Archive pour janvier, 2013

LA SAGGEZZA CRISTIANA ARTE DEL VIVERE – CHIAMATI ALLA LUCE

http://www.atma-o-jibon.org/italiano9/quesnel_saggezza_cristiana2.htm

LA SAGGEZZA CRISTIANA ARTE DEL VIVERE

Michel Quesnel

CHIAMATI ALLA LUCE

ELOGIO DELLA LUCIDITÀ
Secondo gli astrofisici l’universo è vecchio di circa quindici miliardi di anni. Alcuni lo stimano un poco più giovane, nell’ ordine di tredici miliardi di anni e mezzo. Diciamo che si tratta di ordini di grandezza. Se l’immensità della durata dà le vertigini, l’immensità dello spazio non ne dà di meno. Si parla oggi di mille miliardi di galassie. E, volendo citare solo la nostra, la Via lattea, che è, per così dire, la periferia del sistema solare, essa conterrebbe duecento miliardi di stelle e il suo diametro raggiungerebbe all’ incirca trecentomila anni luce. Le teorie attuali affermano inoltre che qùesto universo è in espansione, prima di raggiungere una sicura fase di regresso, alla fine di un tempo sulla durata del quale vi è molta meno unanimità.
Il Sole, la stella della nostra galassia, la cui luce e il cui calore sono essenziali per la nostra vita, si consuma a una velocità impressionante. Perde migliaia di tonnellate della sua massa, e, di conseguenza, della sua energia, al secondo. Di qui a qualche miliardo di anni si sarà raffreddato. Quando ciò avverrà, la Terra non sarà più abitabile già da molto tempo. L’umanità, per allora, sarà forse riuscita a costruire delle astronavi intersiderali che le permetteranno di insediarsi su di un pianeta più ospitale? Niente è meno sicuro, lo è piuttosto il contrario. Tutti i macchinari che ci permettono di passeggiare nello spazio attualmente si alimentano con energia terrestre, derivata essa stessa dall’energia solare. Forse ci manca l’immaginazione, ma l’astronave che permetterà a qualche miliardo di individui di insediarsi su una galassia lontana molti anni luce dalla nostra non è ancora costruita e nemmeno ancora concepita.
Perché, confrontata con le cifre che abbiamo appena evocato per misurare il tempo e lo spazio, la durata di una vita è molto breve. I tre miliardi di secondi già percorsi da una persona di circa novantacinque anni pesano leggeri sulla bilancia cosmica. La vita umana si allunga, certamente. Tuttavia non sempre sono invidiabili le condizioni nelle quali si trascorrono gli ultimi anni della vecchiaia e l’organismo non ha risorse infinite.
A quale scopo dunque tutte queste cifre? E quale rapporto hanno con la saggezza? Esprimono semmai ciò che l’uomo può conoscere « allo stato attuale della scienza », secondo un’espressione consacrata. E mancano terribilmente di poesia.
Dimentichiamole, se vogliamo, ma fissiamoci bene in mente quello che esse significano: sottolineano la sproporzione fra le dimensioni spazio-temporali del cosmo e quelle di una vita umana; l’infinitamente grande da una parte, gli individui appartenenti all’umanità dall’ altra, e questi ultimi, sulla scala dell ‘universo, sono infinitamente piccoli. Può darsi che ci prenda la vertigine, come succede quando, nelle limpide notti d’estate, veniamo sedotti dal cielo stellato e ci chiediamo se esistono dei « marziani » o dei « venusiani » che, da lassù, ci guardano.
Eppure, per piccolo che io sia, possiedo una ricchezza che la luna, umile astro morto e ghiacciato, non ha, e non ha nemmeno il signor Sole, prigioniero dell’ alta temperatura che lo abita. lo vivo e penso. Posso in parte conoscere il sole e pensarlo tutto intero. La mia vita dipende dalla sua energia ma esso è, in qualche modo, contenuto nel mio pensiero. Esso è sorgente di luce ma le mie capacità mentali sono sorgente di lucidità. Povero sole inintelligente! Capace di bruciarmi se mi espongo troppo ai suoi raggi e di congelarrni quando si nasconde, non ne sa nulla. Viene alla mente il celebre pensiero di Pascal: « Quando l’universo esploderà, l’uomo di nuovo sarà più nobile di quello che lo uccide, perché egli saprà che sta morendo ed il vantaggio che l’universo ha su di lui; l’universo non ne sa nulla » (Pascal, Pensieri, n. 200, nell’edizione Lafuma; n. 347, nell’ edizione Brunschvicg) (2).
Il più ignorante fra gli uomini è dotato di capacità intellettuali che il più grande corpo celeste non possiede. Noi siamo piccoli e deboli in confronto agli astri, ma abbiamo sapere ed intelligenza come fattori di superiorità su di loro. La nostra nobiltà, che è allo stesso tempo esigenza fondamentale del vivere bene, risiede in questo: aprire gli occhi sul mondo, cercare di comprendere gli avvenimenti, eventualmente discuterne e, tenendo conto ciascuno delle condizioni particolari in cui si trova, scegliere i nostri comportamenti.
Più siamo lucidi, più siamo in grado di situarci armoniosamente nel mondo che ci circonda. Alzandoci la mattina, guardiamo spontaneamente dalla finestra per sapere che tempo fa, per prevedere almeno un poco quello che farà, e vestirci di conseguenza. Vale la pena di estendere la stessa capacità al di là del tempo meteorologico: ampliare al massimo la nostra comprensione del mondo come è stato, è, e sarà, ed agire di conseguenza.
Tale modalità di conoscenza costituisce sempre solo un’ anticipazione imperfetta di quanto, nella fede, siamo chiamati ad essere dopo la morte. Un’espressione cristiana classica per definire la situazione dei defunti è di dire che si trovano « nella luce » o, per essere più completi, « nella luce di Dio ». Perché « Dio è luce, e in lui non ci sono tenebre »: questo è il messaggio con cui si apre la prima lettera di Giovanni (1 Gv 1,5). Il Dio dei cristiani ci destina a beneficiare della sua propria luce, della sua chiaroveggenza, della sua lucidità. La persona umana, creata a sua immagine, è fatta per partecipare alla luce divina, sebbene possa comprenderla da quaggiù solo in modo imperfetto.
La scienza medica e le tecniche dell’ottica sanno ormai correggere la miopia. Disponiamo anche di molte risorse per correggere la nostra miopia mentale e giungere alla lucidità. È un primo passo necessario sul cammino della saggezza.
* * *
« Diceva ancora alle folle: Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? » (Lc 12,54-57).
[2] Due delle tre edizioni francesi principali dei Pensieri: la prima, che intende classificare i testi in modo da permetterne una lettura sistematica, venne fatta poco dopo la morte del filosofo dagli amici di Port Royal: è l’Edizione Brunschvicg; l’edizione Lafuma, successiva, è prevalentemente di carattere filologico. La terza, tra queste storiche edizioni, la Chevalier, intenderebbe ricostruire il procedimento logico di Pascal stesso (n.d.t.).

