LETTERA DI SAN PAOLO APOSTOLO A FILEMONE: CAPITOLO PRIMO (da 9 a 14)

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LETTERA DI SAN PAOLO APOSTOLO A FILEMONE

(sono 25, metto da 10 a 14, fino a 9 li ho già messi, poi alla fine del capitolo primo c’è un commento finale, è un po’ lungo ma è bello, a me piace molto la lettera a Filemone, rilvela, per me, i tratti della personalità di Paolo, vecchio oramai, io, in questa lettera,  ci vedo tutta la sua vita

CAPITOLO PRIMO  (da 9 a 14)

INDIRIZZO E RINGRAZIAMENTO

[9]PREFERISCO PREGARTI IN NOME DELLA CARITÀ, COSÌ QUAL IO SONO, PAOLO, VECCHIO, E ORA ANCHE PRIGIONIERO PER CRISTO GESÙ;

La modalità di cui Paolo si serve in questo caso è la carità, l’amore.
La modalità è la preghiera, la richiesta umile, senza pretese.
La modalità è l’abbassamento.
La modalità è quella di farsi amico dell’amico e parlargli da amico.
La modalità è la parola detta al cuore e non più alla volontà perché obbedisca.
La modalità è lasciare all’altro libertà nel prendere la decisione. È l’altro che decide. Decide per amore. Decide dal profondo del suo cuore. Decide perché conquistato dalla carità di Paolo, che è carità di Cristo, che è carità di Dio Padre, nello Spirito Santo.
La carità è la suprema legge per il cristiano, la suprema verità, la verità assoluta.
La carità è la nostra vocazione. Siamo chiamati ad amare l’altro allo stesso modo in cui lo ha amato Cristo.
Cristo lo ha amato appendendo il suo corpo sulla croce, offrendo la sua vita per lui. La sua vita al posto della vita del fratello. Questo è stato l’amore di Cristo Gesù.
Dinanzi alla legge della carità, che è assoluta, senza riserve, dono totale della nostra vita a Cristo, perché Cristo continui ad amare dall’alto della croce, il cristiano si scopre seguace di Cristo, o lontano da lui.
La carità manifesta la grandezza del nostro amore. Il nostro amore è grande, tanto grande quando è grande il dono che sappiamo fare di noi stessi ai fratelli.
Non solo Paolo fa appello alla carità, mostra se stesso come esempio vivente di carità.
Lui è ormai vecchio. Nella carità è invecchiato. È invecchiato esercitando nel mondo la carità di Cristo. Lui è vissuto per fare di carità il suo corpo, la sua anima, il suo spirito.
Lui è vissuto per lasciarsi consumare, invecchiare dalla carità. La carità lo ha reso vecchio, lo ha consumato, lo ha esaurito.
Tutto egli ha speso di sé per la carità, per amare, per essere di aiuto e di salvezza agli altri, al mondo intero.
In niente egli si è risparmiato. Tutte le sue energie sono state spese per la carità. Anche lui or può dire come Cristo sulla croce: consummatum est.
Il sacrificio è stato consumato, arso, bruciato dalla carità. Il sacrificio consumato è il suo corpo, la sua anima, il suo spirito. Tutto di lui è stato fatto un sacrificio d’amore per la salvezza dei suoi fratelli.
Anche il momento attuale è nella grande carità. Egli è privo della sua libertà. È prigioniero degli uomini, ma prima ancora è prigioniero dell’amore di Cristo Gesù.
È prigioniero degli uomini perché si è fatto volontariamente prigioniero di Cristo. Se non fosse prigioniero di Cristo per amore, mai sarebbe stato fatto prigioniero degli uomini.
La carità ha portato Cristo sulla croce, lo ha fatto prigioniero degli uomini.
La carità ha condotto Paolo in carcere, lo ha fato prigioniero dei suoi fratelli da salvare.
Filèmone è discepolo di Cristo, è discepolo di Paolo. Sarà anche lui vero discepolo se osserverà la legge della carità.
Come si vive la carità, Paolo glielo ha prospettato ponendo se stesso dinanzi ai suoi occhi.
