Archive pour mars, 2013

PREDICA DEL CARDINALE SODANO NELLA MESSA « PRO ELIGENDO ROMANO PONTIFICE »

http://www.zenit.org/it/articles/offrire-agli-uomini-la-luce-del-vangelo-e-la-forza-della-grazia

(citazioni da Paolo)

« OFFRIRE AGLI UOMINI LA LUCE DEL VANGELO E LA FORZA DELLA GRAZIA »

PREDICA DEL CARDINALE SODANO NELLA MESSA « PRO ELIGENDO ROMANO PONTIFICE »

Citta’ del Vaticano, 12 Marzo 2013 (Zenit.org)

Riprendiamo di seguito il testo dell’omelia pronunciata dal cardinale Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio, durante la Messa “pro eligendo Romano Pontifice”, concelebrata questa mattina nella Basilica Vaticana dai 115 cardinali che entreranno questo pomeriggio in conclave.
***
Cari Concelebranti, distinte Autorità, Fratelli e Sorelle nel Signore!

« Canterò in eterno le misericordie del Signore » è il canto che ancora una volta è risuonato presso la tomba dell’Apostolo Pietro in quest’ora importante della storia della Santa Chiesa di Cristo. Sono le parole del Salmo 88 che sono fiorite sulle nostre labbra per adorare, ringraziare e supplicare il Padre che sta nei Cieli. « Misericordias Domini in aeternum cantabo »: è il bel testo latino, che ci ha introdotto nella contemplazione di Colui che sempre veglia con amore sulla sua Chiesa, sostenendola nel suo cammino attraverso i secoli e vivificandola con il suo Santo Spirito.
Anche noi oggi con tale atteggiamento interiore vogliamo offrirci con Cristo al Padre che sta nei Cieli per ringraziarlo per l’amorosa assistenza che sempre riserva alla sua Santa Chiesa ed in particolare per il luminoso Pontificato che ci ha concesso con la vita e le opere del 265º Successore di Pietro, l’amato e venerato Pontefice Benedetto XVI, al quale in questo momento rinnoviamo tutta la nostra gratitudine.
Allo stesso tempo oggi vogliamo implorare dal Signore che attraverso la sollecitudine pastorale dei Padri Cardinali voglia presto concedere un altro Buon Pastore alla sua Santa Chiesa. Certo, ci sostiene in quest’ora la fede nella promessa di Cristo sul carattere indefettibile della sua Chiesa. Gesù, infatti, disse a Pietro: « Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa » (cfr. Mt 16,18).
Miei fratelli, le letture della Parola di Dio che or ora abbiamo ascoltato ci possono aiutare a comprendere meglio la missione che Cristo ha affidato a Pietro ed ai suoi Successori.
1. IL MESSAGGIO DELL’AMORE
La prima lettura ci ha riproposto un celebre oracolo messianico della seconda parte del libro di Isaia, quella parte che è chiamata « il Libro della consolazione » (Is 40-66). È una profezia rivolta al popolo d’Israele destinato all’esilio in Babilonia. Per esso Dio annunzia l’invio di un Messia pieno di misericordia, un Messia che potrà dire: « Lo spirito del Signore Dio è su di me… mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore » (Is 61,1-3).
Il compimento di tale profezia si è realizzato appieno in Gesù, venuto al mondo per rendere presente l’amore del Padre verso gli uomini. È un amore che si fa particolarmente notare nel contatto con la sofferenza, l’ingiustizia, la povertà, con tutte le fragilità dell’uomo, sia fisiche che morali. È nota al riguardo la celebre Enciclica del Papa Giovanni Paolo II « Dives in misericor dia », che soggiungeva: « il modo in cui si manifesta l’amore viene appunto denominato nel linguaggio biblico ‘misericordia’ » (Ibidem, n. 3).
Questa missione di misericordia è stata poi affidata da Cristo ai Pastori della sua Chiesa. È una missione che impegna ogni sacerdote e vescovo, ma impegna ancor più il Vescovo di Roma, Pastore della Chiesa universale. A Pietro, infatti, Gesù disse: « Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?… Pasci i miei agnelli » (Gv 21,15). È noto il commento di S. Agostino a queste parole di Gesù: « sia pertanto compito dell’amore pascere il gregge del Signore »; « sit amoris officium pascere dominicum gregem » (In Iohannis Evangelium, 123, 5; PL 35, 1967).
In realtà, è quest’amore che spinge i Pastori della Chiesa a svolgere la loro missione di servizio agli uomini d’ogni tempo, dal servizio caritativo più immediato fino al servizio più alto, quello di offrire agli uomini la luce del Vangelo e la forza della grazia.
Così lo ha indicato Benedetto XVI nel Messaggio per la Quaresima di questo anno (cfr. n. 3). Leggiamo, infatti, in tale messaggio: « Talvolta si tende, infatti, a circoscrivere il termine ‘carità’ alla solidarietà o al semplice aiuto umanitario. È importante, invece, ricordare che massima opera di carità è proprio l’evangelizzazione, ossia il ‘servizio della Parola’. Non v’è azione più benefica, e quindi caritatevole, verso il prossimo che spezzare il pane della Parola di Dio, renderlo partecipe della Buona Notizia del Vangelo, introdurlo nel rapporto con Dio: l’evangelizzazione è la più alta e integrale promozione della persona umana. Come scrive il Servo di Dio Papa Paolo VI nell’Enciclica Populorum progressio: è l’annuncio di Cristo il primo e principale fattore di sviluppo (cfr. n. 16) ».
2. IL MESSAGGIO DELL’UNITÀ
La seconda lettura è tratta dalla Lettera agli Efesini, scritta dall’Apostolo Paolo proprio in questa città di Roma durante la sua prima prigionia (anni 62-63 d.C.).
È una lettera sublime nella quale Paolo presenta il mistero di Cristo e della Chiesa. Mentre la prima parte è più dottrinale (cap. 1-3), la seconda, dove si inserisce il testo che abbiamo ascoltato, è di tono più pastorale (cap. 4-6). In questa parte Paolo insegna le conseguenze pratiche della dottrina presentata prima e comincia con un forte appello alla unità ecclesiale: « Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace (Ef 4,1-3).
S. Paolo spiega poi che nell’unità della Chiesa esiste una diversità di doni, secondo la multiforme grazia di Cristo, ma questa diversità è in funzione dell’edificazione dell’unico corpo di Cristo: « È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo » (cfr. 4,11-12).
È proprio per l’unità del suo Corpo Mistico che Cristo ha poi inviato il suo Santo Spirito ed allo stesso tempo ha stabilito i suoi Apostoli, fra cui primeggia Pietro come il fondamento visibile dell’unità della Chiesa. 
Nel nostro testo San Paolo ci insegna che anche tutti noi dobbiamo collaborare ad edificare l’unità della Chiesa, poiché per realizzarla è necessaria « la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro » (Ef 4,16). Tutti noi, dunque, siamo chiamati a cooperare con il Successore di Pietro, fondamento visibile di tale unità ecclesiale.
3. LA MISSIONE DEL PAPA
Fratelli e sorelle nel Signore, il Vangelo di oggi ci riporta all’ultima cena, quando il Signore disse ai suoi Apostoli: « Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati » (Gv 15,12). Il testo si ricollega così anche alla prima lettura del profeta Isaia sull’agire del Messia, per ricordarci che l’atteggiamento fondamentale dei Pastori della Chiesa è l’amore. È quell’amore che ci spinge ad offrire la propria vita per i fratelli. Ci dice, infatti, Gesù: »nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici » (Gv 15,12).
L’atteggiamento fondamentale di ogni buon Pastore è dunque dare la vita per le sue pecore (cfr. Gv 10,15). Questo vale soprattutto per il Successore di Pietro, Pastore della Chiesa universale. Perché quanto più alto e più universale è l’ufficio pastorale, tanto più grande deve essere la carità del Pastore. Per questo nel cuore di ogni Successore di Pietro sono sempre risuonate le parole che il Divino Maestro rivolse un giorno all’umile pescatore di Galilea: « Diligis meplus his? Pasce agnos meos… pasce oves meas »; « Mi ami più di costoro? Pasci i miei agnelli… pasci le mie pecorelle! » (cfr. Gv 21,15-17).
Nel solco di questo servizio d’amore verso la Chiesa e verso l’umanità intera, gli ultimi Pontefici sono stati artefici di tante iniziative benefiche anche verso i popoli e la comunità internazionale, promovendo senza sosta la giustizia e la pace. Preghiamo perché il futuro Papa possa continuare quest’incessante opera a livello mondiale.
Del resto, questo servizio di carità fa parte della natura intima della Chiesa. L’ha ricordato il Papa Benedetto XVI dicendoci: « anche il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza » (Lettera apostolica in forma di Motu proprio Intima Ecclesiae natura, 11 novembre 2012, proemio; cfr. Lettera Enciclica Deus caritas est, n. 25).
È una missione di carità che è propria della Chiesa, ed in modo particolare è propria della Chiesa di Roma, che, secondo la bella espressione di S. Ignazio d’Antiochia, è la Chiesa che « presiede alla carità »; « praesidet caritati » (cfr. Ad Romanos, praef.; Lumen gentium, n. 13).
Miei fratelli, preghiamo perché il Signore ci conceda un Pontefice che svolga con cuore generoso tale nobile missione. Glielo chiediamo per intercessione di Maria Santissima, Regina degli Apostoli, e di tutti i Martiri ed i Santi che nel corso dei secoli hanno reso gloriosa questa Chiesa di Roma. Amen!

