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Jesus preaching in Synagogue – vangelo di domenica prossima

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LIBRO DEL PROFETA NEEEMIA

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PICCOLO COMMENTARIO DELL’ANTICO TESTAMENTO

NEEMIA

JEAN KOECHLIN

Indice:
 Neemia 1    Neemia 2    Neemia 3    Neemia 4    Neemia 5    Neemia 6    Neemia 7    Neemia 8    Neemia 9    Neemia 10    Neemia 11    Neemia 12    Neemia 13

Neemia

Capitolo 1, versetti da 1 a 11

Storicamente il libro di Neemia è l’ultimo colpo d’occhio che l’Antico Testamento ci permette di gettare sul popolo d’Israele. Gli avvenimenti che riferisce cominciano circa trent’anni dopo quelli che il libro d’Ester riferisce e tredici anni dopo il ritorno di Esdra. I suoi insegnamenti sono dunque particolarmente appropriati a noi cristiani «che ci troviamo agli ultimi termini dei tempi» (1 Corinzi 10:11).
Povero popolo! Si trova in «gran miseria e nell’obbrobrio», secondo quel che raccontano alcuni viaggiatori (vers. 3). Ma Dio ha preparato qualcuno che si prenderà a cuore questo stato. È Neemia! Quest’uomo è sensibile alle sofferenze e all’umiliazione degli scampati, superstiti della cattività e confessa dinanzi all’Eterno i peccati che ne sono la causa. Così aveva fatto Esdra (cap. 9). Dio sceglie sempre gli strumenti delle sue liberazioni fra quelli che amano il suo popolo.
Ma dirigiamo i nostri sguardi su uno più grande di Neemia. Chi ha preso in cuore la condizione disperata d’Israele e dell’uomo in generale, se non il Figlio di Dio stesso? Egli investigava a fondo il nostro misero stato, quell’abisso di male ove eravamo immersi. Ed Egli venne per strapparci di là.

Capitolo 2, versetti da 1 a 8
Mentre i figli di Giuda erano nella miseria e nell’obbrobrio, Neemia occupava alla corte un posto dei più onorevoli: quello di coppiere del re. Avrebbe potuto, egoisticamente, conservare quel posto vantaggioso. Ovvero giustificarlo pensando: Poiché ho la fiducia del re, restando presso di lui sarò più utile al mio popolo. Dio mi ha posto qui a questo scopo.
Ma Neemia non ragiona così. Il suo cuore, come un tempo quello di Mosè, lo conduce a visitare i suoi fratelli, i figli d’Israele (Atti 7:23). E, piuttosto di godere per breve tempo i piaceri del palazzo reale, sceglie «d’essere maltrattato col popolo di Dio» (Ebrei 11:25).
Notate che il suo abboccamento con Artaserse è non soltanto preceduto (cap. 1:4), ma anche accompagnato dalla preghiera (vers. 5). Fra la domanda del re e la propria risposta, Neemia trova il tempo di rivolgersi a Dio nel cuore. Si è chiamato questa una «preghiera-freccia». Imitiamo più sovente quest’esempio! E vedremo, come questo servitore (servitore dell’Eterno prima d’esserlo del re), la buona mano di Dio riposare su noi e su quel che faremo.

Capitolo 2, versetti da 9 a 20
Neemia è arrivato a Gerusalemme munito delle lettere del re. Comincia col fare l’ispezione delle mura, o piuttosto di quel che ne rimane. Il fratello suo gliene aveva parlato (cap. 1:3), ma desidera rendersi conto da sé dell’estensione dei guasti. Grande è la sua costernazione dinanzi a quello spettacolo, a cui gli abitanti di Gerusalemme, da parte loro, si erano abituati! Anche noi, cristiani, siamo certamente in pericolo di non più soffrire dello stato di rovina in cui si trova oggi la Chiesa responsabile. Nessun muro la protegge più contro l’invasione del mondo. E un tale stato è perfettamente ciò che i suoi nemici desiderano.
Al tempo di Zorobabel e d’Esdra, questi nemici si chiamavano per Israele: Bishlam, Tabeel… poi Tattenai, Scethar-Boznai e i loro colleghi. Sotto Neemia si tratta di Samballat, di Tobia e di Ghescem. Il diavolo si serve di strumenti diversi. Egli rinnova di tanto in tanto il suo «personale». Ma il suo scopo è sempre il medesimo: Mantenere il popolo di Dio nell’abbassamento e nella servitù.
Neemia sa come fare per esortare gli uomini di Gerusalemme. Il suo nome significa: l’Eterno ha consolato. Egli ottiene questa risposta gioiosa e incoraggiante: «Leviamoci e mettiamoci a costruire» (vers. 18).

Capitolo 3, versetti da 1 a 15
Al contrario dell’ordine normale, la ricostruzione di Gerusalemme ha cominciato dall’altare, poi dal tempio (Esdra 3) ed è soltanto dopo questo che le mura della città sono riedificate. L’altare e il santuario ci parlano del culto che, evidentemente è la prima responsabilità del popolo di Dio. Ma noi non siamo soltanto dei cristiani della domenica. Anche il resto della città, che si riferisce alla vita quotidiana nelle nostre case e nelle nostre circostanze di ogni giorno, deve ugualmente essere protetto contro i nemici e separato arditamente dal mondo circostante. Ad ognuno spetta di vegliarvi e in particolare di costruire dirimpetto alla propria casa (vers. 10, 28, 30).
Sotto l’impulso di Neemia, tutto Giuda s’è messo all’opera. E questo capitolo ci fa fare il giro della città per presentarci in atto i vari gruppi di lavoratori. Ognuno ha intrapreso, chi la propria porta, chi la propria torre, chi la propria parte di muro, in proporzione delle forze che ha e soprattutto della propria devozione. Ma mentre alcuni hanno abbastanza zelo per restaurare una parte doppia (vers. 11, 19, 24, 27, 30), altri — fra cui i principali — rifiutano di piegare il loro collo al servizio del loro Signore (parag. Matteo 20:27-28). Triste testimonianza, non è vero?

Capitolo 3, versetti da 16 a 32
Dal vers. 16 si tratta della parte di muro che proteggeva la città di Davide e il cortile del tempio.
Siamo stupiti di venire a conoscenza che Eliascib, il sommo sacerdote non ha restaurato dirimpetto alla propria casa (parag. 1 Timoteo 3:5). Altri han dovuto farlo in vece sua (vers. 20-21). Seconda negligenza colpevole: costruendo la porta delle Pecore, lui ed i suoi fratelli, come cattivi pastori, avevano omesso di munirla di serrature e di sbarre (vers. 1). Era lasciare ai ladri e ai marioli il mezzo di introdursi per impadronirsi delle «pecore» di Israele (vedere Giovanni 10:8,10).
Degli orefici, dei profumieri, dei commercianti (vers. 8 e 32) si sono improvvisati muratori. Uno dei capi, Shallum (vers. 12), lavorò alle riparazioni con le sue figlie. Con questi esempi Dio ci insegna che possiamo lavorare all’opera Sua a qualsiasi età, qualunque sia il nostro sesso o la nostra professione. Notiamo pure che parecchi di questi uomini, o i padri loro, si erano compromessi al tempo di Esdra nella triste unione con le donne straniere. Tale era il caso di Baruc figlio di Zabbai, di Malkia, di Benaia, figli di Parosh (Esdra 10:25,28). È bello vedere ora la loro premura per proteggere Gerusalemme precisamente contro le influenze straniere.

Capitolo 4, versetti da 1 a 14
Durante la riparazione delle mura, l’ira dei nemici si scaglia contro Giuda. Samballat, il loro portavoce, esprime beffeggiando il suo disprezzo più profondo. Le beffe! noi vi siamo particolarmente sensibili. Il mondo non manca di beffarsi della separazione dei cristiani, della debolezza del loro radunamento… Non lasciamoci turbare dalle sue riflessioni. «Noi dunque riedificammo…», conclude Neemia! (vers. 6).
Allora il nemico passa alla guerra aperta. E lo scoraggiamento minaccia gli uomini di Giuda. Guardano alla loro debolezza (vers. 10). Equivale ad esser d’accordo col nemico che aveva sprezzato «quegli spossati Giudei» (vers. 2). Essi considerano i pesi dei carichi, il volume delle macerie… Ma vi sono quelli che, insieme a Neemia, conoscono la doppia risorsa (vers. 9). Essa è ad un tempo un ordine del Signore: «Vegliate e pregate…» (Matteo 26:41; 1 Pietro 4:7). La preghiera deve essere la nostra prima risposta agli sforzi dell’Avversario. Però non dispensa dalla vigilanza. Perciò Neemia prende varie disposizioni per assicurare la sorveglianza e la custodia del popolo durante la fine del lavoro.

