Archive pour mai, 2013

OMELIA DI APPROFONDIMENTO – NON SIA TURBATO IL VOSTRO CUORE

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5 MAGGIO 2013  | 5A DOMENICA DI PASQUA – ANNO C  |  OMELIA DI APPROFONDIMENTO

NON SIA TURBATO IL VOSTRO CUORE

Il brano degli Atti ascoltato in questa domenica, riferisce una svolta decisiva nel cammino della Chiesa nascente. La comunità cristiana si sviluppa e si espande anche fuori dei confini di Israele, accogliendo nel suo grembo molti pagani, soprattutto grazie all’attività di Paolo e di Barnaba.
Ma si manifesta presto un pericolo mortale per la sua vita e la sua crescita: una forte corrente al suo interno pretende che quanti dal paganesimo approdano alla fede cristiana osservino la legge di Mosè e accettino di farsi circoncidere. In pratica devono rinunciare alla propria cultura diventando « ebrei », quale condizione necessaria per la salvezza. Come dire che la fede in Cristo non basta.
E’ anche obbligare i convertiti dal paganesimo a estraniarsi dal loro ambiente di origine per inserirsi forzatamente in una situazione culturale diversa. Col risultato che la Chiesa cristiana diventi semplicemente una setta giudaica.
Per arginare questa gravissima minaccia, si tiene a Gerusalemme quello che è chiamato il Concilio apostolico, le cui deliberazioni vengono comunicate per lettera alle Chiesa sorte in territorio pagano. Nella sua sostanza questo documento riconosce la piena libertà dei pagani che chiedono di diventare cristiani. La fede in Cristo è necessaria, ma è anche sufficiente. Non occorre altro.
Si chiede loro però di osservare alcune clausole, in gran parte di carattere alimentare, per consentire una sana convivenza con i Giudei convertiti, soprattutto negli incontri conviviali. E ciò in ragione della carità. Così i cristiani provenienti dal giudaismo potranno prendere i pasti in comune con quanti si convertono dal paganesimo, senza violare i loro doveri di purità legale. Quando la fede esigerà di essere difesa e proposta nella sua purezza e integrità, più volte nella vita della Chiesa i Concili saranno momenti di luce preziosi, spesso decisivi per riconoscere la strada da percorrere nella fedeltà al Vangelo.
Il passo del vangelo di Giovanni che la liturgia ci propone oggi, svolge due temi: l’amore per Gesù e il dono dello Spirito. Subito viene presentato l’indissolubile legame fra l’amore a Gesù e l’osservanza dei comandamenti. La prova che si ama veramente il Signore è l’obbedienza. Il verbo amare dice desiderio, affetto, amicizia, appartenenza: ma qui si sottolinea che non si può parlare di vero amore se manca l’osservanza dei comandamenti. « Se uno mi ama osserverà la mia parola ». C’è poi un’altra nota dell’amore.
Esso è il luogo dell’incontro con l’amore del Padre, anzi il luogo in cui il Padre e Gesù pongono la loro dimora: « Il Padre mio lo amerà e verremo da Lui e faremo dimora presso di Lui ».
La domanda di Giuda manifesta un fraintendimento. Giuda ha l’impressione che l’esclusione del mondo dalla manifestazione di Gesù sia qualcosa di arbitrario, o forse di deludente: la tradizione non parlava di una manifestazione pubblica, con potenza e gloria? Invece la manifestazione di Gesù avviene nell’intimità dell’amore, all’interno di una spefica relazione. Senza questo amore l’uomo è incapace di autentica esperienza di Dio.
I discepoli si aspettavano che Gesù si sarebbe manifestato in modo pubblico e spettacolare. Egli invece dichiara che tale manifestazione sarà interiore e profonda: sarà una semplice e straordinaria venuta della Trinità nel cuore del cristiano. Ecco l’avvenimento sconvolgente che si compie, quando all’amore del discepolo Dio risponde col suo amore: il Padre e il Figlio si insediano familiarmente presso di lui, stabiliscono con lui un rapporto personale così vertiginoso, che egli, si può dire, diventa la casa dove, la Trinità stessa si compiace di abitare.
Il secondo tema afferma che un primo compito dello Spirito Consolatore è l’insegnamento: « Vi insegnerà ogni cosa ». Lo Spirito è mandato dal Padre nel nome di Gesù e ricorda quanto Gesù ha già detto. L’insegnamento dello Spirito è ancora l’insegnamento di Gesù. Non c’è nessuna concorrenza. Compito dello Spirito è insegnare e ricordare. Ma si tratta sempre dell’insegnamento di Gesù, colto e compreso nella sua pienezza: « Vi insegnerà ogni cosa ». Non si tratta di aggiungere qualcosa all’insegnamento di Gesù, quasi fosse incompleto. « Ogni cosa » significa la pienezza, la sua radice, la sua ragione profonda.
E anche la memoria, dono dello Spirito, non è ricordo ripetitivo, ma ricordo che attualizza l’amore. Gesù annuncia che con la sua morte non si apre per i suoi discepoli un tempo vuoto, caratterizzato dalla sua assenza. Ma essi sperimenteranno la presenza nuova del Maestro insieme al Padre e vivranno con loro una relazione intensa di intimità e di amore.
Lo Spirito è il protagonista che mantiene aperta la storia di Gesù rendendola perennemente attuale, a nostra disposizione e salvifica. Senza lo Spirito la storia di Gesù, compresa la sua risurrezione, sarebbe rimasta una storia chiusa nel passato, non un evento aperto sempre per ogni oggi. Lo Spirito è la continuità tra il tempo di Gesù e il tempo della Chiesa.
In questo tempo ci siamo anche noi, di questo Spirito ogni battezzato vi partecipa. Ed è proprio lo Spirito che ci pone dentro l’amore di Gesù così da rendere la nostra vita piena di quel dono d’amore.
Amare Gesù, comporta la reciprocità dell’amore, comporta essere amati da Lui e dal Padre nello Spirito Santo: questa è la realtà più vera della Chiesa, il dinamismo profondo che anima i cristiani. E’ qui che siamo chiamati a investire il meglio di noi stessi e ogni nostra risorsa.
A questa esperienza è legata la pace, « Vi lascio la pace, vi do la mia pace », e il superamento di ogni paura, « Non sia turbato il votro cuore e non abbia timore ». Non ci resta che aprirci alla sua azione, non ci resta che accoglierlo nella nostra vita credente. In questo modo anche noi parteciperemo attivamente alla comunione trinitaria.

