Archive pour mars, 2013

17 MARZO 2013 – 5A DOMENICA – QUARESIMA C / OMELIA DI APPROFONDIMENTO

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17 MARZO 2013 – 5A DOMENICA – QUARESIMA C / OMELIA DI APPROFONDIMENTO

TRE O QUATTRO RACCONTI DI LIBERAZIONE
La parola di Dio in questa Quinta Domenica di Quaresima propone alla meditazione dei fedeli tre brani che sono tre racconti di liberazione: Dio con una paziente pedagogia guida gli uomini alla maturazione e alla libertà.
L’episodio più suggestivo ha per protagonista Gesù, che affranca il cuore umano dalla prigionia più oscura, quella del peccato. Gesù si mette dalla parte del peccatore, in questo caso una peccatrice, un’adultera. La perdona. La scena dapprima è tragica, a un certo punto si fa comica, e infine sfocia nella gioia della liberazione.

« D’ORA IN POI NON PECCARE PIÙ »
Quella poveretta, colta in flagrante reato e portata a Gesù perché la giudichi, secondo la legge d’Israele era da lapidare. Gli scribi e farisei sono arrivati tenendo in mano le pietre da scagliare contro di lei. Dicono a Gesù: « Mosè nella Legge ci ha comandato di lapidare donne come questa ». Nell’espressione « donne come questa » c’è il disprezzo di chi si ritiene giusto, e si attribuisce il diritto di condannare e punire chi non lo è.
 » Ma gli scribi e i farisei miravano anche a un secondo fine: tendere un tranello a Gesù. Volevano screditarlo di fronte alla gente, in modo che la gente non lo seguisse più. Così gli proponevano un dilemma, e pretendevano che si pronunciasse. « Tu, che ne dici? ». Aut aut. Gesù poteva approvare o disapprovare la lapidazione. E comunque avesse risposto, si sarebbe squalificato davanti alla gente.
- Poteva dire: è giusto, bisogna lapidare questa peccatrice disgraziata. Ma allora non sarebbe più stato dalla parte dei poveracci, com’era suo solito. E la gente non avrebbe più avuto fiducia né simpatia per lui.
- Poteva dire invece: dovete lasciare libera questa poveretta. Ma allora avrebbe violato apertamente la legge di Mosè, che decretava la lapidazione.
 » Gesù si mise a scarabocchiare col dito sulla sabbia. Quasi proponendo a tutti una pausa di riflessione. Ma quelli urgevano, lo incalzavano per avere la risposta. « Dunque, tu cosa ne dici? ». E al massimo della tensione la risposta di Gesù venne, condita di pietà, di umorismo, e di saggezza divina. « Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei ». Poi tornò a scrivere col dito sulla sabbia. In fondo, l’unico senza peccato da quelle parti era lui.
 » Gli scribi e farisei, tanto preoccupati di fare giustizia sulla pelle degli altri, si videro costretti a guardare nelle loro coscienze. Lasciarono cadere a terra le pietre, girarono i tacchi e se ne andarono alla chetichella. Concluse Giovanni con sottile umorismo: « Se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani ».
« Donna dove sono? Nessuno ti ha condannata? » « Nessuno, Signore. » « Neanche io ti condanno. Va’, e d’ora in poi non peccare più ». Ecco la liberazione. Il perdono di Dio che dà inizio a un’esistenza nuova, nella gratitudine e nella gioia.
È lo stile di Dio. Da tutti i tempi. L’antico profeta Ezechiele lo aveva descritto con un nitido oracolo: « Com’è vero che io vivo – oracolo del Signore Dio – io non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva » (Ez 33,11).