Capitolo 4, versetti da 15 a 23
Capitolo 5, versetti da 1 a 5
Alle difficoltà e alla fatica della costruzione si aggiungono, alla fine del cap. 4, quelle del combattimento. Infatti il credente non è soltanto operaio, è anche soldato. Assomiglia al milite di Neemia, che tiene con una mano il suo arnese e con l’altra la sua arma (che è la Parola di Dio: Efesini 6:17). Non ha il diritto di deporre né l’uno né l’altra.
Dopo il bello zelo a cui abbiamo assistito, il capitolo 5 ci reca una penosa sorpresa. Quei «superstiti della cattività», che, prima della venuta di Neemia, erano in gran miseria (cap. 1:3), si trovano ora in una situazione anche peggiore. Hanno dovuto impegnare ciò che possedevano, e talvolta sottoporre i loro figli alla schiavitù, per pagare le imposte e non morir di fame. Per di più, quelli che li hanno ridotti in quello stato non sono dei nemici. Sono i loro propri fratelli, che hanno in tal modo trasgredito la legge (Esodo 22:25); Levitico 25:39 a 43; Deuteronomio 15:11; 23:19-20).
A che punto siamo, miei cari amici, per ciò che riguarda l’amor fraterno? Senza di esso il più bel servizio cristiano non ha valore (1 Corinzi 13:1 a 3). Realizziamo quel che dice l’apostolo Giacomo (cap. 2:15-16). Sì, esaminiamo bene il nostro cuore a questo riguardo, e anche il nostro comportamento!

Capitolo 5, versetti da 6 a 19
«Indignato forte», Neemia raduna i notabili ed i magistrati davanti al resto del popolo per rivolger loro i rimproveri che meritano! I colpevoli si sottomettono. Non semplicemente perché Neemia è il governatore, ma perché egli stesso dà l’esempio del disinteressato! Egli ha rinunziato ai diritti personali che gli dava la sua posizione, e questo gli permette di chiedere ai capi di agire nello stesso modo. L’esempio è la regola d’oro per ottenere qualunque cosa dagli altri. L’apostolo Paolo s’è sempre proposto di poter servire di modello ai credenti che egli ammaestrava (Atti 20:35; 1 Corinzi 4:11,16; 10:32-33…). Ma soprattutto consideriamo il divino Maestro. Egli diceva ai suoi discepoli: «Io v’ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come v’ho fatto io» (Giovanni 13:15). Ma nello stesso tempo li metteva in guardia contro gli scribi e i farisei: «Fate dunque ed osservate tutte le cose che vi diranno, ma non fate secondo le opere loro; perché dicono e non fanno..» (Matteo 23:3). Le moltitudini notavano la differenza: Gesù «le ammaestrava come avendo autorità, e non come i loro scribi» (Matteo 7:29).

Capitolo 6, versetti da 1 a 14
I loro cattivi esiti precedenti non hanno scoraggiato Samballat, Tobia e Ghescem. Essi fanno a Neemia una proposta ipocrita: «Vieni e troviamoci assieme…» La valle di Ono (ossia degli artigiani: cap. 11:35), fissata come luogo di incontro, suggerisce una collaborazione con i nemici del popolo di Dio. Ma l’offerta è respinta, nonostante le minacce che l’accompagnano per la quinta volta. Allora un altro laccio è teso per l’intermediario d’un giudeo, Scemaia. Con una falsa profezia, questo agente del nemico cerca di indurre Neemia (che non era sacerdote) a disobbedire all’Eterno cercando asilo nel Tempio (vedere 2 Corinzi 11:13 e 1 Giovanni 4:1). Nello stesso modo hanno agito i Farisei col Signore Gesù. «Parti e vattene di qui — Gli dicono — perché Erode ti vuol far morire» (Luca 13:31). Essi, avendo Satana dietro a loro, cercavano di spaventare, e far deviare dal sentiero della fede, Colui che «si era messo risolutamente in via per andare a Gerusalemme» (Luca 9:51). La doppia offensiva, sventata dal fedele Neemia, mette il cristiano in guardia contro due pericoli opposti:
Allargare il sentiero, lavorando in collaborazione con quelli che non sono sottomessi alla Parola.
Rinchiudersi in un settarismo orgoglioso ed egoista.

Capitolo 6, versetti da 15 a 19
Capitolo 7, versetti da 1 a 7
Son bastati cinquantadue giorni agli uomini di Giuda per colmare le brecce e ricostruire le mura. La maggior parte di loro erano inesperti nel maneggio della cazzuola e della zappa. Ma avevano zelo, e gran cuore per il lavoro (cap. 3:20; 4:6). Agli occhi del Signore, la devozione dei suoi operai ha più valore delle loro capacità. D’altronde, Egli dà precisamente queste capacità a quelli che hanno della devozione e si confidano in Lui.
Gli sforzi di Tobia per intimidire Neemia, e l’appoggio che questo nefasto personaggio trova in alcuni notabili di Giuda, sono le ultime manifestazioni d’ostilità dei nemici. Gerusalemme con le sue mura ricostruite appare ormai alle nazioni circonvicine, «edificata come una città ben compatta» (Salmo 122:3). Però bisogna assicurarne la sorveglianza. Neemia s’occupa delle porte, e anche di stabilire dei guardiani (vedere Isaia 62:6 e 7). Si attribuiscono altre funzioni, comprese quelle dei due governatori della città (vers. 1. 2). L’uno e l’altro hanno meritato quest’incarico: Hanani, per il suo interessamento per il popolo (cap. 1:2), Hanania, per fedeltà e timor di Dio (vers. 2).

Capitolo 7, versetti da 61 a 73
Dio ha messo in cuore a Neemia di fare il censimento del popolo. E si è servito per questo del registro genealogico stabilito al tempo del primo ritorno a Gerusalemme. I vers. 6 a 73 riproducono press’a poco il cap. 2 del libro di Esdra. Vi ritroviamo per esempio la discendenza di quest’uomo «che aveva sposato una delle figliuole di Barzillai, il Galaadita, e fu chiamato col nome loro» (vers. 63). Barzillai era quel vecchio ricco e considerato che aveva fornito i viveri al re Davide a Mahanaim (2 Samuele 19:32). Qui siamo informati che suo genero, benché sacerdote, aveva dianzi rinunziato al proprio nome. Si era fatto chiamare con quello del suocero che lo metteva in maggior evidenza. Quali ne sono state le disastrose conseguenze? I suoi discendenti sono esclusi come profani dalle cariche del sacerdozio! Guardiamoci, per tema di perdere considerazione, di abbandonare i nostri privilegi cristiani! Vi è forse maggior dignità e nobiltà che appartenere alla famiglia di Dio, al «sacerdozio regale»?
Questo censimento del popolo sottolinea il contrasto con i giorni di Davide! La sola tribù di Giuda contava allora 470’000 uomini di guerra; dieci volte più numerosa. Ma quel che vale, non è la potenza; è la fedeltà.

Capitolo 8, versetti da 1 a 12
Per la bella scena di questo capitolo, Neemia ha ceduto il posto principale a Esdra, il sacerdote. Sappiamo che questi era uno «scriba versato nella legge di Mosè» e che aveva da molto tempo «applicato il cuore… ad insegnare in Israele le leggi e le prescrizioni divine» (Esdra 7:6 e 10). Felice desiderio che, alla richiesta del popolo, trova occasione per realizzarsi! Si tratta della lettura distinta e della spiegazione della Parola di Dio.
Aprendola, Esdra benedice l’Eterno che ha dato questa Parola, proprio come oggi si rende grazie quando la Bibbia è letta e meditata in un’assemblea. Riguardo agli assistenti, non basta aver intelligenza (vers. 3); occorre anche che essi tendano le orecchie (fine vers. 3). Lo facciamo noi sempre durante le riunioni o la lettura in famiglia? Capire la Parola è il mezzo per essere nutriti e rallegrati dalla comunione col Signore (vers. 12). Ma dobbiamo pensare anche a «mandar porzioni ai poveri», cioè fare approfittare gli assenti di quel che ha fatto bene a noi.
Infine quel magnifico versetto: «Il gaudio dell’Eterno è la vostra forza» (fine del vers. 10). E soprattutto facciamone l’esperienza!

Capitolo 8, versetti da 13 a 18
Capitolo 9, versetti da 1 a 4
«Così è della mia parola, uscita dalla mia bocca; essa non torna a me a vuoto…» — dice l’Eterno (Isaia 55:11). E questa promessa si realizza qui. Secondo l’insegnamento divino, il popolo, sotto la condotta dei suoi capi, celebra i Tabernacoli con più magnificenza che ai giorni più belli di Salomone. Per noi cristiani, la rovina attuale deve anche farci realizzare più che mai il nostro carattere di forestieri (l’abitazione sotto tende) e dirigere i nostri pensieri sulle gioie del regno futuro (i Tabernacoli).
Al principio del. cap. 9 la scena cambia. I figli d’Israele si radunano di nuovo in un giorno fissato. Questa volta lo scopo del radunamento è la confessione dei loro peccati. Vi sono forse anche nella nostra vita di credenti dei momenti particolari in cui dobbiamo fare il bilancio dei nostri falli e umiliarcene? Alcuni pensano che si debba regolare questo ogni sabato sera; altri, alla fine di ogni giornata. Non hanno ragione né gli uni, né gli altri. Il giudicio di sé è un’azione continua. Dobbiamo praticarlo ogni volta che lo Spirito Santo ci ha resi coscienti d’un peccato.

