L’ AMORE DI DIO SI SPINGE ALLA CONVERSIONE – 2008 INAUGURAZIONE DELL’ANNO PAOLINO

http://www.qumran2.net/materiale/anteprima.php?id=13380&anchor=documento_1&ritorna=%2Findice.php%3Fparole%3D%26%2334%3Bsan+paolo%26%2334%3B%26&width=1024&height=676

L’ AMORE DI DIO SI SPINGE ALLA CONVERSIONE -   2008  INAUGURAZIONE DELL’ANNO PAOLINO

(da qumran.net, materiale pastorale, non capisco chi è l’autore…)

Mi auguro che l’intuizione del Pontefice Benedetto XVI di inaugurare lo scorso 28 giugno 2008 un Anno da dedicare all’Apostolo delle Genti san Paolo, possa costituire per tutti, nella Chiesa un’occasione di riflessione seria e attenta su argomenti formativi che esulino dalle consuetudini della devozione a volte vacua e meschina che non di rado si trasforma in devozionismo sterile, anche considerando la grande importanza che questo illustre personaggio della prima cristianità assume per la nostra fede e per il nostro spirito di devozione anche al nostro Santo Padre Fondatore, vorrei che mi concedeste la vostra attenzione su una riflessione intorno all’insegnamento dell’Apostolo, ai suoi moniti, alla sua figura, queste messe in relazione diretta con il carisma della penitenza e la conversione interiore
I riferimenti per creare un serio e certo accostamento fra il pensiero di Paolo, la teologia penitenziale, ma la prima pedagogia paolina che a questo proposito mi viene in mente la si desume in un piccolo ma molto significativo passo della Lettera ai Romani: “La benignità di Dio ci spinge alla conversione” (Rm 2, 4)
Un riferimento molto eloquente, che racchiude tutto il pensiero di questo grande apostolo intorno alla penitenza; egli infatti in questo contesto esorta al ravvedimento dalle cattive azioni, alla fuga dai giudizi illeciti e dai preconcetti, sprona al buon esempio e alla pratica della sincerità cristiana non senza però sottolineare che la motivazione fondamentale per cui valga la pena assumere un serio atteggiamento di coerenza risiede innanzitutto nell’amore di Dio: è stato Lui per primo a chiamare l’Apostolo alla comunione con sè, non già attraverso la minaccia o la costrizione, la punizione o la coazione esteriore della sua onnipotenza, ma manifestando semplicemente la sua benevolenza nei confronti dell’uomo ed è appunto nell’amore e in forza dell’amore che Dio chiama tutti a conversione. Nella pericope è eloquente la dicotomia fra l’agire dell’uomo che procede lontano dall’amore di Dio e l’intervento divino che supera la presunzione e l’indifferenza dell’uomo: Dio cerca il bene dell’uomo, esprime senza riserve la sua benevolenza e imprime la vita umana con le prerogative del suo amore, ma allo stesso tempo sottolinea che anche dall’uomo si richiede la consapevolezza che non tutto quello che egli fa è approvato da Dio, ma che l’amore deve spingerci piuttosto a cambiare vita. Dio ci chiama a sé perché ci ama e l’amore di Dio fonda la gratuità del Suo intervento nei nostri confronti perché noi possiamo cambiare e orientarci in vista di Lui. Nessun cambiamento della persona e delle intenzioni soggettive, nessun fenomeno di conversione è possibile se non in conseguenza del palesamento diretto dell’amore di Dio.

