OMELIA DI APPROFONDIMENTO SU FILIPPESI 2,6-11
OMELIA DI APPROFONDIMENTO SU FILIPPESI 2,6-11
24 marzo 2013: 6a Domenica Quaresima C: Le Palme |
UMILIATO FINO ALLA MORTE
Scrivendo ai Filippesi, Paolo riporta un inno in onore di Cristo che doveva essere familiare alla comunità primitiva. La prima strofa c’invita a contemplare il Figlio di Dio che si fa uomo, presentandosi agli uomini spoglio della grandezza propria della divinità, abbassandosi alla condizione di servo, umiliandosi fino a morire sulla croce per obbedire alla volontà del Padre. La seconda strofa inneggia a lui come al Signore esaltato e glorificato da Dio. C’è qui, in una sintesi stupenda, tutto il mistero di Cristo, Dio e uomo, morto e risuscitato. La liturgia di oggi lo mette in particolare evidenza.
« UMILIÒ SE STESSO »
Pensando a Gesù che si umilia, la nostra fantasia è colpita soprattutto dalle umiliazioni subite da lui nella sua passione, anticipata nel canto del Servo di Dio e narrata dagli evangelisti: « Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi ». Il salmo responsoriale riprende il tema: « Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo ». Nel racconto della passione, Luca, come gli altri evangelisti, registra tutta una serie di episodi che sono altrettanti momenti di quella « umiliazione » e di quella « obbedienza » che culmineranno nella « morte di croce ».
Dobbiamo limitarci a qualche richiamo. L’annunzio del tradimento da parte di uno dei dodici, che è con lui a tavola, tradimento che sarà consumato poche ore dopo con un bacio. Gesù che si presenta in mezzo ai discepoli « come colui che serve ». L’angoscia da cui è vinto, fino a supplicare che gli sia risparmiata tanta sofferenza, fino a sudare sangue. La cattura da parte della torma che lo assale « con spade e bastoni » come fosse un brigante. La viltà di Pietro che lo sconfessa tre volte. Gli scherni, le percosse e gli insulti di cui è bersaglio durante la notte. Le accuse calunniose mosse contro di lui davanti al sinedrio e a Pilato, gli insulti e gli scherni toccatigli da parte di Erode e dei suoi soldati. Il confronto con Barabba, un assassino, che gli viene preferito; la condanna a morte, la crocifissione in mezzo a due malfattori, la sfida insultante dei capi, fino alla morte, che sembra segnare la sconfitta definitiva.
S. Paolo ci fa risalire a quella « umiliazione », a quell’abbassamento di Gesù che non si colora di tragedia come quello tratteggiato dai profeti e poi narrato per filo e per segno dagli evangelisti, ma si rivela all’occhio della fede come il mistero profondo in cui ha radice tutta la trafila delle umiliazioni che vanno dal Getsemani al Calvario. È il mistero dell’incarnazione: « Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana ».
Perché ricordare tutto questo? Primo: per ringraziare: « Per noi uomini e per la nostra salvezza » Gesù si è umiliato. Secondo: per imparare: « Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù » (Fil 2,5). Così Paolo introduce il passo che abbiamo ascoltato. Imparare ad accettare l’umiliazione, in obbedienza alla volontà di Dio, senza ribellarci. Imparare a stimare gli uomini non secondo il denaro, il potere, il successo, ma riconoscere i veri valori, scegliendo i poveri che più assomigliano al Figlio di Dio povero e sofferente.
« L’ha esaltato »
L’umiliazione del Servo di Dio cantata dal profeta non è sconfitta definitiva. Il Servo sofferente e umiliato sa di poter contare sull’aiuto di Dio, più potente di tutti i suoi nemici, al quale spetta l’ultima parola: « Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso ». A lui lancia il suo grido d’implorazione per bocca del salmista: « Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, accorri in mio aiuto ». Il soccorso di Dio non potrà mancare e allora egli, salvato, lo proclamerà ai fratelli: « Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli », per invitarli a lodarlo con lui.
Nella benedizione dei rami d’olivo ci è stato riferito un episodio che prelude all’esaltazione finale di Gesù, « quando tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: « Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli »". « La folla – commenta s. Ambrogio – lo riconosce Dio, l’acclama re, ripete la profezia: « Osanna al figlio di Davide », cioè dichiara che è venuto il redentore atteso della casa di Davide e che egli è secondo la carne figlio di Davide: quella folla che poco tempo dopo lo crocifiggerà ».
Alla sua esaltazione accenna Gesù rispondendo al sinedrio: « Da questo momento starà il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza di Dio », come vi accenna il malfattore crocifisso con lui che si riconosce colpevole e lo prega: « Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno », come il centurione che, « visto ciò che era accaduto » al momento della morte, « glorificava Dio » confessando: « Veramente quest’uomo era giusto », imitato dalle folle che « se ne tornavano percuotendosi il petto ». L’annuncio più esplicito della esaltazione di Gesù ci è dato da Paolo, in quella strofa vibrante di entusiasmo che proclama la grandezza del nome di lui che trascende ogni altro nome e invita tutte le creature a riconoscerlo come il Signore.
L’invito è rivolto anche a noi. Il culto di Gesù Signore, Dio e uomo, culto che è nello stesso tempo glorificazione del Padre, è dovere fondamentale del cristiano. Certo, non un culto che non impegna la vita, non un riconoscimento di Gesù Cristo come Signore che ci lascia indifferenti verso i fratelli. Il quarto canto del Servo si apre con la promessa che Dio fa di esaltarlo: « Ecco, il mio servo avrà successo, sarà innalzato, onorato, esaltato grandemente » (Is 52,13), e continua descrivendo le umiliazioni e le sofferenze a cui egli sarà sottoposto: « Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevano alcuna stima » (Is 53,3). Tutto questo non in forza d’un destino ineluttabile, ma per espiare i nostri peccati e operare la nostra salvezza. « Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti » (Is 53,4-5). Infine, il premio: « Dopo il mio intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza… Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino » (Is 53,11-12).
Se ritorniamo all’esortazione con cui Paolo ha introdotto il suo inno a Cristo: « Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù », ci troviamo posti di fronte a un’esigenza precisa. Come Gesù accettò di essere umiliato, di soffrire, di morire per noi, per ottenerci il perdono e la salvezza, così noi, se vogliamo riconoscere Gesù glorioso entrando nel suo disegno, dobbiamo donarci ai fratelli per amore, con totale disponibilità a quanto ci verrà richiesto di umiliazione, di sofferenza, fino al sacrificio della vita. « Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli » (1 Gv 3,16). Il sacrificio supremo sarà richiesto a pochi, ma a tutti è richiesto ciò che soggiunge Giovanni subito dopo: « Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità » (1 Gv 3,17-18).
Da: PELLEGRINO M., Servire la Parola, Anno C, Elledici, Torino
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