Capitolo 9, versetti da 5 a 15
Alcuni Leviti, di cui abbiamo i nomi, invitano il popolo ad alzarsi per benedire l’Eterno. E Gli rivolgono, a nome di tutta l’assemblea, la lunga preghiera che occupa il resto del capitolo. Risalendo alla creazione, celebrano l’adempimento dei consigli di Dio: la chiamata d’Abrahamo (il cui cuore fu trovato fedele) la liberazione dall’Egitto, il mar Rosso, le cure pazienti lungo tutto il tragitto nel deserto con il dono della legge, poi l’entrata nel paese.
Se apparteniamo al Signore, potremo stendere una lista altrettanto lunga e che non sarà meno meravigliosa! Poiché comincerà nel modo seguente: «Tu hai dato per amor mio il tuo Figlio». Ripassiamo sovente nei nostri cuori ciò che la grazia ha fatto per noi. Ed esercitiamoci a scoprire dei motivi sempre più numerosi di riconoscenza, che saranno altrettanti nuovi legami d’amore col nostro Padre celeste e col Signore Gesù. Come Davide esortiamo l’anima nostra a benedire l’Eterno e a non dimenticare «nessuno dei Suoi benefizî» (Salmo 103:2). Ma veramente questi benefizi sono innumerevoli! (vedere Salmo 139:17- 18).

Capitolo 9, versetti da 16 a 27
Dopo aver, come questi Leviti, tracciato a lungo la storia della grazia di Dio verso Israele, Stefano, nel cap. 7 degli Atti, continua il suo discorso nello stesso modo: «Gente di collo duro,… voi contrastate sempre allo Spirito Santo…» (vers. 51). Il collo duro, la nuca che non vuol piegarsi per sottomettersi al giogo del Signore, non caratterizza unicamente il popolo d’Israele, e neppure soltanto gl’inconvertiti! Abbiamo tutti in noi questa natura volontaria, indomita. Ogni cristiano, senza eccezione, la conosce purtroppo. E gli è impossibile venirne a capo con i propri sforzi. Ma conosce ognuno ad un tempo la liberazione che Dio gli concede? Poiché alla croce, ha messo a morte questa volontà ribelle ed irriducibile, Egli ci ha dato in sua vece la natura obbediente di Gesù. La vecchia natura è sempre in noi, con i suoi desideri, ma non ha più il diritto di dirigerci.
Come risaltano di più tutti quei peccati d’Israele quando sono messi, come qui, in contrasto con la grazia divina! Raddoppiano, per così dire, d’ingratitudine (vedere Deuteronomio 32:5-6). E non è forse anche il caso di tanti giovani e giovanette allevati da genitori credenti?

Capitolo 9, versetti da 28 a 38
Al vers. 33 abbiamo il riassunto di tutto questo capitolo: «Tu sei stato giusto in tutto quello che ci è avvenuto, poiché tu hai agito fedelmente, mentre noi ci siamo condotti empiamente». Accostiamo questo a quella parola dell’Evangelo di Giovanni: «Chi ha ricevuto la Sua (di Gesù) testimonianza ha suggellato che Dio è verace» (Giovanni 3:33; vedere anche Romani 3:4). Suggellare, vuol dire approvare formalmente una dichiarazione, garantirla e impegnarsi a rispettarla. I principi, i Leviti ed i sacerdoti appongono così i loro sigilli (cioè le loro firme), per confermare il loro accordo.
Al termine di questa lunga confessione, riteniamo anche due insegnamenti molto importanti: In primo luogo, è necessario risalire quant’è possibile alle origini d’un male, con un completo dietro front. La violazione della legge è incominciata con l’affare del vitello d’oro; ebbene, questa non può passare sotto silenzio (vers. 18)! Poi, una confessione deve essere precisa: Dire a Dio in modo generale: Io sono un peccatore; ho commesso dei peccati — costa ben poco, e non ha valore ai suoi occhi. Egli aspetta che Gli diciamo: Signore, io sono questo colpevole. Ho fatto quest’atto e quello ancora (vedere Levitico 5:5).

Capitolo 10, versetti da 28 a 39
Gli uomini nominati al principio del capitolo sono quelli che hanno apposto il loro sigillo al patto dell’Eterno. Sapete voi che Dio ha ugualmente il suo sigillo? Lo Spirito Santo è, sopra ogni riscattato, il segno di proprietà per mezzo del quale Dio lo riconosce e dichiara: Ecco qualcuno che mi appartiene (Efesini 1:13 e 4:30). Può Egli riconoscervi in questo modo? Ma, mentre i loro sigilli non potevano dare ai compagni di Neemia la forza di compiere ciò a cui s’impegnavano, lo Spirito Santo invece è ad un tempo il sigillo, la potenza per cui il cristiano agisce secondo la volontà divina (Efesini 3:16).
Tutto il popolo si è associato d’un medesimo cuore ai suoi conduttori. La conoscenza della legge, acquistata a nuovo, non resta teoria per loro. Li conduce successivamente alla purificazione, al rispetto del sabato e dell’anno di riposo della terra; poi al servizio della casa e all’osservanza delle istruzioni concernenti le primizie e le decime. «Se sapete queste cose, siete beati se le fate», diceva il Signore Gesù (Giovanni 13:17).

Capitolo 11, versetti da 1 e 2
Capitolo 12, versetti da 22 a 30
Erano ben poco numerosi i rimpatriati da Babilonia in paragone a quelli che abitavano nel paese prima della deportazione. Gerusalemme, con le sue mura ricostruite sulle loro antiche basi, non contava che un infimo numero di cittadini: fra altri quelli che avevano riparato le mura dirimpetto alla loro casa! Si decide di fare appello a dei volontari di Giuda e di Beniamino per venire a ripopolare la città. Sono riferiti i loro nomi. Dio infatti onora quelli che, rinunziando ai loro campi e alle loro case, vengono per amore a dimorare presso il Suo santuario.
Son fatte delle promesse a riguardo della Gerusalemme del regno di mille anni (Zaccaria 2:4; Isaia 33:20; 60:4 e 15). — Ma delle promesse più belle ancora concernono la santa Città, la Gerusalemme celeste. Dio, che l’ha «preparata» per Cristo (Apocalisse 21:2), l’ha pure «preparata» per quelli che Gli appartengono ed hanno rinunziato a possedere quaggiù una città permanente (Ebrei 11:16). Questa meravigliosa Città non è fatta per rimanere vuota. Dio stesso vi abiterà in mezzo ai suoi. Tuttavia vi si penetra ad una condizione: Bisogna aver «lavato le proprie vesti» per fede nel sangue dell’Agnello (Apocalisse 22:14). L’avete fatto?

Capitolo 12, versetti da 31 a 47
La cerimonia della dedicazione delle mura, che comincia al vers. 27, si svolge fra una grande allegrezza. Due cortei formati di cantori e accompagnati da trombe partono insieme sul sentiero di ronda, ognuno dal proprio lato. Uno è condotto da Esdra, mentre Neemia chiude la marcia del secondo. Le due processioni si incontrano in prossimità del Tempio dopo aver compiuto ognuno la metà del giro della città. Hanno realizzato la parola del bel salmo 48: «Circuite Sion, giratele attorno; contatene le torri… osservatene i bastioni…» (Salmo 48:12-13).
Giunti alla casa dell’Eterno, i due cori riuniti «fecero risonar forte le loro voci» e «numerosi sacrifizi» sono offerti fra la gioia generale. Il vers. 43 ci insegna tre cose a proposito di questa gioia:
1. Anzitutto che essa ha la sua sorgente in Dio: «Iddio aveva loro concesso una grande gioia.»
2. Poi, che tutti vi partecipano, compresi i fanciulli. Ciò che forma la gioia dei genitori, forma anche quella dei figli?
3. Infine, che questa gioia «si sentiva di lontano». Il mondo che ci attornia può forse vedere e udire che siamo delle persone il cui cuore è ripieno d’una gioia divina?

Capitolo 13, versetti da 1 a 14
Neemia era stato obbligato di ritornare dal re. Approfittando della sua assenza, Tobia, il nemico ben conosciuto, era pervenuto a farsi attribuire una delle camere contigue alla casa dell’Eterno, grazie alla complicità d’un sacerdote, quel tale Eliascib che si era già dimostrato tanto negligente al tempo della costruzione delle mura. Ahimè! i portinai, gli uomini che al capitolo precedente erano stati «preposti… alle stanze che servivano da magazzini delle offerte», non avevano dal canto loro osservato ciò che si riferiva al servizio del loro Dio (cap. 12:45).
Indignato, Neemia fa gettare fuori dalla camera tutte le masserizie appartenenti a Tobia. Poi fa purificare le camere e rimettere a posto gli utensili e le offerte. L’affezione di questo uomo di Dio per la casa dell’Eterno e lo zelo che pone a sbarazzarla da ogni contaminazione, ci fa pensare a Gesù, quando caccia dal tempio quelli che avevano fatto, d’una casa di preghiera, una spelonca di ladroni (Matteo 21:12- 13).
Questa prima negligenza ne aveva trascinate altre, e Neemia deve anche occuparsi delle porzioni dovute ai Leviti come pure della sorveglianza e della ripartizione delle decime recate dal popolo.