Il sacramento della penitenza e della riconciliazione

Il sacramento della penitenza e della riconciliazione dans immagini sacre confessione_2

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Publié dans:immagini sacre |on 11 mars, 2013 |Pas de commentaires »

RADIOMESSAGGIO DEL SANTO PADRE GIOVANNI XXIII AI FEDELI DI TUTTO IL MONDO IN OCCASIONE DELL’INIZIO DELLA QUARESIMA – 1963

http://www.vatican.va/holy_father/john_xxiii/messages/pont_messages/1963/documents/hf_j-xxiii_mes_19630227_inizio-quaresima_it.html

RADIOMESSAGGIO DEL SANTO PADRE GIOVANNI XXIII AI FEDELI DI TUTTO IL MONDO IN OCCASIONE DELL’INIZIO DELLA QUARESIMA

Mercoledì delle Ceneri, 27 febbraio 1963

Venerabili Fratelli, diletti figli.

La circostanza singolare del Concilio Ecumenico aperto rende ogni momento dell’anno liturgico opportuno per invitare clero e fedeli a fervore di vita e di impegno cristiano.
Il primo luglio dello scorso anno, nel giorno dedicato al culto del Sangue Preziosissimo di Gesù, con l’Enciclica Poenitentiam agere rivolgemmo un solenne invito alla penitenza: cioè a un mutamento in meglio del modo di pensare e di agire, secondo l’insegnamento evangelico, che è splendore di verità, purezza di costume e — in conseguenza — ricerca e conquista di ogni altra virtù per mezzo della preghiera, dei sacramenti, e della mortificazione.

ESERCIZIO DI CARITÀ E DI OGNI VIRTÙ
Eccoci ora alla quaresima. La prima quaresima dopo l’inizio del Concilio. È il periodo più indicato per progredire nell’acquisto della virtù, e specialmente nell’esercizio della carità verso Dio e verso gli uomini.
« Ecco dunque il tempo accettevole — scriveva S. Paolo ai Corinti — ecco il giorno della salute » (2 Cor. 6, 2) per condurre a più immediata attuazione la legge dell’amore: di un amore, che ha come principio e fine ultimo il Creatore e Legislatore dell’universo, « Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione » (2 Cor. 1, 3); di un amore, che per edificare gli uomini vuol dare ad essi la conoscenza di quelle verità che rischiarano il cammino, dissipano i dubbi, vincono ogni debolezza; di un amore, che si offre in esempio di austerità di costume, di gaudio sereno, di armoniosa convivenza domestica e sociale.
Questo vuol essere la quaresima per i fedeli di tutti i riti, di quelli che discendono direttamente dalle venerande tradizioni apostoliche e patristiche, e di tutti gli altri delle più recenti e autorizzate forme di vita ascetica e delle nuove applicazioni liturgiche, che tengono in debito conto le esigenze dell’anima popolare, ricca, in ogni gruppo etnico, di autentici e molteplici valori.
E questo vuol essere altresì il punto più alto, cui si volge l’attenzione di ogni uomo, sul quale batte il raggio della prima e massima verità rivelata, e al tempo stesso accessibile alla ragione umana; la verità che attraversa i secoli, e tutto illumina ed accende: Deus est: Dio è: Ego sum qui sum (Exod. 3, 14). A lui la gloria e l’amore.
Le sublimi armonie della Rivelazione prendono più vivido rilievo in tempo di Concilio, che ne è come il libro aperto: dal Credo in unum Deum, fino al: et vitam venturi saeculi. Sopra la verità palpita la perfetta adesione della Chiesa e si raccoglie il sospiro di tante anime, che intravvedono la nuova stagione di grazia preannunciarsi dalle deliberazioni dei Padri radunati attorno al successore di S. Pietro, e con Lui unanimi nell’accogliere le mozioni dello Spirito Santo e nella prontezza al ministero apostolico.
È dunque il Concilio che dà il tono alla quaresima di quest’anno, battendo specialmente l’accento sull’impegno di ogni buon cristiano a vivere il precetto della carità, più che a soffermarsi a contemplare la novella fioritura di cui tutti vorranno allietarsi. È impegno di artefici, quindi, non di spettatori.

