LETTERA DI SAN PAOLO APOSTOLO A FILEMONE – INTRODUZIONE
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LETTERA DI SAN PAOLO APOSTOLO A FILEMONE
(sono 4 articoletti)
INTRODUZIONE
L’episodio che muove Paolo a scrivere questa Lettera è uno dei tanti eventi della vita del tempo. Uno schiavo fugge dal suo padrone e si rifugia presso Paolo. Paolo glielo rimanda indietro, annunziando al padrone, che è un cristiano, la vera via dell’amore, che dovrà percorrere se veramente desidera essere un buon discepolo del Crocifisso e un testimone della forza travolgente che ha in sé la croce di Cristo Gesù.
Anche se la Lettera è cortissima, molti sono gli insegnamenti in essa contenuti. Ne accenniamo alcuni, rimandando alla trattazione teologica.
In sintesi, in questa Lettera, Paolo esprime delle verità di intensissimo valore teologico che dovranno accompagnare la storia del cristianesimo sino alla fine. Eccone alcune di queste verità:
La carità del singolo si fa Vangelo. Gesù lo aveva detto: “da questo vi riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi voi gli uni gli altri”.
Il cristiano è chiamato, per vocazione eterna, a farsi vittima di amore per i fratelli, imitando in tutto e per tutto Cristo Gesù che si fece vittima di espiazione per i peccati del mondo intero.
Il cristiano che vive in Cristo, lo stesso amore di Cristo, diviene Vangelo vivente, perenne annunzio della verità che Cristo è venuto non solo a portare, ma anche a fare e Gesù fa la verità, trasformando un uomo in un olocausto di amore e di carità a favore dei suoi fratelli.
Come in Cristo, è necessario che il cristiano viva l’amore per rendere testimonianza alla verità che Cristo ha operato e opera nel suo cuore. In tal senso diviene Vangelo.
La carità è Vangelo quando non solo è perfetta imitazione di Cristo in ogni manifestazione del proprio essere, ma è anche testimonianza a Cristo e la testimonianza è una sola: posso amare, amo perché Cristo mi ha creato, mi crea ogni giorno una natura d’amore. È Cristo la fonte perenne del mio amore, perché solo Lui è la salvezza, solo in Lui si può vivere da salvati, solo per Lui, per rendere testimonianza alla sua verità, si può continuare a vivere da salvati, raggiungendo la perfezione nella salvezza.
Quando la carità non è imitazione dell’amore di Cristo, non la si attinge in Cristo, non si rende testimonianza alla verità di Cristo, questa verità non è Vangelo. Che non sia Vangelo lo attesta il fatto che chi la riceve non si apre all’amore di Cristo e non si lascia fare da Cristo vittima di carità per il mondo intero.
Su questo principio di fede è giusto che si abbia la più sicura delle certezze e la più sicura è questa: solo Cristo è la fonte della carità, perché solo Lui è la fonte della nostra verità. Si diviene veri in Cristo, si vive la sua carità in Lui, per Lui, con Lui, per manifestare Lui, perché ogni uomo aderisca a Lui, si faccia fare vero da Lui, in Lui e inizi in Lui a vivere per Lui, per manifestare al mondo che solo Lui e solo in Lui è la salvezza; solo per Lui è possibile vivere da salvati.
La salvezza è una acquisizione quotidiana e quotidianamente si attinge in Cristo Gesù. È questa la carità che diviene Vangelo, perché è la carità che nasce dalla fede, ma anche è la carità che conduce a Cristo e alla sua verità.
La carità del singolo diviene motivo di speranza per i fratelli. Quando un uomo vede che un suo fratello è capace di vera carità, perché è capace di autentica gratuità, misericordia, compassione, pietà, il suo cuore si apre alla speranza.
Non c’è cosa più triste per un uomo che sentirsi abbandonato dai suoi fratelli. Questo abbandono a volte lo può condurre anche alla disperazione, che nasce dal non sapere più a chi rivolgersi per avere sostegno, aiuto, sollievo nei suoi giorni tristi. La visione della vera carità dona pace, conforto, gioia. Questa visione apre il cuore alla speranza. C’è una possibilità di salvezza. Anch’io posso essere salvo, posso continuare a vivere. C’è qualcuno che si prende cura della mia vita.