 Luca DESSERAFINO sdb

COMMENTO/OMELIA: IN PRINCIPIO ERA IL PADRE NON IL CAOS O IL CASO

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IN PRINCIPIO ERA IL PADRE NON IL CAOS O IL CASO

WILMA CHASSEUR 

VI Domenica di Pasqua (Anno C) (09/05/2010)

Vangelo: Gv 14,23-29  
L’immagine perfetta del Padre è Gesù. Il Padre è invisibile, ma nel Figlio abbiamo la manifestazione visibile degli attributi di Dio. Il Cristo è l’icona visibile del Dio invisibile. Questo Vangelo lo si potrebbe chiamare il Vangelo del Padre. Gesù è stato il perfetto rivelatore del Padre perché ne è stato il contemplatore perfetto e solo in questo capitolo 14 di Giovanni – cioè una paginetta in tutto- i riferimenti al Padre sono almeno 24! Qui Gesù proclama veramente e ripetutamente la sua identità di natura con il Padre: « chi vede Me, vede il Padre… il Padre ed Io siamo una cosa sola » ecc. Gesù è il Figlio unigenito della stessa sostanza (o natura) del Padre, generato e non creato. E’ questa la distinzione abissale tra Lui e noi. Noi siamo stati creati; siamo passati dal non-essere all’essere, ed anche ore riceviamo ad ogni istante l’esistenza da Dio.

• 1 Perché non ricadiamo nel nulla?
Infatti se Dio avesse un istante di distrazione o si assentasse per un secondo, tutto ricadrebbe nel nulla. Dio mantiene continuamente nell’essere tutto ciò che ha creato e questo si chiama la presenza d’immensità.
E pensare che la cultura moderna pretende di poter fare a meno di Dio, l’era tecnologica attribuisce ogni potere all’uomo; Dio non è più necessario. Questo è perdere non il senso della fede, ma addirittura il senso della realtà! Infatti la realtà è che per secoli infiniti, l’uomo non esisteva. Esisteva solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. E fu allora che Dio creò lo sterminato Universo, le galassie, il Sole, le stelle, senza che l’uomo gli facesse neppure da assistente. E malgrado ciò, l’uomo si crede il re dell’universo.