I – BREVE PROFILO DI PAOLO

Nella vita dell’Apostolo Paolo, che è possibile avere delineata nell’intero libro degli Atti degli Apostoli, si nota improvvisa ma determinante e fulminea, una radicale trasformazione di pensieri, convinzioni, intenti e azioni che scaturisce nient’altro che dall’amore di Dio che radicalmente trasforma il cuore temerario di un perfido apostolo del Giudaismo per orientare la sua stessa intraprendenza nella difesa convinta e attenta del cristianesimo. Il libro lucano degli Atti vede Paolo in un primo momento approvare la lapidazione di Stefano ed esternare tutta la sua foga contro le comunità cristiane che sono da lui visitate perché i suoi membri ne vengano trascinati fuori per essere messi in prigione (At 7, 58; 8, 1 – 3); lo zelante persecutore nonché futuro apostolo non manca di mostrare fondata e convinta efferatezza e spietatezza, mosso dallo zelo esplosivo che lo conduce ad ostracizzare e a reprimere con ogni mezzo qualsiasi cosa si opponga alla religione Giudaica, essendo questa probabilmente l’unica motivazione fontale e fondante della sua vita e del suo ministero. La deliberazione per il Giudaismo la cui tendenza religiosa e culturale scaturisce dallo stessa sua famiglia che in lui lo ha incusso sin dalla prima infanzia, lo conduce alla battaglia contro il cristianesimo con ogni mezzo e senza esclusione di colpi e ad una instancabile ed estenuante opera anticristiana per la quale sarà sempre visto con orrore e paura dai discepoli del Signore Gesù Cristo anche dopo l’avvenuta conversione.
Come osserva Rinaldo Fabris, Paolo rivendica la sua origine e appartenenza ebraica, come quando afferma di essere stato “circonciso all’ottavo giorno” secondo quelle che erano le prescrizioni della Legge del Levitico e si definisce della stirpe di Israele e della tribù di Beniamino (Rm 11, 1). Del resto la sua origine familiare lo aveva condotto ad abbracciare il Giudaismo sin dalla sua nascita, avvenuta a Tarso probabilmente intorno agli anni 5 – 10 d.C.
Gettando uno sguardo sulla sua situazione familiare, possiamo affermare che Paolo è nato a Tarso, una città florida e fiorente dell’Asia Minore, corrispondente all’attuale Turchia sud orientale; era di famiglia ebraica ma il padre, forse per un accordo o una convenzione, aveva acquistato la cittadinanza romana sia per lui che per tutta la famiglia. Nel libro degli Atti Luica dimostrerà che questa cittadinanza Paolo la aveva sin dalla nascita e che gli permetterà di appellarsi all’Imperatore e di non subire maltrattamenti (At 16, 37 – 39; 22, 25 – 29; 25, 10 – 12). Nella prima fanciullezza viene istruito sulla lingua greca, soprattutto per la lettura della Bibbia, ma la formazione sua propria era sempre stata quella del Giudaismo e della formazione ebraica, che approfondirà successivamente a Gerusalemme come allievo di Gamaliele (At 22, 3). Secondo alcuni studiosi moderni Paolo sarebbe stato sposato e poi separato dalla consorte e in seguito non avrebbe più avuto interesse a contrarre nuovo matrimonio, ma altri lo vedono celibe, specialmente nella lettura della 1 Corinzi cap. 7, dove esalta la situazione di vita singolare e celibataria in vista del Vangelo. Proprio a Gerusalemme, dove viene iniziato anche al mestiere di fabbricatore di tende che intraprenderà sempre come attività per il suo sostentamento personale nonostante i diritti che il Vangelo gli concede, si forma alla rigidità della Legge Mosaica e allo zelo rabbinico per la Scrittura ebraica secondo la scuola dei farisei, che lo porterà ad essere estremo sostenitore del giudaismo fino alla persecuzione e all’aborrimento di tutto quello che giudaico non era, specialmente della nuova fede cristiana.
Egli stesso si definirà successivamente “quanto a zelo persecutore della Chiesa” (Fil 3, 6), “Neanche degno di essere chiamato apostolo per aver perseguitato la Chiesa di Dio ( 1Cor 15, 9) e nel ricordare i tempi della sua avversione contro la comunità cristiana proverà grande emozione mista a commozione e gioia nella considerazione del primato della grazia che lo ha poi plasmato come apostolo zelantissimo. Sarà sempre cosciente del prima e del poi del suo rapporto con Cristo: “Ero prima un persecutore e un violento”(1 Tm 1, 13), perché animato dallo zelo per la tutela della sua religione ebraica e per la sua diffusione, per la quale affermerà di aver addirittura superato nel giudaismo i suoi correligionari accanito com’era nel sostenere le tradizioni dei Padri (Gal 1, 13 – 14).
Nei capitoli 22 e 26 del libro degli Atti, narrando i particolari della sua conversione a Cristo sulla via di Damasco, Paolo tratteggia con estrema limpidezza le tristezze del suo passato da avversario della Chiesa nascente in nome di una dottrina da sempre ritenuta valida e indiscutibile e per la quale era convinto che ci si dovesse battere a tutti i costi:
“Ed egli continuò: « Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi. 4 Io perseguitai a morte questa nuova dottrina, arrestando e gettando in prigione uomini e donne, 5 come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii allo scopo di condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme, per essere puniti.” (At 22, 3 – 5)
“La mia vita fin dalla mia giovinezza, vissuta tra il mio popolo e a Gerusalemme, la conoscono tutti i Giudei; 5 essi sanno pure da tempo, se vogliono renderne testimonianza, che, come fariseo, sono vissuto nella setta più rigida della nostra religione. 6 Ed ora mi trovo sotto processo a causa della speranza nella promessa fatta da Dio ai nostri padri, 7 e che le nostre dodici tribù sperano di vedere compiuta, servendo Dio notte e giorno con perseveranza. Di questa speranza, o re, sono ora incolpato dai Giudei! 8 Perché è considerato inconcepibile fra di voi che Dio risusciti i morti? 9 Anch`io credevo un tempo mio dovere di lavorare attivamente contro il nome di Gesù il Nazareno, 10 come in realtà feci a Gerusalemme; molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con l`autorizzazione avuta dai sommi sacerdoti e, quando venivano condannati a morte, anch`io ho votato contro di loro. 11 In tutte le sinagoghe cercavo di costringerli con le torture a bestemmiare e, infuriando all`eccesso contro di loro, davo loro la caccia fin nelle città straniere.” (At 26, 4 – 11)