CHIAMATI ALLA LUCE

ELOGIO DELLA MERAVIGLIA
La lucidità, che tiene conto della sproporzione fra l’immensità del mondo e i limiti dell’esistenza umana, non è realista se non onora in ciascuno la capacità di meraviglia. Superbo è un cielo stellato. Superbo è anche il più piccolo fiore. Anch’esso ci supera e siamo incapaci di fabbricarlo. Perché le cose si sono molto evolute dalla scintilla primordiale, anche se il processo evolutivo non è ancora terminato. Ci si può fidare di Darwin e dei suoi successori, ammettere le leggi della selezione e dell’evoluzione come il processo meno improbabile per spiegare il mondo così com’è oggi. Ma, se si è onesti, si deve anche dire con il poeta mistico che « la rosa è senza perché » (3).
Quale necessità selettiva ha disposto con tanta armonia le macchie di colore sulle ali delle farfalle, o gli occhi verde smeraldo, tracciati in modo tanto perfetto sulla coda di un pavone? I creazionisti ci vedono direttamente la mano di Dio; ignorano le cause seconde. Gli evoluzionisti duri e puri ne fanno il risultato di un processo naturale di selezione; ma, non essendo nessun essere vivente la brutta copia di tale perfezione, la loro spiegazione pare monca. Se il creazionismo è un’ingenua miopia, l’evoluzionismo totalitario replica con la pretesa, essa pure assolutamente ingenua, di spiegare tutto razionalmente. Rifiutare di capire e proibirsi metodicamente la meraviglia sono due facce della medesima meschinità.
E qui siamo ancora nel campo della natura osservabile. Lo stupore dinanzi all’infinitamente piccolo cosìcome lo svelano i microscopi più sofisticati non fa che confermare le meraviglie della materia: un corpo umano fatto di cento miliardi di cellule, ciascuna di esse con le sue ventitré paia di cromosomi, ciascuno di questi cromosomi composto da circa mille molecole di DNA… L’uomo potrà giungere a conoscere l’estremità della catena, ma non è certo se un giorno arriverà a riprodurre il meccanismo che fa sì che tutto ciò viva.
Chi dice meraviglia dice domanda, interrogazione infinita, perché ogni risposta data pone nuove domande. Così nacque la filosofia. Filosofare non dovrebbe essere il privilegio dei filosofi, ma il bene comune di ogni persona che applichi il proprio pensiero a penetrare la complessità del reale e a inventare, partendo di lì, i propri comportamenti. Ciò presuppone che si guardi un po’ più lontano e un po’ più a fondo di quanto pare sufficiente per la soddisfazione dei bisogni elementari.
Eppure, tra gli esseri umani, coloro che si accontentano di vivere la propria vita così come viene, sembrano essere i più numerosi. Lavoro, famiglia, sentimenti, svaghi, preoccupazioni di ogni giorno, corpi da curare, denaro da guadagnare a sufficienza bastano, sembrerebbe, a occupare un’esistenza. L’età, la misura, la bellezza e le ragioni d’essere dell’universo non si pongono immediatamente come domande da chiarire. In ogni tempo coloro che hanno posato sul mondo uno sguardo che va oltre la superficie delle cose sono stati una minoranza. Questi sono gli artisti, i profeti, i mistici, i filosofi patentati e i saggi. Profeti e saggi biblici furono scherniti dai loro contemporanei. Il « banco degli stolti », per parlare come l’autore del primo Salmo è più affollato di quello degli uomini di fede e di legge. « La brava gente non ama che qualcuno segua una strada diversa dalla sua », cantava George Brassens.
Inventare, sondare, riflettere rende inevitabilmente la vita più complicata. Da qui a pretendere che questo costituisca il privilegio di un’élite pensante non c’è che un passo, un passo che potrebbe sembrare che anche il vangelo abbia fatto. Gesù pensava che il Regno dei Cieli restasse nascosto ai sapienti. Almeno, è quanto rivela in una formula di benedizione che esalta i cuori semplici: « Ti ringrazio, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai svelate ai piccoli » (Mt 11,25). Si imbocca dunque una strada sbagliata non accontentandosi dell’immediato e del quotidiano? Ma lo stesso Gesù non esitava, sulle orme dei profeti e dei saggi di Israele, a denunciare coloro che accumulano con l’unico scopo del profitto materiale. Allora senza dubbio è legittimo guardare il mondo al di là delle apparenze e tenere conto di questo orizzonte per orientare il proprio modo di vivere.
Già Voltaire si meravigliava dell’immenso meccanismo che presiedeva al movimento degli astri. Ne attribuiva fabbricazione e funzionamento a un grande orologiaio, cosa che lo fece classificare tra i deisti. Questo influenzava il suo modo di comportarsi? La risposta appartiene agli specialisti del signore di Fernay. L’ammirazione al cospetto dell’universo non conduce per forza al deismo e, ancora meno necessariamente, alla fede cristiana. Può favorire il panteismo o l’adorazione del cosmo, può accontentarsi di un agnosticismo aperto o di un ateismo sereno.
Senza pretendere che tutto sia bello e affogare il tragico dell’ esistenza in un oceano di ottimismo beato, apriamo tuttavia uno spazio preliminare all’attitudine religiosa, meravigliandoci del mondo e sviluppando la sua capacità di stupirci. Approfondiamo in noi stessi un interrogativo, interrogativo che si apre sulla possibilità di accogliere quello o Colui che non si impone; prepariamo, in altri termini, il terreno per la fede, che divenga o no cristiana. Il salmi sta ne è l’eco.
* * *
« Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l’uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell’uomo perché te ne curi? » (Sal 8,4-5).

[3] Celebre espressione di Angelo Silesio, pseudonimo di Johann Scheffler (1624-1677), mistico e poeta tedesco, autore de Il pellegrino cherubico (n.d.t.).

CHIAMATI ALLA LUCE

ELOGIO DELLA DISCUSSIONE
La ricchezza e la bellezza della terra sono in parte dovute alla diversità. Diversità di paesaggi, di vegetazione, di climi e, allo stesso modo, diversità di temperamenti e di culture. Se la meraviglia è un atteggiamento da raccomandare dinanzi a tale splendore, si deve tuttavia riconoscere che la gestione delle differenze non è semplice. La lucidità non è ingenuità.
Per tutti lo straniero è immediatamente un estraneo, cioè un sospetto. Alimentati dal desiderio di potere, i conflitti fra gruppi o individui si rivelano inevitabili. Gli avvenimenti più costanti della storia sono le guerre. Esse, d’altra parte, non sono un privilegio della specie umana; gli animali fanno la loro parte, anche se le loro ostilità cominciano senza dichiarazioni ufficiali e si concludono senza quei trattati di pace la cui solennità, spesso, ne eguaglia soltanto l’ipocrisia.
Freud ci ha comunque insegnato che la diversità non è l’unica causa di guerra. Anche l’uguaglianza lo è. Se l’altro mi somiglia, il mio desiderio mi porta a voler possedere tutto ciò che egli ha. Le rivalità tra fratelli sono spesso le più aspre. Le guerre civili possono raggiungere un grado di crudeltà raramente eguagliato dai conflitti fra i popoli che abitano al di là dei due opposti versanti di una frontiera. La violenza costitutiva di ogni vita è universale. Ma costituisce una giustificazione sufficiente a prendere le armi?
Un buon uso dell’intelligenza può aiutare a far sì che avvenga altrimenti. Solo gli sciocchi pensano di avere sempre ragione o reclamano ostinatamente il loro buon diritto. La realtà è più complessa di quanto ciascuno possa percepire. Tutte le opinioni e tutte le rivendicazioni sono condizionate dal punto di vista di colui che le esprime. La diversità esistente, se vogliamo che il pianeta non divenga una giungla, può diventare un fattore per relativizzare quanto pensiamo. Ogni convinzione merita di essere sottoposta alla discussione.
Discutere significa precisamente riconoscere che non possediamo la verità, che l’altro ne possiede la sua parte, ed essere convinti che dal confronto può scaturire la luce. I Dialoghi di Platone ne costituiscono una notevole espressione filosofica. Certo, succede che gli interlocutori di Socrate rivestano il ruolo di valorizzare il maestro. Ma, considerate in profondità, queste opere sottolineano che la ricerca della verità non è soltanto un cammino individuale. Essa comporta anche la dimensione dell’ opera comune.
Non è lontano il tempo in cui i cristiani, di qualunque confessione fossero, pensavano di trovare la spiegazione ultima del mondo nel loro solo Credo. La religione del vicino era, nel migliore dei casi, il regno dei balbuzienti, nel peggiore, quello di Satana. I rimescolamenti culturali dei quali siamo parte fin dalla fine del XX secolo disegnano un altro paesaggio. « lo sono il cammino, la verità e la vita », pretende Gesù nel vangelo di san Giovanni (14,6). Interpretare questa frase come affermazione dell’ esistenza di una Verità ultima identica al- Figlio di Dio, al di là di qualsiasi dogma e di qualsiasi formulazione, non significa cadere nel relativismo.
Nessuna persona e nessun gruppo detiene l’ultima parola sul reale. Una strada utile per illuminare la propria ricerca è allora quella di entrare in dialogo con fedeli di altre religioni, con filosofi, astrofisici, biologi, agnostici, atei che abbiano riflettuto sul loro ateismo, con tutte le persone che si interrogano sulle origini del mondo, sul suo divenire e sul suo significato ultimo. Il dialogo interreligioso iniziato dai cristiani costituisce una tappa, ma l’utopia cristiana di oggi è ancora più ambiziosa. Predica un’umanità che sia una comunità di ricercatori di senso in dialogo, inventori di modi di agire coerenti con i loro ideali.
A proposito della scelta di comportamento da effettuare all’interno della stessa corrente di fede sono rimaste celebri le discussioni che animarono le prime comunità cristiane dopo la morte di Gesù. Ci si è talvolta compiaciuti nel fare di Pietro e di Paolo dei rivali o degli avversari. È vero che loro spesso si scambiarono delle opinioni forti. Uno sguardo, che non sia partigiano, ai testi del Nuovo Testamento può tuttavia portare a fame una lettura diversa: essendo Gesù ebreo ed essendolo ugualmente i suoi primi discepoli, bisognava decidere se circoncidere o meno i pagani che a quel tempo si convertivano alla fede cristiana. La posta in gioco non era piccola. Il cristianesimo doveva rimanere una corrente particolare all’interno dell’ebraismo oppure aprirsi più ampiamente all’universale?
Fra Pietro e Paolo nessuno aveva ragione a priori rispetto all’altro. Giacomo e Giovanni, ugualmente citati dai testimoni, non erano d’altra parte attestati obbligatoriamente sulla medesima posizione dei due esponenti di primo piano. Le discussioni che essi sostennero a Gerusalemme su questa questione sfociarono, se vogliamo credere al racconto che ne fa Paolo, in un compromesso fecondo.
* * *
« Visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi poiché colui che aveva agito in Pietro per fame un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani – e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare » (Gal 2,7-10).