• 2 Vogliamo prendere qualche misura?
Dobbiamo re-imparare a prendere le misure: cosa sono due milioni di anni (tempo a cui risale l’apparizione dell’uomo sulla Terra) rispetto ai 20 miliardi di anni-luce dell’Universo? Cosa sono le distanze che percorre l’uomo rispetto alla distanza Sole-Terra ossia 150 milioni di Km che sono poi solo 8 minuti – luce? Cos’è la velocità degli apparecchi umani – aerei o missili che siano- rispetto alla velocità orbitale della Terra che gira a 30 km. al secondo = 1800 al minuto, il Sole a 200 Km. al secondo e la galassia a centinaia di Km al secondo? E cosa sono le velocità dei satelliti artificiali rispetto a quella della luce che in un secondo percorre la distanza Terra- Luna? Cosa fa l’uomo con tutta la sua scienza se non scoprire ciò che Dio ha creato senza di lui? Altro che diventare dèi con tecniche New Age che sfruttano energie cosmiche! L’uomo ha perso la testa, non sa quanto è polvere: vuol rubare a Dio nientemeno che la divinità, e riesce al massimo a costruire esseri geneticamente modificati, cioè dei mostri!
Il Padre è il principio senza principio che non procede da nessuno, perché non è mai stato creato da nessuno. Esiste da sempre, non ha mai avuto un inizio: è l’eterno esistente, anzi è l’esistenza stessa (Jahwè vuol dire Colui che è) che ha dato la vita a tutto ciò che esiste.
Per cui in principio era il Padre e non il caos o il caso come afferma una certa cultura dominante. Non veniamo dal caso o dal buio, ma da qualcuno che ha progettato la nostra vita, l’ha voluta e ce ne ha fatto dono e dobbiamo rispettarla dall’inizio fino alla fine. Non possiamo né toglierla, né accorciarla, ma solo viverla in tutta la sua pienezza come grande dono del Padre.

• 3 Né caos, né caso…
E’ questa la nostra realtà: abbiamo solide radici. Veniamo da Dio e torniamo a Lui. Non veniamo dal nulla e non torniamo al nulla. Non esiste il nulla, esiste Dio. Jahwè vuol dire Colui che è, mentre il nulla vuol dire ciò che non è. Come possono dire gli atei che torniamo al nulla che per definizione non esiste! C’è una contraddizione nei termini! Ma Dio non è solo Colui che è, ma Colui che è vicino, anzi è addirittura dentro di noi. « Se uno mi ama, il Padre mio lo amerà e verremo a lui, e prenderemo dimora in lui ». L’inabitazione di Dio nell’anima è la straordinaria esperienza a cui siamo chiamati tutti in quanto figli del Padre, e che i santi hanno vissuto in pienezza. La Beata Elisabetta della Trinità ci ha lasciato delle bellissime preghiere in cui dice tra l’altro: « Il Cielo è Dio e Dio abita nella mia anima ».
Dio vuole prendere la residenza nel nostro cuore, e noi lo riempiamo di tutto fuorché di Lui: diamo lo sfratto a tutto ciò che ha residenza abusiva in noi per darla a Colui che solo, ne ha il pieno diritto.

Santi Filippo e Giacomo apostoli

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Publié dans:immagini sacre |on 2 mai, 2013 |Pas de commentaires »

03 MAGGIO : SAN FILIPPO E GIACOMO, APOSTOLI

http://liturgia.silvestrini.org/santo/186.html

03 MAGGIO : SAN FILIPPO E GIACOMO, APOSTOLI

BIOGRAFIA
San Filippo, nativo di Bethsaida, era un uomo giusto e godette certamente di una certa intimità con Gesù. Infatti a lui il Signore si rivolge all’atto della moltiplicazione dei pani, e a lui si indirizzano i gentili che vogliono parlare con il Salvatore. Portò il vangelo nella Scizia ove fondò una comunità di ferventi cristiani. Il seguito della sua vita è avvolto nell’oscurità, come pure la sua morte. La tradizione più comune afferma che Filippo morì crocifisso a Gerapoli, all’età di 87 anni. Le sue reliquie sarebbero state trasportate a Roma e composte insieme a quelle di S. Giacomo nella chiesa dei Ss. apostoli. Questo sarebbe il motivo per cui la Chiesa latina festeggia unitamente i due apostoli.
San Giacomo, che l’evangelista Marco chiama il Minore per distinguerlo dall’omonimo fratello di Giovanni, era di Cana di Galilea. Cugino di Gesù, entra in scena come vescovo di Gerusalemme. Qui fondò una comunità di cristiani, operando sempre numerose conversioni. Sulla sua morte possediamo notizie di antica data. Si dice che morì martire nel 62 e lasciò a monumento sempiterno la Lettera Cattolica, nella quale è celebre il suo detto: “la fede senza le opere è morta”.