Ma come lui stesso aggiunge sempre dopo aver descritto la sua posizione di persecutore e di violento, il protagonismo della gratuità della grazia di Dio lo ha chiamato a radicale mutazione della sua persona e dei suoi intenti in vista di Cristo.
E’ stato infatti l’intervento diretto della grazia straordinaria dello stesso Cristo che ha determinato il radicale cambiamento di Paolo da persecutore a difensore della Chiesa, attraverso quella famosa apparizione del Signore Gesù Cristo che viene a visitarlo sulla via di Damasco (At 9. 1 – 19), della quale egli si riterrà talmente indegno da identificarsi ad un “aborto”.
Oltre che di conversione, questo episodio, ripetuto per ben tre volte nel libro degli Atti ( At 9, 1 – 19; 22, 6 – 16 ; 26, 12 – 18) racconta anche e soprattutto di vocazione: egli stesso anzi, si qualificherà “Servo di Gesù Cristo, apostolo per vocazione, prescelto per annunciare il vangelo di Dio” (Rm 1,1) o anche “per volontà di Dio” (1 Cor 1,1), soprattutto quando dovrà difendersi dalle accuse di non essere meritorio del suo ministero. Che si tratti più di vocazione che di conversione è parere anche di alcuni critici, anche perché in Paolo non cambierà sostanzialmente lo zelo per la Parola di Dio, ma questo verrà orientato in modo differente (convertirsi vuol dire infatti trasformare radicalmente se stessi) tuttavia il radicale cambiamento avvenuto nella persona dell’apostolo, i ripetuti riferimenti alla “metanoia” e il protagonismo di Dio nella sua vicenda ci autorizzano a parlare anche di conversione.
Paolo viene infatti quasi “catturato” (Fil 3. 12) dallo stesso Cristo che da lui era perseguitato e a che adesso sfrutterà il suo stesso zelo operativo a vantaggio dei suoi discepoli. Il Signore che lui riconosce in quella circostanza come tale mentre gli domanda “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti”, lo chiama ad instaurare con lui una nuova relazione di vita, un nuovo rapporto che sarà non più di tensione e di ostilità ma di fiducia e di reciproca stima.