« NON PENSATE PIÙ ALLE COSE ANTICHE »
La Prima Lettura ci ha presentato un altro oracolo, un « oracolo di liberazione », questa volta di carattere politico, che un profeta dell’esilio aveva consegnato agli ebrei deportati in Babilonia. Gli esuli erano scoraggiati e il profeta ricordò che il loro è un Dio liberatore. Li aveva già liberati dalla schiavitù d’Egitto, e presto li libererà dall’esilio di Babilonia. Perciò, dice, « Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! ».
Di fatto la liberazione giunge poco dopo, sotto l’imperatore persiano Ciro. Nella gioia. Ed è simboleggiata dal profeta con l’immagine del deserto che fiorisce. « Ecco, faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? » Nel deserto si schiude la via alla libertà.
 » La Seconda Lettura presenta l’apostolo Paolo, un liberato. Già persecutore dei cristiani, sulla via di Damasco aveva ricevuto il perdono e una missione. Aveva incontrato Cristo, e ora solo Cristo conta per lui. Il resto, dice espressamente, è spazzatura (Fil 3,18).
Occorre pensare a Paolo come a un atleta. Allora c’era già lo sport, eccome. Le Olimpiadi erano un avvenimento da mettere in fibrillazione i popoli. I greci per celebrare le Olimpiadi sospendevano perfino le guerre. E Paolo, di sicuro uno sportivo, si paragona a un atleta, che libero da ogni impaccio va di corsa verso il traguardo. « Dimenticando ciò che mi sta alle spalle, e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù ».
Paolo vuole bene al Signore, in modo superlativo. Non trova le parole per dirlo, e ricorre a una sgrammaticatura. Ha scritto: « Per me il vivere è Cristo ». (Fil 1,21). Liberato da Cristo, Paolo va alla conquista del mondo.

UN QUARTO RACCONTO DI LIBERAZIONE
Dunque oggi nelle tre Letture tre racconti di liberazione, tre liberazioni operate da Dio. Gli Ebrei deportati a Babilonia, che tornano liberi alla loro patria tanto desiderata e sognata. La donna adultera che Gesù ha liberato dai suoi aguzzini e restituito a una nuova dignità. E da ultimo Paolo libero in Cristo che corre verso la meta con l’entusiasmo di un asso dello sport.
Per tutti quell’esortazione: « Non pensate più alle cose antiche! ». Liberarsi dai condizionamenti del male. Liberarsi per realizzare e realizzarsi. Guardare avanti, progettare novità di vita. « Chi vive di ricordi diventa vecchio. Chi vive di progetti resta giovane » (Bruno Munari).
 » La storia non finisce qui. Rimane un quarto racconto di liberazione, ancora tutto di scrivere.
Ed è il nostro.

PAPA FRANCESCO CHIEDE LA PREGHIERA AL POPOLO RACCOLTO A PIAZZA SAN PIETRO

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Publié dans:immagini sacre |on 14 mars, 2013 |Pas de commentaires »

LA SCOPERTA DI CRISTO – Thomas Merton *

http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/letture_patristiche_w.htm#LA SCOPERTA DI CRISTO

LA SCOPERTA DI CRISTO

Thomas Merton *

Il grande scrittore spirituale americano, Thomas Merton (19151968), fervente convertito, si fece monaco cistercense nel 1941. Nel testo che segue, Merton ci porta, con tutto il realismo della sua fede, fino al centro del messaggio cristiano: il Cristo è la prima e l’ultima parola della storia degli uomini e di ogni uomo.