ISTRUZIONE RELIGIOSA E PENITENZA CONSAPEVOLE
Voi comprendete, diletti figli, che la Nostra parola, oggi, non vi richiama particolarmente a pratiche esterne, che pure hanno il loro pieno valore; la Nostra parola non rinnova subito e solo l’angoscioso appello a provvedere ai nostri simili più sventurati, immedesimandoci delle loro necessità. Questo appello è permanente nella Chiesa.
Ma vogliamo anzitutto esortarvi ad approfittare della quaresima con applicarvi al gravissimo dovere della istruzione religiosa, e per dare alla penitenza vera ed efficace il posto che le compete, secondo la vocazione e le condizioni di ciascuno.
Studio e meditazione delle verità eterne, che Dio ha voluto comunicare all’uomo nobilitandone l’intelligenza, ed aprendone allo sguardo l’orizzonte infinito del suo disegno di salvezza e di amore. Solo così, in questa luce, l’uomo scopre se stesso, viene a conoscere i suoi ardui, improrogabili doveri, e si determina alla pratica generosa della penitenza, intesa come amore alla croce. È di qui che si riconosce il cristiano sincero e volitivo : soltanto da una condotta austera, che vive e applica la povertà e la rinuncia insegnate da Nostro Signore Gesù Cristo, l’ordine domestico e sociale può ricevere decisivo impulso per un rinnovamento nella verità, nella libertà dei figli di Dio, nella giustizia più vera e profonda, perchè capace di togliere a sé, e dare ai poveri e ai diseredati.
Ecco come, con la istituzione della quaresima, la Chiesa non conduce i suoi figli a semplice esercizio di pratiche esteriori, ma ad impegno serio di amore e di generosità per il bene dei fratelli, alla luce dell’antico insegnamento dei profeti :
Non è piuttosto questo il digiuno che io amo? Sciogli i legami dell’empietà, — ammonisce Isaia —: manda liberi gli oppressi, rompi ogni gravame. Spezza il tuo pane all’affamato e apri la tua casa ai poveri e ai raminghi; se vedi un ignudo, ricoprilo, non disprezzare la tua propria carne. Allora la tua luce spunterà come il mattino, e la tua salvezza germoglierà presto, la tua giustizia camminerà innanzi a te, e la gloria del Signore ti accoglierà » (Is. 58, 6-8).
Questa è la quaresima, questo l’esercizio della vera penitenza, ed è quanto il Signore attende da tutti, nel « tempo accettevole » di grazia e di perdono.

ARDENTE PREGHIERA AL DIVIN REDENTORE
La Nostra voce si diffonde questa sera nelle vostre case, ed è paterno invito a corrispondere generosamente. Nelle famiglie cristiane le solide e antiche tradizioni dell’ecclesiastica disciplina trovano anime sensibili e pronte, che raduniamo idealmente attorno a Noi, perchè il palpito dei cuori salga in preghiera al Divino Redentore.
O Signore Gesù! che sul limitare della vostra vita pubblica vi ritiraste nel deserto, vogliate attrarre tutti gli uomini al raccoglimento che è inizio di conversione e di salute; staccatovi dalla casa di Nazareth e dalla dolcissima Madre vostra, voi voleste provare la solitudine, il sonno, la fame; e al tentatore che vi proponeva la prova dei miracoli, voi rispondeste con la fermezza della eterna parola, che è prodigio di grazia celeste.

Tempo di Quaresima.
O Signore! non permettete che accorriamo alle fontane dissipate (Ier. 2, 13), né che imitiamo il servo infedele, la vergine stolta; non permettete che il godimento dei beni della terra renda insensibile il nostro cuore al lamento dei poveri, degli ammalati, dei bimbi orfani, e degli innumerevoli fratelli nostri, che tuttora mancano del minimo necessario per mangiare, per ricoprire le ignude membra, per radunare la famiglia sotto un solo tetto.
Le acque del Giordano scesero anche su di voi, o Gesù, sotto lo sguardo della folla, ma ben pochi allora poterono riconoscervi: e questo mistero di ritardata fede, o di indifferenza, prolungatosi nei secoli, resta motivo di dolore per quanti vi amano ed hanno ricevuto la missione di farvi conoscere al mondo.
Deh, concedete ai successori degli apostoli e dei discepoli, e a quanti prendono nome da voi e dalla vostra croce, di portare innanzi l’opera della evangelizzazione, di sostenerla con la preghiera, con la sofferenza, con l’intima fedeltà al vostro volere.
E come voi, agnello di innocenza, vi presentaste a Giovanni in atteggiamento di peccatore, attraete anche noi, Gesù, alle acque del Giordano.
Là vogliamo accorrere per confessare i peccati nostri, e purificare le nostre anime. E come i cieli aperti annunziarono la voce del Padre vostro, che di voi, o Gesù, si compiaceva, così, superata vittoriosamente la prova, vissuto austeramente il periodo quadragesimale, su gli albori della vostra resurrezione, possiamo riudire nelle intimità nostre la stessa voce del Padre celeste, che in noi riconosce i figli suoi. O santa Quaresima dell’anno misterioso del Concilio Ecumenico!
Salga questa preghiera, in questa sera di sereno raccoglimento, dalle singole case ove si lavora, si ama e si soffre. Gli Angeli del cielo raccolgano il sospiro da tante anime, di piccoli innocenti, di giovani generosi, di genitori operosi e sacrificai i, e di quanti soffrono nel corpo e nello spirito, e lo presentino a Dio. Di là scenderanno copiosi i doni delle celesti consolazioni, di cui vuol essere pegno e riflesso la Nostra Benedizione Apostolica.

SATANA E L’ARMATURA DI DIO!

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SATANA E L’ARMATURA DI DIO!

Tanti figli della Chiesa sono caduti sotto il fascino del demonio. Non bisogna perciò vergognarsi di indossare l’armatura di Dio che è sempre impenetrabile

