’essenza di Dio.
Dio è come una famiglia in cui tutto è donarsi, vivere per, intreccio d’amore.
Dio è mistero, ma ha voluto farsi conoscere. Per questo ha usato dei nomi così semplici, così familiari: papà, figlio, soffio, fiato, respiro…
Una frase di Gesù ha cambiato la storia dell’umanità: « Chi vede me, vede il Padre » (Vangelo di Giovanni 14,9).
Finalmente sappiamo chi è Dio. È grazie a Gesù che Dio acquista ai nostri occhi un volto comprensibile. Quando guardiamo Gesù, non può venirci in mente un’immagine qualsiasi di Dio. Di certo non quell’immagine un po’ astrusa e un po’ ammuffita dei filosofi che hanno balbettato o con incredibile supponenza hanno discettato di Dio.
Gesù è la risposta.
Come abbiamo sentito,Gesù riconosce che per noi è difficile comprendere davvero il mistero di Dio:
« Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso ».
Sarebbe buffo il contrario: Dio è immenso e infinito, come potrebbe entrare nella nostra piccola testa?
Nella vita di Sant’Agostino, uno dei più grandi pensatori del cristianesimo, c’è una piccola storia significativa, che è ricordata anche nello stemma del Papa Benedetto XVI, che porta al centro una conchiglia.
Il santo passeggia sulla spiaggia africana dov’è vescovo, meditando sul mistero di Dio. Da lontano scorge un bambino che corre avanti e indietro dal mare ad un punto fisso della spiaggia, a dieci metri dal bordo del mare. Il bambino porta un po’ d’acqua di mare in una conchiglia e la rovescia in una buchetta che ha scavato nella sabbia.
Incuriosito, Sant’Agostino si avvicina e gli chiede che cosa sta facendo. Il bambino risponde: « Come vedi, voglio portare tutta l’acqua del mare nella buca che ho scavato ».
Sant’Agostino sorride e gli fa notare che non ce la farà mai, perché è francamente impossibile.
Il bambino lo guarda negli occhi e risponde: « Anche tu, Agostino, non puoi pretendere di mettere i segreti di Dio nella buchetta della tua intelligenza. Dio è immenso! Molto più grande della terra, del mare e del cielo e di tulle le intelligenze degli uomini! »
Ma non dobbiamo scoraggiarci. Gesù ci ha rassicurati:
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà ».
Pensare a Dio come a Trinità, significa allora pensare a Dio come ad un vortice d’amore che tutto attira e ingloba, noi compresi.
Così sappiamo bene che cosa proclamiamo, quando tracciamo su di noi il segno della croce dicendo: « Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo ».
Iniziamo dalla conclusione della formula della nostra professione di fede, lo Spirito Santo. Incontriamo Dio in tutta la sua maestà, indiviso e inafferrabile, come Spirito Santo. Egli, infatti, è l’autore della prima e della nuova creazione, come Spirito ci libera dal peccato e rida vita ai morti. È la forza che ci fa adempiere alla Legge. E dunque è Dio che conferisce al mondo e agli esseri umani forma e vita, vitalità e ordine. Dio come Spirito Santo crea, forma ed è gioia.
E il Figlio è Dio, in lui il mistero di Dio si presenta al nostro sguardo pieno e indiviso. Era infatti proprio questa l’esperienza della gente davanti a Gesù: così amabile e così vincolante, così tenero e così severo, così serio nella solitaria preghiera notturna e così allegro nei banchetti, così sovranamente intransigente con i demoni e così fraterno con donne e bambini, così santo nell’eliminazione assoluta di ogni forma di sporcizia, così liberatorio nel perdono dei peccatori, così è soltanto Dio e così, sicuramente, è Dio. Perciò era una fortuna incontrare Gesù e sperimentare la fine di ogni blocco e di ogni malattia. Gesù combatte contro il regno di Satana come un condottiero, contro la malattia, la fame e la morte come un medico e contro le assurde divisioni tra gli uomini.
In ciò sta anche la promessa più essenziale.
Sin dai tempi del paradiso terrestre, il « Diventerete come Dio » domina le fantasie degli esseri umani. Qui – nel beato essere-figlio di Gesù nei confronti del Padre – si trasforma inaspettatamente in realtà. In Gesù abbiamo incontrato Dio come uomo e in maniera umana, affinché diventiamo come Dio, finalmente affrancati dall’onnipotenza della morte.
E Dio è presente come Padre, come origine, come grembo materno di tutto ciò che è e che sarà, L’Apocalisse di Giovanni lo dice nel modo più chiaro: « Io sono l’Alfa e l’Omega [l'ultima lettera dell'alfabeto greco], il Principio e la Fine ».

Festeggiamo allora la magnifica ricchezza di Dio.
Facciamo il « segno della croce » pubblicamente e con fierezza.
Che diritto abbiamo noi cristiani di passare sotto silenzio, quasi con imbarazzo, il Dio di Gesù?
Noi sappiamo com’è fatto Dio.

Bruno FERRERO sdb

Santa Rita da Cascia

Santa Rita da Cascia dans immagini sacre rita-5b

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22 MAGGIO : SANTA RITA DA CASCIA (1381-1457) – QUANDO L’IMPOSSIBILE DIVENTA POSSIBILE

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 22 MAGGIO : SANTA RITA DA CASCIA (1381-1457)

QUANDO L’IMPOSSIBILE DIVENTA POSSIBILE

“Ogni stagione del mondo,
attraversa una notte,
e l’uomo sempre si sente,
smarrito e bambino,
sente bisogno di stelle,
segni d’amore nel cielo,
e il Signore le accende,
nel cielo lassù”.