Capitolo 13, versetti da 15 a 31
Nonostante l’impegno preso dal popolo (cap. 10:31), neppure il riposo del sabato era stato rispettato. Neemia energicamente prende le misure necessarie per rimediare a questa situazione.
Non dovremmo noi, cari figli di Dio, attribuire almeno altrettanta importanza al giorno del Signore quanto Israele al suo sabato? Certamente noi non siamo più sotto la legge. Ma è triste che la domenica sia considerata, da certi cristiani, come un semplice giorno di riposo o di agio; ovvero che sia impiegata ad un compito scolastico che avrebbe potuto essere terminato alla vigilia!
A che cosa ci fan pensare quelle porte che bisognava chiudere durante la notte, per la protezione contro i pericoli del mondo? Non è forse una volta ancora alla santa Città di cui è detto: «E le sue porte non saranno mai chiuse di giorno (la notte quivi non sarà più)… E niente d’immondo e nessuno che commetta abominazione o falsità v’entreranno» (Apocalisse 21:25,27).
Il sipario della storia cade ora su Israele. Esso non si alzerà che quattro secoli dopo (esattamente quattrocento quarant’anni) sul suo Liberatore e Messia, alla prima pagina del Nuovo Testamento.

OMELIA III DOMENICA DEL T.O. (27-01-2013): LA DOMENICA, FESTA DEGLI AMICI DI DIO

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/27444.html

OMELIA III DOMENICA DEL T.O. (27-01-2013)

MONS. ROBERTO BRUNELLI

LA DOMENICA, FESTA DEGLI AMICI DI DIO

Gerusalemme, anno 444 a.C.: avviata la faticosa ripresa della vita in patria da parte dei tornati dalla deportazione in Babilonia, il sacerdote Esdra e il governatore Neemia convocano l’assemblea del popolo, per rinverdire la fede comune alla luce della Parola di Dio. Comincia Esdra, che benedice il Signore, e tutti approvano rispondendo Amen; poi i leviti leggono il libro sacro a brani distinti spiegandone il senso. Tutti si commuovono sino alle lacrime: a confronto con la divina Parola, costatano di non averla osservata e si pentono. Conclude Neemia, invitando tutti a rallegrarsi con un buon banchetto e donare cibo a chi non ne ha, « perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza ».
Questo riferisce la prima lettura (Neemia 8,2-10), precorrendo lo schema delle nostre domeniche. Riuniti in assemblea per la Messa, i cristiani lodano Dio (in particolare col ?Gloria’ e gli ?Amen’ di consenso), ascoltano le letture con la relativa spiegazione; la confrontano con la propria vita, disposti se occorre a cambiarla; e poi fanno festa, a cominciare già nella stessa Messa con il banchetto eucaristico, senza dimenticare chi non ha. Riflessione, festa e carità: ecco la domenica, ecco come accogliere la vera gioia che solo Dio può dare. Si capisce perché i primi cristiani solevano dire: senza la domenica non possiamo vivere!
La scelta di questo passo dell’Antico Testamento è dipesa, come sempre, dal suo collegamento con il vangelo, che oggi si compone di due brani distinti. Il primo (Luca 1,1-4) è l’esordio del vangelo prevalente quest’anno: Luca, prima di mettersi a riferire della vita terrena di Gesù, si cura di precisare che quanto scrive non è frutto di fantasia ma di « ricerche accurate su ogni circostanza ». Segue la dedica e lo scopo del suo scritto: « Per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto ». Chi sia questo Teòfilo non si sa; ma considerando il suo nome (che significa « amico di Dio ») è verosimile indichi chiunque voglia essere appunto amico di Dio e perciò si preoccupi di conoscerlo meglio, per dare fondamento alla fede che professa.
Il secondo brano (Luca 4,14-21) riguarda quanto accadde la prima volta che Gesù, dopo cominciata la sua vita pubblica, tornò a « Nazaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere ». Scelse dal libro di Isaia un passo che i presenti conoscevano bene, uno dei principali sui quali basavano la loro attesa del Messia: « Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore ». A quell’ennesima lettura del profeta i presenti si saranno aspettati un commento simile ad altri già sentiti: il nostro Dio non ci ha dimenticato, secondo la sua promessa manderà il suo Inviato, del quale dobbiamo restare in fiduciosa attesa. E invece, mentre « nella sinagoga gli occhi di tutti erano fissi su di lui », il commento di Gesù risuonò come una bomba. Disse infatti: « Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato »; vale a dire: la profezia sul Messia si realizza oggi, adesso, perché il Messia annunciato sono io!
Gli abitanti di Nazaret, lo sentiremo domenica prossima, non gli credettero. Quelli che nei secoli gli credettero, quelli che tuttora lo riconoscono, prendono nome da lui (il termine ebraico Messia è, alla greca, Cristo, donde il nome dei cristiani) e, per riprendere quanto detto sopra, manifestano la loro fede in particolare la domenica, ascoltando la sua Parola, nutrendosi di lui, e traducendo nella propria vita il suo insegnamento e il suo esempio. Con gioia.

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San Paolo Apostolo

San Paolo Apostolo dans immagini sacre saint-paul-the-apostle-08

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Publié dans:immagini sacre |on 24 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

VIAGGI DI SAN PAOLO IN GRECIA – ASPETTI ARCHEOLOGICI – PARTE I

Ihttp://www.instoria.it/home/viaggi_san_paolo_grecia_I.htm

(la seconda parte domani, ci sono delle citazioni, credo in greco traslitterato – se le lasciavano in orginale forse era più semplice – io non le leggo, però lo studio è interessante)