II – DAMASCO E LA CENTRALITA’ DI CRISTO

L’incontro damasceno segna la svolta radicale della vita di Paolo e delle sue posizioni, al punto che quello che prima era per lui detestabile adesso è oggetto dei suoi interessi e del suo zelo operativo mentre quello che prima era determinate e irrinunciabile diventa invece deprezzabile, addirittura al rango di “spazzatura” per lasciare spazio al primato di Gesù Cristo che lo ha appena “afferrato”; il verbo greco di cui Fil 3, 12 è “katalambano”, che vuol dire “catturare”, “conquistare” alla stregua di qualcosa che si acquista non senza difficoltà o che si strappa con la forza esprime il protagonismo dello stesso Gesù che ha voluto intervenire radicalmente nella persona di quest’uomo per poterla trasformare secondo piani del tutto differenti e infatti Paolo non mancherà di preconizzare la centralità del mistero di Cristo come primo artefice della sua radicale trasformazione ed è in primo luogo la cristologia staurocentrica, incentrata sulla croce, quella che l’apostolo affermerà essere la rampa di lancio di tutto il suo pensiero rinnovato, anche se di fatto la croce non sussiste mai se non in vista della resurrezione perché il Cristo morto è pur sempre quello risorto che non muore più; del resto “se Cristo non è risorto è vana la nostra predicazione, vana è la nostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati” (1 Cor 15, 17).
In forza di questa missione, egli rivendicherà per se stesso l’appellativo di apostolo, motiverà le sue scelte e si mostrerà “dimentico del passato e proteso verso il futuro” (Fil 3, 13)
Ma quel che conta sottolineare è come lui riscontri che Dio in Cristo abbia manifestato la suo potenza predilettiva e come lui debba molto a quell’incontro con il Risorto.
Infatti nella lettera ai Galati afferma espressamente “Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo. Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei connazionali e coetanei, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri. Ma quando colui che mi scelse fin dal senso di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunciassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo,senza andare a Gesrusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi tornai a Damasco. “(Gal 1, 11 – 17)
Si tratta di uno dei passi più significativi nella descrizione della vocazione di Paolo nel quale si intravede la libera iniziativa di Dio che manifesta al nuovo apostolo il suo Figlio; espressioni quali “mi scelse”, “mi chiamò” e si compiacque” riferite a Cristo medesimo rafforzano il valore della gratuità della chiamata a una nuova dimensione di vita glielo rivela prima di tutto perché ne faccia egli stesso esperienza e poi perché si disponga a recarne l’annuncio a tutte le genti. Prima la familiarità con Cristo per volere di Dio, poi la missione caratterizzano questa svolta apostolica in Paolo.
La meraviglia di questo avvenimento sulla via di Damasco, infatti, è che Cristo gli si presenta come un amico che conosce bene le sue qualità, la sua tempra, il dinamismo e la tenacia che lo hanno sempre caratterizzato e che costituiscono in lui un grande patrimonio personale da sfruttare al meglio verso altre direzioni, e pertanto non esita prima di tutto a proporglisi personalmente per poi immediatamente mostrargli nel dialogo e nella mutua confidenza tutta la sua stima e la fiducia nelle sue possibilità. In verità Luca nel libro degli Atti degli Apostoli riporta un particolare ben preciso, ossia che Paolo “cade per terra” quando si trova alla presenza improvvisa di Gesù”; atto questo che è proprio della piccolezza dell’uomo di fronte alla grandezza di Dio: il cadere a terra nella Scrittura indica infatti la reazione umana di fronte alla manifestazione di Dio che era propria per esempio in Daniele (capp. 8 e 10) e anche nell’episodio Giovanneo della cattura e dell’arresto di Gesù (“Indietreggiarono e caddero a terra” Gv 18, 6). Altri elementi teofanici propri dell’Antico Testamento si riscontrano anche nel fulgore e nella luce che acceca, e pertanto Paolo rileva in Cristo la grandezza di Dio che lo sta chiamando e riconosce immediatamente che il Signore che poco prima aveva ignominiosamente perseguitato era il Dio della gloria incommensurabile rispetto all’uomo; ciò nondimeno riscontra che Gesù si identifica immediatamente con i suoi discepoli perseguitati e questo gli fa avere un concetto estensivo e significativo del Signore e contemporaneamente anche della Chiesa da lui fondata che sussiste nella persona dei battezzati e redenti.
. In più, nelle parole e nelle indicazioni pratiche di Gesù percepisce di essere oggetto di fiducia e per ciò stesso si convince del suo amore e quando arriva a Damasco, di fronte ad Anania, riapre gli occhi, non soltanto quelli fisici, alla comprensione della vanità della sua vita precedente, alla considerazione dell’inutilità di quanto stava prima operando contro i discepoli di Cristo e alla necessità di una radicale trasformazione in senso opposto della sua vita.
Come si notava poc’anzi, Luca non si limita al solo capitolo 9 del libro degli Atti per parlare dell’incontro fra Paolo e Cristo, ma riporta l’episodio anche al cap 22, 1 – 21 e 26, 12 – 19. Vale la pena stendere un raffronto fra le tre versioni:

Atti 9, 1 – 9:

Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote 2 e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati. 3 E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all`improvviso lo avvolse una luce dal cielo 4 e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: « Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? ». 5 Rispose: « Chi sei, o Signore? ». E la voce: « Io sono Gesù, che tu perseguiti! 6 Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare ». 7 Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno. 8 Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco, 9 dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda.