MARTIROLOGIO
Festa dei santi Filippo e Giacomo, Apostoli. Filippo, nato a Betsaida come Pietro e Andrea e divenuto discepolo di Giovanni Battista, fu chiamato dal Signore perché lo seguisse; Giacomo, figlio di Alfeo, detto il Giusto, ritenuto dai Latini fratello del Signore, resse per primo la Chiesa di Gerusalemme e, durante la controversia sulla circoncisione, aderì alla proposta di Pietro di non imporre quell’antico giogo ai discepoli convertiti dal paganesimo, coronando, infine, il suo apostolato con il martirio.

DAGLI SCRITTI…
Dalle “Omelie sui Vangeli” di San Gregorio Magno, papa
Vi vorrei esortare a lasciar tutto, ma non oso. Se dunque non potete lasciare tutte le cose del mondo, usate le cose di questo mondo in modo da non essere trattenuti nel mondo; in modo da possedere le cose terrene, non da esserne posseduti; in modo che quello che possedete rimanga sotto il dominio del vostro spirito e non diventi esso stesso schiavo delle sue cose, e non si faccia avvincere dall’amore delle realtà terrestri. Dunque i beni temporali siano in nostro uso, i beni eterni siano nel nostro desiderio; i beni temporali servano per il viaggio, quelli eterni siano bramati per il giorno dell’arrivo. Tutto quello che si fa in questo mondo sia considerato come marginale. Gli occhi dello spirito siano rivolti in avanti, mentre fissano con tutto interesse le cose che raggiungeremo. Siano estirpati fin dalle radici i vizi, non solo dalle nostre azioni, ma anche dai pensieri del cuore. Non ci trattengano dalla cena del Signore né i piaceri della carne, né le brame della cupidigia, né la fiamma dell’ambizione. Le stesse cose oneste che trattiamo nel mondo, tocchiamole appena, quasi di sfuggita, perché le cose terrene che ci attirano servano al nostro corpo in modo da non ostacolare assolutamente il cuore. Non osiamo perciò, fratelli, dirvi di lasciare tutto; tuttavia, se volete, anche ritenendole tutte, le lascerete se tratterete le cose temporali in modo da tendere con tutta l’anima alle eterne. Usa infatti del mondo, ma è come se non ne usasse, colui che indirizza al servizio della sua vita anche le cose necessarie e tuttavia non permette che esse dominino il suo spirito, in modo che siano sottomesse al suo servizio e mai infrangano l’ardore dell’anima rivolta al cielo. Tutti coloro che si comportano così, hanno a disposizione ogni cosa terrena non per la cupidigia, ma per l’uso. Non vi sia niente dunque che alteri il desiderio del vostro spirito, nessun diletto di nessuna cosa vi tenga avvinti a questo mondo.
Se si ama il bene, la mente trovi gioia nei beni più alti, quelli celesti. Se si teme il male, si abbiano davanti allo spirito i mali eterni, perché mentre il cuore vede che là si trova ciò che più si deve amare e più si deve temere, non si attacchi assolutamente a quanto si trova di qui. Per far questo abbiamo come nostro aiuto il mediatore di Dio e degli uomini, per mezzo del quale otterremo prontamente ogni cosa, se ardiamo di vero amore per lui, che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna Dio per tutti i secoli dei secoli. Amen.(Lib. 2, 36. 11-13; PL 76, 1272-1274)

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TRA LE MURA DELL’ANIMA (SECONDA PARTE) – IL RACCONTO DI CHI HA PENSATO DI PORTARE GESÙ NELLE CARCERI, ED …

http://www.zenit.org/it/articles/tra-le-mura-dell-anima-seconda-parte

TRA LE MURA DELL’ANIMA (SECONDA PARTE)

IL RACCONTO DI CHI HA PENSATO DI PORTARE GESÙ NELLE CARCERI, ED HA SCOPERTO CRISTO NEL VOLTO DI DETENUTI E VITTIME

Rimini, 30 Aprile 2013 (Zenit.org) Antonio Gaspari

Pubblichiamo oggi la seconda e ultima parte dell’intervista con Marcella Clara Reni, direttrice dell’associazione Prison Fellowship Italia Onlus. La prima parte è stata pubblicata ieri, lunedì 29 aprile.