 VIAGGI DI SAN PAOLO IN GRECIA

ASPETTI ARCHEOLOGICI – PARTE I

di Maria Cristina Ricci

La cronologia relativa a San Paolo è stata oggetto di svariati studi, ed ancora oggi gli esegeti non sono del tutto concordi; nel testo è stata seguita la datazione proposta da R. Fabris, che colloca il secondo viaggio missionario di San Paolo negli anni 50-52 d.C.; A. Penna propone una cronologia compresa tra gli anni 50-53 d.C., mentre M. Adinolfi tra il 49 ed il 52 d.C. Il viaggio si svolse per terra e per mare.
Tra le strade percorse da Paolo va ricordata la via Egnazia. Costruita con chiari intenti militari, da Apollonia-Dyrrachion attraversava i Balcani, toccando in Macedonia Eraclea, Edessa, Pella, quindi i centri interessati dal viaggio di san Paolo, da Tessalonica a Neapoli. Superata la Tracia, la strada giungeva fino all’Ellesponto e a Bisanzio. La sua cronologia è ancora motivo di discussione: F.W. Walbank ritiene possibile che la strada sia stata costruita qualche anno dopo la riduzione a provincia della Macedonia (146 a.C.).
Al contrario G. Molisani tende ad alzare la cronologia agli anni immediatamente successivi al 168 a.C., quando i Romani sconfissero Perseo, in base a due iscrizioni che riportano il nome di Cn. Egnatius: la prima (Suppl. CIL III,98), scoperta a Corinto sul basamento di una statua, secondo Molisani è precedente al 146 a.C. (anno in cui Corinto fu distrutta), la seconda, trovata a Lucus Feroniae, è di età repubblicana (lo studioso pur con qualche incertezza suggerisce di sciogliere l’abbreviazione PR PR di quest’ultima iscrizione con praetor proconsole; anche se gli ex pretori potevano governare province di media importanza, va però detto che questo scioglimento è piuttosto insolito).
F.W. Walbank tuttavia non accetta una datazione così alta e ritiene più plausibile che il Cn. Egnatius della strada omonima sia stato, nel 145 a.C., il diretto successore di Metellus Macedonicus, primo governatore della provincia macedone. Inoltre non è escluso che la persona citata nell’epigrafe di Corinto abbia vissuto in questa città anche dopo il 168, periodo in cui avrebbe comunque potuto offrire i propri servizi a L. Antonius Damonicus, i cui figli fecero costruire la statua dedicatoria.
Anche sull’interpretazione di PR PR data da G. Molisani lo studioso ha sollevato alcuni dubbi, notando che il miliario scoperto a Gallico, in cui compare il nome di Cn. Egnatius, presenta l’abbreviazione PRO COS (proconsul), che, in base a quanto riportato, andrebbe sciolta come praetor proconsule, dando luogo ad una evidente forzatura.
Per Aik. Romiopoulou Cn. Egnatius appartenne alla tribù Stellatina, rivestendo la carica di proconsole tra gli anni 146 e 120 a.C.; St. Samartzidou, che ha esaminato un altro miliario (Kavala Museum L 1209) trovato ad Amygdaleon, con un’iscrizione bilingue in cui compare il nome di Cn. Egnatius, si limita a presentare le varie ipotesi avanzate dai suoi predecessori.
Il viaggio di Paolo per Atene invece si svolge per mare, probabilmente partendo da Pidna o da Dium; è probabile che la rotta abbia costeggiato la Tessaglia passando successivamente per il mare Euboicum attraverso lo stretto dell’Euripo e doppiando il Capo Sunio. Molte fonti attestano il passaggio delle navi attraverso lo stretto dell’Euripo, nonostante fosse largo solo 60 m. e le sue correnti, in base alla testimonianza di Strabone (Strabo IX 403), Seneca (Sen. Herc. Oet. 779-781), Plinio (Nat. Hist. II 219) e Pomponio Mela (Pompon. Chor. II 108), cambiassero frequentemente corso di giorno e di notte; anche il Casson sostiene che San Paolo lo abbia attraversato. Di diverso avviso è il Fabris, che considerando la pericolosità di questo tratto di mare, ha ipotizzato che l’Apostolo sia passato al largo dell’Eubea.
Da Atene a Corinto, mancando elementi interni al testo che indichino un viaggio per nave, forse Paolo seguì un tratto della via Sacra e la via Scironiana; da questa strada, attraversato il Diolkos, si poteva raggiungere Corinto da nord, passando per il porto del Lechaion, oppure da sud, superando Isthmia e Kenkreai.
Il viaggio in Asia Minore si era concluso con l’imbarco da Troade in Frigia alla volta della Macedonia, dove San Paolo ed il suo seguito approdano dopo aver oltrepassato Samotracia.
NEAPOLI
(AT. 16,11)
Il porto che li accoglie è quello di Neapoli, punto di scalo della più importante Filippi, ad esso collegata dalla Via Egnazia; questo centro portuale, tappa di passaggio per Paolo, non ha lasciato grandi tracce della sua passata esistenza (At. 16,11: ‘Anacqšntej dš ¢pÕ TrJ£doj eÙqudrom»samen e„j Samoqr®khn, tÍ dš ™pioÚsV e„j Nšan pÒlin; sul suo sito è sorta l’odierna Kavala, la cui presenza non ha permesso di condurre in quest’area opportune indagini archeologiche.
Al contrario, lungo il tratto di strada di circa 12 miglia che unisce l’antica Neapoli a Filippi, nella località di Vassilaki vicina al villaggio di Amygdaleonas, sono stati riportati alla luce i resti di una fonte e di alcuni pozzi, identificabili con la statio Fons co; segnalata nella Tabula Peutingeriana segm. VII,3 tra Filippi (It. Ant. 320,5 mpm XXXIII; It. Hier. 603,10 mil. 10) e Nespoli (It. Ant. 321,1 mpm XII; It. Hier. 603,9 mil. 9) col disegno stilizzato di un tempio; per i Levi indicava la presenza di alloggi per i viandanti, mentre per Bosio un importante centro cultuale che avesse anche la funzione di mansio.
La via Egnazia da Neapoli si dirigeva verso ovest, lungo un percorso che fu successivamente ripreso in età medievale dalla strada lastricata del monastero di San Silas; attraversato lo stretto passaggio tra le pendici del monte Symbolon la strada girava intorno ad una collina fortificata, ai cui piedi sono stati trovati i resti della fonte, superava l’odierna Amygdaleon per proseguire nella piana di Filippi con orientamento SE-NO.
FILIPPI
(AT. 16,12-40)
All’altezza della località Megalo Lithari, dove fu eretto il monumento al legionario Gaio Vibio Quarto (CIL X,647) e dove la presenza di una fonte aveva inizialmente portato a credere che qui si trovasse Fons CO, la strada piegava bruscamente ad angolo retto e si dirigeva ad ovest, nella città di Filippi, che sorgeva al centro di una zona molto fertile, ricca di fiumi e ruscelli; oggi la sua posizione è messa in evidenza da un’ansa piuttosto accentuata della strada Kavala-Dramas, a circa 12 km a nord di Kavala. Dalla grande Porta di Neapoli, difesa da due torri avanzate, la Via Egnazia, passando lungo il lato settentrionale del foro, attraversava la città della quale era l’asse urbano principale.
Qui San Paolo inizia a diffondere il nuovo Credo, rivolgendosi soprattutto alla comunità ebraica del posto che, per celebrare i propri riti (il luogo di preghiera probabilmente era un recinto a cielo aperto), si riuniva il sabato fuori da Filippi oltre la porta occidentale, nei pressi di un fiume (At.16,13 tÍ te ¹mšrv tîn sabb£twn ™x»lqomen œcw tÁj pÚlhj par¦ potamÕn oá ™nom…zomen proseuc¾n eŒnai, kaˆ kaq…santej ™laloàmen ta‹j sunelqoÚsaij gunaic…n).
Probabilmente i Giudei non volevano celebrare i loro riti in un ambiente in cui prevalevano i culti pagani; inoltre non è da escludere che questa comunità fosse talmente piccola da non potersi permettere di costruire una sinagoga. Durante il suo regno Claudio aveva emanato una legge secondo cui gli ebrei, a causa dei recenti tumulti che avevano causato, non potevano risiedere a Roma; è possibile che qualche colonia abbia seguito l’esempio della capitale.
La frase ™x»lqomen œcw tÁj pÚlhj par¦ potamÕn si riferisce con ogni probabilità ad una porta, identificata da alcuni con una volta monumentale, ancora esistente ai tempi di Collart, che sorgeva presso le sponde del fiume Angites. L’arco, dalle linee semplici e a fornice singolo, era stato costruito sulla linea del pomerium; la zona compresa tra questo e la cinta muraria era considerata sacra.
Tuttavia, se lo si confronta con monumenti simili (ad es. ad Aosta e a Gerasa) si nota che in genere la loro distanza dalle mura non supera i 400 m, mentre in questo caso raggiunge i 2 km.; di conseguenza il Frothingham ha considerato il monumento di Filippi un arco territoriale che marcava la zona rurale della città, non quella urbana.
 Secondo altri studiosi invece questo monumento commemorava la battaglia di Filippi che in effetti si era svolta nelle vicinanze, mentre Koukouli-Khrysantaki identifica più semplicemente l’arco con la porta occidentale della città, e riconosce nel fiume citato uno dei tanti ruscelli che scorrono nel territorio di Filippi; tuttavia ogni ipotesi presentata non ha avuto finora conferma, quindi la questione è ancora aperta.
Invece sulla presenza di ebrei a Filippi è stata scoperta di recente, presso il cimitero ovest, una stele molto interessante, che conferma l’esistenza di questa comunità.
Si tratta di una lastra in marmo locale, la cui larghezza diminuisce verso la base, lavorata rozzamente, priva di cornice, con sommità curva. Le numerose scheggiature presenti lungo i bordi, specialmente quelle sul lato sinistro e sulla sommità, non impediscono la lettura dell’epigrafe greca che al primo rigo è preceduta da una foglia d’edera. Le dimensioni sono: altezza 90 cm, larghezza alla sommità 70 cm, larghezza alla base 58 cm; lo spessore varia dai 10 ai 15 cm; le dimensioni delle lettere hanno un’altezza tra i 3 ed i 5,5 cm. Catalogazione: trovata nel cimitero occidentale di Filippi, è oggi conservata nel museo della città (N° inv. L1529).

NIKOSTRATO
AUR.OCUCOLIOS
EAUTO KATASKEU
BASA TO CAMWSO
RON TOUTW. OS AN DE
ETERWN NEKUN KATAQE
SE DWSIPROSTEIMOU THSU
NAGWGH Q MR
NikÒstra(toj)
AÙr(»lioj) ‘OcucÒlioj
™autý kataskeÚ
basa tÕ camw/so
ron toÚtw.– Oj ¨n dš
›terwn nškun kataqš
se(i) dèsi proste…mou tÍ su
nagwgÍ Q MR