Atti 22, 6 – 21

Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all`improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me; 7 caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? 8 Risposi: Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti. 9 Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava. 10 Io dissi allora: Che devo fare, Signore? E il Signore mi disse: Alzati e prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia. 11 E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni, giunsi a Damasco. 12 Un certo Anania, un devoto osservante della legge e in buona reputazione presso tutti i Giudei colà residenti, 13 venne da me, mi si accostò e disse: Saulo, fratello, torna a vedere! E in quell`istante io guardai verso di lui e riebbi la vista. 14 Egli soggiunse: Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, 15 perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. 16 E ora perché aspetti? Alzati, ricevi il battesimo e lavati dai tuoi peccati, invocando il suo nome. 17 Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi 18 e vidi Lui che mi diceva: Affrettati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me. 19 E io dissi: Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nella sinagoga quelli che credevano in te; 20 quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anch`io ero presente e approvavo e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano. 21 Allora mi disse: Và, perché io ti manderò lontano, tra i pagani ».

Atti 26, 12 – 19

…in tali circostanze, mentre stavo andando a Damasco con autorizzazione e pieni poteri da parte dei sommi sacerdoti, verso mezzogiorno 13 vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. 14 Tutti cademmo a terra e io udii dal cielo una voce che mi diceva in ebraico: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Duro è per te ricalcitrare contro il pungolo. 15 E io dissi: Chi sei, o Signore? E il Signore rispose: Io sono Gesù, che tu perseguiti. 16 Su, alzati e rimettiti in piedi; ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto e di quelle per cui ti apparirò ancora. 17 Per questo ti libererò dal popolo e dai pagani, ai quali ti mando 18 ad aprir loro gli occhi, perché passino dalle tenebre alla luce e dal potere di satana a Dio e ottengano la remissione dei peccati.

Come afferma anche Bruno Maggioni, le differenze di racconto nei testi di Luca (anche il Vangelo) non sono casuali, ma tendono ad avallare un concetto determinato; in questo caso Luca intende sottolineare che il primato della grazia di Cristo e la familiarità con lo stesso Signore sono alla base di tutta la vita e del pensiero di colui che successivamente verrà definito l’apostolo dei pagani: al capitolo 26 infatti, a differenza che nel cap 9, sembra che sia lo stesso Cristo ad impostare la missione di Paolo d’ora in avanti, perché determina egli stesso quanto lui dovrà operare e lo fa categoricamente e in modo diretto e tassativo, quasi ricordando la chiamata a cui sono soggetti tanti profeti dell’Antico Testamento: “Su, alzati e rimettiti in piedi, ti sono apparso per costituirti ministro di quelle cose per le quali ti sono apparso e ti apparirò ancora. Ti libererò dal popolo e dai pagani, ai quali ti mando ad aprire loro gli occhi, perché passino dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio.” (vv 16 – 18).
Che un Giudeo radicale possa diventare apostolo presso i pagani non deve attribuirsi ad opera umana e pertanto non può che corrispondere ad un dono della chiamata di Dio che Paolo sia diventato poi apostolo dei Gentili per uno specifico progetto cristiano, pertanto Luca sottolinea che solo in forza del cambiamento operato da Cristo Paolo è potuto diventare quello che è diventato e che la grazia è un dono gratuito da accogliere e verso il quale mostrarsi riconoscenti: la salvezza viene da Dio e solo Cristo redime e salva.
Come afferma qualcuno, la trasformazione di Paolo avviene tuttavia in senso teologico e non già in senso morale. Paolo infatti, sia pure nella forma differente, continuerà a manifestare lo stesso zelo per il Signore non muterà lo spirito di dedizione e di attenzione con cui è sempre stato solito adempiere ogni lavoro; manterrà inalterata la sua veemenza, puntualità e prontezza nell’agire, confermando le prerogative dello zelo e dell’intraprendenza che lo hanno sempre caratterizzato come persona e anche il suo carattere, che parecchi studiosi descrivono come impulsivo, focoso e a volte anche irascibile e intrattabile (vedi la lite con Barnaba nello stesso libro degli Atti) resterà invariato. Ma in virtù della nuova dimensione amicale instaurata con Cristo, nella misura in cui prima orientava tutte queste caratteristiche in senso persecutorio contro la Chiesa, adesso si muoverà concitatamente in difesa della comunità cristiana e alla propagazione della salvezza voluta da Dio nello stesso Cristo. Nella misura in cui anteriormente si mostrava accanito nel difendere le tradizioni dei suoi padri superando anche i migliori fra i Giudei (Gal 1, 13 – 14) così adesso primeggerà su tutti nella propagazione del messaggio di salvezza di Cristo di cui egli stesso è stato il primo destinatario.
Una conversione insomma molto commovente e sentita che scaturisce da un processo vocazionale che attesta alla chiamata personale da parte del Signore e questa avviene sempre in forza dell’amore che Dio ha nei nostri riguardi come appunto ha mostrato nei confronti dell’Apostolo; sicchè la conversione di Paolo scaturisce in definitiva dall’amore di Dio e produce nel suo cuore le reazioni dell’amore riconoscente da parte dello stesso Paolo nei confronti di Dio. L’amore di Dio in Cristo ha avuto il sopravvento sulla malvagità e ha determinato un radicale cambiamento di vita e adesso diventa motivo di corrispondenza nella concretezza dell’amore di riconoscenza.
Come scrive Vanhoye, “La vocazione non è basata sulla nostra dignità previa: occorre piuttosto dire che la vocazione ci conferisce la nostra dignità. Dio, cioè, si è degnato per puro amore di mettersi in rapporto personale con noi e reciprocamente di metterci in relazione personale con lui.”; e infatti lo stesso Paolo riconoscerà sempre che la sua chiamata è stata espressione di un atto di gratuità divina che si giustifica solo con l’amore altrettanto gratuito e immediato che Dio ha nei confronti dell’uomo e d è pertanto l’amore di Dio il primo protagonista della vicenda della nostra storia personale nella quale nulla avviene per caso, ma è anche possibile un ribaltamento radicale della situazione, una grande svolta epocale che caratterizzi per sempre la nostra vita come per l’Apostolo ha voluto determinare il dinamismo della fede e dell’amore proprio dove esso era orientato verso l’odio e l’intolleranza. Per questo l’apostolo medesimo si definisce tale “per vocazione prescelto per annunziare il vangelo di Dio” (Rm 1, 1) e la chiamata di Dio è per lui ingiungibile dalla caratteristica missione dell’apostolo, essendo questa fondata sulla vocazione e il dato rilevante è che tale chiamata si fonda nient’altro che sull’amore di Dio, come egli stesso afferma: chiamato per Grazia (Gal 1, 1 e ss).