***  

Come è nata Prison Fellowship International e in che modo la sezione italiana si è sviluppata?
Prison nasce nel mondo perché nel 1976 il senatore democratico Charles Colson braccio destro di Nixon viene accusato di Watergate informatico. Venne condannato  a tre anni di carcere. Lì si convertì e quando uscì dal carcere vendette tutto quello che aveva per dedicarsi all’opera di portare aiuto a tutti i detenuti nel mondo. Esistono luoghi nel mondo dove la detenzione è disumana, e Colson diceva: “con Gesù il carcere, anche il peggiore, diventa un luogo più umano, senza Gesù è un luogo disumano”.
Nel contesto di questa che è una sorta di ‘compagnia degli amici dei detenuti’, l’intuizione, che per ora è solo italiana, ha fatto un passo in avanti con il progetto Sicomoro che è un incontro tra detenuti e vittime, Così abbiamo fondato in italia anche la Victim Fellowship, perché ci rendiamo conto che le vittime soffrono non meno dei detenuti e che hanno bisogno di essere ristorati, e in qualche maniera risarciti dai detenuti in una relazione di riparazione.
Parlando con un detenuto che si era macchiato di ben trentacinque omicidi, Mario Congiusta, a cui è stato ucciso il figlio perché si è opposto ad una richiesta di ‘pizzo in Calabria’, gli ha detto ‘per te prima o poi la pena finisce. La mia pena invece non finirà mai’.
Oggi Mario Congiusta, spiega che “va dal dolore all’impegno perché non succeda ad altri”, ed ha ritrovato la sua serenità dopo aver lavorato per il progetto Sicomoro. Come lui sono tante le vittime che ritrovano la pace dopo aver lavorato per i progetti di Prison e Victin Fellowship..
Il Primo progetto ‘Sicomoro’ è nato nel carcere di Opera.  Tutti ergastolani. Gente che hanno le mani che grondano di sangue.  Lo abbiamo fatto chiedendo che ci affidassero i detenuti  più buoni per provare a vedere se funzionava. Gli esperti ci hanno dato invece i peggiori perché hanno detto: ‘se funziona con loro funzionerà con tutti’ E ha funzionato!
Ma chi ve lo fa fare?
E’ una cosa che ci chiedono tutti. E’ un modo di restituire e riconquistare al bene persone, perché ci rendiamo conto che molti di loro, anche i più criminali,  sono essi stessi vittime, nel senso che molti vengono da situazioni familiari disperate, da povertà sociali e morali, e noi abbiamo il dovere di riparare i danni
E poi assistiamo a tantissime storie dei conversioni. Uno che abbiamo incontrato al primo progetto Sicomoro era un testimone di Geova.  Nato e vissuto in una famiglia di Testimoni di Geova. Alla fine del progetto ha chiesto di ricevere i sacramenti cattolici.  Oggi è battezzato e quando gli ho chiesto perché aveva preso questa decisione mi ha risposto, “il Dio che mi avevano presentato (Geova) mi aveva sempre giudicato, voi mi avete portato un Gesù che mi perdona” ed io voglio questo Dio.
Cosa si può fare per sostenere il vostro lavoro?
Noi siamo molto poveri, non abbiamo né finanziamenti nè sponsor, però tutti i proventi del libro vanno ai progetti Sicomoro.
Quello che sarebbe utile è che le vittime che hanno desiderio di guarire le ferite del danno subito, ci contattino. Abbiamo visto che l’incontro tra vittime e detenuti  crea benefici per entrambi.
Adesso stiamo per entrare nel carcere di Modena, dove c’è un braccio di detenuti che si sono macchiati di femminicidio.  Ci sono molti islamici, ben 15 di loro hanno accettato di partecipare al progetto.
L’incontro tra le vittime e i detenuti presuppone un lavoro difficile e faticoso, ma genera tante grazie. Nel libro c’è la lettera di una delle vittime, una ragazza di 23 anni che all’inizio era molto spaventata e scettica. Apostrofava i detenuti accusandoli di essere dei vigliacchi. Dopo questa esperienza ha però inviato una lettera in cui ha scritto: “Carissimi. Mi siete mancati. Questa è stata l’esperienza più grande della mia vita”.
Noi aiutiamo le persone accompagnandole con le preghiere, e assistiamo a cambiamenti miracolosi.  Ci sono due detenuti che hanno partecipato al progetto Sicomoro.  Le famiglie di questi due detenuti sono rivali in maniera feroce da decenni, Si tratta di due famiglie di clan rivali della stessa città. Già essere riusciti farli incontrare è stata un miracolo.  Il direttore del carcere mi ha detto che le due famiglie si stanno riconciliando, così siamo diventati strumenti di pace.
All’inizio avevamo difficoltà a farci accedere alle carceri, adesso ci cercano, perchè hanno capito la potenza del progetto. Sono almeno dieci le carceri che hanno chiesto il nostro intervento.
Appena dentro al carcere facciamo una presentazione ai detenuti spiegando il progetto. Quelli che decidono di partecipare vengono selezionati. In base al tipo di crimine noi cerchiamo le vittime. Quelle che vengono in carcere, buttano in faccia ai detenuti il loro dolore. Questa esperienza fa prendere coscienza e consapevolezza ai detenuti che non possono fare a meno di capire la sofferenza che hanno procurato. Questo li spinge  a cercare di riparare il danno. Si tratta di incontri a forte carica emotiva che toccano il cuore anche di noi che organizziamo l’incontro. A quel punto si inizia una relazione con pentimenti e perdono. I risultati sono incredibili, con il recupero di vite macchiate dal crimine e vittime liberate dalla sofferenza.
La crescita del progetto è tale che abbiamo organizzato dei corsi per preparare i volontari. Chiunque, anche non cattolico, può partecipare al corso di formazione, e lavorare nel progetto. Abbiamo dei siti chiunque voglia aiutare se partecipa al corsop fine maggio a Loreto primo di giugno chiunque voglia partecipare ci scriva.