“Nikostratos Aurelios Oxycholios stesso ha costruito questa tomba. Se qualcuno vi deporrà il cadavere di altri pagherà una multa alla sinagoga”.
Dallo studio dei nomi di vari ebrei stabilitisi in Grecia è emerso che era piuttosto comune usare la lingua e l’onomastica greca (Nikostratos Oxycholios) oltre al gentilicium romano (Aurelios); tuttavia ciò non dimostra che questa minoranza si fosse integrata con la gente del posto.
In particolare l’analisi del nome ricordato nella stele permette la datazione della tomba, poiché il gentilicium indica una data non antecedente al 212 d.C., anno della Constitutio Antoniniana, e il cognomen greco Oxycholios compare solo a partire dal III sec. d.C. Di conseguenza la tomba è d’epoca posteriore al viaggio di San Paolo, ma costituisce una testimonianza tangibile dell’esistenza a Filippi di una comunità ebraica nel III sec.
La predicazione in questa città si rivelò fruttuosa e portò alla conversione di Lidia, una commerciante di porpora, e della sua famiglia (At. 16,14 kaˆ tij gun¾ ÑnÒmati Lud…a, porfurÒpwlij pÒlewj Quate…rwn sebomšnh tÕn qeÒn, ½kouen, Âj Ð kÚrioj d»noixen t¾n kard…an prosšcein to‹j laloumšnoij ØpÕ toà PaÚlou. 15 æj dš ™bapt…sqh kaˆ Ð oŒkoj aÙtÁj).
La guarigione di una schiava posseduta, che aveva la facoltà di predire il futuro, fu per i padroni motivo di profondo risentimento nei confronti di San Paolo, a tal punto che lo condussero nella pubblica piazza affinché fosse giudicato dai capi della città.
L’agorà cui si fa riferimento nel testo greco (At.16,18 ›lkusan e„j t¾n ¢gor¦n ™pˆ toÝj ¥rcontaj) oggi presenta solo resti di fase antonina; le indagini di scavo hanno mostrato che alcuni edifici pubblici, tutti orientati a NE-SO, sono stati rifondati, con le stesse funzioni ma con un’architettura più imponente, sullo stesso sito occupato dalle strutture preesistenti.
Il lato occidentale della piazza aveva carattere prevalentemente amministrativo, quello orientale era dedicato al culto dell’imperatore e della sua famiglia, mentre lungo il lato meridionale erano disposte delle botteghe.
Il lato settentrionale infine era chiuso da una fila di monumenti che fiancheggiavano la tribuna degli oratori, o bema, formato da una struttura indipendente (infatti non era il prolungamento del pronao di un tempio, né dipendeva da una scalinata anteriore), addossata alle mura del Foro e alla strada, in modo da dominare così tutta l’area della piazza.
Secondo alcuni Paolo fu giudicato proprio di fronte al bema, sebbene altri propongano di cercare il luogo del processo tra gli edifici del lato occidentale dell’agorà, dove, nell’angolo NO, è stata localizzata la curia, sede degli strategoi o archontes, cui era affidato il compito di giudicare i reati di tradimento e di impietas (asebeia, capo di accusa contro Paolo secondo la voce del popolo).
Anche questa struttura fu ricostruita nel II secolo d.C. nello stesso sito occupato durante la fase giulio-claudia.
Nell’area centrale del foro si ergevano numerosi monumenti e statue dedicati a cittadini di rilievo(vedi ad esempio l’iscrizione per M. Lollius di I sec. a.C.), ad antichi re traci (vedi l’iscrizione per Roemitalces, che si schierò con Roma per reprimere varie ribellioni sviluppatesi in Tracia nel corso del primo trentennio del I sec. d.C.) e ad imperatori tra cui spiccano un ritratto di marmo in onore del giovane Ottaviano o di Gaio Cesare, risalente ai primi venti anni del I sec. d.C., ed un altro di Lucio Cesare, dello stesso periodo.
Con le loro accuse i padroni della schiava riuscirono a far rinchiudere in prigione Paolo e Sila (At.16,23 poll£j te ™piqšntej aÙto‹j plhg¦j ™/balon e„j fulak¾n paragge…lantej tù desmofÚlaki ¢sfalîj thre‹n aÙtoÚj), finché un terremoto di notevole intensità, verificatosi nella notte, non convinse i capi a liberare i due prigionieri, che nel frattempo avevano reso noto il loro stato di cittadini romani (At.16,26 ¥fnw dš seismÕj ™gšneto mšgaj éste saleuqÁnai t¦ qemšlia toà desmwthr…ou: º neócqhsan dš paracrÁma aƒ qÚrai p©sai kaˆ p£ntwn t¦ desm¦ ¢nšqh … 35 `Hmšraj dš genomšnhj ¢pšsteilan oƒ strathgoˆ toÝj ·abdoÚcouj lšgontej: ¢pÒluson toÝj ¢nqrèpouj ™ke…nouj. 36 ¢p»ggeilen dš Ð desmofÚlac toÝj lÒgouj toÚtouj prÕj tÕn Paàlon Óti ¢pšstalkan oƒ strathgoˆ †na ¢poluqÁte: nàn oân ™celqÒntej poreÚesqe ™n e„r»nV. 37 Ð dš Paàloj ™/fh prÕj aÙtoÚj: de…rantej ¹m©j dhmos…v ¢katakr…touj, ¢nqrèpouj `Roma…ouj Øp£rcontaj, œbalan e„j fulak»n, kaˆ nàn l£qrv ¹m©j ™kb£llousin; oÙ g£r, ¢ll¦ ™lqÒntej aÙtoˆ ¹m©j ™xagagštwsan. 38 ¢p»ggeilan dš to‹j strathgo‹j oƒ ·abdoàcoi t¦ ·»mata taàta. ‘Efob»qhsan dš ¢koÝsantej Óti `Roma‹o… e„sin, 39 kaˆ ™lqÒntej parek£lesan aÙtoÝj kaˆ ™cagagÒntej ºrètwn ¢pelqe‹n ¢pÕ tÁj pÒlewj).
Per lungo tempo è stata identificata con la prigione una struttura romana, probabilmente una cisterna, inglobata nel cortile rettangolare che precedeva l’atrio della Basilica A (V sec.); la presunta prigione diventò luogo di culto cristiano dal periodo in cui vennero distrutte la Basilica A e l’Ottagono (fine VI – inizi VII sec.), come attestano gli affreschi lì ritrovati.
Recentemente M. Torelli ha ipotizzato che in origine il cortile appartenesse a un tempio romano orientato come l’ala occidentale del Foro, con cui comunicava tramite la scalinata collegata con l’arco d’ingresso e visibile davanti alla cisterna.
Ch. Koukouli Chrysantaki sostiene che la cisterna fosse annessa ad un edificio romano inglobato nel complesso della Basilica A, insieme ad un altro edificio esistente ai tempi di Paolo, un piccolo tempio formato da un pronaos ed una cella e costruito in marmo (probabilmente questo edificio templare risale al IV sec. a.C., ed era connesso con il culto di Filippo II, come fa supporre un’iscrizione riutilizzata in un muro della basilica).
Ripreso il viaggio, Paolo e Sila si diressero verso la città di Tessalonica; il percorso della Via Egnazia a questo punto attraversava il ponte scoperto nei pressi del villaggio di Mavrolefki e la piana di Filippi fino alla mutatio ad Duodecimum, citata solo nell’Itinerarium Hierosolymitanum, 604,2, ed individuata tra la stazione ferroviaria di Fotalivi e il raccordo con la strada Eleutheropolis – Drama.
A questo punto, arrivata alle pendici settentrionali del monte Pangeo, la strada formava un arco e raggiungeva la mutatio Domerus (It. Hier. 604,3), il cui nome è la forma corrotta della parola doberus (“castello” in macedone).
Il sito di questa tappa potrebbe trovarsi presso il moderno villaggio di Straviki (Draviskos).
ANFIPOLI
(AT. 17,1)
Da qui la strada, dirigendosi a sud, conduceva direttamente ad Anfiboli (It. Ant. 320,4; Tabula Peutingeriana segm. VII,2 mp XXXIII da Tessalonica; It. Hier. 604,4 mil XIII da Domerus), sorta su una collina (154 m s.l.m.) sulla riva destra della grande ansa che il fiume Strymon forma poco prima di sfociare nel Golfo di Orfani. Questo centro è citato in At. 17,1 DiodeÚsantej dš ‘Amf…polin, come semplice punto di passaggio: il tratto meridionale delle mura cittadine presenta un’interessante porta rinforzata con una torre rettangolare all’interno ed una simile all’esterno, separate da un cortile: in età augustea la porta fu restaurata, secondo quanto riportato dalle iscrizioni di due basamenti di statue poste ai suoi lati. Forse questa porta costituiva l’uscita dalla città della via Egnazia, che entrava ad Anfipoli da nord, probabilmente in corrispondenza con il ponte ligneo tramite cui nel 424 a.C. Brasida riuscì a penetrare nella periferia della città e a conquistarla (Thuc. 5.10.6).
Prima di giungere alla città di Tessalonica la Via Egnazia passava per le tappe Pennana (It. Hier. 604,5) e Perpidis (It. Hier. 604,6), forse identificabile con l’Argilo citata da Erodoto (VII, 115), oggi individuata presso Asprovalta; da qui la strada costeggiava il golfo fino alla moderna Kato Stavròs per poi penetrare nell’entroterra e arrivare a Peripidis (nelle strette vicinanze di Rendìna), situata sulle coste orientali del lago Volvi (l’antico Bolbe), e ritenuta il luogo dove fu sepolto Euripide (la parola Peripidis è una forma corrotta per Euripidis).
APOLLONIA
(AT. 17,1)
Sulle coste meridionali del lago sorgeva Apollonia (It. Hier. 605,1; It. Ant. 320,3; Tab. Peut. segm. VII,2), altro punto di passaggio nel viaggio missionario di San Paolo (At. 17,1 DiodeÚsantej dš ‘Amf…polin kaˆ t¾n ‘Apollwn…an); la situazione di questa città è unica tra tutte quelle ricordate, perché non è ancora stata individuata con certezza la sua posizione, sebbene si siano susseguite numerose ricerche nel corso degli anni, dalla fine del secolo XIX ad oggi; in base agli studi più recenti il sito potrebbe essere localizzato nella zona compresa tra i fiumi Megalo Reuma e Cholomontas Reuma (gli antichi Amnites ed Olinthiakos), lungo la strada Apollonia – Marathousa, dove sono stati trovati sia frammenti ceramici risalenti all’età classica ed ellenistica, sia i resti di una cinta muraria.
TESSALONICA
(AT. 17,1-9)
La Via Egnazia, proseguendo il suo percorso, raggiungeva Herakleustibus (It. Hier. 605,2) sorta a metà strada tra i laghi Volvi e Koronia, dove oggi sorge il villaggio di Stivos.
Oltrepassati questi siti arrivava a Melissurgin (It. Ant. 320,2 mpm XX da Tessalonica; per la Tab. Peut. mp XVIII, segm. VII,2) (Aghios Vassilikos), presso le coste sud-occidentali del Lago Koronia; quindi la strada si dirigeva a nord fino a Duodecimum o Duodea (It. Hier. 605,3), che probabilmente si trovava nella zona compresa tra i villaggi di Laina e Kisla.
Con una larga curva la strada girava verso sud entrando nella città di Tessalonica (Tab. Peut. segm. VII,2), l’ultima delle tappe citate negli Atti raggiungibili tramite la via consolare romana.
La via Egnazia collegava la Porta Cassandreotica (Porta Calamaria) ad est con la Porta d’Oro (oggi Porta Vardar) ad ovest, probabilmente lungo il tracciato di una strada urbana di età ellenistica.
Nella città esisteva una fiorente comunità ebraica, cui facevano riferimento tutti i Giudei di questa zona della Macedonia. San Paolo si diresse subito tra loro e per tre sabati predicò nella sinagoga (At. 17,2 kat¦ dš tÕ e„wqÕj tù PaàlJ e„sÁlqen prÕj aÙtoÝj kaˆ ™pˆ s£bbata tr…a dielšcato aÙto‹j ¢pÕ tîn grafîn, 3 diano…gwn kaˆ paratiqšmenoj Óti tÕn cristÕn œdei paqe‹n kaˆ ¢nasqÁnai ™k nekrîn kaˆ Óti oátÒj ™stin Ð cristÕj ‘Ihsoàj Ön ™gë kataggšllw Øm‹n. 4 ka… tinej ™c aÙtîn ™pe…sqhsan kaˆ proseklhrèqhsan tù Paulù tù kaˆ tù Sil´ tîn te sebomšnwn `Ell»nwn plÁqoj polÚ, gunaikîn te tîn prètwn oÙk Ñl…gai).
Il successo riscosso soprattutto tra i greci e tra le nobildonne del posto causò una violenta ribellione tra i Giudei, che decisero di portare di fronte ai capi della città Sila e Paolo; non avendoli trovati a casa di Giasone, che li aveva ospitati, portarono lui ed altri cristiani davanti al popolo (At. 17,5 Zhlèsantej dš oƒ ‘Iouda‹oi kaˆ proslabÒmenoi tîn ¢gora…wn ¥ndraj tin¦j ponhroÝj kaˆ Ñclopoi»santej ™qorÚbon t¾n pÒlin kaˆ ™pist£ntej tÍ o„k…v ‘I£sonoj ™z»toun aÙtoÝj proagage‹n e„j tÕn dÁmon: 6 m¾ eØrÒntej dš aÙtoÝj œsuron ‘I£sona ka… tinaj ¢delfoÝj ™pˆ toÝj polit£rcaj boîntej Óti oƒ t¾n o„koumšnhn ¢nastatw/santej oátoi kaˆ enq£de p£reisin, 7 oÞj Øpodšdektai ‘I£swn: kaˆ oátoi p£ntej ¢pšnanti tîn dogm£twn Ka…saroj pr£ssousin basilša ›teron lšgontej eŒnai ‘Ihsoàn).
Della sinagoga e della casa di Giasone, come di numerosi edifici citati da altre fonti, non sono state rinvenute tracce, mentre alcuni saggi di scavo nell’agorà tardo romana condotti al di sotto del lastricato pavimentale hanno riportato alla luce una statua di Atlante tardo ellenistica e frammenti ceramici di età poco precedente, che documentano l’esistenza della fase ellenistica dell’agorà.
Non mancano testimonianze risalenti ad età repubblicana: ad O dell’agorà si apre uno spazio libero in cui probabilmente in età romana fu edificato un luogo di culto imperiale (BCH LXXXI 1958, pag. 759), come attestato da una statua di Augusto (BCH LXIII 1939, pag. 315) venuta alla luce nel 1939; inoltre in una casa di Via dell’Olimpo è stata scoperta un’iscrizione del 60 a.C. (IG X I, No. 5). In base a quanto riportato da Cicerone, (Cic. Planc., XLI.[99]) che visse per un certo periodo a Tessalonica, c’era un Quaestorium di cui non si sa nulla, come sono sconosciuti il palazzo e la piazza con un tesoro seppellito al centro di cui parla Diodoro Siculo (Diod. Sic. XXXII, 15,2); secondo Vickers si potrebbe ipotizzare che il palazzo fosse quello di Filippo V, il quale trascorse gli ultimi anni della sua vita a Tessalonica.