III – LA BENIGNITA’ DI DIO

Paolo quindi parla per esperienza personale quando afferma che “la benignità di Dio ci sprona alla conversione” (Rm 2, 4) perché riferisce nel suo insegnamento di essere stato chiamato alla conversione nient’altro che dall’amore di Dio nei suoi riguardi e che qualsiasi iniziativa di conversione divina è sempre un grande atto di amore e de benevolenza da parte dello stesso Signore che cerca l’uomo in tutti i meandri della propria perdizione; Dio mostra la sua volontà di riconciliazione con noi soprattutto attraverso la concretezza del suo amore e della sua bontà e proprio il benvolere di Dio ci è di sprone alla comunione con Lui. Anche nel nostro carisma di Minimi apportatori della “maggior penitenza” noi siamo coscienti di essere stati chiamati da Dio perché in realtà innanzitutto egli ci ha amati e ci ha considerati preziosi e insostituibili ai suoi occhi, donandoci un posto privilegiato nella salvezza e nello stesso itinerario della nostra storia.
L’esperienza stessa ci insegna che il recupero di tante persone dallo stato di depravazione morale voluto dalla droga, dal sesso, dalla violenza si è reso possibile soprattutto grazia alla vicinanza e alla bontà che è stata rivolta nei confronti di queste persone e che moltissimi bambini abbandonati si distolgono dalla strada e dal brigantaggio solamente quando avvertono che noi li amiamo e usiamo comprensione e pazienza nei loro riguardi, perché si sentono così spronati e incoraggiati a sfruttare al meglio le proprie risorse e le immancabili potenzialità; ebbene è appunto il solo amore di Dio che ci muove alla conversione imprimendo in modo convincente nella nostra vita e perseverare nell’errore nonostante la manifestazione dell’amore divino comporta rischi solo per noi stessi.
Di fronte all’amore riconciliante di Dio occorre che le nostre reazioni siano di corrispondenza e di gratitudine. Paolo nelle sue lettere non esorta né insegna mai ad amare Dio, ma i continui riferimenti alla resa di grazie e le esortazioni al sentimento di riconoscenza sottendono che l’amore verso il Signore era da lui costantemente vissuto e che amare Dio è la prima delle prerogative che si richiede a chi da questo amore è stato raggiunto.
L’amore di Dio infatti è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato (Rm 5, 5) e vuole che assuma la sua consistenza nella concretezza dell’amore verso gli altri, qualificandosi come amore di effettiva serietà nell’umiltà, nella pazienza, nel rendimento di grazie, nella benignità, nella cura di se stessi, nell’autocontrollo e nella sopportazione (1 Cor 13); l’esercizio dell’amore è la prima ed irrinunciabile prassi di riconoscenza verso Dio e ancora una volta ci troviamo a casa nostra con gli insegnamenti di Paolo perché il carisma dei Minimi cos’altro propone se non la fiducia iniziale nell’amore di Dio che ci ama Lui per primo, la convinzione di questo amore che può provenirci nient’altro che dal Lui e concretizzatosi nella morte di croce del suo Figlio che è il prezzo del nostro riscatto? A che altro può incentivarci se non alla corrispondenza grata a Dio che da parte nostra viene amato al di sopra di ogni cosa e a che altro ci sprona se non alla condivisione dell’amore di Dio nella concretezza degli atti di amore verso gli altri?
Sempre San Paolo infatti invita a gareggiare nello stimarci a vicenda, a fuggire il turpiloquio, la menzogna, la cattiveria e la maldicenza per essere “benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato voi in Cristo (Ef 4, 29 – 32) ad avere un giusto concetto di noi stessi che non ci esalti al di sopra degli altri, e a vincere il male facendo il bene,. Ricordando che l’amore non ha mai fatto male a nessuno. La carità che è effettivo frutto della conversione vuole infatti la concretezza delle opere e toglie lo spazio ad ogni retorica e tentennamento: “La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene;
amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi. Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti.” (Rm 12, 9-18). La carità trova nell’Apostolo la sua immediata concretizzazione in opere di carità fraterna edificanti, come la raccolta delle collette a sostegno delle altre chiese (1 Cor 16) ma in ogni caso sottende l’umiltà e la sottomissione presupponendo la fede sulla quale poggia la speranza; l’amore paolino ha inoltre le caratteristiche della schiettezza e della sincerità nella mutua accettazione e nella solidarietà vicendevole che provengono solo da Colui che ci ha scelti per la causa del Regno.

