PAOLO APOSTOLO 3° ROTTURA CON BARNABA 4° LA TRASFIGURAZIONE- SEGUE 1 E 2

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PAOLO APOSTOLO 3° ROTTURA CON BARNABA 4° LA TRASFIGURAZIONE- SEGUE 1 E 2

ROTTURA CON BARNABA

C’è un episodio di cui Paolo non parla mai nelle sue lettere, eppure è quello che lo ha fatto soffrire di più ed è la rottura con Barnaba.
Chi era Barnaba e chi è stato per Paolo
• Uno dei primi a credere, a buttarsi, a vendere un campo (At 4, 36).
• Una grande personalità, ricco di sapienza e ottimismo, irradiante fiducia.
• È inviato in una missione di grande importanza (At 11, 22-24), nella quale ha saputo mediare facendo evitare la rottura tra Gerusalemme e Antiochia.
• Paolo, dopo Anania, è l’uomo cui deve di più. È stato l’amico, il padre spirituale, il maestro d’apostolato, colui che l’ha introdotto nell’esperienza apostolica (At 9, 26-28).
• È in piena collaborazione con Paolo. Negli elenchi è sempre il primo, Paolo viene dopo. Però, Barnaba sa valorizzare Paolo ed Antiochia è la prima comunità cristiana che si fa notare nella storia (At 11, 25-26).
• Nella missione (cf At 13) la personalità di Paolo comincia ad emergere. A volte è nominato prima l’uno, a volte l’altro.
• In tutto il capitolo di Atti 15 ancora sono in collaborazione. Però ormai Paolo è sempre nominato per primo.
Che cosa è accaduto
Alla fine del capitolo 15 è presentato il dramma della rottura (At 15, 36-40).
• A prima vista sembra un semplice dissenso con un collaboratore. Oppure c’è altro?
• Forse poteva essere un fatto psicologico, il crescente imbarazzo su chi doveva essere il capo della missione.
• Barnaba era un’autorità sin dall’inizio della Chiesa. Come poteva lasciare il posto ad uno nuovo, che ancora non tutti conoscevano e che a Gerusalemme non era ben visto?
• Oppure motivi più profondi. Barnaba è il responsabile, poi, di fatto, si accorge che è Paolo a prendere le decisioni. Viceversa poteva capitava a Paolo.
• C’è anche un altro fatto. Paolo vuole la rottura con i Giudei, Barnaba invece è più prudente, temendo conseguenze troppo gravi.
• Non si sa di preciso. Una cosa è certa, che è stata una lacerazione molto dolorosa e drammatica per entrambi.
Le conseguenze della rottura
• La sofferenza di Barnaba è assai dolorosa. Si sente respinto forse anche come amico, pur senza cattiva volontà di Paolo.
• Barnaba dopo questo episodio scompare. Un gigante della Chiesa primitiva, ad un certo punto, non lascia quasi più traccia di sé. Lo nomina Paolo in I Cor 9, 6 e in Cl 4, 10.
• Chi aveva ragione? Il tempo ha dato ragione a Barnaba. In ogni modo è andata così e ognuno ha dovuto abituarsi alla nuova situazione.
• È probabile che in seguito Paolo abbia rimpianto le capacità mediative di Barnaba e la sua affabilità.
• Eppure Paolo ha dovuto camminare per questa strada, in fondo senza aver nulla o ben poco da rimproverarsi, perché era venuto fuori una tale esasperazione senza che nessuno capisse bene quello che stesse accadendo.
La rottura vissuta da Paolo
• Certamente con sofferenza, sentendo il peso della solitudine. Anche questo episodio gli ha fatto approfondire l’intuizione fondamentale della visione di Damasco, in altre parole che solo il Signore è l’amico perfetto, fedele, che comprende sino in fondo e non abbandona mai.
• Attraverso il travaglio di questa e di simili sofferenze, si è maturato nel capire che veramente il Signore è “tutto”. Le amicizie umane, per belle e grandi che siano, impallidiscono di fronte alla forza della “conoscenza di Cristo Signore”. Per cui, altrove, dirà: “Per me, vivere è Cristo” (Fil 1, 21); “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rm 8, 35); “… tutto è spazzatura…” (Fil 3, 8-11).
• Paolo ha capito che per lui l’essenziale è Cristo. Tutto il resto che egli fa, opera e predica con tutto l’entusiasmo di cui è capace, è Cristo che vive in lui.
Ogni sofferenza porta ad una purificazione interiore e ad una trasfigurazione. La rottura con Barnaba è una delle sofferenze. Troviamo anche altri conflitti: con la comunità (cf II Cor e Galati), con Pietro ad Antiochia.
Non c’è da stupirsi, nella storia della Chiesa sempre nascono questi conflitti, anche tra le persone più sante. Non stupirsi, ma crescere nella comprensione di noi stessi, degli altri e del disegno di Dio.
Purtroppo, nei contrasti non sempre c’è solo la gloria di Dio, ma entra pure la nostra personalità. 