L’uomo quando arriva il buio della “notte” e con essa lo smarrimento, la paura e l’angoscia del pericolo della propria vita si sente insicuro e vulnerabile. La sua insicurezza e fragilità vengono a galla e spesso prendono il sopravvento su di lui. Questo capita in circostanze tragiche come la guerra, atti gravi di terrorismo con centinaia di vittime, o quando siamo toccati dalla morte di qualche nostra persona cara. Ci sentiamo bambini indifesi e fragili, che hanno bisogno di segni d’amore. Nella notte buia sono la luna e le stelle, doni del Signore, che possono darci orientamento e coraggio. Nelle crisi della vita un segno d’amore, tra gli altri, che ci può dare coraggio e forza per ricominciare, è il ricordo dei santi. Anch’essi doni del Signore, anch’essi segni visibili del suo amore e della sua sollecitudine per ciascuno di noi. Questi segni ci sono: spetta a noi ricordarli, invocarli e imitarli.
“Il Signore le accende, nel cielo lassù”: così recita l’inno a Santa Rita da Cascia citato all’inizio. Nel firmamento dei santi e delle sante della Chiesa, Rita è certamente una stella di prima grandezza. Vissuta ben sei secoli fa, ma viva ancora oggi, ricordata, invocata, pregata nei casi più disperati da migliaia di devoti non solo in Italia ma in varie parti del mondo.
Anni fa è stato fatto un sondaggio in Italia per sapere chi erano i santi e le sante più “famosi”. Tra i primi risultarono San Francesco, Sant’Antonio e San Giovanni Bosco. Tra le colleghe sante invece la prima della lista risultò proprio santa Rita da Cascia. Come si vede il tempo logora tutto ma non il ricordo di questa santa italiana. I suoi devoti, meglio sarebbe dire le sue devote perché sono le donne che sentono una devozione particolare per lei, sono tra i più attivi e convinti specialmente durante i pellegrinaggi non solo al santuario di Cascia ma in altri sparsi in Italia e all’estero. A Torino, per esempio, ce n’è uno, molto bello e molto frequentato.
Un amore più grande di ogni difficoltà
Non è facile tracciare un profilo storico di santa Rita. Ci sono molti punti oscuri, e spesso le notizie di una certa attendibilità si mescolano alle leggende, che si formarono durante i secoli in diverse stratificazioni. Rita (Mancini era il suo cognome) nacque a Roccaporena vicino a Cascia verso il 1381 da genitori ormai anziani e senza figli. Fin da fanciulla si distinse per la sua bontà, laboriosità e pietà. Arrivata all’adolescenza Rita voleva farsi monaca, ma i genitori si opposero e la fecero maritare. Il prescelto si chiamava Paolo di Ferdinando. Non era proprio farina da fare ostie: impetuoso e aggressivo, arrogante e senza riguardo per nessuno, era riuscito senza troppi sforzi a farsi molti nemici.
In casa, Rita ne dovette subire
subito la violenza e l’aggressività. Ma lei non si dette mai per vinta, nella speranza di poterlo ammansire e “convertire” a maniere più gentili, prima o poi. La sua pazienza, bontà, mansuetudine, preghiera ed eroica capacità di sopportazione alla fine vinsero. Dopo ben 18 lunghi, dolorosi anni. Quando sembrava tutto impossibile, il possibile divenne realtà. E arrivò la sospiratissima conversione del marito. Un vero “miracolo” visto il soggetto in questione. Ma la sua conversione non significava automaticamente anche il perdono da parte dei nemici che lui si era fatto in quegli anni e la cancellazione dei torti subiti. Questi, una notte, su una strada buia regolarono il conto finale: lo assalirono e lo uccisero. Rita dovette così affrontare anche il dolore di questa morte tragica. Lei perdonò gli assassini del marito, ma non altrettanto fecero i due figli, che ancora adolescenti giurarono vendetta. Rita insomma non riuscì a convincerli al perdono. Si narra che pregò Dio di impedire che si macchiassero di questo delitto rischiando così l’inferno, e se era necessario di toglierli dal mondo…
Non si è certi che questa fu la preghiera di Rita nei riguardi dei suoi due figli smaniosi di vendetta. È certo però che morirono non molto tempo dopo, probabilmente per qualche malattia. Caso non infrequente allora. Così Rita libera da legami familiari poteva coronare il sogno di farsi monaca. Ma all’inizio le porte del monastero di Cascia rimasero chiuse perché non fu accettata.
Durante questo periodo, ormai vedova e sola in casa, una volta ritornando da una visita ad una ammalata incontrò sul ciglio della strada una donna sfinita e lacera, distesa sulla neve. Veniva da Spoleto da dove era fuggita per salvarsi dai maltrattamenti del marito. Era anche stata aggredita e derubata dai ladri. Rita la portò a casa sua, e le donò l’unica veste che aveva. La persuase poi a tornare dal marito, di cui le assicurò la conversione. Questo spiega la particolare devozione che hanno le donne che patiscono ingiustizie e maltrattamenti di vario genere nell’ambito familiare, ma non vogliono lo stesso rompere il vincolo matrimoniale. Forse proprio per la storia personale Santa Rita è considerata la migliore avvocata e confidente di queste donne in difficoltà.
Le sue preghiere incessanti alla fine vinsero e Rita entrò nel monastero di Cascia, intitolato a Santa Maddalena (che oggi si chiama di Santa Rita). “Nel monastero visse per quarant’anni alternando la preghiera e la contemplazione a visite a malati e lebbrosi, e cercando spesso di pacificare le fazioni che si combattevano nella cittadina umbra. Ma il cuore della sua giornata erano la preghiera e la meditazione della Passione di Cristo. Finché un giorno, mentre era in contemplazione estatica davanti al Crocefisso, sentì una spina della corona del Cristo conficcarsi nella fronte e produrle una profonda piaga purulenta e fetida, costringendola ad una perenne segregazione: era il 1432. Soltanto in occasione di un pellegrinaggio a Roma per perorare la causa di canonizzazione di san Nicola da Tolentino ottenne che la ferita si rimarginasse temporaneamente. Ormai l’immedesimazione alla Croce di Cristo era totale, e in croce visse gli ultimi quindici anni, logorata dalle fatiche e dalle sofferenze, ma anche dai digiuni e dallapratica dei flagelli…” (A. Cattabani).
“Tucta allui se diete”
Alla santa di Cascia viene associato un fiore in particolare: la rosa. È il simbolo della devozione a lei. Perché? Si narra che una cugina le fece visita, e Rita, ormai morente, espresse un ultimo desiderio: una rosa dal giardino che aveva lasciato. Si era d’inverno. La parente ubbidì, andò e trovò nell’orto coperto di neve una rosa fiorita. Gliela portò e Rita tutta felice la regalò al suo Crocefisso.
Quando morì, il 22 maggio 1447, ci fu un scampanio “spontaneo” cioè miracoloso di tutte le campane del paese. Cominciava così dal cielo l’attività taumaturgica di santa Rita.
Venne dichiarata santa da Leone XIII nel 1900, prima donna ad essere dichiarata tale nel Grande Giubileo di inizio del ventesimo secolo.
Nel primo centenario di questa canonizzazione, durante il Giubileo del 2000 davanti ad una grande folla di devoti della santa in Piazza San Pietro Giovanni Paolo II si chiedeva: “Ma quale è il messaggio che questa santa ci lascia? È un messaggio che emerge dalla sua vita: umiltà e obbedienza sono state la via sulla quale Rita ha camminato verso un’assimilazione sempre più perfetta al Crocefisso. La stigmate che brilla sulla sua fronte è l’autenticazione della sua maturità cristiana. Sulla Croce con Gesù, ella si è in un certo senso laureata in quell’amore, che aveva già conosciuto ed espresso in modo eroico tra le mura di casa e nella partecipazione alle vicende della sua città” cioè cercando di portare pace fra le varie fazioni contrapposte e in lotta fra loro.
Mentre nei primi testi agiografici si sottolineava la vita di Rita nel monastero, cioè la sua vita di religiosa. Dopo la canonizzazione si è insistito, per una precisa scelta pastorale di quegli anni e che vale ancora oggi, sulla prima parte: si mise in risalto la Rita moglie e madre, che a costo di grandi sacrifici e sofferenze personali tiene unita la famiglia e riafferma l’indissolubilità del matrimonio cristiano. Il culto a santa Rita non ha mai conosciuto crisi, anche durante il ventennio fascista. Subito dopo la II Guerra Mondiale venne esaltata come eroina contro il divorzio. “Ma anche oggi il suo culto conosce un grande successo, dal momento che questa devozione sembra fornire una risposta ed un conforto alle fatiche e alle tensioni sopportate da un vasto strato – soprattutto femminile – della popolazione” (L. Scaraffia).
Giovanni Paolo II disse ancora: “La santa di Cascia appartiene alla grande schiera delle donne cristiane che «hanno avuto significativa incidenza sulla vita della Chiesa, come anche su quella della società». Rita ha bene interpretato il «genio femminile»: l’ha vissuto intensamente sia nella maternità fisica che in quella spirituale”. Forse la migliore definizione della santità di Rita da Cascia la troviamo nella iscrizione che è stata posta sull’urna contenente i suoi resti mortali: “Tucta allui se diete”. “Si diede tutta a Lui” cioè a Cristo, anche nel momento della crocifissione, che è la cosa più difficile.