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Michelangelo, Cappella Sistina, Creazione dell’uomo

Michelangelo, Cappella Sistina, Creazione dell'uomo dans immagini sacre 400px-Michelangelo_-_Creation_of_Adam

http://it.wikipedia.org/wiki/Creazione_di_Adamo

Publié dans:immagini sacre |on 1 mai, 2013 |Pas de commentaires »

PAOLO APOSTOLO E TESSITORE DI TENDE

http://www.saverianibrescia.com/missione_oggi.php?centro_missionario=archivio_rivista&rivista=&id_r=44&sezione=alla_luce_della_parola_&articolo=paolo_apostolo_e_tessitore_di_tende&id_a=1301

PAOLO APOSTOLO E TESSITORE DI TENDE 

DI: A CURA DELLA REDAZIONE

PAOLO APOSTOLO E TESITORE DI TENDE
LA BOTTEGA SOME LUOGO DI ATTIVITÀ MISSIONARIA
A CURA DELLA REDAZIONE

L’articolo è tratto liberamente da una riflessione di Ronald F. Hock in The Social Context of Paul’s Ministry: Tentmaking and Apostleship, Philadelphia, Fortress 1980.

In uno dei suoi trattati politici, Plutarco critica alcuni filosofi perché rifiutavano di conversare con le autorità nel timore di essere considerati ambiziosi o troppo ossequienti. Per evitare il diffondersi di una tale situazione, Plutarco suggerisce che l’unica alternativa per l’uomo dalla mente aperta e desideroso di praticare la filosofia è fare l’artigiano, per esempio, il calzolaio, in modo da avere l’opportunità di conversare nella bottega, come Simone il calzolaio aveva fatto con Socrate. Questo suggerimento di Plutarco, che la bottega fosse un luogo che potesse ospitare discorsi intellettuali, è interessante e fa sorgere l’interrogativo se altre botteghe, specialmente quelle usate ai suoi tempi da Paolo, il tessitore di tende, nei suoi viaggi missionari, siano state utilizzate allo stesso modo nelle città della Grecia orientale. Questa tesi, pur avanzata dagli studiosi, non è mai stata studiata a fondo. Questo articolo è un tentativo di approfondire l’esame dei contesti sociali in cui si sono svolti la predicazione e l’insegnamento dei primi cristiani.
È noto che Paolo era un tessitore di tende. Questo suo lavoro è sempre stato considerato come un’eredità della sua tradizione ebraica. L’attività lavorativa di Paolo è considerata come un residuo della sua vita di fariseo ed è spiegata nei termini di un ideale rabbinico che cerca di associare lo studio della Torah con la pratica di un mestiere. Vorremmo ora portare il dibattito al di là dell’aspetto strettamente ebraico.