La notte dello stesso giorno in cui Giasone ed i cristiani che con lui erano stati portati a giudizio vennero liberati, Paolo e Sila furono costretti a riprendere il loro viaggio verso Berea (Tab. Peut. segm. VII,1).

PAOLO VI: MERCOLEDÌ 25 GENNAIO 1978 – CONVERSIONE DI SAN PAOLO

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/audiences/1978/documents/hf_p-vi_aud_19780125_it.html

PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

MERCOLEDÌ 25 GENNAIO 1978 – CONVERSIONE DI SAN PAOLO

OPPORRE IL BENE ALL’OFFENSIVA DEL MALE

OGGI LA CHIESA celebra la conversione di San Paolo, avvenimento decisivo per il cristianesimo, e che confermò la vocazione universale della nuova religione, che nata in un paese determinato e nell’ambito della tradizione ebraica, ebbe nel nuovo Apostolo il missionario che più degli altri comprese e predicò il Vangelo per tutti gli uomini. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza Egli l’ha data nei tempi stabiliti, « e di essa io (è San Paolo che attesta di sé, nella prima lettera a Timoteo, [1Tim. 2, 5-7]), io – egli scrive – sono stato fatto banditore e apostolo, dico la verità, non mentisco, dottore delle genti nella fede e nella verità ». Vada all’Apostolo Paolo, oggi, il nostro riverente e amoroso saluto, associato al pensiero che oggi pure la pietà della Chiesa rivolge al grande e non ancora soddisfatto desiderio apostolico della piena ricomposizione dell’unità fra i Cristiani, nell’orazione e nella speranza, che l’aspirazione, fatta più ardente e più plausibile dall’ecumenismo contemporaneo, celebrata nei nostri cuori e, Dio voglia, in quelli dei Fratelli tuttora da noi separati, sia coronata da felice successo.
A San Paolo noi domanderemo poi una sua parola che conforti i nostri animi, turbati da tante vicende della vita attuale nel mondo, le quali scuotono la nostra fiducia nel pacifico progresso della pace nel mondo. Tutti siamo addolorati da una triste recrudescenza della violenza privata, ma organizzata nella società odierna, la quale traduce in fenomeni di incivile disordine l’insicurezza, che la travaglia e che un dominante pluralismo morale e politico, contraffazione della libertà, sembra coonestare. Per di più difficoltà economico-sociali si diffondono con effetti negativi molto pesanti, e lasciano intravvedere situazioni anche peggiori, così che desiderii folli di godimento superfluo e timori paralizzanti la normalità del lavoro si diffondono creando una psicologia di sfiducia, che inaridisce l’attività produttiva e suggerisce rimedi vani e disordinati. E come accade, un male ne genera un altro, e spesso peggiore. Tutti siamo preoccupati. Il peggio, si dice, è senza fondo; e una tentazione di pessimismo si diffonde e paralizza tante energie, che pure sono state suscitate con tanta lungimiranza di un avvenire migliore.
 Il quadro è noto a tutti e incombe con la sua ombra su questo momento della nostra civiltà e si proietta sulla storia del domani.
Ecco allora il nostro rimedio, attinto appunto dal tesoro dell’insegnamento dell’Apostolo Paolo. Egli lo presenta nella sua lettera ai Romani là dove, dopo di averli esortati con suggerimenti vibranti in varie direzioni della vita morale, quale deve derivare da persone illuminate dalla fede e sorrette dalla grazia, egli riassume la sua esortazione in questa ben nota sentenza: « Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male ».[Rom. 12. 21] Quanto semplice sembra la parola dell’Apostolo, e sembra che valga la pena fissarla nella memoria. Intanto notiamo: la dottrina apostolica è interiore, e tende a modificare la facile mentalità di chi cede al disgusto e al turbamento delle condizioni esteriori, in cui si svolge la nostra vita. Siamo in un mondo non solo avverso per tanti motivi fisici e materiali alla nostra esistenza, ma altresì nemico per le difficoltà del suo ordinamento sociale, o meglio per il disordine dei fattori che gli impediscono d’essere ordinato, vale a dire ragionevole e giusto. Noi avvertiamo questa malizia che rende difficile e talora insopportabile la convivenza sociale: che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo lasciare che il male ci vinca, cioè ci domini e ci assorba nelle sue spirali che farebbero cattivi anche noi? Questo è il processo della vendetta, che accresce il male e non lo guarisce. Ovvero dobbiamo cedere al pessimismo e alla pigrizia e abbandonarci ad una vile rassegnazione? Ciò non è cristiano. Il cristiano è paziente, ma non abulico, non indifferente. L’atteggiamento suggerito dall’Apostolo è quello d’una reazione positiva; cioè egli c’insegna a opporre la resistenza del bene all’offesa del male; c’insegna a moltiplicare lo sforzo dell’amore per riparare e vincere i danni del disordine morale; c’insegna a fare stimolo a maggiore virtù e a più operante attività per il nostro cuore dell’esperienza del male incontrato sul nostro cammino. Così San Paolo. Così i Santi. E così sia di tutti noi!

Con la nostra Benedizione Apostolica.