Roma, 09 Marzo 2013 (Zenit.org) Egidio Chiarella

L’insidia principale per un uomo è la tentazione. I margini di difesa sono molto deboli, se pensiamo che il cammino dell’uomo si è arricchito di mille ostacoli. La vita cristiana, scrive il teologo ed esorcista, Mons. Costantino Di Bruno, è lotta, guerra infinita, continua battaglia con il principe del male. Satana non risparmia la Vergine Maria e neanche la Chiesa. Si interessa, per di più, ad ogni uomo che vive sulla terra.
Le tentazioni seguono con perfetta sintonia l’evoluzione sociale. Sono sofisticate, aggiornate, scientifiche, supermoderne. Non c’è da sorprendersi se il diavolo desideri trascinare, senza eccezione alcuna, più di un terzo di anime nell’inferno. Mons. Costantino ricorda che Lucifero non risparmiò neppure gli angeli beati nel cielo e trasformò proprio un terzo di essi in diavoli; oppositori della verità; creature con volontà contraria a quella di Dio; perenni nemici dell’uomo. La stessa fine, Satana, la vuole per l’umanità!
San Paolo, parlando oggi a noi, invita gli Efesini ad indossare l’armatura di Dio. L’apostolo folgorato sulla via di Damasco, esperto conoscitore delle macchinazioni demoniache, sa che l’uomo, in ogni istante e in qualsiasi luogo, è preda di Satana. Lo è nei pensieri, nei desideri, nelle immaginazioni, nelle opere, nelle omissioni.
La difesa è necessaria. La Chiesa, a mio avviso, dovrebbe fare più catechesi mirata. Il silenzio amplifica l’opera di “tanti venditori di fumo”, che alimentano un mercato impressionante, con la promessa di abbattere il demonio, in tutte le sue forme. Il danno, per il malcapitato, non è solo economico, ma soprattutto psicologico e morale. Altra rovina per l’uomo nasce dalla sua incapacità di misurarsi con questa verità biblica. Essere figli del progresso scientifico, civile e culturale, non significa abolire la propria dimensione sovrumana.
Non bisogna perciò disdegnare la verità del vangelo, per paura di essere “fuori dal tempo”. Il problema sta nella serietà e nel rigore etico con cui si manifesta l’approccio a tale sembianza del creato. San Paolo ci insegna che solo Dio ci può difendere.  La preghiera costante in Lui, diventa così lo strumento più potente per demolire il male che ci insidia. Nel libro dell’Apocalisse emerge comunque la nostra debolezza in questa lotta giornaliera. Se Satana, infatti, osa persino strappare il figlio alla “donna partoriente”, vestita di sole e con in testa dodici stelle, protetta dal cielo, significa che l’uomo rimane sempre in pericolo. Questa realtà solenne deve farci riflettere.
Il comportamento amorale e dilagante dei nostri giorni, attesta che Satana continua a vincere le sue battaglie nei confronti dell’umanità. Il vero cristiano ha sbiadito il valore della legge del bene e del male, secondo Dio. Tutto si giustifica e si approva, nel nome di una filosofia di vita, imbevuta di principi passeggeri e priva di fondamenta solide. Una verità fai da te, sempre pronta a nascondere il male esercitato. Tutto è buono. Tutto è giusto. Tutto si presenta lecito. Tutto fattibile, operabile, vivibile.
L’azione vincente del diavolo è terribilmente palese! Dove sono i dieci comandamenti? Le beatitudini cosa rappresentano? Questo degrado che spazi riserva al Vangelo? La Parola di Dio, unica verità capace di fermare il male, è superata da teorie affascinanti e divinità personali. Compaiono nuovi vitelli d’oro! Satana non fa perciò sconti a nessuno.
Tanti eccellenti figli della stessa Chiesa sono caduti sotto il fascino del demonio e altri precipiteranno ancora. È cruda la realtà! Siano i giovani pronti a liberarsi dal Drago del male. Sono forse i più tentati e i più indifesi.  Dimostrano, però, di essere anche i più liberi nel cuore e nella mente, capaci, se ben guidati, di osare per il bene. L’armatura di Dio, farà il resto! Nessuno deve vergognarsi ad indossarla. Non è mai fuori moda! È sempre impenetrabile. I giovani possono farcela e illuminare il mondo.
* Egidio Chiarella, pubblicista-giornalista, collabora con il Ministero dell’Istruzione, a Roma. E’ stato docente di ruolo di Lettere presso vari istituti secondari di I e II grado a Lamezia Terme (Calabria). Dal 1999 al 2010 è stato anche Consigliere della Regione Calabria. Ha conseguito la laurea in Materie Letterarie con una tesi sulla Storia delle Tradizioni popolari presso l’Università degli Studi di Messina (Sicilia). E’ autore del romanzo La nuova primavera dei giovani.

Photo of the promised land, Zion- the land of Israel, as taken by Space Shuttle Columbia STS-10

Photo of the promised land, Zion- the land of Israel, as taken by Space Shuttle Columbia STS-10 dans immagini varie Israelfromspace

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Publié dans:immagini varie |on 8 mars, 2013 |Pas de commentaires »

GIOSUÈ: L’ACCESSO E LA CONQUISTA INIZIALE DELLA TERRA (prima lettura di domenica IV di quaresima)

http://www.comunita-abba.it/v1/meditazioni/sds-terra-2.htm

GIOSUÈ: L’ACCESSO E LA CONQUISTA INIZIALE DELLA TERRA

Il primo dei libri storici prende il nome dal suo protagonista principale, Giosuè, il successore di Mosè.
È un libro fondamentale perché segna il passaggio dalla seconda alla terza tappa della Storia della Salvezza, quella conclusiva, ovvero la realizzazione piena e definitiva della promessa fatta ad Abramo.
Questo libro è talmente importante che alcuni eminenti biblisti contemporanei fino agli anni ’50 hanno parlato di Esateuco; secondo questa prospettiva Giosuè sarebbe potuto essere inserito nella Torah, i libri della Legge, come sesto libro.
Il libro di Giosuè narra come il popolo eletto ha preso possesso della terra promessa dopo la morte di Mosè. In realtà gli eventi storici e le coordinate spazio-temporali servono solo per trasmettere un messaggio di fede e di vita spirituale ben preciso.
L’autore sacro che ha redatto il libro così come noi lo conosciamo, raccogliendo tradizioni precedenti, è preoccupato di far riflettere il lettore su due elementi fondamentali:

le condizioni che hanno consentito la conquista del territorio di Canaan: sono condizioni che riguardano qualsiasi conquista spirituale umana
le condizioni che consentono il mantenimento del possesso della terra o della promessa di Dio
In estrema sintesi, è necessario che il popolo abbia chiaro che:
Dio è il vero autore della conquista, il Dio fedele che realizza la promessa fatta ad Abramo;
Dio può fare questo perché è l’Emmanuele, colui che cammina e vuole camminare con il suo popolo e aiutarlo in tutte le sue difficoltà;
per possedere la terra sono necessarie poche ma fondamentali cose: scegliere di fidarsi di Lui, confidare in Lui che nelle proprie risorse e, passo conseguente, mettere in pratica quanto Lui comanda;
chi cerca di manipolare o non eseguire alla lettera le sue indicazioni muore, come possiamo leggere nel capitolo settimo che racconta il tragico episodio della violazione del voto di sterminio.