MARIO SCUDU SDB

SAN PAOLO APOSTOLO E MAESTRO – Mons. Giuseppe Petralia (2009)

http://www.diocesipatti.it/Prefazione%20Petralia.pdf

SAN PAOLO APOSTOLO E MAESTRO

Patti 2009

Mons. Giuseppe Petralia
Vescovo di Agrigento

PREFAZIONE
di S. E. Mons. Ignazio Zambito

È nel tempo del Concilio Vaticano II, nella stagione in cui la Chiesa si dischiude agli orizzonti della contemporaneità, che San Paolo, apostolo e maestro vede la luce. Un libro sorprendente per essenzialità teologica e qualità letteraria, chetrova vasta eco in ambito cattolico e laico.
Autore è Giuseppe Petralia, vescovo di Agrigento, impegnato, sin dagiovane, nel mondo della cultura come giornalista e scrittore, contribuendo al rinnovamento della Chiesa italiana.
La sua riflessione biblica, volta alla riscoperta della Parola incarnatanella storia di ieri e d’oggi, si rapporta all’ansia di verità, all’inquietudine esistenziale, all’invocazione angosciata del secolo breve, traversatoda guerre mondiali e indicibili orrori, di cui sono testimoni, soprattutto,
poeti, filosofi e narratori. Di questi Giuseppe Petralia diviene, nel ruolo di sacerdote, interprete
lungo un itinerario di dubbi, rischiarato dal baluginio della fede. Compagno umile di intellettuali alla ricerca di Dio, scrive per loro pagine di limpida spiritualità, la cui ragione si radica nella persona di Cristo con un linguaggio che rifugge dall’accademismo ed è in grado di comunicare empaticamente alla mente e al cuore. Quando, nel 1964, pubblica San Paolo, apostolo e maestro Petralia lo dedica ‘ai miei antichi allievi di Teologia, ai chierici del mio Seminario di Agrigento, a quanti mi seguono e mi confortano nella mia modesta ma vigile opera di Pastore’.
Il libro, tuttavia, appare consustanziale all’intelligenza di quanti si trovano extra moenia per la sintesi espositiva della personalità di Paolo e delle problematiche del cristianesimo.  Una visione globale, non generica, che penetra l’azione e il pensiero del vinto di Damasco, il cui universalismo si esplicita nell’annunzio di una salvezza che coinvolge uomini e donne, ebrei e romani, barbari e greci, schiavi e liberi. È cosmopolita Paolo: giudeo della diaspora, romano secondo il diritto,per cultura ellenista. Supera i limiti geografici della Palestina per raggiungere l’Asia minore, la Grecia, Roma, la Spagna nella estrinsecazione di una koiné che se d’un canto unisce le diversità culturali, dall’altro lesublima nell’idea della grazia divina.Succede spesso che testi di teologi, rigorosi per trattazione, risultino difficili per i non addetti ai lavori, riservati quindi a specialisti di esegesie filologia. Raro è il caso che il saggio di un biblista o di un liturgista avvinca perla materia significata e per la bellezza della scrittura, tale da impossessarsi dell’interlocutore. Il San Paolo di Petralia possiede questa specificità perché generato dalla
penna di un poeta, vissuto a lungo nell’esercizio del giornalismo, avendoa modello i classici e i maestri della narrativa e della critica contemporanea. Peculiarità che rende persuasivo il volume aulico nella concinnitas, moderno per la forma vibrante, teso alla presentazione della figura e della dottrina dell’apostolo delle genti, lungi da apologie, diatribe e moralismi.
Con scioltezza di eloquio ed esposizione serena il vescovo della Valle dei Templi ritrae Paolo di Tarso, ricostruendo dall’interno l’identikit, umano e psicologico, prima, poi l’intus, cioè l’enigma che fa di lui il profeta di Gesù sulla via di Damasco, nelle peregrinazioni per terra e per
mare, all’interno delle comunità ebraiche e cristiane, nelle agorà, nei tribunali, nel martirio.
Icona palpitante di vita è Paolo che si rivela, nella complessità, uno dei maggiori protagonisti non solo della fede, ma anche della storia.  Un intellettuale che più di Aristotele e Seneca determina il capovolgimento della civiltà dello spirito; un teologo che traspone nella linea escatologica il destino dell’uomo, in quell’incontro con il volto di Dio, che costituisce l’aspirazione di chi crede nel Golgota e nella Resurrezione. Ripercorrendo con padronanza gli itinerari degli Atti degli Apostoli e rivisitando le Lettere paoline, Petralia scrive un libro in cui Saulo, afferrato da Cristo, si offre sia come assertore della libertà e suo difensore sino allo spargimento di sangue, sia come ministro del Verbo e della Chiesa, nella esplicitazione del Vangelo e dei Sacramenti.Non la rappresentazione stereotipa del discepolo di Gamaliel e del fariseismo né quella del convertito che terrorizzando converte, bensì l’avventura di un grande uomo e di un grande santo. Il quale, dopo esserestato inondato di luce che lo acceca e lo consegna alla notte, scopre cheil Gesù da lui perseguitato è agostinianamente interior intimo meo, superior summo meo. Epifania dell’indicibile che spiega il senso di una fede che si incentra
nella verità dell’amore e che questa non è filosofia, ma la stessa personadi Cristo. Inizia così per Paolo un percorso che, attraverso struggenti inquietudini,folgorazioni spirituali, tribolazioni della carne, impossibili speranze, visioni estatiche, gli permette di comprendere che la legge e i profeti fanno parte di un passato propedeutico e che il compimento della Rivelazione è nel Discorso della Montagna e nella contemplazione del Figlio dell’Uomo,
crocifisso a Gerusalemme e risuscitato nell’alba della Pasqua. Ma altre sofferenze mancano al corpo di Cristo, come elementi costitutivi del corpo mistico che è la Chiesa, necessarie alla sua perfezione. Pertanto Paolo le accoglie e le esperimenta per primo nella carne, ansioso
di completare il mistero dell’unico corpo.Si compone di due parti il libro di mons. Petralia. Nella prima balza plastica la persona dell’apostolo, tratteggiata nel temperamento, indagata dentro il perimetro del giudaismo, svelata nella prospettiva di una fede che evolvendosi raggiunge l’identificazione con Cristo nel ministero della Parola e del Pane, in rapporto con le comunità da lui fondate e assistite.  Concatenata è la struttura dei capitoli. Mette in risalto, secondo un ritmo
diacronico, l’avvicendarsi di incontri ed eventi che plasmano l’esistenzadi Paolo e forgiano il suo impegno nella formazione delle Chiese dell’Anatolia e dell’Ellade, che lo obbliga, tra pericoli di ogni genere, a percorrere migliaia di chilometri e annunziare che il Messia è venuto e
che la sua luce risplende sulla croce. Dopo la conversione di Saulo scandiscono il suo tempo i grandi viaggi missionari, il Concilio di Gerusalemme, intorno all’anno 50, con le questioni riguardanti l’assoluta gratuità della grazia, il carcere e gli arresti domiciliari, la redazione delle epistole, l’attesa della condanna capitale, mentre intensa si fa l’opera di pastore. 6
Nemmeno le sofferenze fermano la sua attività di apostolo, spintodall’urgenza di rivelare ai popoli l’economia della redenzione e di contribuire, insieme con Pietro e gli altri eletti, a edificare la Chiesa dei santi, il cui fondamento è quella carità che egli celebra nella prima lettera ai Corinti: magnanima e benevola; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia; non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
Nella seconda parte Petralia focalizza il magistero di Paolo nella dimensione filosofica e teologica. Sa di trovarsi dinanzi a una titanica intelligenza speculativa che, per volere di Dio, formula le basi, razionali emetafisiche, atte alla divulgazione della Buona Novella, ben comprese
dai Padri, non ultimo Agostino, che sentono pulsare di mistica il pensiero di colui che ha contemplato il volto di Cristo e può dichiarare ai Galati: Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.  Diverso è l’atteggiamento di parecchi intellettuali moderni, fra cui Nietzche e Renan, che ambiguamente considerano Paolo fondatore del cristianesimo, negando, pertanto, di questo la matrice divina. Petralia, conscio di problematiche e polemiche, intende offrire unosguardo di insieme.  Perciò non dibatte argomenti di struttura esegetica. Subito entra nel cuore di un insegnamento che trae linfa dalla confessione ai Galati, in cui l’apostolo dichiara che la sua sapienza è dono della Rivelazione, finalizzata all’annunzio salvifico alle genti. Rivelazione che sorprende l’intero Areopago di Atene – secondo la narrazione degli Atti – dove risuona la voce del maestro: Dio non dimora in templi costruiti da mani d’uomo… ma in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo. Articolata in paragrafi è la riflessione di Petralia: Cristo sapienza di Dio; la fede che si traduce in amore; il ministero sacramentale della Chiesa. Chiude il libro un intenso profilo del genio della spiritualità e dello scrittore universale. Carica di passione si staglia nelle pagine il personaggio di Paolo, chiamato a evangelizzare, con intelletto e immaginazione, l’oriente e l’occidente. Inaudito lo sforzo per far conoscere a tutti Cristo e sradicare dalle menti il male oscuro che corrode il mondo, forte di quella spes contra spem che sprona alla libertà. Per questo significativa è l’affermazione di Mario Luzi: Paolo è un’enorme figura che emerge dal caos dell’errore e dall’inquieta aspettativa degli uomini per dare senso alla speranza. Apostolo e maestro che vive, con gioia, di Cristo nella visione cosmica della gloria.Figura eccelsa è pressoché inimitabile, ribadisce Benedetto XVI, ma comunque stimolante, sta davanti a noi come esempio di totale dedizione al Signore e alla sua Chiesa, oltre che di grande apertura all’umanitàe alle sue culture. La prima volta ho letto San Paolo, apostolo e maestro fresco di inchiostro e ne sono rimasto affascinato.
Convivendo col vescovo Petralia, come suo segretario particolare, dopo avere ricevuto da lui il sacerdozio ministeriale, ho avuto modo di capire via via meglio il perché di questo libro profondo e semplice. Raccontando il segreto di una santità, che da secoli conquista gli spiriti
più acuti della fede, della cultura, della scienza e dell’arte, Mons. Petralia rivela quanto abbia personalmente attinto dalla profondità, dalla semplicità e dalla santità di Paolo. La riproposizione di quest’opera, a un tempo di teologia e letteratura,non sfigura accanto alle tante pubblicazioni che hanno visto la luce nel bimillenario paolino, contribuirà a penetrare la concezione universalistica di Paolo, vuole essere nei confronti dell’illustre pastore di Agrigento memoria e gratitudine.