La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio (Col. 3, 3). La scoperta di noi stessi in Dio, e di Dio in noi, attraverso una carità che in Dio trova, con noi stessi, anche tutti gli altri uomini, proprio per questo è la scoperta non di noi stessi ma del Cristo. E’ prima di tutto la presa di coscienza che non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me (Gal. 2, 20), ed è, in secondo luogo, la penetrazione di quel tremendo mistero che San Paolo delinea audacemente – e oscuramente – nelle sue grandi epistole: il mistero della ricapitolazione, del convergere di tutto nel Cristo. E’ il vedere il mondo – il suo principio e la sua fine, – nel Cristo: veder scaturire tutte le cose da Dio nel «Logos» che si incarna e scende fin nelle ultime profondità della Sua creazione e riconduce tutto a sé per poi restituire tutto al Padre alla fine del tempo. Trovare «noi stessi» allora, vuoi dire non solo trovare la nostra anima così povera, limitata, insicura; ma trovare la potenza di Dio che ha risuscitato Cristo dai morti e ci ha coedificati in Lui per divenire abitazione di Dio nello Spirito (Ef. 2, 22).
Questa scoperta di Cristo non è affatto autentica se si limita ad essere una fuga da noi stessi. Non deve essere un’evasione, ma un cammino verso la pienezza. Non riuscirò mai a scoprire Dio in me e me stesso in Lui se non ho il coraggio di guardarmi in faccia così come sono esattamente, con tutti i miei limiti e di accettare gli altri così come sono, con i loro limiti. La risposta religiosa non è religiosa se non è pienamente reale. L’evasione è la risposta della superstizione.
Se la si guarda in modo intuitivo, questa questione della salvezza è una cosa semplicissima: ma quando la si analizza, si trasforma in un groviglio di paradossi. Diventiamo noi, solo morendo a noi stessi. Guadagniamo solo quello a cui rinunciamo, e se rinunciamo a tutto guadagniamo tutto. Non possiamo trovare noi stessi dentro di noi, ma solo negli altri, eppure prima di poter andare verso gli altri dobbiamo trovare noi stessi. Se vogliamo veramente prender coscienza di chi siamo, dobbiamo dimenticare noi stessi. Amare gli altri è il modo migliore di amare noi stessi, eppure non possiamo amare gli altri se non amiamo noi stessi, poiché è scritto Amerai il tuo prossimo come te stesso (Mt. 19, 19). Ma se noi ci amiamo in modo sbagliato, diventiamo incapaci di amare chiunque altro. Quando noi non ci amiamo rettamente, in realtà ci odiamo; e se odiamo noi stessi, finiremo inevitabilmente per odiare gli altri. E’ vero tuttavia che in un certo senso dobbiamo odiare gli altri e lasciarli, se vogliamo trovare Dio. Gesù ha detto Se qualcuno viene a me e non odia suo padre e sua madre… e la sua vita stessa, non può essere mio discepolo (Lc. 14, 26).
Quanto al nostro «trovare» Dio, è certo che non potremmo neppure cercarlo se non lo  avessimo già trovato, e non potremmo trovarlo se Lui non ci avesse già trovato.

* No Man Is an Island, Harcourt, Brace and Company, New York 1955, pp. XV-XVII – Edizione italiana: Garzanti – IV ediz., pp. 13-15.

Publié dans:LETTERATURA |on 14 mars, 2013 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO NUOVO VESCOVO DI ROMA – IL MESSAGGIO DEL CARDINALE VICARIO AGOSTINO VALLINI ALLA DIOCESI DI ROMA: «IL SIGNORE CONTINUA A VISITARE IL SUO POPOLO»

http://www.zenit.org/it/articles/papa-francesco-nuovo-vescovo-di-roma

PAPA FRANCESCO NUOVO VESCOVO DI ROMA

IL MESSAGGIO DEL CARDINALE VICARIO AGOSTINO VALLINI ALLA DIOCESI DI ROMA: «IL SIGNORE CONTINUA A VISITARE IL SUO POPOLO»

Roma, 14 Marzo 2013 (Zenit.org)

Riportiamo di seguito il testo integrale del messaggio inviato questa mattina dal cardinale vicario Agostino Vallini alla Chiesa di Roma:

***
Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Roma! Sapete tutti che mercoledì 13 marzo la nostra Chiesa di Roma e l’intero mondo cattolico hanno ricevuto dal Signore un nuovo Pastore. Il suo nome è Francesco. Le campane delle basiliche e delle chiese hanno suonato a festa per esprimere la gioia dell’avvenuta elezione. Ancora una volta Dio ha visitato il suo popolo!
Il nostro primo pensiero è di ringraziamento al Padre della misericordia che ha illuminato i Cardinali elettori nella scelta del nuovo Successore di Pietro. La Chiesa di Roma è lieta di aver ricevuto il suo Vescovo, che la guiderà nelle vie del Vangelo per gli anni a venire.
Al Papa Francesco, all’atto dell’obbedienza dopo l’elezione nella Cappella Sistina, ho promesso fedeltà e affetto anche a nome di tutti voi: vescovi ausiliari, sacerdoti, diaconi, consacrati e laici. Gli ho assicurato che la Chiesa di Roma sarà a lui vicina, non gli farà mancare il calore filiale, accoglierà con fede e docilità la sua guida e lo sosterrà nel portare il formidabile peso che il Signore gli ha messo sulle spalle.
In queste ultime settimane molti avvenimenti ci hanno fatto percepire la vitalità della Chiesa. L’inaspettata rinuncia al pontificato di Benedetto XVI, che in un primo momento ci ha sorpreso tutti e addolorato, pian piano è diventata una forte esperienza di purificazione della fede ed un incoraggiamento ad amare di più Cristo e la Chiesa. Il Signore visitava il suo popolo con la luce di un’esemplare testimonianza!
Altrettanta vitalità e passione per il Vangelo ho potuto registrare nei giorni del Conclave. Il Collegio cardinalizio, in un clima cordiale e franco, di intensa comunione, senza nascondere limiti ed errori, ha esaminato la vita della Chiesa nei vari continenti e le sfide che l’attendono in questo complesso passaggio della storia.
Ho apprezzato la fede indomita di tanti pastori, il coraggio nelle prove per Cristo, l’ansia per l’annuncio del Vangelo, la premura verso i sacerdoti e i fedeli, la fermezza nel condannare i peccati, i comportamenti indegni e le controtestimonianze, l’amore ai giovani, ai poveri, agli ultimi della terra. La Chiesa è viva e risplende per la santità di tanti sacerdoti, consacrati, laici, testimoni della fede fino al martirio.
La preghiera poi si è levata da Roma e da tutto il mondo per accompagnare il delicato compito di scegliere il successore di Benedetto XVI. Lo Spirito Santo si è manifestato in maniera sorprendente. Il nuovo Papa è un testimone gioioso del Signore Gesù, annunciatore instancabile, forte e mite del Vangelo per infondere fiducia e speranza.
Egli continuerà a guidare la Chiesa, la sposa bella del Signore risorto, purificandola dalle macchie che talvolta ne oscurano lo splendore del volto; farà sentire la sua vicinanza a tutti gli uomini, perché la Chiesa sia la casa di tutti e nessuno senta l’imbarazzo di non starci bene: i poveri e gli ultimi si sentiranno capiti e amati.  Il nome del Poverello d’Assisi è un forte messaggio e annuncia lo stile e l’impronta del nuovo pontificato.
Roma, che ha sempre amato il Papa, sarà la prima a seguire il suo Vescovo e a rispondere alla missione di far risplendere la fede e la carità, in maniera esemplare e con gioiosa vitalità.
In attesa di poterlo incontrare al più presto, lo accompagniamo con la costante preghiera e chiediamo per la nostra comunità diocesana la Sua benedizione apostolica.

Cardinale Agostino Vallini

Vicario Generale del Santo Padre per la Diocesi di Roma

Publié dans:PAPA FRANCESCO |on 14 mars, 2013 |Pas de commentaires »

HABEMUS PAPA – PAPA FRANCESCO – HALLELUJA

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Publié dans:immagini sacre |on 13 mars, 2013 |Pas de commentaires »

Sant?Eulogio, metropolita di Toledo, martire a Cordova per mano dei musulmani (859), Eulogio è il più importante dei « Martiri di Cordova »…segue sul sito

Sant?Eulogio, metropolita di Toledo, martire a Cordova per mano dei musulmani (859), Eulogio è il più importante dei

http://it.groups.yahoo.com/group/sanmarcoefeso/message/8908

Publié dans:immagini sacre |on 12 mars, 2013 |Pas de commentaires »