LETTURA DEL TESTO
La trama del libro è così articolata:

Prologo (capitolo 1)
Prima parte (capitoli 2-12) – conquista della terra di Canaan
Seconda parte (capitoli 13-21) – ripartizione della terra
Terza parte (capitoli 22-24) – ultime disposizioni di Giosuè

PREPARATIVI ALL’INGRESSO NELLA TERRA PROMESSA
Dopo la morte di Mosè, servo del Signore, il Signore disse a Giosuè, figlio di Nun, servo di Mosè: « Mosè mio servo è morto; orsù, attraversa questo Giordano tu e tutto questo popolo, verso il paese che io do loro, agli Israeliti. Ogni luogo che calcherà la pianta dei vostri piedi, ve l’ho assegnato, come ho promesso a Mosè. Dal deserto e dal Libano fino al fiume grande, il fiume Eufrate, tutto il paese degli Hittiti, fino al Mar Mediterraneo, dove tramonta il sole: tali saranno i vostri confini. Nessuno potrà resistere a te per tutti i giorni della tua vita; come sono stato con Mosè, così sarò con te; non ti lascerò né ti abbandonerò.
Sii coraggioso e forte, poiché tu dovrai mettere questo popolo in possesso della terra che ho giurato ai loro padri di dare loro. Solo sii forte e molto coraggioso, cercando di agire secondo tutta la legge che ti ha prescritta Mosè, mio servo. Non deviare da essa né a destra né a sinistra, perché tu abbia successo in qualunque tua impresa. Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa legge, ma meditalo giorno e notte, perché tu cerchi di agire secondo quanto vi è scritto; poiché allora tu porterai a buon fine le tue imprese e avrai successo. Non ti ho io comandato: Sii forte e coraggioso? Non temere dunque e non spaventarti, perché è con te il Signore tuo Dio, dovunque tu vada. »
(Gs 1,1-9)
Come possiamo chiaramente vedere è Dio che dona la terra, e lo fa attraverso la guida di un capo, forte e coraggioso, che Lui ha scelto come suo intermediario.
Questo condottiero deve preoccuparsi solo di una cosa: meditare continuamente la legge, giorno e notte e, soprattutto, metterla in pratica. A sua volta, il popolo dovrà preoccuparsi di eseguire tutto ciò che Giosuè comanderà.
In sintesi, LA TERRA È IL DONO CHE DIO DÀ AL SUO POPOLO IN CONSEGUENZA ALL’OSSERVANZA DELLA SUA LEGGE.

IL PASSAGGIO DEL FIUME
Giosuè si mise all’opera di buon mattino; partirono da Sittim e giunsero al Giordano, lui e tutti gli Israeliti. Lì si accamparono prima di attraversare. Trascorsi tre giorni, gli scribi passarono in mezzo all’accampamento e diedero al popolo questo ordine: « Quando vedrete l’arca dell’alleanza del Signore Dio vostro e i sacerdoti leviti che la portano, voi vi muoverete dal vostro posto e la seguirete; ma tra voi ed essa vi sarà la distanza di circa duemila cùbiti: non avvicinatevi. Così potrete conoscere la strada dove andare, perché prima d’oggi non siete passati per questa strada ». [...]
Disse allora il Signore a Giosuè: [...] « Tu ordinerai ai sacerdoti che portano l’arca dell’alleanza: Quando sarete giunti alla riva delle acque del Giordano, voi vi fermerete ». Disse allora Giosuè agli Israeliti: « Avvicinatevi e ascoltate gli ordini del Signore Dio vostro ». Continuò Giosuè: « Da ciò saprete che il Dio vivente è in mezzo a voi e che, certo, scaccerà dinanzi a voi il Cananeo, l’Hittita, l’Eveo, il Perizzita, il Gergeseo, l’Amorreo e il Gebuseo. Ecco l’arca dell’alleanza del Signore di tutta la terra passa dinanzi a voi nel Giordano. Ora sceglietevi dodici uomini dalle tribù di Israele, un uomo per ogni tribù. Quando le piante dei piedi dei sacerdoti che portano l’arca di Dio, Signore di tutta la terra, si poseranno sulle acque del Giordano, le acque del Giordano si divideranno; le acque che scendono dalla parte superiore si fermeranno come un solo argine ».
Quando il popolo si mosse dalle sue tende per attraversare il Giordano, i sacerdoti che portavano l’arca dell’alleanza camminavano davanti al popolo. Appena i portatori dell’arca furono arrivati al Giordano e i piedi dei sacerdoti che portavano l’arca si immersero al limite delle acque il Giordano infatti durante tutti i giorni della mietitura è gonfio fin sopra tutte le sponde si fermarono le acque che fluivano dall’alto e stettero come un solo argine a grande distanza, in Adama, la città che è presso Zartan, mentre quelle che scorrevano verso il mare dell’Araba, il Mar Morto, se ne staccarono completamente e il popolo passò di fronte a Gerico. I sacerdoti che portavano l’arca dell’alleanza del Signore si fermarono immobili all’asciutto in mezzo al Giordano, mentre tutto Israele passava all’asciutto, finché tutta la gente non ebbe finito di attraversare il Giordano.
(Gs 3,1-4.7-17)
In questi versetti vediamo come Dio istruisce Giosuè e, soprattutto, vediamo realizzarsi la promessa della presenza attiva di Dio: è l’arca, ossia la Sua presenza in mezzo al popolo, che ferma il fluire delle acque, ed è Dio stesso, per mezzo dei suoi sacerdoti, che apre un varco al popolo, che così può attraversare il fiume, guidandolo personalmente in un territorio che gli israeliti non conoscono.
IL MEMORIALE DELLA MISERICORDIA DI DIO
Il popolo salì dal Giordano il dieci del primo mese e si accampò in Gàlgala, dalla parte orientale di Gerico. Quelle dodici pietre che avevano portate dal Giordano, Giosuè le eresse in Gàlgala. Si rivolse poi agli Israeliti: « Quando domani i vostri figli interrogheranno i loro padri: Che cosa sono queste pietre?, farete sapere ai vostri figli: All’asciutto Israele ha attraversato questo Giordano, poiché il Signore Dio vostro prosciugò le acque del Giordano dinanzi a voi, finché foste passati, come fece il Signore Dio vostro al Mare Rosso, che prosciugò davanti a noi finché non fummo passati; perché tutti i popoli della terra sappiano quanto è forte la mano del Signore e temiate il Signore Dio vostro, per sempre ».
(Gs 4,19-24)