Questo però non basta perché si entri nella speranza cristiana. La speranza cristiana avviene quando si opera il passaggio dall’uomo a Cristo. Se questo passaggio si compie si esce dalla speranza umana e si entra nella vera speranza, che è solo quella cristiana; se questo passaggio non viene operato, si rimane in una speranza umana, ma questa è sempre effimera, passeggera, di un attimo.
Perché vi sia questo passaggio, è necessario che alla visione della carità segua anche l’annunzio di Cristo e del suo Vangelo. Questo annunzio deve essere operato da chi sta vivendo la carità. Se questo annunzio non viene operato, la salvezza non si compie, perché non sarà mai un gesto di carità, un dono d’amore all’altro che potrà salvarlo.
Se questo fosse possibile, Cristo non sarebbe più Il Salvatore e la salvezza non sarebbe in Lui, con Lui, per Lui, nel suo Corpo che è la Chiesa. Sarebbe un fatto da uomo ad uomo, sarebbe un evento della terra e non più del Cielo.
È cosa giusta allora che chi opera la carità in nome di Cristo, doni Cristo carità dell’uomo, sua speranza eterna di salvezza, suo bene infinito, eterno, nel quale è ogni tesoro di grazia, di verità, di misericordia, di pietà, di compassione, di sollievo sulla terra e nel cielo.
È nel non compimento di questo passaggio il segno che chi opera la carità non vive di Cristo, per Cristo, con Cristo, nel suo Corpo che è la Chiesa. Non vivendo lui, non può portare altri.
È questo il più grande naufragio della fede ed è sempre naufragio della fede quando l’opera di carità non apre il cuore a Cristo e alla sua verità eterna di unico e solo Salvatore di ogni uomo. La carità da donare all’uomo è Cristo, perché Cristo è la carità di Dio per ogni uomo.
Chiedere in nome della libertà che nasce dalla potestà? Paolo è Apostolo di Cristo Gesù. Ha la potestà di chiedere a quanti sono cristiani, rivolgendosi loro nel nome di Cristo, servendosi dell’autorità che Cristo ha conferito loro nel discernere il bene da compiere e nel chiedere che il vero bene sia sempre operato. Questa potestà nel discernimento deve essere sempre vissuta. L’Apostolo del Signore deve operare in ogni istante il discernimento sul bene, sul meglio, su ciò che è in quell’evento verità di Cristo e di Dio, con la sapienza, la saggezza, l’intelligenza dello Spirito Santo che agisce in lui.
Operato il discernimento nel nome e con la potestà di Cristo Gesù, può al singolo chiedere di agire conformemente al discernimento offerto? Lo può e lo deve in materia di fede. La verità della fede obbliga sempre. Alla verità della fede si è sempre obbligati.
La verità della fede ci fa essere del Vangelo. Chi è del Vangelo è anche di Cristo Gesù. Chi non è della verità della fede, non è del Vangelo, non è di Cristo Gesù. Chi è fuori della verità della fede si pone anche fuori della comunione con i fratelli di fede. Per questo l’Apostolo è obbligato a chiedere in nome di Cristo e con la sua autorità che si rientri nella verità, la si abbracci in ogni sua parte, la si professi integralmente, santamente, dinanzi al mondo intero.
Quando non si è dinanzi alla verità della fede, ma di fronte ad un’opera di carità da fare, quando la carità si poggia su dei debiti di giustizia, cosa deve fare l’apostolo?
O chiedere in nome della carità che lascia libera la volontà del fratello? Paolo afferma il principio che anche in questo caso si può chiedere in nome di Cristo e con la sua autorità che si faccia, o non si faccia l’opera di carità, che nel discernimento è stata vista come giusta, santa, lodevole.
Assieme a questo principio, lui ne possiede un altro. Quando si tratta di opera di carità, lui preferisce che si lasci libera la volontà dell’altro, in modo che sia l’altro a volere l’opera e non lui ad imporla.