Ora Filèmone sa cosa è la carità. Sa anche chi è il vero discepolo di Cristo Gesù, perché sa chi è Cristo Gesù.
A lui, solamente a lui, la scelta di seguire Cristo, o di non seguirlo. Nessuno glielo potrà imporre.
Anche lui dovrà ora scandagliare il suo cuore e trovare in esso le ragioni di un amore più grande. Queste ragioni non potrà trovarle se non nell’agire di Cristo, nella visione che Paolo gli ha prospettato di sé in brevissimi accenni.
Se lui saprà fare questo, non soltanto continuerà ad essere seguace di Cristo Gesù, potrà dare al mondo intero una nuova via della carità e questa nuova via trasformerà il mondo. A volte infatti è sufficiente che uno solo apra una via nuova di amare, perché il mondo esca dal suo sonno di morte e si incammini verso la pienezza della verità da cui lo chiama e lo attende il suo Maestro e Signore.
È questa modalità veramente sublime. Si lascia all’altro la decisione, dopo aver messo il cuore dinanzi all’unica decisione possibile.
Si prospetta all’altro una via universale di salvezza e la si prospetta come via per amare secondo verità Cristo e in Cristo i fratelli, alla maniera di Cristo Gesù.
Solo lo Spirito Santo può operare simili cose. Quando lo Spirito muove un cuore, illumina una mente, guida la volontà, di simili cose se ne operano tante, tantissime.
Il mondo è cambiato dallo Spirito Santo che agisce attraverso un uomo che ama veramente Cristo Gesù.
[10]TI  PREGO DUNQUE PER IL MIO FIGLIO, CHE HO GENERATO IN CATENE,
San Paolo, stabilisce subito qual è il rapporto tra la persona per cui sta per chiedere la “grazia” e se stesso.
Questo rapporto è di figliolanza.
Si tratta però di una figliolanza particolare, unica.
C’è tuttavia subito da precisare che non si tratta di una figliolanza terrena, umana, di un figlio generato secondo la carne.
Si tratta invece di un figlio generato secondo la fede.
Altra cosa da precisare è questa: la generazione è avvenuta in catene, in un momento particolare, assai doloroso della vita di Paolo.
Paolo, tra le catene, nella sofferenza dovuta alla privazione della libertà, ha dato la vita soprannaturale ad un uomo, lo ha condotto alla fede, ne ha fatto un vero figlio di Dio.
L’amore di Paolo per Cristo non si è fermato neanche nel carcere. Anche da prigioniero ha continuato ad annunziare il Vangelo, a produrre frutti di Vangelo, a generare uomini a Dio secondo la fede, la carità e la speranza che sono in Cristo Gesù.
È una vera relazione di paternità e di figliolanza spirituale.
Questa vera paternità e vera figliolanza dovrebbe cambiare il rapporto tra chi genera alla fede e chi è generato, tra chi riceve la vita secondo Dio e chi la dona.
Questo rapporto dovrebbe essere sempre indelebile nella mente e nel cuore, anche perché non solo bisogna generare alla vita, bisogna anche che la vita generata sia portata a maturazione attraverso l’esercizio della paternità spirituale, vera paternità secondo la fede.
Questo rapporto implica cioè un dovere mai estinguibile di impegno ministeriale perché la nuova vita generata giunga a perfetta maturazione. È come quando si pianta un albero. Non è sufficiente piantarlo, è anche giusto e doveroso seguirne passo, passo la crescita, apportando tutte quelle iniziative necessarie perché all’albero non manchi nulla di tutto quanto gli è necessario per una crescita armoniosa, libera, santa.
Purtroppo c’è da lamentare un quasi distacco, un abbandono. È come se non ci fosse più nessuna relazione.
Invece la vera paternità spirituale dovrebbe essere considerata superiore alla paternità secondo la carne.
Se per la paternità secondo la carne si è disposti a tutto, a molto di più si dovrebbe essere disposti per la cura della figliolanza secondo lo spirito, o la fede.
Anche questa relazione dovrebbe essere ricondotta nell’alveo della verità evangelica, della carità crocifissa di Gesù Signore.
Paolo per questo figlio si interessa, prega, interviene, lo raccomanda, lo affida. Lo affida però come un vero figlio, non un figlio da abbandonare, da lasciare, da consegnare al proprio destino perché lo segua sino alla fine.