IV – “LASCIATEVI RICONCILIARE CON DIO
.
Chiamato a conversione dall’amore di Dio, riconoscente al Signore per averlo radicalmente.
trasformato in vista della causa del Vangelo, Paolo si rende apostolo egli stesso della riconciliazione con Dio e su questo non esita a supplicare i suoi discepoli: “Dio… ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”. (2 Cor 5, 18 – 20) e in questo il monito paolino è davvero concreto e non necessita di ulteriori spiegazioni: se Dio intende realizzare con noi la riconciliazione, ci si chiede la docilità esplicita a lasciarci amare da Lui in tal senso, ad accettare che Lui ci chiami a conversione e cambi radicalmente la nostra vita, e quello che è più convincente e categorico di questo monito è il fatto che Dio ha voluto darci dei ministri nella riconciliazione nella persona degli apostoli, ivi compreso lo stesso Paolo che della riconciliazione si fa ministro in prima persona per favorire tutti in tal senso verso Dio. Nella stessa lettera (vv 14 – 15) Paolo descrive che l’amore di Cristo ci avvolge tutti interamente e in prima persona perché Egli è morto per i nostri peccati e l’amore di Dio nei nostri confronti è prioritario, spontaneo e gratuito: Dio ci ama nonostante la nostra freddezza e indifferenza. L’apostolo esprime e rafforza il primato della gratuità divina affermando che “tutto questo viene da Dio”(v, 14 panta) e che anche l’iniziativa della riconciliazione è un dono di grazia che si realizza per mezzo del ministero degli apostoli ,a che tuttavia comporta la corrispondenza umana a che si lasci lo spazio a Dio affinchè ci riconcili a sé, si proceda cioè con sottomessa umiltà a lasciarci tutti riconciliare da Dio.
Paolo aggiunge che la possibilità della riconciliazione avviene “per mezzo di Cristo” e in modo particolare nell’atto in cui Dio ha lascito che il suo Figlio morisse sulla croce per pagare il prezzo del nostro riscatto; lo stesso prezzo che altrove Paolo, parlando di redenzione (apolittrosis) fa riferimento al riscatto litrov che si è costretti a pagare per riottenere una determinata cosa. Il litron di Dio per la nostra salvezza è il sangue di Cristo che lui ha volontariamente effuso per i nostri peccati affinchè fossimo salvi. Ecco perché occorre che noi consideriamo l’amore gratuito di Dio che comporti la conversione e il radicale cambiamento della nostra vita, perché lo stesso dono che Dio ha concesso a Paolo anche noi lo abbiamo già ricevuto e si aspetta solo la nostra adesione libera e consapevole in una rettitudine di vita.
Sicchè noi abbiamo l’ulteriore grazia divina dei ministri istituiti appositamente per il ministero della riconciliazione nella persona dei sacerdoti dispensatori della grazia sacramentale del perdono, nei quali è possibile riscontrare come nella concretezza di un linguaggio umano e immediato Dio si renda a nostra disposizione per comunicarci la certezza e l’efficacia del suo amore: nella confessione sacramentale, alla quale occorrerebbe sempre accostarci con fiducia e apertura di spirito, non possiamo non cogliere il dono del Signore che vuole rendersi compartecipe del nostro peccato per potercene liberare non prima di aver orientato la meglio il nostro potenziale, guidando i nostri pensieri e orientando i nostri atti, sollecitando il nostro cammino verso la perfezione evangelica e la santità, confortandoci nelle nostre angustie e donandoci nuovo slancio nelle insicurezze e nelle perplessità; e la presenza di un soggetto umano scelto indegnamente da Dio come ministro, rende tutto più