Publié dans:DOCENTI STUDI SU SAN PAOLO, TEOLOGIA |on 13 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

Battesimo del Signore

Battesimo del Signore dans immagini sacre 2008_01_13_baptism

http://www.vocations.ca/Prayers/Meditations/2008_January/2008_01_13.php

Publié dans:immagini sacre |on 11 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

OMELIA DI FATHER RON (Warrenton, USA) LINK – PRIMO LINK AL TESTO INGLESE, IL SECONDO IN TRADUZIONE

http://fatherronstephens.wordpress.com/

http://translate.google.com/translate?u=http%3A%2F%2Ffatherronstephens.wordpress.com%2F&hl=en&langpair=auto|it&tbb=1&ie=UTF-8

Omelia per il Battesimo del Signore, Ciclo C

Fr. Ron Stephens, St. Andrew’s Parish, Warrenton VA

qui c’è la traduzione (Google) dell’Omelia di Padre Ron (in inglese, da Varrenton), a me piace, se la volete leggere, certo l’italiano è in traduzione, ma si capisce, meglio per chi sa l’inglese, io mi aiuto un poco con il traduttore

Isaia 40,1-5.9-11 – commento biblico

http://www.nicodemo.net/NN/commenti_p.asp?commento=Isaia%2040,1-5.9-11

Isaia 40,1-5.9-11

1 « Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. 2 Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità, perché ha ricevuto dalla mano del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati ».
3 Una voce grida: « Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. 4 Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato ».
9 Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion; alza la voce con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annunzia alle città di Giuda: « Ecco il vostro Dio! 10 Ecco, il Signore Dio viene con potenza, con il braccio egli detiene il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e i suoi trofei lo precedono. 11 Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madri ». 

COMMENTO
Isaia 40,1-5.9-11
Il lieto annunzio del ritorno  
Il testo preso in esame è l’introduzione al libro della Consolazione di Israele, detto anche Deuteroisaia perché costituisce la seconda parte del libro che porta il nome del grande profeta (cc. 40-55). L’ambiente non è più quello dell’antico regno di Giuda, in cui è vissuto e ha operato Isaia (sec. VIII), ma quello degli esuli giudei che si trovano in esilio a Babilonia, quando questo regno sta ormai cadendo sotto i colpi dei persiani guidati da Ciro (538). Questo brano si presenta non come una composizione unitaria, ma piuttosto come una piccola antologia di diversi oracoli riguardanti la fine dell’esilio e il ritorno degli esuli a Gerusalemme: la consolazione di Israele (vv. 1-2); il nuovo esodo (vv. 3-5); l’efficacia della parola di Dio (vv. 6-8); il lieto annunzio (vv. 9-11).
La consolazione di Israele (vv. 1-2)
Il testo si apre con un oracolo nel quale Dio stesso esorta a «consolare» il suo popolo. Questo invito viene rivolto non tanto al profeta, il quale si limita a registrare le parole di JHWH, quanto piuttosto ad anonimi araldi i quali sono inviati a tutto il popolo (v. 1). Nel versetto successivo appare che il messaggio è indirizzato direttamente a Gerusalemme, la città santa, personificazione del popolo giudaico, e forse non senza un riferimento specifico ai giudei che hanno vissuto la tragedia dell’esilio pur restando nella terra dei padri. I messaggeri devono parlare al «cuore» di Gerusalemme (v. 2a). Il cuore indica il centro della persona, dove hanno luogo le scelte determinanti per la vita: perciò «parlare al cuore» di Gerusalemme significa annunziarle che la sua esistenza è profondamente trasformata perché JHWH ha deciso di  ripristinare quel legame d’amore che univa lo univa al suo popolo (cfr. Os 2,16).
Il motivo della consolazione di Gerusalemme consiste nel fatto che «è finita la sua schiavitù, è scontata la sua iniquità, perché ha ricevuto dalla mano del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati» (v. 2b). È dunque terminato il servizio coatto a cui erano sottoposti i suoi abitanti condotti in esilio dai babilonesi. Il popolo che si era allontanato da Dio ha ormai scontato ampiamente la pena dovuta alla sua iniquità (cfr. Lv 26,41.43), ha ricevuto un doppio castigo per i suoi peccati, cioè in termini di sofferenza ha pagato un prezzo persino superiore alle sue colpe. In sintonia con tutta la predicazione profetica il castigo viene attribuito a Dio stesso, anche se la causa immediata sono state le vicende politiche di un travagliato periodo storico.
Tra breve il popolo sarà dunque liberato, con un gesto gratuito di misericordia, dallo stesso Dio che aveva dovuto intervenire con una dura punizione. Per gli esuli è giunto il momento del ritorno nella città santa, rappresentata come la sposa infedele che JHWH riprende con sé dopo una punizione esemplare (cfr. Ez 16; 23; Os 2,16; Is 49,14-26; 51,17-52,12; 54,1-17).
Il nuovo esodo (vv. 3-5)
Il profeta comunica ora quanto dice «una voce», cioè un anonimo messaggero di Dio, il quale ordina di preparare nel deserto una strada perché in essa possa passare JHWH. Egli aveva guidato un giorno il suo popolo fuori dell’Egitto camminando alla sua testa sotto forma di colonna di fuoco di notte e di colonna di nubi durante il giorno (Es 13,20-22; 14,17), poi aveva posto la sua dimora nel santuario (Es 40,34) e infine nel tempio di Gerusalemme (2Re 8,10-11), ma lo aveva abbandonato a motivo dei peccati del popolo (Ez 10,18; 11,22-23). Ora egli sta per ritornare nella città santa e nel tempio alla testa del suo popolo dopo averlo liberato dall’oppressione babilonese (v. 3).
La preparazione consiste nel colmare ogni valle, nell’abbassare monti e colli e nel trasformare il terreno accidentato e scosceso in pianura (v. 4). Fuori metafora ciò significa che l’evento del ritorno richiederà un profondo cambiamento nella mentalità di tutti i giudei, guidato e illuminato dalla predicazione profetica che non era mai venuta meno durante tutto il tempo dell’esilio. La religione di Israele in questo periodo è cambiata e dovrà ancora cambiare in profondità, coinvolgendo in questa trasformazione anche coloro che erano rimasti nella madre patria e avevano continuato nelle pratiche sincretistiche dei loro padri. Proprio l’incapacità da parte di costoro di accettare il nuovo di cui i rimpatriati erano portatori provocherà tutta una serie di tensioni che renderanno difficile la restaurazione del popolo di Dio.
Il ritorno degli esuli comporterà una meravigliosa rivelazione della gloria di Dio: «Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato» (v. 5). Il termine «gloria» (kabôd) indica il fulgore che nell’immaginazione popolare accompagna la manifestazione di Dio. La gloria è la forma visibile e luminosa sotto cui Dio si era manifestato più volte nell’esodo (cfr. per es. Es 16,7.10; 24,16-17) e aveva preso dimora prima nella tenda (Es 40,34) e poi nel tempio di Gerusalemme (1Re 8,11). Vedere la gloria del Signore significa sperimentare in prima persona gli effetti dell’intervento divino. Ora la rivelazione della gloria di Dio sarà disponibile non solo agli israeliti, ma a tutti gli uomini. Secondo il Deuteroisaia l’evento del ritorno avrà una forte connotazione universalistica: tutti i popoli saranno coinvolti in esso, se non altro come spettatori che partecipano intimamente a quanto si svolge sotto i loro occhi. Nei successivi vv. 6-9 si dice che l’uomo è come l’erba che dissecca, mentre la parola di Dio dura per sempre. Dio dunque è più potente degli oppressori del suo popolo (cfr. Is 51,12), e anche del suo popolo peccatore: la sua promessa di liberazione perciò si attuerà infallibilmente. Questo concetto, che viene ripreso nella conclusione del libro (cfr. 55,10-11), rappresenta una delle idee chiave del libro.
Il lieto annunzio (vv. 9-11)
Nuovamente viene chiamato in scena un araldo che viene inviato con un compito specifico: «Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion; alza la voce con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annunzia alle città di Giuda: Ecco il vostro Dio!» (v. 9). L’araldo deve annunziare a Gerusalemme e alle città di Giuda il ritorno di JHWH alla testa degli esiliati. Egli è designato come «colui che reca liete notizie» (mebasseret): da questa espressione, tradotta in greco «colui che evangelizza» (euangelizomenos) deriverà il termine «vangelo», con cui i primi cristiani designeranno la predicazione di Gesù.
Il Signore che ritorna alla testa del suo popolo è poi presentato con due immagini. La prima è quella del re potente e vittorioso, che ritorna dalla guerra portando con sé il bottino tolto ai nemici (v. 10): questo rappresenta il popolo stesso che JHWH ha sottratto alla dominazione straniera. La seconda immagine è quella del pastore che guida il suo gregge (cfr. Sal 23; Ez 34), lo raduna, lo fa pascolare, porta sulle spalle gli agnellini e ha cura delle pecore madri (v. 11).