PAOLO APOSTOLO 4° :

LA TRASFIGURAZIONE

Parlando della sua esperienza dolorosa, che intende condividere con noi, Paolo dice: “Noi tutti a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (II Cor 3, 18).
La “trasfigurazione” è iniziata a Damasco ed è in continua crescita (= è la trasformazione interiore).
L’aspetto trasfigurato di Paolo attraeva la gente e costituiva uno dei segreti della sua azione apostolica. Era il risultato del lungo cammino di prove, di sofferenze, di preghiere incessanti, di confidenze rinnovate.
Anche noi siamo chiamati a trasfondere in chi incontriamo (= per la trasfigurazione che viviamo), quel sentimento di pace, di serenità, di confidenza che è indescrivibile, ma che si percepisce senza alcun ragionamento.
Atteggiamenti interiori della trasfigurazione
1. Grande gioia e pace interiore: “Sono pieno di consolazione, pervaso dio gioia in ogni tribolazione” (II Cor 7, 4).
• Altrove (II Cor 7, 4) riconosce che ciò viene da Dio, da sé non potrebbe averla. La gioia è tipica della trasfigurazione, non è semplice frutto di un buon carattere e di doti umane.
• Non è una situazione di tranquillità. È una gioia vera che fa i conti con tutti i tipi di pesantezza, di difficoltà, di cose spiacevoli che avvengono soprattutto attraverso i malintesi.
• Paolo, nevrastenico di carattere, è facilmente soggetto a depressione e a momenti di sconforto. Ma esperimenta che non c’è momento di sconforto in cui non appaia qualcosa di più forte dentro di lui (cf II Cor 4, 8-10).
• È una gioia non tanto personale, ma per quello che accade alle comunità: “Siamo collaboratori della vostra gioia” (II Cor 1, 24); “Mia gioia e mia corona” (Fil 4, 1). Questo, nonostante che nelle comunità vi fossero vana gloria, rivalità e litigi: “Non fate nulla per spirito di rivalità e vanagloria” (Fil 2, 3), e che gli creassero problemi e molestie. Per lui tutto diventava un dono.
2. Capacità di riconoscenza. Invita sempre a ringraziare con gioia il Padre (cf Col 1, 12).
• Tutte, o quasi, le lettere cominciano con una preghiera di ringraziamento.
• Paolo non deplora mai in maniera sterile. C’è il rimprovero, non la rassegnata amarezza. Il rimprovero è sempre dopo aver evidenziato la parte positiva.
3. Atteggiamento di lode: “Sia benedetto Dio che ci consola in ogni tribolazione” (cf II Cor 1, 3).
Atteggiamenti esteriori della trasfigurazione
1. Instancabile ripresa che ha del prodigioso. Sempre ricomincia, nonostante i fallimenti (cf At 14, 19-22). Questa ripresa non è umana, è il riflesso della carità di Dio che mai delude (cf Rm 5, 3-5).
2. Libertà dello spirito. Agisce non per costrizione, condizionamenti o conformazione a modelli esterni, ma per la ricchezza interiore. Ciò gli permette perfino di opporsi a Pietro (cf Gal 2, 13; 5, 1-13).
Modello per la nostra trasfigurazione
Ci domandiamo quando e come raggiungiamo la trasfigurazione e come possiamo mantenerla.
• Paolo si trasfigura dopo quindici anni di fatiche e sofferenze. Avviene per dono di Dio, non per sua conquista.
• Il primo modo per ricevere il dono è la contemplazione eucaristica di Cristo. È prendere sul serio la duplice mensa della Parola e dell’Eucaristia. S’innestano qui i gradi della preghiera. Avviene per l’intercessione di Maria, modello d’ascolto e contemplazione.
• Altro modo è la condivisione con altri, nel tenere la mano in chi ha visto la luce. S’innesta qui la direzione spirituale e il colloquio penitenziale.
• Infine la vigilanza evangelica: “Vegliate e pregate per non cadere in tentazione. – Lo spirito è pronto, ma la carne è debole. – vegliate e resistete saldi nella fede”.
• Vigilare sempre, sapendo che rapidamente potremmo ritrovarci tristi, stanchi, depressi, nervosi, irritati, oppure dissipati in gioie esteriori che infiacchiscono la fede.
• Essere convinti che nessuno è assicurato nella perseveranza. Il maggiore rischio è in coloro che pensano di aver raggiunto un buon grado di stabilità. 

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