13 marzo: Martiri di Cordova (mf)

http://it.wikipedia.org/wiki/Martiri_di_Cordova

13 marzo: Martiri di Cordova

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

In un quadro di Murillo la fantasiosa immagine di Roderigo, sacerdote di Cabra, martirizzato a Cordova
Sotto il nome di Màrtiri di Cordova si indicano quei cristiani mozarabi (che rifiutavano l’assimilazione culturale con gli arabi-musulmani) che, nel corso del potere Emiri di al-Andalus ʿAbd al-Raḥmān II, vennero condannati a morte dalle autorità islamiche per aver vilipeso pubblicamente, nella Grande Moschea di Cordova, il Corano e insultato il Profeta Maometto, pur sapendo che una precisa disposizione puniva con la morte i responsabili di tali azioni.
Eulogio fu il più importante dei «Martiri di Cordoba» assieme a Sancho, Rodrigo e Salomone. Strappata ai Visigoti dagli Arabi nel 771, Cordova raggiunse il suo apogeo culturale nel X secolo, prima di essere riconquistata nel 1236 da Ferdinando III di Castiglia. I musulmani non si mostrarono sempre feroci persecutori dei cristiani, cui talvolta si limitavano a imporre di non testimoniare la loro fede in pubblico e di versare un cospicuo tributo periodico in quanto « dhimmi »; se ciò provocava lo spirito d’indipendenza dei cristiani, i più sensibili non potevano tollerare una specie di ibernazione religiosa. Di qui sporadiche reazioni alla dominazione, che venivano soffocate con immediate repressioni.
Di una di queste reazioni furono protagonisti Rodrigo, Salomone ed Eulogio. Questo era prete; non potendo accettare la passività dei cristiani, parlò apertamente contro il Corano. Imprigionato una prima volta, venne rilasciato nel 851. Avendo incontrato in carcere santa Flora e Marta (Maria) che furono poi decapitate morendo in nome della fede cristiana, Sant’Eulogio attribuirà la sua scarcerazione, avvenuta pochi giorni dopo il loro martirio, proprio all’intercessione di queste due donne, contribuendo così alla loro santificazione. Nominato vescovo di Toledo, non poté essere ordinato, perché venne anch’egli decapitato l’11 marzo 859. La legislazione islamica prevedeva infatti la pena di morte per i rei di blasfemia e d’insulto alla religione coranica.
L’appariscente contestazione cristiana, regolarmente sanzionata dalla pena di morte prevista per i reati di vilipendio della religione del Profeta Maometto, finì quando le autorità islamiche di Cordova si rivolsero – preoccupate per il mantenimento dell’ordine pubblico – alle autorità ecclesiastiche cristiane perché intervenissero a metter fine a un’azione che comportava, com’era a tutti noto, la condanna a morte.
Ci furono colloqui tra Cordova, Santiago de Compostela e la stessa Roma[senza fonte], e un apposito concilio, svoltosi a Cordova nel l’852 e presieduto da Recafredo, metropolita di Siviglia, con la presenza anche dell’exceptor (ossia esattore delle imposte) Comes, un funzionario cristiano della corte omayyade, decise – con l’opposizione del solo vescovo di Cordova, Saul – che quelle azioni da quel momento in poi non dovessero essere più fraintese come « santo martirio » per l’attestazione della vera fede ma come forme irrituali di suicidio, quindi irrimediabilmente condannate dal credo cristiano, anche senza tener conto che quei martìri non erano stati il prodotto di una persecuzione, condotta oltre tutto da pagani, e che nessuna manifestazione miracolosa aveva chiosato la santità di quei « màrtiri ».
Le decisioni del concilio di Cordova non vennero mai riconosciute dalla Chiesa di Roma che venera tuttora come santi i martiri di Cordova,[1] anche se occorre dire che i martirizzati erano stati giustiziati prima del deliberato conciliare e che, quindi, potevano essere considerati màrtiri a pieno titolo anche dalla Chiesa cristiana locale.
Quattordici condanne a morte e relative esecuzioni di cristiani proseguirono fino all’859, in molti casi per vera o presunta imputazione di apostasia, che prevede nella Shari’a la condanna a morte del reo, salvo si possa dimostrare la sua insanità mentale o si verifichi il pentimento dell’apostata. L’esecuzione però di Eulogio – rimesso dapprima in libertà dall’Emiro Muhammad I ma incarcerato nuovamente nell’859 a causa delle sue continue accese prediche anti-islamiche e decapitato l’11 marzo 859 – mise fine a quelle plateali manifestazioni di ostilità al governo islamico di al-Andalus.

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