Linee interpretative
Nell’introduzione del Deuteroisaia sono indicati in modo significativo i grandi temi del libro: la fine dell’esilio, visto come un duro castigo per i peccati del popolo, il nuovo esodo, l’esigenza di una preparazione da parte del popolo, l’efficacia della parola di Dio, l’universalismo della salvezza. Dio viene presentato con immagini diverse: condottiero, marito, pastore. Tutto il brano esprime meraviglia, gioia ed esaltazione per la svolta improvvisa che sta prendendo la storia della salvezza. Il messaggio fondamentale di questo poema è la fiducia nel Dio che dirige gli eventi della storia umana piegandoli a quelli che sono i suoi piani di salvezza. Anche quando sembra che le vicende umane sfuggano al suo controllo, Dio non rinunzia al suo potere e non viene meno alle sue promesse. L’importante per l’uomo è di saper vedere la sua gloria quando si manifesta.
Il profeta è convinto che il momento del ritorno segni l’attuazione delle grandi profezie che alla vigilia dell’esilio preannunziavano la trasformazione escatologica del popolo di Dio (Ger 31,31-34; Ez 36,25-27; Dt 30,6). Il tema del castigo è ancora presente, ma passa ormai in secondo piano: il popolo aveva un debito che doveva essere pagato, e di fatto ha scontato amaramente per le sue colpe, ma in realtà la salvezza è frutto di un intervento gratuito di Dio. Purtroppo la restaurazione del popolo non si verificherà con la pienezza annunziata, ma le immagini elaborate in questo momento entusiasmante serviranno per delineare la futura salvezza, rinviata ormai agli ultimi tempi.

Omelia per il Battesimo di Gesù

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/03-annoC/annoC/06-07/2-NataleC-06/Omelie/5-Battesimo_di_Gesu-DG.html

BATTESIMO Di GESU’ 

 (7 Gennaio 2007)
 

LITURGIA DELLA DOMENICA / OMELIA

FIGLI DI DIO
Oggi, con tutta la Chiesa, celebriamo il Battesimo di Gesù.
Innanzi tutto ricordiamo che il battesimo ricevuto da Gesù dalle amni di Giovanni Battista, non è lo stesso battesimo ricevuto da noi. Il battesimo che noi abbiamo ricevuto è uno dei sette Sacramenti istituiti da Gesù.
Il battesimo che Gesù ricevette da Giovanni non era un sacramento. Era un semplice rito penitenziale, che il Battista faceva per invitare la gente a prepararsi ad accogliere Gesù, che non si era ancora manifestato.
Gesù non aveva bisogno di un tale battesimo, perché in lui non vi era ombra di male, ma volle ugualmente essere battezzato da Giovanni Battista per comportarsi come un qualsiasi peccatore pentito.
Lui, senza macchia, compie un atto di umiltà, si immerge nell’acqua e poi si raccoglie in preghiera.