LA BOTTEGA DI PAOLO
 Per una discussione sull’uso missionario della bottega da parte di Paolo, si deve sottolineare l’evidenza che lo colloca nelle botteghe delle città da lui visitate. Luca indica che  Paolo aveva lavorato come tessitore di tende solo in Corinto e Efeso (At 18,3; 20,34); ma le Lettere di Paolo aggiungono Tessalonica (1 Ts 2,9) e – più importante – afferma che in generale la pratica missionaria era di lavorare per potersi mantenere (1 Cor 9,15 – 18). E allora, il riferimento di Paolo al lavoro di Barnaba per sostenere se stesso (1 Cor 9,6) dovrebbe coprire i cosiddetti primi viaggi missionari e la sua permanenza in Antiochia (At 13,1 – 14,25; 14,26-28; 15,30-35), il tempo in cui Luca pone Barnaba come suo compagno di viaggio. Il riferimento di Paolo al suo lavoro a Tessalonica (1 Ts 2,9) e la sua conferma dell’affermazione di Luca riguardante Corinto (1 Cor 4,12) si applicherebbe anche al secondo viaggio missionario (At 16,1 – 18,22). Il riferimento al suo lavoro in Efeso (cfr. 1 Cor 4,11: « fino ad ora »), di nuovo conferma il ritratto di Luca e la sua insistenza nel mantenersi economicamente, durante un futuro viaggio a Corinto (2 Co 12,14), confermerebbe questa pratica anche nel terzo viaggio missionario (At 18,23 – 21,16). In At 28,30 vediamo Paolo presumibilmente lavorare in seguito anche a Roma. In breve, le Lettere e gli Atti mettono in evidenza l’Apostolo nelle botteghe dove predicava e insegnava. Ma che cosa faceva Paolo nella bottega, oltre al suo lavoro di tessitura? Di cosa parlava? Sfruttava l’occasione per una predicazione missionaria?
Una risposta affermativa sembra verosimile, dato il suo impegno nella predicazione del Vangelo. Però né le Lettere, né gli Atti dicono esplicitamente che Paolo utilizzava la bottega per la predicazione. Il silenzio delle Lettere in proposito non è un problema, perché Paolo è di solito silenzioso o vago sulle circostanze della sua predicazione missionaria (cfr. per esempio 1 Cor 2,1-5). Con gli Atti tuttavia la situazione è diversa.
Il silenzio di Luca negli Atti può essere parzialmente spiegato perché l’evangelista era interessato a raccontare le esperienze di Paolo nella sinagoga. Solo in Atene, il centro della cultura greca e della filosofia, questo interesse è lasciato da parte in deferenza alle esperienze di Paolo al mercato (At 17,17) e specificatamente alle sue conversazioni con i filosofi stoici ed epicurei (ver.18) che portarono al discorso dell’Apostolo  all’Aeropago (22-31). Qui Luca si avvicina molto nel menzionare le conversazioni della bottega, ma non lo fa, poiché le discussioni con i filosofi sono probabilmente da collocarsi sotto i portici della città, forse la Stoà di Attalos ad Atene.
La possibilità di fare conversazioni in bottega è intuibile da un brano delle Lettere di Paolo: il sommario dettagliato dell’attività missionaria dell’Apostolo nella città di Tessalonica (1 Ts 2,1-12). Al versetto 9, il lavoro e la predicazione sono accennati insieme: « Voi ricordate infatti, fratelli, la nostra fatica e il nostro travaglio: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno vi abbiamo annunziato il Vangelo di Dio ».