Patti, 25 gennaio, Festa della Conversione di S. Paolo Apostolo, 2009
✠ Ignazio Zambito

Madrid – Statue of Holy Trinity from side altar of Almudena cathedral

Madrid - Statue of Holy Trinity from side altar of Almudena cathedral  dans immagini sacre madrid-statue-holy-trinity-side-altar-almudena-cathedral-march-spain-30181755

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VII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – UFFICIO DELLE LETTURE -LUNEDÌ -(molto San Paolo)

http://www.maranatha.it/Ore/ord/LetLun/07LUNpage.htm

VII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – LUNEDÌ -(molto San Paolo)

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalle «Omelie sull’Ecclesiaste» di san Gregorio di Nissa, vescovo
(Om. 5; PG 44, 683-686)

Il saggio ha gli occhi in fronte
Se l’anima solleverà gli occhi verso il suo capo, che è Cristo, come dichiara Paolo, dovrà ritenersi felice per la potenziata acutezza della sua vista, perché terrà fissi gli occhi là dove non vi è l’oscurità del male.
Il grande apostolo Paolo, e altri grandi come lui, avevano «gli occhi in fronte» e così pure tutti coloro che vivono, che si muovono e sono in Cristo.
Colui che si trova nella luce non vede tenebre, così colui che ha il suo occhio fisso in Cristo, non può contemplare che splendore. Con l’espressione «occhi in fronte», dunque, intendiamo la mira puntata sul principio di tutto, su Cristo, virtù assoluta e perfetta in ogni sua parte, e quindi sulla verità, sulla giustizia, sull’integrità; su ogni forma di bene. Il saggio dunque ha gli occhi in fronte, ma lo stolto cammina nel buio (Qo 2, 14). Chi non pone la lucerna sul candelabro, ma sotto il letto, fa sì che per lui la luce divenga tenebra. Quanti si dilettano di realtà perenni e di valori autentici sono ritenuti sciocchi da chi non ha la vera sapienza. E` in questo senso che Paolo si diceva stolto per Cristo. Egli nella sua santità e sapienza non si occupava di nessuna di quelle vanità, da cui noi spesso siamo posseduti interamente. Dice infatti: Noi stolti a causa di Cristo (1 Cor 4, 10) come per dire: Noi siamo ciechi di fronte a tutte quelle cose che riguardano la caducità della vita, perché fissiamo l’occhio verso le cose di lassù. Per questo egli era un senza tetto, non aveva una sua mensa, era povero, errabondo, nudo, provato dalla fame e dalla sete.
Chi non lo avrebbe ritenuto un miserabile, vedendolo in catene, percosso o oltraggiato? Egli era un naufrago trascinato dai flutti in alto mare e portato da un luogo all’altro, incatenato. Però, benché apparisse tale agli uomini, non distolse mai i suoi occhi da Cristo, ma li tenne sempre rivolti al capo dicendo: «Chi ci separerà dalla carità che è in Cristo Gesù? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?«» (cfr. Rm 8, 35). Vale a dire: Chi mi strapperà gli occhi dalla testa? Chi mi costringerà a guardare ciò che è vile e spregevole?
Anche a noi comanda di fare altrettanto quando prescrive di gustare le cose di lassù (cfr. Col 3, 1-2) cioè di tenere gli occhi sul capo, vale a dire su Cristo.

Responsorio   Cfr. Sal 122, 2; Gv 8, 12
R. Ecco, come gli occhi dei servi sono rivolti alla mano dei padroni. * I nostri occhi al Signore nostro Dio, finché abbia pietà di noi.
V. Io sono la luce del mondo; chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita.
R. I nostri occhi al Signore nostro Dio, finché abbia pietà di noi.

IL SIGNIFICATO DELL’AUTENTICA LIBERTÀ – INTERVENTO DEL PATRIARCA ECUMENICO DI COSTANTINOPOLI…

http://www.zenit.org/it/articles/il-significato-dell-autentica-liberta

IL SIGNIFICATO DELL’AUTENTICA LIBERTÀ

L’INTERVENTO DEL PATRIARCA ECUMENICO DI COSTANTINOPOLI NELLA LECTIO MAGISTRALIS A DUE VOCI A PALAZZO REALE DI MILANO

Milano, 15 Maggio 2013 (Zenit.org)

Riprendiamo l’intervento del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, durante la lectio magistralis a due voci con il cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, organizzata oggi nella Sala delle Cariatidi del Palazzo Reale a Milano. L’evento fa parte delle celebrazioni per il 1700° anniversario della pubblicazione dell’Editto di Milano.
***
« Cognoscetis veritatem, et veritas liberabit vos »
(Secundum Ioannem, 8, 32)

