DT 26 4-10 LETTURA INTERPRETATIVA. DOMENICA PRIMA DI QUARESIMA ANNO C
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DT 26 4-10 LETTURA INTERPRETATIVA. DOMENICA PRIMA DI QUARESIMA ANNO C
INTRODUZIONE PIÙ PARTICOLARE ALLA LETTURA DI DEUTERONOMIO 26
(nel sito sotto a questa introduzione ci sono gli schemi interpretativi)
La lettura di Deut 26 viene proposta per la Prima Domenica di Quaresima dell’Anno C come conclusione interpretativa dell’insieme delle letture dei primi undici capitoli della Genesi proposte per le prime domeniche e per la prima lettura della Veglia pasquale. Nelle nostre guide dilettura continua abbiamo sottolineato soprattutto due fili conduttori: il tema di Dio che crea la « terra » come casa abitabile e accogliente per la vita e il tema del desiderio umano di essere « in comunione » con Dio. Tutti e due questi temi sono esposti a rischio e a un lungo cammino di apprendimento. Da una parte la terra è contaminata dalla « violenza » degli umani, dall’altra il rapporto con Dio assume toni di « competizione », sia nei confronti stessi di Dio (Gen 3; 6; 11), sia nei confronti dei fratelli (cf Caino e Abele), quasi per assicurarsi un legame privilegiato con Dio. Scoprire che un tale legame o « comunione di elezione » non può che essere dono da vivere nel « servizio » verso Dio e i fratelli è in realtà il traguardo offerto dai primi capitoli della Bibbia e che la Bibbia stessa mostrerà realizzato pienamente solo come traguardo « utopico » della storia di Dio con l’uomo nel libro dell’Apocalisse. Se in Gen 3 gli umani non hanno saputo imboccare la strada per mangiare dell’albero della vita e sono stati espulsi dal giardino, nella conclusione del libro dell’Apocalisse la situazione è rovesciata: « In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero di vita che dá dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni » (Ap 22,2); « Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della vita e potranno entrare per le porte nella città » (22,14).
Il libro del Deuteronomio dice in altro modo questa medesima convinzione di fede, ponendo il tempio al centro della « terra » abitata da Israele. Come l’albero della vita era al centro del giardino come luogo della piena comunione con Dio, così il tempio è il luogo stesso della « presenza » divina, che si fa vicino al suo popolo e abita con lui. Il vangelo di Giovanni non avrà che da sostituire il « tempio del corpo » del Signore al tempio « costruito da mani d’uomo » per dire la stessa speranza che si realizza: « e venne ad abitare in mezzo e noi vedemmo la sua gloria,gloria come unigenito del Padre » (Gv 1,14). Padre in comunione con i figli: « a quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio » (Gv 1,12).
Dt 26 conclude la sezione cominciata al cap 12 e dedicata alla legge di riforma deuteronomica (Codice Deuteronomico), che cercava di mettere il Tempio di Gerusalemme al centro di ogni attività cultuale. La frase che indica il tempio ritorna come un ritornello, quasi sempre identica: « lo cercherete nella sua dimora, nel luogo che il Signore vostro Dio avrà scelto fra tutte le vostre tribù, per stabilirvi il suo nome; là andrete » (Dt 12, 5).
Se il cap. 12 dichiarava l’importanza primaria del tempio centrale e dettava la struttura organizzativa istituzionale della dimensione religiosa della vita di Israele, il cap. 26 indica l’anima e il significato di questa struttura cultuale.
Il capitolo insiste sull’atteggiamento di ringraziamento con cui Israele doveva celebrare di fronte a Dio la grandezza dei doni ricevuti: la scelta a essere suo popolo, liberandolo dalla schiavitù e dandogli una terra dove condurre una vita alternativa a quella dei popoli circostanti, come testimone del suo Dio (Dt 26,16-19).
Questa pagina, a seguito del parere di Gerhard von Rad, fu a lungo considerata una antica professione di fede del popolo di Israele. In realtà, oggi è riconosciuta da tutti gli studiosi come una composizione tardiva redatta dalla corrente deuteronomica, che opera una revisione del culto di Israele, includendovi ogni aspetto di relazione sociale e di serietà morale.
Essere un israelita significava essere il beneficiario di una lunga storia di provvidenza e cura da parte di Dio, che aveva trasformato degli schiavi in cittadini liberi e benestanti. Non solo il beneficiario ma anche il continuatore: le offerte e le decime sono destinate ai concittadini più poveri, agli stranieri, ai leviti perchè tutti godano dei medesimi « doni » di Dio.
Questo è il messaggio che rieccheggia nella professione di fede di Dt 26,5-10. Questo riassunto è stato costruito e redatto sulla base dello schema storico dei racconti delle origini di Israele così come ora è contenuto nei libri da Genesi a Esodo a Numeri, anche se al tempo della sua scrittura non tutti i racconti ora contenuti nei libri suddetti potevano essere a conoscenza dei suoi redattori.

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