Durante il battesimo di Gesù avvennero due fatti straordinari:
a) Il primo è questo: appena Gesù fu battezzato, lo Spirito Santo discese su di lui, nella forma visibile di una colomba.
Questo segno indicava che Gesù era il Cristo, cioè il Messia, mandato da Dio per salvare gli uomini.
b) Ed ecco il secondo fatto: mentre lo Spirito discendeva su Gesù, fu udita la voce di Dio Padre che proclamava Gesù suo Figlio diletto.
In quel momento Dio Padre rivelava ai presenti che Gesù era il suo Figlio prediletto, che si manifestava agli uomini sotto le sembianze di uomo.
Da questo momento comincia la vita pubblica di Gesù. I presenti vengono a sapere che Gesù, è il Figlio di Dio, prescelto per una missione di pace e di salvezza, è il Messia promesso.
Qui per la prima volta abbiamo la rivelazione della SS. Trinità: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, tre Persone distinte in un unico Dio.
Qui per la prima volta si manifesta lo stile di Dio: Gesù si abbassa entrando nel Giordano e subito il Padre lo esalta: « Tu sei il mio Figlio prediletto, in Te mi sono compiaciuto ».
E Gesù non deluderà questa predilezione, ma sarà fedele alla volontà del Padre fino in fondo, fino alla Croce.
Lui continuerà ad umiliarsi e a lasciarsi umiliare, e il Padre Lo esalterà poi per sempre con la Risurrezione gloriosa.
Il battesimo di Gesù ci porta a riflettere sul nostro Battesimo.
Noi non siamo nati figli di Dio, perché al momento della nascita eravamo privi della grazia divina. Noi siamo diventati figli di Dio al momento del Battesimo.
Dal Battesimo noi abbiamo ricevuto la grazia santificante. Mentre il Sacerdote versava l’acqua sul nostro capo, lo Spirito Santo veniva dentro di noi e con la grazia ci rendeva figli di Dio.
Al momento della nascita siamo nati figli degli uomini. Al momento del Battesimo, noi siamo rinati (nati di nuovo) come figli di Dio, dall’acqua e dallo Spirito Santo.
In quel preciso momento del nostro Battesimo dentro di noi veniva lo Spirito Santo e Dio Padre ci ammetteva a far parte della famiglia divina.
Il Battesimo ci dà il diritto di chiamare Dio nostro Padre. Prima del Battesimo esisteva in noi una vita puramente umana; con il Battesimo invece abbiamo la partecipazione alla vita divina: siamo nati in Gesù e siamo stati costituiti in Lui nuova creatura.
Con il Battesimo abbiamo ricevuto dei doni che dobbiamo sviluppare: insieme con la grazia santificante abbiamo ricevuto le virtù infuse (fede- speranza e carità) e i doni dello Spirito Santo.
La grazia del Battesimo poi ha consacrato il nostro corpo e l’ha reso tempio vivo di Dio e membro del Corpo Mistico di Gesù.
San Giovanni Evangelista in una sua lettera dice: « Noi sappiamo che Dio abita in noi, perché Egli ci ha dato lo Spirito Santo » ( 1 Gv. 4, 13). Perciò chi ha ricevuto lo Spirito Santo porta Dio dentro di sè. Anche noi quindi portiamo Dio nella nostra anima
San Leonida, padre di Origéne, si curvava sulla culla di suo figlio e lo baciava sul cuore. Alcune persone che lo videro, ne fecero le meraviglie, e il Santo rispose: « Non meravigliatevi: io adoro Dio presente nel cuore di questo piccolo battezzato ».
Ecco perché San Paolo, con insistenza, scrive ai primi cristiani: « Voi siete la casa di Dio, voi siete il tempio di Dio vivo ».
Se lo Spirito Santo, scendendo in noi, ha fatto del nostro corpo un tabernacolo, delle nostre membra un piccolo cielo in cui abita il Dio che ci ha creati, pensate con quanto rispetto noi dobbiamo trattare il nostro corpo e le nostre membra! Dobbiamo considerarci come cosa sacra, come pissidi viventi di Gesù.
Un giorno Luisa di Francia, figli di Luigi XIV, in un impeto di collera disse alla propria governante:
« Dimenticate forse che io sono figlia del vostro Re? ».
La governante le rispose: « E voi dimenticate che io sono figlia del vostro Dio? ».
Ecco la grande dignità che noi abbiamo acquistato con la discesa dello Spirito Santo nel nostro Battesimo: siamo diventati figli di Dio.
Non solo di nome, ma in realtà, perché lo Spirito Santo non si accontenta di abitare dentro di noi come in un tempio a Lui consacrato, ma Egli trasforma la nostra anima, la rende bella, la rende divina, comunicandole qualcosa della sua natura: divinae consortes naturae, fatti partecipi della natura divina », dice San Pietro (2 Pt. 1,4).
Come un figlio assomiglia a suo padre, così pure noi, per mezzo della grazia, diventiamo simili a Dio: diventiamo veramente figli di Dio.
Ecco perché pregando, diciamo: « Padre nostro, che sei nei cieli… ».
San Giovanni, pensando a questa verità, sentiva un fremito di entusiasmo e di gioia salirgli alla gola, e quasi fuori di sè esclamava: « O diletti! Fin d’adesso noi siamo figli di Dio. Guardate con quale amore il Padre ci ha amati , dandoci non solo di essere chiamati, ma di essere veramente figli di Dio ».
Ecco l’importanza del santo Battesimo che ci ha resi figli di Dio.
San Luigi re di Francia nutriva una speciale devozione verso la piccola cappella del castello di Poissy, in cui aveva ricevuto il santo Battesimo. Vi si recava a pregare assai più spesso che non nel magnifico duomo di Reims, dove era stato incoronato re di Francia.
Interrogato sul motivo di quella predilezione per l’umile chiesetta, rispose: « Nella cappella di Poissy io diventai figlio di Dio e mi fu concesso l’inestimabile favore di chiamare Dio mio padre; mentre nel duomo di Reims io non ricevetti altro che una fragile corona ».
Egli stimava quindi assai di più la grazia di essere figlio di Dio che non quella di essere re di Francia.
Nel Vangelo, lo Spirito Santo appare sotto tre segni diversi: sotto l’apparenza di nube nella Trasfigurazione; sotto l’apparenza di colomba nel Battesimo di Gesù; sotto l’apparenza di fuoco nel cenacolo.
Il primo segno – la nube colma d’acqua – c’insegna come lo Spirito Santo viene in noi per mezzo delle acque del santo Battesimo.
Il secondo segno – la candida colomba – c’insegna come lo Spirito Santo rimane in noi per il candore di una vita pura, lontana da ogni macchia di peccato.
L’ultimo segno – il fuoco – c’insegna come lo Spirito Santo è amore di Dio, che come fuoco brucia ogni impurità.
La Madonna conservi la nostra anima limpida e candida come una colomba.

D. SEVERINO GALLO sdb

The Holy Spirit

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Publié dans:immagini sacre |on 9 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

DUE STRANI VIAGGI (Atrio dei Gentili)