E’ per la nostra Umile Persona una benedizione e motivo di gioia trovarci oggi a Milano per i festeggiamenti in occasione dei millesettecento anni dalla pubblicazione dello storico Editto di Milano, che ha rappresentato una tappa fondamentale nella storia della umanità.
L’Editto ha costituito anzitutto una svolta importante per la vita del suo autore, l’imperatore Costantino il Grande, conducendolo verso la fede cristiana e la vita ispirata dal Vangelo. Ora è tra i Santi ed è protettore e benefattore della Chiesa. Con l’Editto Costantino ha reso il Cristianesimo una religione libera nel grande Impero Romano e ha posto le basi del primo stato cristiano.
Ci rallegriamo, dunque, perché ci troviamo con voi, in questo luogo benedetto dai martiri, santificato dalla presenza di tanti Santi della Chiesa cristiana indivisa. Anzitutto il grande Padre Ambrogio, patrono della Chiesa di Milano, buon pastore di questa città benedetta da Dio, continuatore dei Santi Apostoli nell’opera dell’evangelizzazione. Ricordiamo poi i Santi martiri Sebastiano, Nazario, Gervasio, Celso e Protaso che con l’effusione del sangue hanno suggellato la loro fede in Cristo, la cui pratica poco tempo più tardi Costantino il Grande renderà libera.
Questi cinque Santi Martiri, protettori della città di Milano e intercessori verso Dio per i suoi figli, costituiscono anche per noi modello ed esempio per la loro totale dedizione fino alla morte al Capo della vita, il Signore dei vivi e dei morti, il vincitore della morte nostro Signore Gesù Cristo.
Esprimiamo il nostro compiacimento, perché le sacre reliquie di questi martiri, generosamente concesse dal predecessore di Vostra Eminenza e ora custodite nella sede del nostro Patriarcato Ecumenico, rafforzano i sacri legami spirituali con questa Città e Arcidiocesi.
Desideriamo innanzitutto ringraziare l’amatissimo fratello in Cristo l’Eminentissimo Signor Cardinale Angelo Scola, che con il suo gentile invito ci ha dato la gioia e la possibilità di partecipare a questi festeggiamenti, con tanto impegno organizzati nella Città in cui fu pubblicato l’Editto.
Come piccolo contributo alla comprensione reciproca, grato per l’onore conferitoci di intervenire ora davanti a voi, esponiamo pochi semplici pensieri sul significato della libertà, sotto varie prospettive, nella nostra Chiesa Ortodossa, nella cristianità e nel mondo.
Milano festeggia i 1700 anni dalla concessione della libertà di religione e la fine delle disumane e dure persecuzioni causate ai cristiani dai seguaci di religioni pagane che adoravano l’immagine di Cesare, il sole, la luna, le stelle, le statue inanimate dei dodici dei demoniaci…
Siamo venuti dalla città fondata da San Costantino per onorare solennemente l’anno Costantiniano. L’anniversario dei millesettecento anni dalla pubblicazione dell’Editto o – come altri lo definiscono – del Dogma di Milano, costituisce un’occasione unica per il nostro tempo, nel quale spesso si assiste alla violazione degli elementari diritti umani, per spiegare questa fondamentale eredità di Costantino il Grande, grazie alla quale fu realizzata per la prima volta la fecondazione della legislazione romana con il pensiero cristiano e, inoltre, è stata raggiunta una conquista decisiva per il futuro della umanità: il concetto della libertà religiosa.
La decisione di Milano ha posto in condizione di parità legale il Cristianesimo, fino ad allora perseguitato, concedendogli libertà religiosa istituzionalmente registrata. In tal modo fu aperta la via per fondare il primo e unico stato cristiano dell’ecumene, portando benefici culturali e contribuendo all’evangelizzazione del Continente Europeo.
I. Libertà spirituale – la deformazione del suo senso nel mondo moderno
Generalmente si considera la libertà un concetto astratto, specialmente nella comunità intellettuale, politica, accademica e culturale senza che se ne evidenzi la profondità del suo mistero.
Scrive il Santo Crisostomo: “Libertà è la mancanza di arroganza e vanità” (Commento della Lettera agli Ebrei, XXVIII, P.G. 63,200). “Questo precisamente è libertà, quando anche nella schiavitù brilla, nella schiavitù la libertà si dona” (San Giovanni Crisostomo, Commento alla Iª Lettera ai Corinzi, XIX, P.G. 61,157).
Come del resto ha vissuto e testimoniato con la vita, durante questi 17 secoli, il Patriarcato Ecumenico: costretto alla schiavitù secondo il mondo, ma libero, indomito, non soggiogato nel pensiero e nello spirito.
L’assoluta libertà che ci ha concesso il nostro Signore Gesù – dono rinnovato nella pratica da Costantino il Grande, con la firma 17 secoli fa qui a Milano insieme al suo collega imperatore Licinio della legge sulla tolleranza religiosa – costituisce un sommo bene spirituale e un inafferrabile regalo di Dio. Il primo uomo, Adamo, fu plasmato da Dio a Sua immagine e somiglianza. Dio ha donato alla Sua creatura il Suo più prezioso dono: essere padroni di sé stessi, cioè della libera volontà e della possibilità di scegliere di appartenerGli o di negarLo.
Dio può realizzare tutto, ma non desidera costringere l’uomo ad amarLo. Soprattutto rispetta la libertà dell’uomo. “Dio è amore” (I Gv 4,16), è libero amore verso l’uomo e cerca il libero amore della Sua creatura. E Dio nessuno l’ha visto mai, perché anche l’amore non viene visto con l’occhio nudo, né si manifesta con complimenti, conviti e feste, ma viene vissuto nel cuore, si manifesta nella verità con il sacrificio e la croce di chi ama a beneficio della persona amata.
Tramite il Dio-Uomo Cristo e la Sua opera salvifica, Dio ha voluto convincere e non violentare; chiamare e non cacciare; amare e non giudicare; liberare e non schiavizzare.
Questa libertà occupa, allora, uno posto centrale nella vita dell’uomo che desidera avvicinare Dio. Durante l’esercizio della Sua opera salvifica nel mondo, il Verbo di Dio incarnato afferma: “A quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31-32).
Questa libertà è un profondo, eterno, incomprensibile mistero. Non può facilmente essere determinata o compresa in un concetto.
Durante la nostra epoca, principalmente nei secoli XIX e XX, molti discorsi sono stati fatti sulla libertà e tante guerre combattute per la cosiddetta libertà dei popoli.
Questa libertà, essendo spesso separata dal suo Datore primo, il datore di ogni dono, Dio, viene isolata, divinizzata, acquista un carattere antropocentrico, diventa onnipotente, causando – fenomeno non raro nella storia della umanità – grandi crimini nel nome di questa libertà onnipotente e antropocentrica.
Occorre distinguere la vera libertà della quale parla il Vangelo, e che Costantino il Grande ha realizzato, dalle altre forme di libertà che non costituiscono il bene supremo donato da Dio all’uomo, ma che sono una debole imitazione, o deviano in falsificazioni della vera libertà.
Una libertà ingannevole è ad esempio la libertà carnale che soddisfa i desideri inferiori dell’uomo e le sue esigenze individuali, e gli impedisce di condurlo a Dio, degradandolo ad un livello di esistenza inferiore, istintiva e bestiale, per la quale non fu plasmato da Dio.
Purtroppo oggi la libertà è ridotta a uno dei beni più “maltrattati” nell’umanità, soggetta continuamente all’arbitrio e alle ideologie umane. Gli uomini, soprattutto chi si sente “superiore”, credono di essere liberi quando possono indiscriminatamente soddisfare i propri desideri, compiendo ciò che vogliono quando vogliono, senza limiti, decidendo e operando, commettendo ingiustizie nel silenzio di coloro che gli stanno attorno, ammazzando e venendo applauditi: tutto e sempre nel nome della libertà.
Oggi, oltre alla crisi economica mondiale e ogni altra crisi, viviamo anche la crisi della libertà.
Tutti si tormentano sulla terra, tutti protestano, desiderano e cercano la libertà, alcune volte versano anche il proprio sangue per questo, ma pochi sono coloro che la trovano e l’acquisiscono; pochi sono quelli che conoscono il contenuto della vera libertà e dove essa si trovi.