Questo di Paolo è vero amore, è vero amore evangelico; vero amore cristiano; vero amore di parentela spirituale.
Da Paolo tutti dovremmo imparare ad amare in modo diverso, santo, alla maniera di Cristo Gesù.
Paolo prega Filèmone per questo suo figlio che ha generato in catene e cosa gli chiede?
[11]ONÈSIMO,  QUELLO CHE UN GIORNO TI FU INUTILE, MA ORA È UTILE A TE E A ME.
Onèsimo è uno schiavo. È schiavo di Filèmone.
Questo schiavo un giorno fu inutile a Filèmone perché scappò via, rompendo i legami della schiavitù.
Ora è utile a Paolo perché suo vero figlio secondo la fede.
È anche utile a Filèmone perché ritorna da lui e quindi ne può fare un buon uso.
Da precisare che secondo la legge antica uno schiavo era sempre proprietà del suo padrone.
Anche se fosse riuscito a rompere le catene di ferro che lo tenevano prigioniero, mai venivano rotte le catene legali.
Uno schiavo rimaneva per sempre schiavo. A meno che il padrone non gli concedesse la libertà e lo affrancasse dalla dura schiavitù. In questo caso ne faceva un liberto, un uomo libero dalla schiavitù.
Essendo Onèsimo proprietà di Filèmone, solo lui può decidere della sua sorte, solo lui può stabilire cosa farne.
Per questo Paolo prega Filèmone. Lo prega in quanto legittimo proprietario di Onèsimo. Nel pregarlo però gli dice una grande verità.
Quest’uomo non è più lo stesso. Ad una schiavitù fisica ne ha aggiunto un’altra: quella spirituale. Ora è schiavo di Cristo Gesù. Gesù è il suo proprietario spirituale, il proprietario della sua anima e del suo spirito, della sua volontà e del suo cuore.
Questo nuovo proprietario vuole che il rapporto con i proprietari del corpo sia vissuto nell’amore, nella sottomissione, nell’obbedienza, nel servizio amorevole, nella dedizione, nel sacrificio, senza ribellioni, senza contrasti, vivendo la virtù della mitezza, della bontà, della misericordia, dell’arrendevolezza, della giustizia, anche quella secondo gli uomini.
Questo nuovo proprietario comanda l’amore, solo l’amore, nient’altro. L’amore per questo nuovo proprietario consiste in una sola cosa: dare la vita, consegnarla al servizio, nel silenzio dell’anima, nella dedizione del corpo, nella sottomissione della volontà, nell’opera svolta con puntualità, rimanendo nella condizione in cui uno fu chiamato.
È questo il motivo per cui Onèsimo di sicuro sarà utile a Filèmone. Gli sarà utile perché vivrà il servizio secondo la legge di Cristo e non più secondo la passione, la ribellione che è nel cuore dell’uomo.
[12]TE L’HO  RIMANDATO, LUI, IL MIO CUORE.
Prima Onèsimo era stata definito da Paolo, suo figlio, generato in catene.
Ora è detto il mio cuore.
Onèsimo è per Paolo il suo cuore, è se stesso, è la sua vita, è il suo amore, è la sua gioia, la sua speranza.
Come il cuore è tutto per una persona, così Onèsimo è tutto per Paolo.
L’amore tra Onèsimo e Paolo è così grande, così intenso, così forte, da farlo identificare con il proprio cuore.
Questa è la forza dell’amore in Cristo, vissuto secondo Cristo.
L’amore in Cristo non solo è unitivo, fa di due persone, o di più persone una cosa sola, un solo corpo, una sola vita, un sola storia, un solo amore.
In Paolo questo amore unitivo si fa amore identificativo. La persona dell’amante si identifica con la persona amata e tuttavia sono due persone e non una sola.
In questo ci si avvicina in qualche modo a ciò che avviene nel mistero della Trinità, nel quale le persone sono l’una nell’altra, senza identificazione, o perdendo l’identità personale, perché sono distinte e separate, altrimenti avremmo un modalismo in Dio e non vero mistero di unità della sostanza e trinità delle persone.