semplice perché traduce in termini immediati e lineari la realizzazione di questa premura da parte di Dio. Il sacerdote è ministro dell’amore di Dio che perdona e riconcilia, uno strumento della grazia di cui Dio potrebbe fare a meno ma del quale si serve perché noi acquistiamo sempre più familiarità con la grazia del perdono di Dio ricorrendo ad un espediente accessibile nell’immediato giacchè si tratta di un soggetto umano nostro pari, peccatore come noi, anch’egli chiamato personalmente a corrispondere al dono della grazia ma intanto a disposizione di tutti per essere di questa grazia divina il dispensatore e come ravvisa l’Apostolo egli non funge altro che da ambasciatore, ossia emissario della divina predilezione riconciliante che verte a favore dell’uomo.
In questo Anno dedicato a Paolo siamo chiamati ad incrementare la nostra intraprendenza nella penitenza evangelica che il Santo Fondatore ci ha lascito in eredità come carisma, poiché nella figura dell’Apostolo Paolo siamo ulteriormente spronati a riscoprire il fascino e la convenienza della ricerca delle “cose di lassù, che sono lontane da quelle della terra. La storia della vocazione dell’apostolo alla conversione è molto avvincente e gli insegnamenti dell’apostolo non possono che attirare la nostra attenzione e favorire la speditezza nel cammino della conversione che viviamo noi stessi e che comunichiamo agli altri.
Non possiamo non riscoprire i contenuti dell’eredità spirituale del messaggio di Paolo soprattutto in questa contestualità epocale che sembra procedere in senso opposto alle aspettative del sentire religioso; in questi ultimi tempi infatti l’ostruzionismo alla religione e le animosità contro la fede vanno sempre più incrementandosi e l’avversione verso la Chiesa e il Magistero del papa sembra costituire al momento una moda alla quale tutti sono attirati.
Se la società giunge alla realizzazione e attuazione di simili fenomeni, ciò delinea la triste realtà di una mancata coerenza nella nostra scelta cristiana come pure la nostra efficacia nella comunicazione dell’amore di Dio nel mondo. E’ pertanto la qualità della nostra vita che deve costituire la vera reazione a simili atteggiamenti di stupida avversione verso la Chiesa; sono le opere degne di penitenza dell’amore, del perdono, della riconciliazione fra di noi e con gli altri che devono costituire una vera replica controbattente a tali insinuazioni di antireligiosità vacua e meschina, ragion per cui riscontriamo che proprio ai nostri giorni il carisma minimo della conversione venga chiamato in causa ulteriormente e che le urgenze della testimonianza si rendono sempre più improcrastinabili.
Il monito di Paolo è quello a considerare innanzitutto che Dio ci ama come nessuno mai potrebbe con la grandezza della sua gratuità per cui la sua grazia ci è sufficiente; ma ci sprona anche a che siffatto amore divino ci esorti alla conversione e ci indirizzi al meglio verso il primato dello stesso Signore nella nostra vita e di conseguenza al bene che siamo tenuti a concretare nei confronti del prossimo. L’amore di Dio non è mai limitativo né va considerato alla stregua di un tesoro da custodirsi gelosamente fra le mani, ma fonda un entusiasmo speciale per il quale ci sentiamo in dovere di prodigarci verso gli altri e riguarda pertanto un amore che ci spinge a conversione.

Publié dans : ANNO PAOLINO |le 11 avril, 2013 |Pas de Commentaires »

Vous pouvez laisser une réponse.

Laisser un commentaire

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01