II. Il concetto della vera libertà
Però la possibilità dell’uomo di fare ciò che vuole non solo non è libertà, ma, anzi, costituisce la peggiore forma di schiavitù. Lo stesso nostro Signore Gesù Cristo, nel Santo Vangelo, mostra il significato della vera libertà. Quando i Giudei con stupore chiedono al Signore di quale libertà stia parlando, visto che “siamo seme di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: diventerete liberi?”, Egli risponde in modo molto particolare: “In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” (Gv 8, 34-36).
Il peccato è la peggiore forma di schiavitù dell’uomo: liberandosene si ha il presupposto per l’acquisto della vera libertà. Nessuno è libero, se non nega l’auto-adorazione del suo “ego”, se non supera il suo “se stesso” peccatore, se non vince i suoi desideri e le sue passioni peccatrici.
La libertà dal peccato è l’unica libertà reale. Questo sottolinea il Protocorifeo Apostolo Paolo scrivendo ai Romani (6, 22-23): “Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna. Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore”.
L’uomo è libero quando raggiunge la santificazione e la purificazione totale della sua esistenza. E’ libero proprio secondo il grado della sua liberazione dalle catene del peccato che genera la morte. E’ libero quando nega se stesso a favore dell’altro, quando sacrifica la sua esistenza, le sue aspettative, i suoi “interessi” a favore del suo fratello, del suo amico, del suo prossimo e di Dio.
Il concetto e la verità della libertà furono rivelati nel mondo con Cristo come incontro del Dio personale con l’uomo personale.
L’uomo non può essere autentico uomo se non è in comunione con Dio. Anzi nega la sua umanità quando l’uomo si costituisce come un assoluto, quando nega di sottomettersi alla volontà divina, quando nega la legge di Dio (i dieci comandamenti dell’epoca prima della Grazia e principalmente il Vangelo di Cristo); quando ha come criterio esclusivamente se stesso per decidere cosa sia bene e male.

III. L’esempio e la parola di un Santo della Chiesa Ortodossa
Dopo quasi 1900 anni dall’incarnazione di Cristo nel mondo, un asceta del Santo Monte Athos, San Silvano, fornisce la misura e la definizione della vera libertà: “La vera libertà è la continua permanenza in Dio” (Archim. Sofronio, L’Anziano Silvano di Athos (1866-1938), Tessalonica, p. 64).
Quanto più ci allontaniamo da Dio, tanto più diventiamo schiavi delle passioni, delle idee, dei desideri, dei possedimenti, del denaro: così ritorniamo all’idolatria, ad un neo-paganesimo, al “rispetto della immagine di ogni Nabucodonosor”. E ciò nonostante il progresso, i voli nello spazio, i “miracoli” della scienza e della tecnologia e le conquiste “incredibili”.
A questa libertà giunse anche Costantino Il Grande e grazie a questa libertà fu liberato dal culto dell’idolo di se stesso, dell’idolo dell’imperatore, che fino ad allora si adorava come Dio, sottomettendosi invece umilmente alla Volontà dell’umile e mansueto Gesù, di Cui divenne servitore e discepolo. Di questa vera libertà erano possessori anche tutti i Santi, i Martiri, i Beati e i Giusti della nostra Chiesa, come Ambrogio di Milano e tutta la lunga catena dei Santi fino ai nostri giorni.
Lo Ieromonaco Sofronio riporta il contenuto di una conversazione dell’asceta atonita San Silvano con uno studente che visitò il Sacro Athos e parlò a lungo della libertà. Silvano, venerato oggi come Santo, rispondendogli così si espresse: “Chi non vuole la libertà? Tutti la vogliono, ma devi sapere dove sta e come puoi trovarla. Per diventare libero devi vincolare se stesso. Quanto più  vincoli te stesso, tanto più grande libertà avrà il tuo spirito. Devi incatenare le tue passioni dentro di te per non farti dominare; devi incatenare te stesso per non fare il male al tuo prossimo.
Di solito gli uomini cercano la libertà per fare “ciò che vogliono”. Però questo non è libertà, ma non-libertà, dominio del peccato sopra di noi. Noi crediamo che la vera libertà consista nel non peccare, nell’amare il Signore e il tuo prossimo con tutto il tuo cuore e tutta la tua forza” (Archim. Sofronio, come sopra, pp. 63-64).

IV. L’acquisto della vera libertà con il pentimento e la permanenza in Dio
Modello della perfetta libertà è la “kenosis-svuotamento” di Dio che ci da tutto e Se Stesso. Questa è la libertà perfetta: “Prendete, mangiate; questo è il mio corpo che viene spezzato per voi in remissione dei peccati”. Egli è al tempo stesso “colui che si offre e la vittima che viene offerta; colui che si dona e il sangue che viene donato” in libertà e totalmente: Cristo, il nostro Dio.
Il Signore non vuole la morte del peccatore ma al pentito dona la Grazia dello Spirito Santo. Egli dona nell’anima la pace e la libertà di permanere in Dio sia con la mente che con il cuore. Quando lo Spirito Santo perdona a noi i peccati, l’anima riceve la libertà di pregare in Dio e in Lui trova riposo e gioia. Questo è vera libertà. Senza la libertà di Dio è impossibile esistere: i nemici scuotono l’anima con pensieri malvagi.

V. La vera libertà sta nell’amore
Come realizzeremo queste parole, come acquisteremo la vera libertà in un mondo, ateo, pluralista, in cui dominano tendenze nazionaliste, la violenza, l’ideologia, l’interesse, le frammentazioni sociali, l’incostanza della classe dirigente che muta opinione e parere contrastando così la sapiente coerenza? La vera libertà si trova nella nostra permanenza in Dio. Come possiamo permanere in Dio per restare veramente liberi quando non siamo coerenti nei nostri atti? Nella lingua greca la parola coerenza significa il valore che ho e possiedo, che non cambio spesso con arretramenti.
Troviamo risposta nella voce ispirata da Dio di Giovanni il Teologo ed Evangelista: “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (I Gv 4, 16-17). La libertà, allora, si trova nell’amore, nella nostra sottomissione, nel nostro servizio per gli altri. L’Apostolo delle Genti Paolo ci da l’ethos della libertà, con la totale kenosis/svuotamento dell’uomo a favore dei suoi fratelli: “Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero. Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (I Cor 9, 19-22).
La Croce della libertà è la Croce dell’amore. L’unica illimitata libertà è l’illimitato amore. I Santi lo testimoniano empiricamente. Siamo liberi quando amiamo. Senza l’amore l’illimitata libertà diventa illimitata violenza, oppressione e dissolutezza, come disgraziatamente capita in molte situazioni – anche in quelle ecclesiastiche – dove è entrato lo spirito di questo mondo, l’immoralità, la rapina, la copertura e la tolleranza dei potenti a situazioni illiberali. Ma Dio vede tutto e interviene al momento opportuno con vero giudizio, come “giusto giudice”.
La richiesta di vera libertà conduce nel totale amore, l’amore crocifisso e sacrificato. Quindi libertà senza croce non può esistere. “Prenderò una salita, prenderò sentieri per trovare gli scalini che conducono alla libertà”, scriveva un quindicenne eroe e combattente della libertà, spiegando che presupposto della libertà è la croce, il sacrificio.
La via della libertà cristiana è la via della croce e dell’ascesi faticosa, della profonda umiltà, del pentimento, della vittoria sopra se stessi, della negazione di ogni interesse a favore dell’amore. La vera libertà è unita con l’amore, si sviluppa dentro la libertà dell’amore. Cristo è il testimone della libertà e dell’amore, del libero amore tra Dio e uomo.
La legge della libertà sarà anche la misura del nostro giudizio finale, che si esprimerà tramite la legge dell’amore. “Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia”, dice il Santo Apostolo Giacomo, il Fratello del Signore (Giac 2, 12-13).
Nell’attuale società delle rivendicazioni e dei diritti, l’uomo fatica a capire il significato della vera libertà dell’amore: cercando di dominare i suoi fratelli, da servitore della libertà si trasforma servo di se stesso.
Comprendiamo che siamo veramente liberi quando veniamo crocifissi e non quando crocifiggiamo; quando sacrifichiamo i nostri diritti a favore dei diritti degli altri; quando offriamo e condividiamo, non quando rivendichiamo. Vera libertà è nel dare, non nel ricevere.