http://www.atriodeigentili.it/lectio/2005_06/04.htm

Azione Cattolica Diocesana

Lectio Biblica 2005/06
a cura di Stella Morra

4. DUE STRANI VIAGGI

Matteo 2,1-23

PREMESSA
            Con la lectio di oggi facciamo un passo indietro nel tempo liturgico; il racconto del viaggio dei Magi e della fuga in Egitto ci fa tornare al tempo di Natale.
            Stiamo ragionando sul tema del viaggio; i primi tre testi, dell’Antico Testamento, ci hanno dato il profilo delle dimensioni profonde, umane di un possibile viaggio legato al tema del desiderio, del non essere soli durante il viaggio, dell’aspettare strade appianate.
            Già nel primo incontro abbiamo detto che il viaggio è un tema visitato da poeti, letterati, romanzieri, pittori perché è una dimensione profondamente umana  che attraversa tutte le culture. Abbiamo deciso di dedicare alla parte più descrittiva  del viaggio solo l’inizio del nostro percorso poiché possiamo trovare da tante parti spunti o idee per comprendere a fondo qual è, all’interno di ciascuno di noi, il movimento che ci muove verso il viaggio,
            Nella seconda parte cercheremo di passare ad una dimensione più specifica del viaggio, per approfondirlo più dal punto di vista cristologico. Così come nell’annuncio evangelico, nella novità introdotta da Cristo, nei suoi gesti, nella sua vita e nelle sue parole questi viaggi prendono anche altri segni, altre direzioni. Nella vita di Gesù le dimensioni umane ci sono, non sono mai negate o cancellate, ma sono assunte e trasformate. Gesù è un uomo come noi, dunque vive, subisce e sceglie in prima persona  come noi le cose che gli uomini e le donne di ogni tempo vivono, subiscono e scelgono; contemporaneamente, però, Lui non è ‘solo uomo’ e il suo assumere le dimensioni umane le attraversa, le compie e le trasforma in un segno  – in teologia si dice sacramento – di qualche cosa che le cose non mostrano ancora ma che, noi crediamo, tutti mostreremo nell’ultimo giorno.
            Non è solo un dato teorico, è fondamentale. Faccio, come al solito, delle traduzioni un po’ da cartone animato, così ci capiamo. Spesso abbiamo l’idea inconscia che l’essere cristiani, il centro, lo specifico del cristianesimo sia un contenuto piuttosto che un altro. E facciamo delle classificazioni: i cristiani fanno così; i non cristiani, gli induisti, i buddisti, i musulmani in altro modo. Ci chiediamo: in che cosa ‘il mio essere cristiano’ in politica, sul lavoro, in famiglia, mi differenzia? Dove si vede la diversità rispetto a chi non è cristiano? In genere sono ragionamenti molto faticosi; uno passa il tempo a discutere su molti comportamenti, scelte, modi di fare propri e altrui, e conclude prendendo atto che a volte chi non crede è migliore. Il succo di tutta la faccenda, alla fine è: i cristiani dovrebbero essere più bravi degli altri; ma dato che questo non è sempre vero, i cristiani sarebbero quelli che desiderano essere più bravi degli altri. Tradotto, significa che ‘proprio dei cristiani’ sarebbe essere secchioni, essere i primi della classe a tutti i costi.Ma è un ragionamento che alla fine non torna.
            Questa domanda: dove sta il ‘proprio del cristianesimo’? Che cosa vuol dire quello slogan che ripetiamo senza sapere bene che cosa significa: E’ cristiano chi segue Gesù!? Ci sono dei contenuti che i cristiani hanno e gli altri no? Questa è una questione seria, perché non solo conforma i comportamenti personali, fa sì che io mi comporti in un certo modo, ma è seria anche perchè conforma le chiese, il modo  in cui pensiamo il cristianesimo nel mondo, il modo di rapportarsi agli altri…
            LA LEGGE DELL’INCARNAZIONE
            Io credo che il proprio del cristianesimo stia in quelle cose che dicevo prima, e che riprendo. Teologicamente si dice che il proprio del cristianesimo è nella dinamica dell’incarnazione. Cioè non è un contenuto, nel senso di un tema, una questione, un dato etico, ma è in un ‘metodo’, in uno stile che è stato per primo agito da Dio nei nostri confronti in Gesù e che dunque deve essere agito da noi nella nostra vita. Questo stile, questo metodo, questa dinamica è quella dell’incarnazione: Gesù, pur essendo divino, non rifiuta, non cancella niente di ciò che non era suo, che era umano, non lascia cadere niente, ma assume tutte queste cose e le fa lievitare secondo la loro legge, non secondo la sua legge. Le fa crescere per farle fiorire secondo come sono fatte.
            Questa è la legge degli amori veri. Se una persona ha un amore felice non ha più problemi o meno, non li risolve in modo magico, non diventa un’altra persona, ma chi è amato diventa ‘un sé’ che fiorisce secondo la propria logica. Questa è anche la durezza degli amori, perché trovare la misura per cui io posso guardare l’altro volendogli bene e lasciandolo fiorire secondo la sua logica, è sempre un passaggio  complicato.
            La legge dell’incarnazione è abitare dentro, assumere e far fiorire secondo la legge interna in una fiducia di fondo che il Dio che ha creato tutte le cose le ha create bene e che dunque, se tutte le cose fioriscono ciascuna secondo la propria logica, fioriscono bene. Dio le ha create secondo delle logiche buone, fioriscono come nel paradiso terrestre.
            I testi del Nuovo Testamento che ci accompagneranno da qui alla fine, vanno in questa direzione: ci fanno intravedere come Gesù, la sua vita, i suoi atti attraversano i temi del desiderio, del viaggio, delle separazioni e le fanno fiorire in un modo che di per sé era inaudito ed inatteso da quelle cose in sé, in un modo che era loro proprio, ma che non si potevano dare da sole.
            VIAGGI E SOGNI
            Il testo di oggi, dal Vangelo di  Matteo, è un vero racconto di viaggio.  Lo leggiamo come un racconto da bambini, quasi come una favola: ci sono i personaggi del presepio, c’è un lieto fine, ce l’abbiamo negli occhi, più che nelle orecchie, ma è pieno di parole di viaggio, è tutt’altro che un racconto per bambini. Facciamo molta fatica a leggerlo veramente per quello che è. E’ una favola per adulti, come il piccolo principe, un racconto che dice delle verità profonde sull’esistenza delle donne e degli uomini adulti.
            Questo testo è pieno di verbi  di viaggio e di sogni. E’ pieno di separazioni, partenze, gioie, tristezze, paure, di tutto ciò che fa la miscela della vita umana; è come se fosse concentrato tutto in questo breve testo: si nasce,…. si muore. C’è il dolore ingiusto ed innocente dei bambini uccisi al posto di Gesù. C’è la grande gioia dei Magi per aver trovato quello che cercavano. La grande gioia della vita è trovare quello che cerchiamo!…- il che significa sapere quello che cerchiamo, ed è un bel problema. C’è la paura e la protezione di Giuseppe vecchio padre che salva i suoi… In quaranta righe ci sono tutti gli elementi portanti dell’esistenza.
            E’ ben curioso: tutto ciò che riguarda l’esistenza sta in mezzo ai viaggi, non sta fermo. Noi abbiamo la sensazione che la nostra vita sia ferma perchè vediamo un fotogramma alla volta. Vediamo la foto di quella settimana, di quell’anno, di quel periodo e diciamo: è stato terribile!  Adesso vedrai; queste settimane sono ancora un po’ caotiche, ma appena avrò un po’ di calma ci vedremo. Il che vuol dire, di solito, che passano due o tre anni prima che ci vediamo. Perchè tutti siamo in attesa che accada una cosa che non arriva mai e vediamo solo  il fotogramma del momento, che in genere è pesantissimo.
            Quello che non vediamo è la vita vera. Non vediamo la dinamica, che siamo sempre di passaggio da un fotogramma ad un altro, e che ogni luogo, ogni sentimento, ogni dolore, ogni gioia in cui siamo nel momento in cui lo proviamo è già da lasciare, è già accaduto e ci chiama già altrove. C’è un dolore che ci chiama a scommettere sulla vita oltre il dolore stesso; se c’è una miopia quella ci chiama a non tentare di capitalizzarla, ma continuare a vivere.
            La vita è un viaggio! Tutte le dorsali fondamentali della vita stanno in quaranta righe, sono poche, essenziali e tutte inframmezzate da viaggi. Questi vanno e vengono in continuazione. Il vangelo di Luca ci presenta tutta la vita pubblica di Gesù come la sua salita a Gerusalemme, il suo cammino verso Gerusalemme.
            Il primo elemento che ci viene provocato rispetto al modo stesso in cui inizia la vita di Gesù è: attenti non siamo noi che abbiamo un desiderio di viaggio. Noi che siamo lì, piantati sui nostri piedi e pensiamo di farcela ad andare, desiderare, ma siamo noi in viaggio. Non è una scelta. I viaggi materiali, quelli che ci portano in un altro luogo sono solo il segno, il sacramento che noi siamo in viaggio. Tra l’altro, i cristiani questo l’hanno sempre saputo, hanno sempre chiamato pellegrinaggio terreno la vita storica. Ed hanno sempre pensato che la loro patria era altrove. Ed hanno sempre chiamato la morte riposo eterno, quando uno finalmente sta fermo. In un modo un po’ inquietante per la nostra cultura che ha paura della morte, ci hanno sempre detto noi siamo, in quanto siamo in viaggio.