LA CIRCONCISIONE E LA CELEBRAZIONE DELLA PASQUA
In quel tempo il Signore disse a Giosuè: « Fatti coltelli di selce e circoncidi di nuovo gli Israeliti ». Giosuè si fece coltelli di selce e circoncise gli Israeliti alla collina Aralot. [...]
Si accamparono dunque in Gàlgala gli Israeliti e celebrarono la pasqua al quattordici del mese, alla sera, nella steppa di Gerico. Il giorno dopo la pasqua mangiarono i prodotti della regione, azzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. La manna cessò il giorno dopo, come essi ebbero mangiato i prodotti della terra e non ci fu più manna per gli Israeliti; in quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.
(Gs 5,2-3.10-12)
LA CONQUISTA DI GERICO
Mentre Giosuè era presso Gerico, alzò gli occhi ed ecco, vide un uomo in piedi davanti a sé che aveva in mano una spada sguainata. Giosuè si diresse verso di lui e gli chiese: « Tu sei per noi o per i nostri avversari? ». Rispose: « No, io sono il capo dell’esercito del Signore. Giungo proprio ora ». Allora Giosuè cadde con la faccia a terra, si prostrò e gli disse: « Che dice il mio signore al suo servo? ». Rispose il capo dell’esercito del Signore a Giosuè: « Togliti i sandali dai tuoi piedi, perché il luogo sul quale tu stai è santo ». Giosuè così fece.
(Gs 5,13-15)
Ora Gerico era saldamente sbarrata dinanzi agli Israeliti; nessuno usciva e nessuno entrava. Disse il Signore a Giosuè: « Vedi, io ti metto in mano Gerico e il suo re. Voi tutti prodi guerrieri, tutti atti alla guerra, girerete intorno alla città, facendo il circuito della città una volta. Così farete per sei giorni. Sette sacerdoti porteranno sette trombe di corno d’ariete davanti all’arca; il settimo giorno poi girerete intorno alla città per sette volte e i sacerdoti suoneranno le trombe. Quando si suonerà il corno dell’ariete, appena voi sentirete il suono della tromba, tutto il popolo proromperà in un grande grido di guerra, allora le mura della città crolleranno e il popolo entrerà, ciascuno diritto davanti a sé ». [...]
Di buon mattino Giosuè si alzò e i sacerdoti portarono l’arca del Signore; i sette sacerdoti, che portavano le sette trombe di ariete davanti all’arca del Signore, avanzavano suonando le trombe; l’avanguardia li precedeva e la retroguardia seguiva l’arca del Signore; si marciava a suon di tromba. Girarono intorno alla città, il secondo giorno, una volta e tornarono poi all’accampamento. Così fecero per sei giorni. Al settimo giorno essi si alzarono al sorgere dell’aurora e girarono intorno alla città in questo modo per sette volte; soltanto in quel giorno fecero sette volte il giro intorno alla città. Alla settima volta i sacerdoti diedero fiato alle trombe e Giosuè disse al popolo: « Lanciate il grido di guerra perché il Signore mette in vostro potere la città. [...]
Allora il popolo lanciò il grido di guerra e si suonarono le trombe. Come il popolo udì il suono della tromba ed ebbe lanciato un grande grido di guerra, le mura della città crollarono; il popolo allora salì verso la città, ciascuno diritto davanti a sé, e occuparono la città.
(Gs 6,1-5.12-16.20)
LA GRANDE ASSEMBLEA DI SICHEM
Nel capitolo 23 Giosuè, ormai vecchio e molto avanti negli anni, convoca tutto Israele per ricordare le meraviglie operate dal Signore e per dare gli ultimi consigli su come comportarsi in mezzo alle nazioni straniere.
Nel capitolo 24 Giosuè raduna tutte le tribù d’Israele in Sichem, fa memoria della storia salvifica del popolo a partire da Abramo fino alla conquista della terra promessa.
Da questo capitolo leggiamo solo cinque versetti:
Passaste il Giordano e arrivaste a Gerico. Gli abitanti di Gerico, gli Amorrei, i Perizziti, i Cananei, gli Hittiti, i Gergesei, gli Evei e i Gebusei combatterono contro di voi e io li misi in vostro potere. Mandai avanti a voi i calabroni, che li scacciarono dinanzi a voi, com’era avvenuto dei due re amorrei: ma ciò non avvenne per la vostra spada, né per il vostro arco. Vi diedi una terra, che voi non avevate lavorata, e abitate in città, che voi non avete costruite, e mangiate i frutti delle vigne e degli oliveti, che non avete piantati.
Temete dunque il Signore e servitelo con integrità e fedeltà; eliminate gli dei che i vostri padri servirono oltre il fiume e in Egitto e servite il Signore. Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire: se gli dei che i vostri padri servirono oltre il fiume oppure gli dei degli Amorrei, nel paese dei quali abitate. Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore.
(Gs 24,11-15)

LETTURA TIPOLOGICA DEI PADRI DELLA CHIESA
Attraverso la lettura dei Padri della Chiesa confrontiamo il libro di Giosuè con il Nuovo Testamento per cogliere il legame stretto tra Antico Testamento e Nuova Alleanza e comprendere in modo pieno il significato spirituale sotteso e promesso attraverso questi libri.
Giosuè è lo stesso nome di Gesù.
La successione di Giosuè a Mosè prepara la successione del Vangelo alla Legge.
L’ingresso nella terra promessa attraverso il Giordano richiama l’ingresso della Chiesa nel Regno della Grazia attraverso il Battesimo.
La celebrazione della Pasqua nella terra promessa corrisponde alla Pasqua della Nuova Alleanza.
La caduta di Gerico prefigura la caduta del regno di Satana.
La salvezza della prostituta Raab prefigura la chiamata dei gentili.
La vera terra promessa è il Paradiso, è il Regno di Dio annunciato da Gesù.
La lotta contro i popoli è la lotta spirituale contro le passioni del cuore dell’uomo.
La circoncisione è figura della circoncisione del cuore, il dono del cuore nuovo.
Gesù invita a stipulare una Nuova Alleanza attraverso l’accoglienza delle Sue parole promulgate sul monte delle beatitudini.

ATTUALIZZAZIONE
Il confronto dei Padri della Chiesa tra il libro di Giosuè e il Vangelo ci stimola a fare qualche considerazione spirituale.
In qualche modo ognuno di noi è, in qualche modo, alle prese con una guerra di conquista: quella della propria interiorità, della propria anima, della propria personalità.
A tutti noi è stata annunciata e promessa la pace e ognuno di noi vorrebbe essere in grado di vivere in libertà e disporre pienamente di sé. Ma c’è un nemico da conquistare e da sconfiggere: l’uomo vecchio che è in noi.
Forse molti di noi sono in lotta con se stessi da anni senza vedere un esito positivo della battaglia che conduciamo: ma forse non abbiamo capito che il vero conquistatore è Dio e che solo Lui sa come impostare la battaglia e sconfiggere il nemico. Lui può tutto: fermare le acque, farci passare all’asciutto; noi dobbiamo solo eseguire le sue disposizioni anche quando umanamente sembrano quasi assurde.
Il libro di Giosuè ci dice una cosa umanamente assurda. I conquistatori si sono limitati a vivere una grandissima liturgia, una grande preghiera di lode per sette giorni consecutivi: al termine di questi giorni, Gerico è crollata da sola.
Questa liturgia era il segno visibile della fiducia totale degli israeliti in Dio.
Vediamo quindi che fede e liturgia sono in stretta relazione con la vita sociale, storica concreta del popolo. E questo interpella ognuno di noi, perché come abbiamo visto, ognuno di noi è in lotta con sé stesso, una lotta durissima che si concretizza in una vita quotidiana densa di difficoltà spesso insormontabili che ci fanno soffrire, molte volte soccombere e rischiano di farci perdere la speranza di vita nuova. Abbiamo visto però che Dio può, se lo vogliamo, combattere per ognuno di noi, personalmente.
È OPPORTUNO ALLORA CHIEDERSI:
che rapporto c’è tra la nostra preghiera, la nostra fede e la nostra vita pratica?
a chi affidiamo il successo delle nostra battaglie? alla nostra prudenza o a Dio? alla nostra forza o alla preghiera?
Chiediamocelo onestamente: dal risultato di questa risposta può dipendere l’esito della nostra vita, della nostra salvezza.