Nell’amore però vi è identificazione. Tutto l’amore del Padre è nel Figlio, tutto l’amore del Figlio è nel Padre. L’amore tra il Padre e il Figlio è anche Lui Persona, è lo Spirito Santo, Comunione Eterna dell’amore del Padre per il Figlio e dell’amore del Figlio per il Padre.
Fatte le debite proporzioni, e su una scala infinitamente distante, la stessa identificazione nell’amore si compie nella carità cristiana.
Paolo almeno sta vivendo questo tipo di amore identificativo. Tutto l’amore di Paolo è per Onèsimo, tutto l’amore di Onèsimo è per Paolo. Paolo sente l’amore per Onèsimo, sente l’amore di Onèsimo, per questo non esita a definire Onèsimo suo cuore.
A questo amore di identificazione dovremmo tutti giungere. Finché l’altro rimane fuori di noi, non è il nostro cuore, la nostra vita, noi mai potremo amare secondo verità, alla maniera di Cristo.
Se invece l’altro è noi stessi, il nostro cuore, quanto facciamo per noi lo facciamo anche per lui; quanto vogliamo per noi, lo vogliamo anche per lui.
Se c’è differenza di amore, significa che l’amore di Cristo in noi non è ancora perfetto e che noi nell’amore non siamo mossi dallo Spirito Santo di Dio, da quello Spirito che deve creare la perfetta identificazione d’amore, la comunione piena di carità con il fratello.
Su questo la pastorale deve operare una svolta. Non si può insegnare al cristiano solo l’osservanza di qualche comandamento. Il cristiano non è stato fatto cristiano per osservare uno, o due comandamenti dell’Antico Patto.
Il cristiano è stato fatto tale per osservare la legge dell’amore di Cristo in ogni sua parte.
Questa legge ha un solo principio operativo: identificarsi con l’altro fino a donare la vita per l’altro, più che per noi stessi.
Se qualcosa per noi non riusciremmo mai a farla, per il fratello dobbiamo avere la forza, l’amore, la carità, la fede di farla fino in fondo.
Per noi no, per il fratello sì. Questo è l’amore alla maniera di Cristo ed è questa la vocazione del cristiano.
È inutile dire che un amore così perfetto si può solo fondare sull’osservanza piena di ogni comandamento dell’Antico Patto.
I comandamenti sono la base, il fondamento su cui innalzare il nostro edificio cristiano, la nostra identificazione d’amore con l’altro, con ogni altro.
Onèsimo viene rimandato a Filèmone, al suo unico e legittimo proprietario secondo la carne.
[13]AVREI VOLUTO TRATTENERLO PRESSO DI ME PERCHÉ MI SERVISSE IN VECE TUA NELLE CATENE CHE PORTO PER IL VANGELO.
Paolo, in base all’amicizia che lo legava a Filèmone, avrebbe potuto chiedere a quest’ultimo che gli facesse dono dello schiavo, di Onèsimo.
Avrebbe potuto chiedere un così grande favore e di certo Filèmone non glielo avrebbe mai negato.
Abbiamo detto precedentemente che l’amore nel cristiano, per essere vero e perfetto, non deve nascere dalla mente del richiedente, deve nascere dalla volontà e dalla sapienza dello Spirito Santo.
Su questo, penso, è giusto che vi riflettiamo un po’, con più attenzione.
Il cristiano, dal momento in cui si lascia battezzare nelle acque del battesimo, cede la mente, il cuore, i sentimenti, la razionalità, la stessa anima al Signore, allo Spirito Santo, perché sia lui a governarli secondo verità, giustizia e carità.
Si tratta però di verità, giustizia e carità non secondo la norma evangelica già codificata, ma secondo la mozione attuale, voluta unicamente dallo Spirito Santo, compresa unicamente da Lui e non dall’uomo, o dalla persona che compie il gesto dell’amore.
Il cristiano non decide, ma neanche comprende, non è lui a volere e neanche lui a sapere perché si sceglie una via, anziché un’altra.
La comprensione piena della mozione dello Spirito che agisce in noi la possederemo a suo tempo, dopo, molto tempo dopo.