LA NOSTRA DAMASCO QUOTIDIANA

http://www.stpauls.it/coopera/1101cp/1101cp04.htm

EUCARISTIA E VITA APOSTOLICA – SPIRITUALITÀ PAOLINA

 di GABRIEL A. RENDÓN MEDINA, ssp

LA NOSTRA DAMASCO QUOTIDIANA

Come Paolo anche noi abbiamo una vita di intimità con Dio e di slancio apostolico: questo inizia nell’incontro personale con Dio.

Paolo viene spesso considerato solo per il suo lavoro apostolico, ma « egli ci comunica in prima persona ciò che vive »: la sua vita apostolica è il frutto di una vita intima e mistica. Così nella nostra vita di Paolini queste due dimensioni, spirituale e apostolica, sono essenziali. Il primo nostro incontro che abbiamo con la Verità si svolge nella vita liturgica. In essa noi Paolini rinforziamo il nostro spirito nell’esperienza dell’incontro col nostro Maestro, dal quale impariamo, troviamo la via, acquistiamo lo zelo della vita apostolica (AE 71). Essa serve ad istruzione, edificazione e santificazione (FSP 1938, 620), cioè corrisponde all’integralità di Gesù Cristo: Verità (istruzione), Via (edificazione) e Vita (santificazione). La liturgia è scuola di santità perché mira allo sviluppo di coloro che partecipano per aprirsi alla vita di Cristo. É sorgente di grazia: non soltanto insegna la via della santità ma anche ne è la fonte. Prima sorgente e centro della liturgia è l’Eucaristia (AE 230-234). L’Eucaristia è un incontro con la Verità come lo sperimentò Paolo a Damasco. L’esperienza di Paolo a Damasco fu come un’esperienza di nascita. Cristo è nato nella sua mente perché gli è stata comunicata la Verità, nel suo cuore perché d’allora la sua vita sarà sempre Cristo (Cfr Fil 1, 21), e nella sua volontà perché, libero da tutto, si è fatto tutto a tutti (Cfr 1 Cor 9, 19). Per noi Paolini l’altare dove si celebra l’Eucaristia è come il presepio dove incontriamo Dio, fatto uomo e riconosciamo anche se stesso perché il Figlio nasce in lui (Cfr Pr 2, 12). Come per Paolo, Damasco è natale, per noi la Messa-natale è la nostra Damasco. La celebrazione della Messa è una Damasco quotidiana, è l’incontro faccia a faccia col nostro Maestro. È un incontro d’amore perché è il grande sacramento dell’Amore (FSP 1938, 58; APD 1964, 200).
L’INCONTRO EUCARISTICO
Trattandosi di un incontro, viviamo l’Eucaristia nell’integralità di Colui che è Via, Verità e Vita. Ci sono tre momenti in questo incontro. Il primo incontro, corrisponde alla prima parte della Messa, fino a prima dell’Offertorio: è un dialogo tra Gesù Verità e il Paolino; l’iniziativa è di Colui che si è incarnato come Parola. Egli con la sua luce vuole illuminare (Cfr. Gv 1, 4-5) la nostra mente. La Luce che a Damasco avvolse Paolo, è la stessa che ci illumina facendoci partecipi di una vita nuova: la Verità comunicata. Con la luce di Verità trasmessa nell’Eucaristia si inizia un tempo d’incontro: si entra in una relazione intima in cui ascoltiamo il nostro Maestro nella sua Parola. Il Maestro ci vuole comunicare una istruzione completa: una Verità che diventi regola nella nostra vita di Paolini (AE73-74). «S’impetra quindi l’aumento di fede, la scienza e, per l’apostolato, la grazia comunicativa » (AE 74). Pertanto, la Parola comunicata da Gesù ha come risposta un atteggiamento di vita e di disponibilità al volere del Signore, come Paolo quando a Damasco chiese al Risorto: « Chi sei, o Signore? » e gli fu risposto: « Alzati » (Cfr. Atti 9, 5-6). Il secondo momento del dialogo, va dall’Offertorio fino al Padre Nostro. In questa parte si sperimenta e si risponde all’amore di Dio. Il colloquio ha un altro modo di esprimersi: la disponibilità ad agire secondo la sua volontà. Gesù Via che si fa sacrificio vuole comunicare la volontà del Padre che domanda un’oblazione di amore. Egli divenne «modello, nell’adempimento della volontà del Padre fino alla completa immolazione di se stesso» (AE 75). In questo gesto di obbedienza il Maestro ci mostra la Via dell’apostolato: amare il prossimo fino all’immolazione di se stessi (AE 76), capacità di sapersi immolare per le anime (AE 77), capacità di farsi « tutto a tutti ». Nella terza parte di questo dialogo, dal Padre Nostro fino al termine della Messa, ci mettiamo davanti a Gesù Vita. È il momento di una stretta unione tra Creatore e creatura (AE 77). In questa unione, nell’intimità del nostro cuore facciamo un giusto ringraziamento perché Dio ha voluto iniziare questo dialogo in cui la Verità è stata conosciuta, per poi amarla e così viverla. Questa conversazione finisce con un bel ringraziamento come il malato che si vede guarito (Cfr. Lc. 17, 11-19): l’ignoranza viene illuminata dalla Verità.
MISTICA DELLA COMUNICAZIONE
Benché il ringraziamento sia anche esteriore, è quello interiore che sta alla base della vita spirituale. «Perché soltanto questa ‘gratitudine interiore profonda’ può dare la sicurezza di essere accettato ed amato da Dio incondizionatamente» (T. Witwer, Spiritualità sacramentale nella vita quotidiana, Ed. AdP, Roma 2006, 155). Questa fiducia è la strada perché l’uomo si senta libero. Essendo nella libertà, valore di natura umana ma non sempre ben vissuto, l’uomo non agisce per « dovere » bensì per amore. Ma nell’amore c’è anche una mistica della comunicazione. L’attività della vita spirituale talvolta viene da lui paragonata con alcuni mezzi di comunicazione. Per esempio, così si esprime in una meditazione nell’anno 1952: «La Liturgia nel corso dell’anno ci mette sott’occhio la vita di Gesù Cristo, domenica per domenica, settimana per settimana: è come una grande pellicola che scorre davanti a noi. E allora noi guardiamo a questa vita di Gesù Cristo: consideriamola nei suoi particolari e sentiamo tutte le parole di vita eterna che escono dalle labbra di Lui» (Pr 2, 8). Quando si guarda un film è per goderlo. Per ottenere ciò occorrono certe condizioni: anzitutto un ambiente adeguato; occorrono una illuminazione corretta, posti comodi, ecc.; per non parlare di un buon soggetto e di un buon produttore…
LITURGIA VISSUTA E BEN COMUNICATA
Qualcosa di simile capita nella vita spirituale e nella liturgia. Perché un buon soggetto di cui Dio è l’autore, venga ben comunicato è necessario che ci sia un buon produttore: il sacerdote. Egli fa la parte del protagonista principale: Gesù Maestro. È il primo a conoscere ciò che deve presentare: il Mistero incarnato, la Parola fatta carne. È il primo ad approfondire la Verità, cioè il Cristo totale. Perciò il sacerdote deve essere un maestro perché prima ha saputo essere il discepolo che assimila, che ama e che vive la vita di Gesù. Normalmente un buon film attira un buon pubblico. Sono importanti tanto un film ben fatto quanto uno spettatore ben disposto. Lo stesso capita nella Liturgia. Accanto al sacerdote occorre chi lo aiuti a preparare l’ambiente giusto per proiettare questa « grande pellicola », che è la vita di Gesù. Serve anche l’ambiente adeguato. Don Alberione, consapevole di questo, nel 1947 scriveva: «Nelle vostre chiese dovranno essere molto belle le funzioni; bene eseguiti i canti; ben recitate le preghiere. (…) Pregate col Messalino; Messe bene ascoltate; quella che ordinariamente si chiama Messa liturgica, deve fare un bel passo avanti. (…) Capire bene e fare bene il segno della croce, in modo da edificare; bene compiere tutte le cerimonie che vi spettano anche le più piccole e meno visibili» (APD 1947, 478). Per conoscere meglio Gesù Verità, oltre le funzioni Liturgiche ben fatte, è indispensabile la disponibilità alla partecipazione. Occorre l’apertura alla vita spirituale: «La partecipazione alla liturgia non deve ridursi ad un vano formalismo, né ad una semplice ricerca dei mezzi esteriori, di usanze arcaiche o di elementi estetici, ma deve essere intelligente, viva e affettuosa. In tal modo la Liturgia « svelerà verità profonde, meravigliose, armonie ignote, aprirà vasti orizzonti, solleverà gli animi in un’atmosfera di bellezza e di godimento spirituale, e ognuno potrà constatare ch’essa risponde ai bisogni più sentiti e alle aspirazioni più nobili del cuore umano »» (AE 229). In una liturgia eucaristica ben vissuta spiritualmente, sperimentata interiormente ed esteriormente, e soprattutto ben comunicata come Paolini tocchiamo il fondamento della nostra vocazione: siamo nati dall’Eucaristia e soltanto da essa possiamo nutrirci per comunicare Colui che è la Via, la Verità e la Vita.

Gabriel A. Rendón Medina

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