VI. La libertà come espressione di civiltà e vita e linea direttiva della storia
Con questi presupposti di reale libertà non sussistono motivi religiosi per un violento scontro tra le culture e i principi di Cristianesimo e Islamismo. La recente e nota teoria dell’inevitabile scontro violento tra queste civiltà non trova fondamento su veri motivi religiosi. Se le aspirazioni delle nazioni o fattori geopolitici conducono a conflitti tra popoli musulmani e cristiani, se le religioni si mettono al servizio dei politici per rafforzare l’idea della diversità, dell’ostilità di un popolo verso un altro, ciò non ha alcuna relazione con la vera natura della libertà.
Del resto le guerre e tutti gli atti di inimicizia tra gli appartenenti alla medesima religione e alle sue variazioni, come gli Ortodossi di Serbia e i Romano-Cattolici di Croazia, i sunniti e sciiti musulmani, testimoniano che le cause reali di questi conflitti non sono le divergenze sul concetto della libertà, ma rivendicazioni riferibili ad altre questioni pratiche. Ciò diventa ancor più evidente nei casi di conflitto tra popoli che appartengono precisamente alla medesima fede religiosa, fenomeno che spesso si manifesta nella storia fino ai nostri giorni.
Il modo fondamentale per appianare ogni differenza etnica, economica, ideologica e di altra natura è lo sviluppo di dialoghi seri e in buona fede tra le parti, vivendo il dono divino della libertà quotidianamente e con coerenza in ogni ambito. E ciò vale specialmente per i capi religiosi. Altrimenti Dio permetterà catastrofi, distruzioni e insuccessi nelle nostre opere a causa del cattivo uso del dono della libertà e dell’amore.
La vera libertà dissolve pregiudizi, contribuisce alla comprensione reciproca e prepara il terreno per trovare soluzioni pacifiche di tutti i problemi. Ma la più importante conseguenza della libertà è che avvicina e rivela la vera personalità di chi dialoga.
E’ la libertà con la quale Cristo ci ha liberato a costituire l’occasione per superare i nostri limiti anche nel comprendere il punto di vista del nostro interlocutore. Questo libera lo spirito dall’unilateralità dell’approccio. In questa apertura verso la percezione dell’altro c’è un pericolo e sta nel pensare che il confronto con l’altro metta in discussione i fondamenti stessi della nostra fede. Non esiste più grande pericolo del valutare che il nostro edificio spirituale risulti indebolito dalla considerazione che la bellezza e la perfezione dell’edificio del nostro interlocutore siano migliori delle nostre.
Molti uomini sono talmente legati alle proprie convinzioni da decidere di sacrificare la propria vita piuttosto che cambiarle. Da loro si leverà perciò la domanda se così noi proponiamo l’instabilità e il facile mutamento della fede. Non proponiamo ciò. Proponiamo invece l’approfondimento, la continua e più profonda infiltrazione nella verità. Colui che approfondisce questa affermazione constata che spesso le idee che gli sembravano fino ad allora contraddittorie si accordano fra di loro.
Il Vangelo ci mostra un esempio: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà” (cfr. Mt 16,25). Chi vuole salvare la sua vita deve accettare di sacrificarla, perché la vita si guadagna quando viene sacrificata e non quando con pusillanimità e con la paura di perderla viene custodita dai pericoli. La contraddizione è evidente, e l’accettazione di questo schema di antinomia contraddice il ragionamento di chi rimane rigido. E’ quanto testimoniano coloro che hanno vissuto nei campi di concentramento: gli amanti della propria vita – quelli che tentavano custodire se stessi dai pericoli – perdevano la lotta con l’esistenza, mentre sopravvivevano coloro che volontariamente accettavano il sacrificio.
Nel profondo dell’animo di quel padre palestinese – che anni fa ha donato ad un ospedale israeliano gli organi del suo giovane figlio ucciso dagli israeliani, affinché fossero trapiantati in un giovane malato senza distinzione, sia israeliano che palestinese – ha brillato un luminoso raggio di luce che gli ha rivelato la verità: tutti gli uomini sono fratelli, malgrado in molti oggi disgraziatamente credano di essere radicalmente diversi dagli altri e di non potere convivere pacificamente con loro. Come notte e giorno sono un’unica e medesima cosa, perché non sono un’unica e medesima cosa greco, italiano e giudeo, servo e libero, uomo e donna, uomo e uomo di qualsiasi tribù, lingua e religione? 

VII. Il libero spirito greco antico
I greci antichi si sono distinti per la loro capacità di ricevere dal prossimo conoscenze e idee e di valorizzarle senza il timore di degradazione o disprezzo. L’altissimo sviluppo dello spirito greco antico durante l’epoca classica si deve anche a questo incrocio voluto tra le loro idee e quelle di altri popoli e civiltà, fondendo con discernimento ammirabile in un nuova sintesi tutto il bene incontrato fuori dall’Ellenismo.
Questa libertà di spirito si trova alla base di ogni progresso spirituale. Noi crediamo che dove esiste lo Spirito di Dio lì stia la libertà. Il pericolo che soffre la libertà spirituale è di non considerare i beni che essa offre. Purtroppo, come abbiamo già detto, in molti costruiscono un castello spirituale e ideologico dentro il quale si chiudono per assicurare la propria integrità spirituale. Malgrado questo sforzo, comprenderanno con il tempo che quanto più si cautelano contro l’ingresso nello  spirito di nuove idee, tanto più “angosciosa” diventerà la loro vita, perché l’infiltrazione delle idee è talmente forte che nessun ostacolo ne può impedire l’ingresso nei cuori degli uomini.
Occorre chiarire che l’approfondimento nella verità della libertà non ha come conseguenza obbligata il cambio di religione, come viene sostenuto oggi da molti. E’ possibile che in alcuni casi capiti, e il diritto di ognuno di cambiare fede deve essere rispettato. Ma parlando di approfondimento noi intendiamo il miglioramento del modo di pensare e di comprendere, quindi la più chiara conoscenza della verità nella libertà.
Nella lingua ecclesiastica greca usiamo la parola “metanoia”, che esattamente significa cambio della mente, della mentalità, operazione necessaria, secondo i Padri della Chiesa, vicina al pentimento. “Nel pentimento sincerità, nel pentimento libertà”, dice San Giovanni Crisostomo (Sul Pentimento, VIII, P.G. 49, 338).
In questo cambio di mentalità contribuisce molto la conoscenza e l’aspirazione della vera libertà: speriamo che tramite l’anniversario che stiamo festeggiando raggiungeremo un migliore approfondimento almeno di quelle verità che facilitano la pacifica convivenza degli uomini. Perché le differenze tra gli uomini sono minori della differenza del giorno dalla notte, in ogni caso.