Prima è necessario che lo Spirito agisca in noi secondo la sua potenza soprannaturale d’amore; prima è giusto che noi ci abbandoniamo totalmente allo Spirito del Signore, in seguito, per quello che possiamo comprendere, ci verrà fatto conoscere il mistero racchiuso in una determinata azione che ci è stato chiesto di operare. Anzi, non chiesto, verso cui siamo stati mossi ad agire.
Paolo sa che è mosso dallo Spirito Santo. Di sicuro prega perché lo Spirito lo muova secondo i voleri divini.
Di certo non ha la piena comprensione del mistero. Questa piena comprensione a nessun mortale è concessa al momento dell’azione. Questa piena comprensione è solo di Cristo Gesù.
Sappiamo della Madre di Gesù che non sempre comprendeva ciò che avveniva attorno a Lei. Ma Lei viveva ogni cosa, amandola e custodendola nel cuore, attendendo di comprendere le meraviglie che il signore operava attraverso di Lei e attorno a Lei.
Perché Paolo sceglie di rimandarlo e non di tenerlo, non è lui a deciderlo. È lo Spirito che opera in lui.
Chi si lascia muovere dallo Spirito Santo agisce. Lui non comprende. Neanche gli altri comprendono.
Qual è allora la differenza?
La differenza è una sola. Chi è nella pienezza dello Spirito cammina secondo lo Spirito, perché la sua carne non oppone resistenza alla sua mozione. Però non comprende.
Chi è senza lo Spirito, pensa ancora secondo la carne. Non solo non segue la mozione dello Spirito. Vorrebbe anche impedirla negli altri. La vuole impedire perché non la comprende.
Vuole impedirla perché la valuta secondo la carne e non secondo lo Spirito Santo.
Ognuno di noi è chiamato a verificarsi, almeno a sapere che si lascia muovere dallo Spirito di Dio, se lascia che lo Spirito del Signore muova gli altri secondo la sua libera volontà, non soggetta ad alcuna discrezione o discernimento umano.
Ognuno è chiamato a verificarsi e la verifica consiste in una sola verità: quando ci troviamo dinanzi ad una persona che sappiamo mossa perennemente dallo Spirito di Dio, se ci scandalizziamo dinanzi ad una sua opera, se vogliamo che quell’opera non sia fatta, se in qualche modo diamo noi le regole perché l’opera sia fatta o non sia fatta, allora è certo: ancora lo Spirito del Signore non è forte in noi.
Ancora in noi agisce la carne, le passioni ingannatrici, il peccato non è stato del tutto estirpato dalle nostre membra e in qualche modo ci condiziona.
L’altro diventa così il metro, la verifica della nostra crescita spirituale. Sappiamo dove siamo confrontandoci con la mozione che lo Spirito di Dio esercita negli altri.
L’altro, che è mosso sempre dallo Spirito, diviene il segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri dei nostri cuori.
[14]MA NON HO VOLUTO FAR NULLA  SENZA IL TUO PARERE, PERCHÉ IL BENE CHE FARAI NON SAPESSE DI  COSTRIZIONE, MA FOSSE SPONTANEO.
È questa la regola suprema della legge evangelica.
L’obbedienza alla verità, alla carità, alla speranza, mai deve essere un rapporto tra un uomo e un uomo, tra un uomo che comanda e l’altro che obbedisce. Comanda un uomo in nome di Dio, si obbedisce all’uomo che dice di parlare in nome di Dio, al posto di Dio, in vece di Dio.
Paolo non vuole questo tipo di obbedienza, né desidera che i rapporti tra i cristiani siano costruiti su un simile modo di pensare.
Lui vuole invece, desidera che chi è al posto di Dio, sia al posto di Dio per manifestare la via della verità, della carità, della speranza; sia al posto di Dio per indicare agli uomini la via migliore di tutte nel vivere il nostro rapporto esclusivo con il Signore, amando e servendo i fratelli.
Una volta che la verità è stata manifestata, la via migliore di tutte è stata indicata, è obbligo dell’altro sceglierla, farla propria, farla divenire sua propria verità, sua propria speranza, sua propria carità.
Chi ha il posto di Dio non impone. Chi ha il posto di Dio illumina, rivela, manifesta, compie lui per primo.