            LONTANI E VICINI
            Altro aspetto curioso, di ordine generale: rispetto a questi strani viaggi ci sono due soggetti particolari: i Magi e Giuseppe. Paradossalmente, rispetto a Gesù nella sua forma storica di bambino appena nato, sono i più lontani e i più vicini. I Magi sono l’esotico, i re persiani venuti dall’oriente, il principe azzurro, l’immagine di ogni possibile esotica lontananza, di quanto di più diverso, astruso; sono la sapienza che viene da altrove, i gentili, i non appartenenti alla stessa religione, non appartenenti a niente… Magi. E, dall’altra parte, Giuseppe, che tutti i Vangeli ci presentano come l’ultimo giusto del Nuovo Testamento, l’ultimo che sogna come nel Vecchio Testamento, l’ultimo della stirpe dei sognatori che inizia da Giuseppe l’egiziano. Da lì in poi, da Giuseppe l’egiziano a Giuseppe, padre di Gesù che sogna e  interpreta sogni, c’è tutta una lunga preparazione: i giusti, i buoni, coloro che fanno del loro meglio e che sono premiati nel fare del loro meglio da essere posti a guardia di questo piccolino che cambierà, anzi, che sta cambiando il corso della storia. Ad essere così vicini da vederlo crescere, da sentire la gente che dice: non  è costui il figlio di Giuseppe il falegname? come viene riportato dai vangeli.
            I più lontani e i più vicini; i più estranei, i più esotici, ed i più normali. Tutti e due sono chiamati esattamente alla stessa cosa, e tutti e due sono chiamati senza preavviso, presi da dove sono, spostati, turbati da quello che avevano organizzato. E’ interessante. Solo Gesù riesce a far fare la stessa cosa ai più lontani e ai più vicini. A noi non viene mai così bene.
            Traduco: ognuno di noi ha sempre questa oscillazione tra il fuori e il dentro, tra l’occuparsi degli altri e l’occuparsi di sé, tra le proprie fasi riflessive e quelle produttive, tra il vicino e il lontano, tra il nuovo e il conservare l’antico, tra lasciarsi turbare da ciò che accade e conservare, rimanere saldo in quello che si è, si è pensato, si fa. Noi abbiamo sempre queste due facce, il fuori e il dentro. Il conservare e il rischiare, il raccogliere e il seminare…
            I magi e Giuseppe: la tradizione antica e la sapienza che viene da fuori. Quello che mi sta vicino, che è solido e rassicurante, e quello che viene da lontano, porta ori, mirra, incenso, è bello, ma anche inquietante. Tra il fascino di ciò che muta, cambia, innova, dà nuove strade e la fedele continuità.
            Noi in genere fatichiamo a tenere insieme questi due pezzi. Quando ci sbilanciamo a cambiare, saremmo tentati di buttare via tutto quello che è dentro, quello che è vecchio, conservato; quando invece decidiamo di conservare abbiamo grande diffidenza rispetto al nuovo. Questo ci accade nelle varie fasi della nostra vita, per cui da giovani si cambia di più, da vecchi di meno;  da giovani si è più proiettati verso il futuro, da vecchi verso il passato e la memoria, ciò che è stato…  C’è differenza anche da persona a persona. Tra noi ci sono quelli più esotici, sempre più attratti da una nuova questione e quelli più conservatori, pacati, calmi che tendono a stabilire, a pianificare tutte le cose della loro vita…Ci è molto difficile mettere in viaggio tutte e due queste parti contemporaneamente.
            Questo bambino che nasce ci dice che se non viaggiano tutte e due le parti, se non viaggia il fuori e il dentro, se non si muove il nuovo e l’antico, l’attenzione agli altri e l’attenzione a sé, se non si muovono tutte e due insieme, non succede niente di vero! Succedono solo dei cambiamenti di facciata, delle sceneggiate come quelle di Erode, che in genere producono dolore innocente! E’ buffo, perché anche Erode vuole mettere insieme ciò che ha e ciò che la novità gli porta attraverso la bocca dei Magi, ma lo vuole mettere in moto in modo che nessuna delle due cose cambi, che nessuno dei due viaggi. Il risultato è l’uccisione degli innocenti!
            VEDERE I SEGNI
            A me piace moltissimo il versetto 2,  un po’ perchè mi chiamo Stella, sento la mancanza di un santo di cui portare il nome, quindi ho eletto come santo di protezione la stella dei magi, – che mi sembra una bella idea – ed un po’ perché trovo che questo versetto sia un capolavoro, di grande bellezza.
            “Dov’è il Re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo. All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme”.
            I Magi sono persone per bene, con gli occhi aperti, scrutano i cieli, cercano segni, hanno desideri e dunque hanno visto sorgere la stella. E’ il passo numero uno per essere gente per bene: vedere i segni! Vedere quello che accade, guardare la storia, vedere il tempo, gli accadimenti, gli altri, quali stelle sorgono. Ma i Magi sono per bene sul serio! Non solo hanno visto sorgere la stella, cioè hanno riconosciuto nella loro storia un segnale, ma si sono messi in viaggio, con tutta la fatica che questo comporta, e sono anche venuti con retta intenzione per adorarlo! Risultato di questa operazione tutta giusta, anzi più che giusta… un premio? No! Una domanda: “Dov’è il re dei Giudei?”.  Il risultato di una vita che vede le stelle e si muove per viaggiare e con retta intenzione, è una domanda, non una risposta!
            Questo versetto, secondo me, è incredibile, è di una bellezza, di una consolazione, di una lucidità incredibile. C’è qui il nostro grande inganno, quello per cui noi diciamo: Ho deciso di essere cristiano, ho cercato di comportarmi meglio che potevo, e adesso non mi danno dieci? Io credo che qui ci sia la fioritura della vita tipicamente cristologia, che ci sarà continuamente ripetuta nel vangelo fino alla croce. Ma noi abbiamo fatto tanta bella poesia sulla croce di Gesù Cristo per cui non la vediamo più, l’abbiamo ben esorcizzata. In passaggi come questi la vediamo meglio, ci prende un po’ alla sprovvista perché, avendo questo tono da racconto per bambini, non l’abbiamo raffreddata, non l’abbiamo cancellata, quindi ti piglia alla gola.
            “Abbiamo visto la stella”. Hanno ben interpretato quello che accadeva, hanno guardato il cielo. Ci sono tanti dipinti che rappresentano i Magi nell’atto di scrutare il cielo notturno, a cercare i segni: hanno visto la stella e l’hanno ben interpretata. Hanno avuto il coraggio di mettersi in viaggio; l’hanno fatto con retta intenzione, per adorare il bambino, e ciò che raccolgono è una domanda: “Dov’è il re dei giudei?” 
            Di fronte a loro ci sta la reazione, I Magi sono la stella per Erode, il segnale, il versetto seguente dice: “all’udire queste parole il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme”. Questo versetto è doppiamente incredibile: turbato. I segnali che ci raggiungono ci turbano, nel senso che ci squilibrano, ci richiedono di uscire dal luogo in cui siamo. E pochi versetti dopo Erode dirà: “Andate”. Lui non si mette in viaggio. Dice loro: “Andate, … poi venite a riferirmi”  e così spezza la logica: la sua intenzione è di uccidere il bambino, non di adorarlo. E questo frutterà dolore.
            Io mi chiedo abbastanza spesso da dove arrivano i miei dolori In genere la prima spiegazione è che la colpa è di qualcuno; in prima battuta di qualcun altro; il passaggio successivo è di ammettere, forse, anche un po’ di colpa mia. Facciamo una serie di ragionamenti sempre legati alla colpa. I nostri dolori normalmente nascono dal non aver visto le stelle, dall’essere stati turbati senza aver avuto la capacità di mettersi in viaggio per adorarlo, dall’aver provato a difendere ciò che avevamo acquisito invece di farsi condurre da una stella.
            Questo versetto mi ricorda un film, Viaggio in Inghilterra,  che riprende la stessa questione: il nostro premio è una domanda. Ed è un altro viaggio. Per chi è cristiano è molto chiaro, è così, perché la nostra unica patria è il cielo; l’unico posto in cui potremo stare fermi sarà il paradiso. Noi questo lo sappiamo, ma siccome fa un po’ impressione, svaluta un po’ la vita di quaggiù, ce la raccontiamo sempre in un modo un po’ ritagliato . In realtà è molto chiaro: il nostro premio è avere ancora giorni per poter ancora scorgere stelle e metterci ancora in cammino.
            “ALLORA ERODE CHIAMATI SEGRETAMENTE I MAGI SI FECE DIRE CON ESATTEZZA DA LORO IL TEMPO… E”
            Segretamente. La segretezza è il contrario del viaggio perché solo chi ha una casa, un luogo stabilito, dei posti dove nascondersi può essere segreto; chi è in viaggio ha bisogno di tutti, chi si sposta è visibile, non può essere segreto, un viaggio si vede, nel suo farsi e nel suo risultato: si è stanchi, provati, si racconta Un viaggio non è fatto per la segretezza: tutti i viaggi generano racconti non segreti. Il genere letterario racconti di viaggio è diffusissimo. La stabilità, il difendersi genera la segretezza, è la paura di perdere