L’ATTIVITÀ MISSIONARIA
 Se questi sei passi scelti dagli Atti e dalle Lettere parlano di Paolo che utilizzava le botteghe come contesti sociali per la sua predicazione missionaria, bisogna interpretare questi contesti come entità a sé, oppure confrontarli con la vita intellettuale delle città che egli ha visitato. Se la bottega è stata un contesto sociale dell’attività missionaria, per Luca questa era solo uno dei tanti luoghi in cui l’Apostolo predicava. Più frequentemente egli indica la sinagoga. Paolo predica nelle sinagoghe di Damasco (At 9,20), Gerusalemme (At 9,29), Salamide (At 13,5), Antiochia di Pisidia (At 13, 14, 44), Iconio (At 14,1), Tessalonica (At 17,1), Berea (At 17,10), Atene (At 17,17), Corinto (At 18,4) e Efeso (At 18,19; 19,8). Un altro contesto missionario importante è la casa, specialmente quelle di Lidia a Filippi (At 16,15, 40), di Tizio Giusto a Corinto (18,7) e di un cristiano non identificato a Triade (20,7-11) e di parecchie persone a Efeso (20, 20). Altre case devono essere incluse, anche se Luca non vi fa menzione di attività missionaria: la casa di Giasone a Tessalonica (17, 5-6), di Aquila e Priscilla a Corinto (18, 3), di Filippo a Cesarea (21, 8), di Mnasone di Cipro, presumibilmente a Gerusalemme (21, 16-17) e forse quelle di parecchi altri (cfr. 16,34; 21, 3-5, 7).
Ulteriori segni che indicano la varietà dei contesti sociali nella missione di Paolo sono la residenza del proconsole di Cipro, Sergio Paolo  (13, 6-12), la porta della città in Listra (14, 7, 15-18), la scuola di Tiranno a Efeso (19, 9-10) e il pretorio a Cesarea (24, 24-26; 25, 23-27). Insomma, se la bottega era un contesto sociale per l’attività missionaria di Paolo, era solo uno dei tanti.

IL PULPITO, LA PIAZZA E LA BOTTEGA
 La pratica dei filosofi sopra descritta può aiutarci a capire anche ciò che avveniva nella bottega di Paolo. Lo possiamo immaginare nelle lunghe ore al tavolo di lavoro mentre taglia e cuce le pelli per fare tende. Egli si rende autonomo economicamente, ma ha anche possibilità di portare avanti il suo impegno missionario (cfr. 1 Ts 2, 9). Seduti nella sua bottega troviamo i suoi compagni di lavoro o qualche visitatore, clienti e forse qualche curioso che aveva sentito parlare di questo « filosofo » tessitore di tende appena arrivato in città. In ogni caso sono tutti là ad ascoltare e a discutere con lui, che porta il discorso sugli dei ed esorta i presenti ad abbandonare gli idoli e a servire il Dio dei viventi (1, 9-10). In questo modo, certamente qualcuno degli ascoltatori, un compagno di lavoro, un cliente, un giovane aristocratico o forse anche un filosofo cinico, sarebbe stato curioso di sapere di più di Paolo, delle sue chiese, del suo Signore e sarebbe tornato per  un colloquio privato (2, 11-12). Da queste conversazioni di bottega alcuni avrebbero accolto le sue parole come Parola di Dio (2, 13).
Per Paolo, il missionario, quindi, il pulpito della sinagoga non bastava, ma usciva anche in piazza ed entrava nella sua bottega. « Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo! » (1 Cor 9,16).  

A CURA DELLA REDAZIONE

Il contesto storico
 Esaminiamo la pratica paolina nel contesto della vita intellettuale della Grecia orientale dei suoi tempi. Ad Atene, nel quinto e quarto secolo a. C., alcuni contesti specifici, inclusa la bottega, erano diventati normali per l’attività intellettuale ed ancora esistevano ai tempi di Paolo. Senofonte descrive Socrate mentre discute di filosofia in varie botteghe, tra cui quelle di un pittore, di uno scultore, di un fabbricante di armature. Platone menziona le bancarelle del mercato come abituale ritrovo di Socrate. Naturalmente la bottega non era il suo solo ritrovo: lo si poteva trovare in altre parti del mercato, come la stoà o altri edifici pubblici, nel ginnasio o nelle case di amici. In un certo senso la pratica di Socrate era tipica dei suoi giorni, data l’abitudine della gente di frequentare i negozi e i banchi del mercato. Ma, in un altro senso, l’abitudine di Socrate era molto atipica, non solo a causa dell’alto contenuto intellettuale delle sue conversazioni, ma anche per l’effetto limitato che questa sua pratica ebbe sui filosofi che lo seguirono. A giudicare da quanto riferisce Diogene Laerzio, i discepoli di Socrate non discutevano di filosofia nella bottega, anche se alcuni di essi da studenti lo avevano accompagnato, per esempio, alla bottega del sellaio.
 I seguaci di Socrate, scegliendo il ginnasio o altri edifici, praticavano una filosofia meno pubblica rispetto al loro maestro. Il numero delle persone che partecipava a queste discussioni nelle botteghe non poteva essere grande. Spesso erano solo in due, Socrate con Simone e Crate con Filisco. Gli argomenti trattati erano molti: dalle discussioni che riguardavano i commerci degli artigiani a temi più interessanti: gli dei, la giustizia, la virtù, il coraggio, la legge, l’amore, la musica, ecc.

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