VIII. Il vissuto della vera libertà tra Cristiani e Musulmani
Di particolare attenzione necessita lo sviluppo dei temi che si riferiscono alla situazione dei cristiani nei paesi musulmani e dei musulmani in quelli cristiani. La situazione dei cristiani in alcuni paesi musulmani ha bisogno di importanti miglioramenti per consentire libertà e possibilità analoghe a quelle che i musulmani godono nei paesi cristiani.
C’è bisogno di procedere verso questa direzione abbandonando le angosciose ferite del passato. La storia ha registrato comportamenti di popoli e governi cristiani non compatibili con il Vangelo, come anche di comportamenti di popoli e governi islamici non in accordo con il Corano. E’ tempo di fare come dice il Signore. Di convergere tutti verso ciò che comanda per tutti la volontà di Dio. Chi ha grazia nel cuore sperimenta che Dio misericordioso e pietoso non si compiace delle stragi ma della pace, altissimo bene e dono divino. Cristiani e musulmani gioiscono reciprocamente della parola di pace che si identifica con la libertà.
IX. Il comportamento della Chiesa Ortodossa di fronte alla cura per la libertà e i diritti dell’uomo.
Certamente tutto detto quanto fin qui non sottovaluta le conquiste e i progressi delle società umane riguardo alle libertà e ai diritti dell’uomo. Queste conquiste hanno come inizio l’Editto pubblicato 1700 anni fa in questa storica Città. Perciò avete e abbiamo diritto di esaltare l’atto e le conseguenze scaturite dall’Editto.
La preoccupazione che l’uomo sia sostenuto di fronte a ogni ingiusta oppressione e privazione della sua libertà – espressa anche dopo la Rivoluzione Francese con la “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo” – per il Cristianesimo non è nuova cosa ma è contenuta nell’insegnamento divino-umano sulla terra, di duemila anni fa, di Cristo e dei suoi Santi Apostoli (nei Sacri Vangeli e negli scritti dei Padri Teofori).
E questa preoccupazione non può che avere l’approvazione della Chiesa.
Ma la democrazia per la Chiesa è legale solo quando dice la partecipazione del popolo alla nomina dei capi e del governo, rispettando i diritti di Dio e le leggi divine. La pretesa della nazione di auto-determinarsi come il supremo fondamento dei canoni che ispira e istituisce le leggi, non può essere accettata dalla Chiesa, ma viene bocciata come pretesa luciferina che conduce l’uomo alla sua auto-distruzione.
Per la Chiesa ogni sforzo per l’acquisto della libertà deve essere rivolto in primo luogo verso l’uomo interiore e dopo essere esteso agli altri. Per la Chiesa Ortodossa l’uomo reca intera la responsabilità di lottare per la realizzazione dell’aspetto positivo della libertà nella sua persona, di diventare ogni giorno autenticamente libero, negando sé stesso e la sua tendenza al peccato.
Tutti i movimenti umani che hanno tentato di raggiungere la libertà fuori da Dio, senza Cristo, alla fine non solo sono falliti, ma hanno avuto anche conseguenze catastrofiche per l’umanità.
Non si deve dimenticare che alla Rivoluzione Francese del 1789, con le sue dichiarazioni progressiste, hanno fatto seguito le stragi degli anni 1792-94 e i milioni di morti delle guerre napoleoniche. Non si deve dimenticare che alla Rivoluzione d’Ottobre in Russia sono seguiti milioni di vittime delle persecuzioni staliniste e dei terribili campi di concentramento in Siberia.
Purtroppo non sono solo il fondamentalismo e l’odio religioso a privare l’uomo dei suoi basilari diritti. E’ anche la sete di libertà senza Cristo, la libertà immorale che alla fine diventa prigione. Questa sete di libertà non troverà il suo compimento se l’uomo Europeo non si ricollegherà con l’eredità cristiana di Costantino Magno, grande e santa personalità che ha tracciato un segno nella storia del mondo, come solo un santo poteva fare. Quando i popoli dell’Occidente cercano fondamento alla morale e al diritto solo nell’uomo e nella nazione dimenticando Dio, allora anche i diritti dell’uomo rimarranno semplici dichiarazioni sulla carta.
La stessa cosa succede anche oggi in Medio Oriente. Rivoluzioni, rovesciamento di regimi, guerre per richiedere più libertà e l’instaurazione della democrazia. Malgrado ciò i risultati non sono positivi e alcune volte molto scoraggianti.
La violenza religiosa, l’odio, la mancanza di tolleranza di fronte ai cristiani, continuano a dominare in Paesi teatro di rivoluzioni. Gli eventi politici che accadono nel Medio Oriente – luoghi attraversati da Dio – le catastrofi naturali, l’insicurezza verso il futuro, minacciano i cristiani, la loro vita loro e quella delle proprie famiglie. In Siria i cristiani di ogni confessione, chierici e laici, malgrado i grandi sforzi che compiono per rimanere neutrali nel conflitto civile, malgrado la loro vita tranquilla e pacifica, vengono provati e minacciati quotidianamente con sequestri e omicidi.
Il Patriarcato Ecumenico condanna senza dubbi queste e analoghe situazioni. Lontano da ogni posizione politica riproviamo – come capo spirituale e Patriarca Ecumenico – l’uso della violenza e le persecuzioni dei cristiani soltanto e solamente in quanto cristiani.
Non abbiamo timore di quelli che usano la violenza contro i cristiani, perché la Resurrezione del Signore ha vinto anche la morte. Come cristiani non abbiamo paura delle persecuzioni, perché le persecuzioni sono la pagina d’oro della storia della nostra Chiesa, hanno esaltato santi, martiri ed eroi della fede. Ma anche non cessiamo di esprimere verso la Comunità Internazionale la nostra protesta, perché 1700 anni dopo la concessione della libertà religiosa con l’Editto di Milano, continuano in tutto il mondo, sotto molteplici forme, le persecuzioni.
Facciamo quindi appello a tutti affinché prevalga la pace e la sicurezza tanto nel Medio Oriente – dove il Cristianesimo tiene i suoi più venerabili e antichi santuari e dove la tradizione cristiana è tanto profonda e collegata con la vita del popolo – quanto in tutto il mondo, dove viene calpestata la libertà della fede in Cristo con il pretesto del terrorismo, delle guerre, delle oppressioni economiche e in molti altri modi. Situazioni che si correggono solo con personali autocritiche, con la Grazia dello Spirito Santo. Tutto questo condanniamo, proclamando la libertà in Cristo. La libertà è per il cristiano modo di vita. La più elevata libertà è la purezza della nostra mente e perfetta libertà è la purezza del cuore. Questa è la libertà di Dio che ha le sue radici, la sua pienezza e la sua perfezione nella libertà dell’uomo. La libertà dell’uomo è la libertà di Dio.
L’Editto di Milano costituisce un momento culminante nella vita dell’umanità e per il nostro travagliato mondo è speranza per un domani migliore. Ed è al tempo stesso un suggerimento affinché il mondo comprenda che può raggiungere la sua reale libertà soltanto in Cristo. Testimonia San Giovanni Crisostomo, Lui che ha servito nella libertà: “Chi non cerca la gloria, già da ora riceve il premio; di nessuno è servo, ma libero nella vera libertà” (A Giovanni, 73, P.G. 59, 349).

Amen.     

Publié dans:LECTIO DIVINA, PATRIARCHI |on 21 mai, 2013 |Pas de commentaires »
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