            Dunque Erode manda i Magi a proseguire il viaggio. I Magi hanno fatto la loro parte, sono giunti con una domanda e si sentono dire: la domanda è giusta, continuate pure!
         UNO STRANO VIAGGIO
            “Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere,li precedeva, finchè giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono.”
            E’ curioso! Provano gioia al vedere la stella. Rispetto al bambino non provano gioia, lo adorano, gli offrono in dono oro incenso e mirra, poi sono avvertiti in sogno di non tornare da Erode e per un’altra strada fanno ritorno al loro paese.
            “Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”.
            L’unica risposta che hanno, paradossalmente, è un sogno che li avvisa di non fidarsi di Erode. E’ uno strano viaggio.
            I Magi sbucano dal nulla e finiscono nel nulla. Sono perfettamente impersonati dalle statuette del presepio. I grandi viaggiatori sono lì, fermi, paralizzati davanti alla capanna, nelle classiche pose: uno inginocchiato, uno in piedi, l’altro con lo scrigno. Sono grandi viaggiatori, ma di loro si ricorda un solo viaggio; non sappiamo null’altro di loro e sono paralizzati nel gesto del rendere adorazione a questo bambino. Tutto ciò che sappiamo di loro è questo gesto. Ma è vero che tutto ciò che conta è la strada, quella che li ha portati lì e quella che li ha riportati a casa.  La tradizione popolare ha infarcito il viaggio di ritorno di chilometri e chilometri, attribuendo loro strani giri.
            E’ uno strano viaggio che parte non sappiamo da dove e ritorna non sappiamo dove. Un viaggio che ha come unico nome e unica gioia quella di una stella che li guida; ha un pessimo incontro, quello con Erode che non si lascia contagiare dal viaggio, ma che fa prevalere la paura e finisce lì.
            I SOGNI
            Quello che avverte i Magi di non passare da Erode è il primo di tre sogni.
            “Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse. ‘Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finchè non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”.
            Questo più che un viaggio è una fuga. E si parla di Egitto, una figura molto particolare, significativa nella storia del popolo ebraico. E’ l’Egitto che ha accolto Giuseppe ed ha sfamato i suoi fratelli nella carestia, perché Giuseppe era diventato potente interpretando sogni. I sogni lo avevano fatto ricco e potente, e diventano strumento di nutrimento per tutti i suoi fratelli nel tempo della carestia. L’Egitto è il luogo della schiavitù da cui si fugge e, qui, verso cui si fugge. L’Egitto è la grande potenza, il nemico che incombente, quello che periodicamente entra a scombinare i piani. E’ chiaro che questa fuga in Egitto è il contrario della fuga dall’Egitto.
            Si sta inaugurando il nuovo esodo. Gli ebrei erano stati liberati con mano potente fuggendo dalla schiavitù per diventare liberi e qui l’ultimo dei giusti, l’ultimo dei sognatori, il nuovo Giuseppe, torna in Egitto, fugge in Egitto. Tutti, credo, abbiamo in testa l’idea della fuga in Egitto associata soprattutto a dei quadri  perché è un evento che si prestava bene ed è molto rappresentato,  ma forse non abbiamo mai realizzato il perché di questa espressione.
            Che cosa mette in movimento questa fuga in Egitto rispetto alla fuga dall’Egitto? Tornano per ritornare schiavi? E’ questo che Matteo sta dicendo ai suoi uditori? No. Ma la terra della libertà si è trasformata in terra della schiavitù? La Galilea e la Giudea, che erano le terre della libertà, sono diventate talmente invivibili da dover tornare nella terra della schiavitù come una terra della libertà? Con tutte queste domande voglio dire che schiavitù e libertà non si legano al luogo. Non è che se una volta abbiamo viaggiato dalla schiavitù alla libertà, poi siamo arrivati. La terra della libertà può tornare ad essere la terra della schiavitù. I viaggi non sono unidirezionali. E’ come se qui ci venisse detto  – altro elemento che fa fiorire ciò che è umano in un viaggio – si viaggia per arrivare, ma non si arriva. Noi viaggiamo verso una meta, con un progetto, ma non c’è una meta, la meta siamo noi, la meta è la nostra vita. La terra della libertà è sempre sotto la minaccia di diventare terra della schiavitù.
            Infatti, affinché gli ascoltatori avessero chiaro ciò che stavano ascoltando, Matteo cita un versetto di Osea, “Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio”, che era sempre stato legato alla liberazione che gli ebrei avevano avuto al tempo dell’Esodo. E Matteo fa questo salto mortale doppio, avanti e indietro, tra terra della libertà e terra della schiavitù.
            Spesso mi domando se mi ricordo di viaggiare sempre verso la terra della libertà. Essere adulti liberi non è facile. Paradossalmente è più facile essere ragazzi, adolescenti liberi, perché si è ancora accumulato poco. Le nostre vite funzionano come le nostre case: se uno fa trasloco dopo un anno che sta in una casa, tutto sommato non ha grossi problemi, ma dopo trent’anni viene fuori di tutto, perché siamo degli accumulatori inguaribili. Anche quelli che buttano via di più, accumulano   Le nostre vite funzionano allo stesso modo. Gli anni  che passano non portano solo sapienza, – questa sì, si spera! – ma portano anche accumulazione. Abbiamo di più da cui separarci. Guadagnarsi la propria libertà, man mano che gli anni passano, non è più così banale.
            IL VIAGGIO MANCATO
            Ai due viaggi segue il racconto dell’effetto del mancato viaggio di Erode. Di per sé doveva venire subito dopo il racconto sui Magi, ma i due viaggi sono il lontano e il vicino che rispondono al segno e al sogno, viaggiando; ed Erode, l’unico che non risponde al segno, viaggiando, manda ad uccidere tutti i bambini E’ l’immagine più orrenda che per una cultura come la nostra si possa avere: siamo in grado di tollerare molta brutalità, ma non quella nei confronti dei bambini.
            “Un grido è stato udito a Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata”.
            E’ riportato il versetto di Geremia, dopo il racconto della morte dei bambini. Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata perché non sono più. Questa espressione “Non vuole essere consolata”  esprime  una durezza incredibile
            Il versetto seguente inizia dicendo – non sappiamo quanto tempo è passato, certo molto –:             “Morto Erode, – che aveva creduto di fermare i viaggi – un angelo del Signore apparve a Giuseppe in Egitto e gli disse: ‘Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nel paese d’Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino”.
            E  ricomincia un viaggio. Si ritorna dall’Egitto e non solo. Si viaggia ancora tra Giudea e Galilea. In Giudea c’era Archelao, meglio spostarsi. E si va a Nazareth. E comincia l’ennesimo grande viaggio…
            Questo testo comunica molte cose; mette in evidenza piccoli segnali propri di ciò che ci riguarda tutti: come l’inaudito può uscire da ciò che tutti ci riguarda, come funzionano i viaggi, come il risultato di un viaggio fatto bene è una domanda e come il turbamento che rifiuta un viaggio produce dolore innocente. Mi sembrano segnali importanti su cui ragionare!
            DOMANDA: COME MAI I MAGI PROVANO GIOIA PER LA STELLA E NON PER IL BAMBINO CHE TROVANO?
            Risposta: Forse bisognerebbe scavare un po’ di più nel testo greco, ma la riflessione mia è che veramente il viaggio dei Magi è un viaggio libero, e la loro gioia è per ciò che li conduce nel viaggio, non per la meta. E’ per la luce che hanno per viaggiare, per l’essere accompagnati nel viaggio. Peraltro io credo che ciascuno di noi, avendo superato l’adolescenza, sappia abbastanza bene che nella propria vita uno si sbaglia tanto, e spesso pensando che sarà contento ‘quando’ avrà risolto una questione, ‘quando’ sarà riuscito a fare una determinata cosa, ma non è mai vero. In realtà le gioie profonde ci sono date da chi ci accompagna nel quotidiano, prima di quel ‘quando’, e in chi è fedele al nostro viaggio, fa il tifo per il nostro viaggio mentre viaggiamo, mentre siamo troppo stanchi, mentre non abbiamo tanto tempo, mentre siamo confusi, e non tanto da coloro che sono disponibili ad incontrarci e a condividere qualcosa con noi solo quando questo ‘quando’ si è realizzato. Quello che davvero conta è la strada fatta insieme, ma non in modo poetico; proprio nei giorni concreti, quando eri confuso, non avevi le idee chiare, non sapevi ancora bene cosa sarebbe successo, quando eri molto allegro per qualcosa che ti era capitato. Chi è solo in grado di stare con te nel giorno in cui sei arrivato, non è quello che fa la differenza, perché ci rimane il dubbio che sia amato il nostro risultato e non noi.

Fossano 18 febbraio 2006
 (Testo non rivisto dall’autore)                                                                            

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