LA VITA OLTRE LA MORTE (sostanzialmente sul pensiero di Paolo…

http://www.preghiereagesuemaria.it/sala/la%20vita%20oltre%20la%20morte.htm

LA VITA OLTRE LA MORTE

(sostanzialmente sul pensiero di Paolo, propongo questa lettura in seguito ad un commento ricevuto su questo blog)

Il mese di novembre ci trova tutti con il cuore un po’ addolorato e triste, ripie­gato sul pensiero rivolto ai nostri cari di cui non godiamo più la presenza, dopo aver segnato col loro amore un tratto forse molto lungo della nostra vita. La nostra fede cristiana combatte con il pensiero umano di non vederli più. A volte siamo incerti su dove si possano trovare, quale sia la loro condizione, se possiamo vera­mente essere in comunione con loro al di là della barriera della morte, del tempo e dello spazio.
Sulla scia dell’Anno paolino che si è chiuso nello scorso mese di giugno vogliamo soffermarci su alcune pagine delle lettere di san Paolo per ricavarne alcuni spunti di riflessione sulla vita che attende i cristiani oltre la morte. Il gran­de apostolo vuol rafforzare nella fede le sue comunità, e così sarà anche per noi. San Paolo non descrive la condizione concreta nella quale si trovano i nostri morti, come non lo aveva fatto Gesù stesso, ma mostra una fede incrollabile nella risurrezione di Gesù che porta con sé la certezza che anche i nostri cari sono custoditi con amore fin d’ora dal Signore Risorto, in attesa del compimento glo­rioso di ogni cosa, uomini e creato insieme.
SAREMO SEMPRE CON IL SIGNORE
Nel 51 dopo Cristo, a pochi anni dalla morte e risurrezione di Gesù, Paolo scri­ve la Prima lettera ai Tessalonicesi (1Ts), il più antico scritto del Nuovo Testamento. La comunità di Tessalonica era fortemente preoccupata della sorte dei fratel­li cristiani che erano morti prima che il Signore Gesù Risorto fosse tornato nella sua gloria. La sua venuta era attesa da tutti, Paolo compreso, come una realtà molto vici­na. Inizialmente anche Paolo pensava proba­bilmente di parteciparvi ancora da vivo. In 1Ts 4,13-18 Paolo rassicura la comunità sul fatto che i viventi al momento della venuta di Gesù non avranno alcun vantaggio su coloro che si sono già « addormentati ». La loro situazione è diversa da coloro che sono ancora vivi, ma la loro condizione è uguale: sono « morti in Cristo » (v. 16). Appartenevano a Cristo in vita per mezzo del battesimo. Anche nella morte sono di Cristo, come sono di Cristo coloro che sono ancora in vita. La condizione cri­stiana è eguale per tutti. Tutti siamo proprietà di Cristo Risorto. I morti si sono « addormentati » in Cristo e al raduno universale forale, annunciato dalla tromba di Dio e alla voce dell’arcangelo, risorgeranno per primi. Il Signore stesso scenderà dal cielo e verrà incontro ad essi. Poi anche coloro che a quel momento si trove­ranno in vita saranno « rapiti insieme con loro nelle nubi, per l’incontro con il Signore nell’aria; e così saremo per sempre con il Signore ». San Paolo usa il lin­guaggio del suo tempo, chiamato apocalittico, per esprimere la certezza che tutti i cristiani saranno per sempre con il Signore Risorto, nel mondo di Dio (« nubi », « aria »). La comunità si ritroverà nuovamente riunita e tutti godranno della vita continua con Cristo (« saremo sempre con il Signore »). Questa deve essere la cer­tezza con cui i cristiani devono « confortarsi » vicendevolmente nella fede (1 Ts 4,18). Paolo non spiega come sarà concretamente la condizione dei corpi dei risorti. Tenterà di balbettare qualche cosa nelle sue lettere successive, soprattutto nella Prima e nella Seconda lettera ai Corinzi. Fin d’ora esprime però la sua cer­tezza incrollabile che coloro che sono vissuti e si sono addormentati in comunio­ne con Gesù morto e risorto parteci­peranno per sempre della sua vita di Figlio di Dio risorto dai morti.
Nella Seconda lettera ai Tessalonicesi (2Ts) si afferma però con forza che la venuta di Gesù Risorto non è imminente come alcuni pensavano, abbandonandosi all’ozio e a una vita sregolata. In 2Ts 2,1-12 Paolo afferma che il cammino sarà ancora lungo, segna­to dalla lotta contro colui che si contrappone a Dio e fomenta il male e l’apostasia dei credenti. L’annuncio del vangelo contrasterà l’opera del Maligno, che alla fine sarà distrutto dal soffio della parola che esce dalla bocca del Signore Gesù risorto. Ancora una volta Paolo afferma la certezza del destino vittorioso e positivo dell’avventura cristiana nella storia, anche se dovrà essere segnata dall’aspro combattimento con Colui che vuole allontanare i cristiani dal loro Signore. Cristo ha il potere sulla storia, e l’ultima parola non sarà quella del male, ma quella del Signore della vita.