L’Apostolo deve però indicare i motivi della bontà e della verità dell’opera. Al singolo la libertà di eseguirla, non eseguirla, compierla in un modo, anziché in un altro.
Paolo – lo sappiamo – agisce sempre con la saggezza e l’intelligenza dello Spirito Santo che aleggia su di lui. Perché opta per la libertà della persona e non per l’imposizione dell’opera?
È facile rispondere a questa domanda, è difficile comprenderla in tutto il suo significato di verità evangelica.
Paolo si comporta in tutto e per tutto come si comporta Dio Padre. Questi diede il comando all’uomo, spiego i motivi del comando, lasciò libera la volontà di osservarlo, di non osservarlo.
Nel rapporto dell’uomo con Dio mai si può abolire la relazione di volontà. Dio manifesta la sua volontà all’uomo, all’uomo la libertà di accoglierla, di non accoglierla.
Questo non significa che sia ininfluente accoglierla, o non accoglierla. Se si accoglie si entra nella vita, si progredisce nella vita, si avanza verso la vita eterna. Se non la si accoglie, si esce dalla pienezza della vita, si può anche cadere nell’egoismo e quindi nella morte, si può alla fine precipitare nella dannazione eterna.
Un‘opera di carità imposta, ma non accolta con il cuore, non fatta propria, non è opera evangelica, carità di Cristo in noi, amore misericordioso e compassionevole verso gli altri. È come se l’opera non fosse stata mai fatta.
Paolo vuole che ogni uomo sia sempre trattato da uomo nella sua più pura essenzialità che è quella della libertà. Questa è la via della vera vita, questa è la via più vera e più santa della vita, in quest’opera è il compimento del tuo essere e della tua vocazione: se vuoi, operala. È tua la libertà. È tua la volontà. Mia è la verità e il discernimento.
L’apostolo di Cristo Gesù è obbligato ad annunziare sempre la verità; è chiamato, però, solo a proporre alla coscienza la via migliore di tutte per operare secondo la carità di Cristo. Egli deve trattare sempre l’uomo da uomo. Dio opera così. Cristo ha operato così: se vuoi essere perfetto, se vuoi vivere la tua carità, il tuo amore sino in fondo, va’ vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi viene e seguimi.
Dinanzi alla libertà quest’uomo si è perduto. Fu ingannato dai suoi molti beni. Fu tradito dal suo amore per le cose della terra.
La generazione spirituale. La generazione secondo la carne è il dono della vita, della propria vita, che a sua volta diventa vita personale, autonoma. Vita da vita, ma che diviene vita di un’altra persona, distinta e separata da chi l’ha posta in essere. La generazione secondo lo Spirito Santo, o generazione spirituale, avviene mediante il dono del Vangelo, della fede. Si annunzia la Parola di Cristo, si crede in essa, ci si lascia battezzare e da acqua e da Spirito Santo siamo generati a figli di Dio. Colui che dona la Parola, comunica la fede, annunzia il Vangelo in certo qual modo partecipa anche lui di questa generazione spirituale e in tal senso è detto anche “Padre nella fede”. La Parola, il Vangelo, la fede generalmente è sempre donata da una persona e questa persona che dona la fede è in certo senso “padre” di colui che è stato generato alla fede. “Padre ministeriale, strumentale”. Paolo crede molto in questa paternità. Ne fa anche un motivo di vanto. Per lui molti possono essere i pedagoghi della fede, ma uno solo è il padre nella fede ed è colui che è all’inizio della predicazione e dell’annunzio del Vangelo. Questa generazione spirituale, anche se strumentale, crea un legame vitale forte tra chi genera e colui che è stato generato. Questo legame è indistruttibile, come indistruttibile è il legame che crea la generazione secondo la carne. Questo legame vuole che il padre consideri vero figlio spirituale colui che ha generato e chi è stato generato veda colui che lo ha generato come un vero padre del suo spirito, della sua nuova creazione, sempre però restando nell’ordine della strumentalità. Da questo legame nasce il rispetto, l’onore, l’ascolto, la devozione, l’aiuto, l’assistenza spirituale perché la fede che è stata generata possa raggiungere la sua più perfetta santificazione. Su questo principio della generazione spirituale ci sarebbe tutta una trattazione da fare. Lo esige la crescita della fede e il suo cammino di maturazione.