Chi ha il posto di Dio è servo della verità, della carità, della speranza, della Parola, dell’esatta interpretazione della Parola.
Il resto non gli compete, perché il resto appartiene all’uomo che vuole entrare nella vita eterna e se vuole entrare nella vita eterna.
Il resto appartiene all’uomo che vuole amare secondo verità e se vuole amare secondo verità.
Il resto appartiene al singolo, che deve scegliere di volta in volta come amare il Signore nel più alto grado di perfezione morale.
L’apostolo del Signore, o chi ha il posto di Dio nella comunità, è chiamato a manifestare questo più alto grado di amore. Una volta che questo è stato fatto, finisce il suo mandato, inizia la responsabilità dell’altro di far propria la verità indicata e di compierla nella più alta carità possibile ad un cuore umano.
Ecco allora che ci sono decisioni che sono dell’apostolo e decisioni di colui che l’apostolo è chiamato ad illuminare con la luce della divina verità, compresa nella sua più pura essenza.
Decisione dell’apostolo è trovare in ogni circostanza la più pura delle verità, la più santa delle carità, la più elevata speranza. Questa decisione appartiene a lui solo. È sua e solo lui la può prendere.
Decisione di chi è guidato dall’apostolo è quella di far sua la verità, la carità, la speranza prospettata dall’apostolo e compierla come sua propria volontà.
La luce divina proiettata sulla terra e nei cuori dall’apostolo del Signore deve divenire luce del singolo, luce propria, come se sgorgasse dal suo cuore e dai suoi occhi e con essa illuminare l’intera esistenza, fino alla prossima luce ancora più intensa e più santa.
La verità divina conosciuta per annunzio si fa verità propria dell’anima; la carità di Cristo manifestata per predicazione si fa carità del cuore; la speranza della vita eterna appresa nella sua forma più alta si fa speranza di ogni sentimento dell’uomo, per cui l’uomo inizia a vedere, ad amare, a camminare con questa nuova forma di vita, ma non perché gli è imposta dall’esterno, ma perché nasce dal suo interno, sgorga dal suo cuore, nasce dalla sua anima.
È questa la spontaneità che Paolo vuole, che Dio domanda, che lo Spirito Santo suggerisce ai cuori.
È questa la forma sempre santa per regolare ogni rapporto tra chi ha il posto di Dio nella comunità con chi si deve lasciare guidare e condurre verso una verità sempre più piena, più intensa, più santa.
In questo caso si lascia spazio, tutto lo spazio allo Spirito Santo, il quale potrebbe direttamente indicare al singolo la via migliore di tutte per amare.
Lo Spirito che si manifesta al singolo deve essere riconosciuto da chi ha il posto di Dio nella comunità, perché in seno alla comunità dei figli di Dio, la via indicata dallo Spirito al singolo possa essere percorsa come vera via di Dio e non come semplice sentimento o volontà dell’uomo.
È questo il motivo per cui la decisione deve essere del singolo e non dell’apostolo del Signore.
Deve essere del singolo perché sia sull’apostolo di Dio che sul singolo chi governa è il Signore e il Signore si può servire dell’apostolo di Dio per manifestare al singolo la via migliore di tutte per amare, ma anche si potrebbe servire del singolo per indicare alla comunità una via più santa sulla quale incamminarsi.
Se il rapporto non è di libertà, di spontaneità, chi viene ad essere asservito all’uomo è il Signore. Non avremo più fede, ma pura idolatria. Si servirebbe l’uomo e non più il Signore.
Per questo è giusto che l’ultima decisione spetti alla singola persona e mai all’apostolo del Signore.
Se si rispetterà questa regola, i frutti di grazia e di verità saranno abbondanti in una comunità, altrimenti il pericolo è uno solo: si estingue lo Spirito nei cuori, perché si è spenta la volontà del singolo, si è estinta la sua spontaneità nel seguire la mozione dello Spirito Santo.
Questa regola non sempre viene osservata. Una buona sua osservanza sarebbe più che necessaria, più che utile, sarebbe indispensabile.

Publié dans : Lettera a Filemone |le 5 février, 2013 |Pas de Commentaires »

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