I MORTI RISORGERANNO INCORRUTT1B1LI E NOI SAREMO TRASFORMATI

Il brano in cui Paolo si sofferma più a lungo sulla certezza della risurrezione e sul tentativo di illustrare la condizione dei cristiani risorti è rappresentato dal capitolo 15 della Prima Lettera ai Corinzi (1Cor 15), scritta alla comunità di Corinto verso il 54-55 dopo Cristo. È un testo indubbiamente difficile nei suoi par­ticolari, ma è un brano nel quale Paolo afferma chiaramente due realtà importan­ti: la certezza della risurrezione di Gesù e la sorte gloriosa dei cristiani risorti.
Paolo è un convinto trasmettitore della tradizione ricevuta. Il vangelo, la buona notizia, consiste soprattutto nella morte di Gesù secondo il piano di Dio, la sua sepoltura, la sua risurrezione e la sua apparizione a moltissimi cristiani, nel cui lungo elenco c’è anche Paolo.
Paolo si meraviglia ed è esterrefatto che mentre la Chiesa annuncia con forza la risurrezione di Gesù, esperimentata da così tanti testimoni qualificati, alcuni della comunità, forse spinti da forze esterne, negano la risurrezione dei morti. Questo è un controsenso, perché le due realtà vanno insieme: la risurrezione di Gesù è fondamento della fede cristiana, e se lui non è risorto, allora sì che nean­che i cristiani risorgeranno ed è vano l’annuncio cristiano, vana la fede, falsi i testimoni dell’opera di Dio, immersi nei peccati i cristiani, perduti per sempre i loro morti. Se i cristiani hanno sperato in Cristo solo in questa vita, senza la spe­ranza nell’altra, sono da compiangere più di tutti gli uomini, che possono vivere spensierati e senza dover lottare e soffrire per una fede che non garantisce una vita oltre la morte. Ma come in Adamo tutti muoiono per la loro condizione umana, così anche nel Cristo tutti saranno vivificati. Cristo è molto superiore a chi rap­presenta l’umanità nella sua fragile consistenza. Gesù risorto è l’inizio, la primi­zia, di un raccolto abbondante della stessa qualità: i cristiani risorti per la sua potenza vivificante.
Cristo è davvero risorto dai morti, primizia di quelli che sono morti. Questo è l’annuncio gioioso, evangelico, trasmesso dagli apostoli. I morti « di Cristo », appartenenti a lui, risorgeranno alla sua venuta. Allora sarà la fine, il dominio pieno del Signore risorto su tutta la realtà, morte compresa. Tutto sarà sottoposto alla signo­ria di Gesù, ed egli consegnerà tutto il suo dominio al Padre che lo ha inviato nel mondo a riscat­tare gli uomini. Allora Dio sarà tutto in ogni cosa, pervaderà con la sua presenza vivificate e san­tificante ogni realtà, uomini e cose comprese.
Nella seconda parte del capi­tolo (1Cor 15,35-58) Paolo tenta di dire qualche cosa sulla condizione nella quale si trove­ranno i cristiani dopo la morte: « Come risorgono i morti? Con quale corpo vengono? » si domanda qualcuno. Paolo risponde illustrando la continuità ma anche la discontinuità tra la nostra condizione umana che viene sepolta al momento della morte e la modalità di vita glorio­sa, trasfigurata, con il Signore. Paolo si serve di immagini, di paragoni, di meta­fore, per far capire quello che probabilmente anche lui sente come qualcosa di impossibile da descrivere con parole umane. Nella creazione Dio ha dato diversi­tà di corpi agli uomini e alle cose, con diversità di gloria, cioè di partecipazione alla vita divina. Al momento della morte, nella terra viene come seminato un chic­co nudo, una vita umana fragile, mortale, corruttibile, fatta di terra, a immagine della prima umanità, chiamata Adam. Nella risurrezione ci sarà una fioritura di qualche cosa che è in continuità ma anche in discontinuità con quello che si è seminato. Si risorgerà nella gloria, nella forza, nell’incorruttibilità, si porterà l’immagine piena dell’Uomo che viene da Dio, dal cielo, Gesù che è già risorto. Egli sta ogni giorno imprimendo nel cristiano la sua immagine grazie al lavorio dello Spirito Santo. Alla sua venuta finale Gesù risorto darà la pienezza di vita a quelli che erano stati sepolti come discendenti di Adam, « un essere vivente », uomini segnati dalla naturalità fragile e corruttibile.
Nei vv. 51 e seguenti Paolo riconosce che è un « mistero », una rivelazione profetica del piano salvifico di Dio quello che sta per affermare. Noi erediteremo il regno di Dio, la vita divina non per le nostre forze e meriti umani, ma per grazia di Dio. Tutti coloro che al momento della venuta di Gesù risorto saranno morti risorgeranno, ma trasformati. Paolo usa un’altra metafora per indicare la trasfor­mazione: il nostro essere corruttibile sarà rivestito di incorruttibilità e di immortalità. La metafora del vestito, che Paolo userà anche in 2Cor, indica una trasformazione profonda dell’essere. Non ci sarà un semplice passaggio. Ci sarà una nuova creazione, in cui per grazia la morte sarà ingoiata nella vittoria dalla vita, e non pungerà più col suo pungiglione. Dio ci dà per grazia la vitto­ria per mezzo di Cristo Gesù. A Dio Padre deve andare il ringraziamento di tutti i cristiani (v. 57).
RIVESTITI DELLA DIMORA CELESTE
Paolo riprende la sua riflessione sulla certezza di una vita gloriosa dopo la morte nella Seconda Lettera ai Corinzi (2Cor) scritta verso il 56 dopo Cristo. Nel brano 2Cor 4,16 – 5,10 riprende con le immagini dell’abitazione celeste e del vestito rinnovato le riflessioni. Anche in questo brano Paolo non parla di anima separata dal corpo fisico. Noi viviamo in un corpo, cioè in un’esistenza umana completa ma fragile e corruttibile, da cui desideriamo andare in esilio per essere con il Signore. Noi non andiamo al Signore con la nostra pura anima ma con tutto noi stessi. Paolo chiama questa nuova realtà un essere rivestiti da una dimora celeste, una tenda non fatta da mani d’uo­mo, ma ricevuta da Dio, eterna, celeste. La realtà umana « è ingoiata dalla vita » (5,4). Dio ci ha plasmati proprio per que­sto, donandoci la caparra dello Spirito (5,5). Lo Spirito lavora a fondo nei cri­stiani, per imprimere giorno per giorno l’immagine di Gesù nella loro vita.
Quello che ci attende è una nuova creazione, che san Paolo esprime balbet­tando attraverso immagini e metafore. Anche se impossibile da descrivere a parole, la condizione di risorti è gloriosa e vivificata dallo Spirito di Gesù risorto. Mentre siamo vivi siamo in comunione con quelli che sono « morti nel Cristo », per la medesima condizione di cristiani sigillati col battesimo e la fede. Al momento della risurrezione sperimenteremo una trasformazione radicale della nostra esistenza, che però si pone in continuità trasfigurata con la nostra umanità segnata dalla fragilità sperimentata nella nostra vita quotidiana attuale.
Conquistati da Cristo, corriamo verso di lui per conquistarlo nella pienezza della risurrezione. « La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come sal­vatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per con­formarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose » (Fil 3,20-21). Questo scrive Paolo dalla prigione alla comunità dei Filippesi. Questa è pure la nostra fede, la nostra speranza certa e la nostra conso­lazione sicura. Per questo viviamo nella serenità cristiana anche il periodo che maggiormente ci ricorda i nostri cari che pensiamo già essere col Signore, sotto il suo potere di vita, di luce e di gioia. (p. Roberto Mela)

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