L’altro diviene il proprio cuore. Nella fede cristiana si realizza e si vive il mistero della comunione. La comunione ha il suo fondamento nell’unità che si è venuta a creare in Cristo Gesù. In Lui siamo tutti i battezzati un solo corpo. Il solo corpo è dalle molte membra. Ogni membro riceve e dona l’energia vitale; la riceve dagli altri, la fruttifica e la dona come frutti di verità e di grazia, dopo averla rivestita del suo particolare carisma. Questa comunione è così perfetta, così reale, da essere non solo comunione, ma unità, una cosa sola, una sola realtà in Cristo. Questa comunione e questa unità ci fa essere una cosa sola con l’altro, l’altro è noi stessi e noi stessi siamo l’altro. Paolo raggiunge il sommo della manifestazione di questa unità quando dice che l’altro, il servo Onesimo, è il suo proprio cuore. C’è unità, c’è comunione, c’è identificazione. L’altro è il mio cuore. Accettando l’altro si accetta il proprio cuore, si tratta l’altro come se uno ricevesse in dono il cuore dell’apostolo. Ciò significa semplicemente che tutto ciò che si fa all’apostolo, deve essere fatto al proprio cuore. Senza alcuna differenza, o distinzione. È questo il sommo della carità cristiana. È in questa identificazione, per nuova natura, per unità di natura, l’essenza e la specificità del cristianesimo.
Il bene spontaneo, libero. Il bene si propone. Lo si fonda. Lo si lascia alla spontaneità, o libertà del fratello. Lo si è già detto. Questo serve perché sia rispettato l’uomo nella sua essenza più santa e più vera. Il sì al bene è dell’uomo e nessun sì potrà essere proferito, se la volontà non è libera.
L’altro diviene il proprio fratello. La fratellanza cristiana non è solamente di nome. Essa è più forte della stessa fratellanza secondo la carne. Si è fratelli secondo la carne perché si è ricevuta la vita dagli stessi genitori. Ciò che i genitori hanno dato è solo il corpo. L’anima viene da Dio. È Lui che la crea ed è Lui che la infonde. Siamo già fratelli secondo la carne in ragione dell’anima, che è da un unico Creatore e Signore. Questa è la fratellanza universale: perché veniamo all’origine dallo stesso padre e dalla stessa madre, perché il Signore crea la nostra anima al momento del concepimento. Ma c’è un’altra fratellanza, tutta cristiana. Siamo fratelli in ragione della nostra unica nascita da acqua e da Spirito Santo. Siamo fratelli perché il Signore ci ha generati come suoi figli nel suo Figlio Gesù Cristo. Questa parentela spirituale, è vera parentela ed ha un legame più forte che gli stessi vincoli del sangue. Anche questa verità è fortemente vissuta da Paolo.
L’altro diviene se stesso. Paolo ha già detto qual è l’identità che c’è tra lui e Onesimo. Ora dice l’identità che esiste tra Filemone e Onesimo: quella di fratelli in Cristo. Se sono veri fratelli in Cristo, da veri fratelli devono trattarsi. Nessun fratello può tenere in schiavitù un altro fratello, metterebbe in schiavitù il proprio sangue. Questa legge vale anche per la fratellanza spirituale. Un padrone che dovesse tenere sotto di sé degli schiavi cristiani, è il suo stesso “sangue spirituale” che tiene schiavo. La schiavitù è da abolire per molteplici motivi: perché il Signore ha creato l’uomo libero, non asservibile, né schiavizzabile da nessun altro uomo; perché ogni uomo è fratello per creazione di ogni altro uomo; per il cristiano c’è una ragione in più: perché Cristo è morto per l’altro come è morto per me. In Cristo ognuno è chiamato a dare la vita per l’altro.
Per l’altro si paga ogni debito. Se l’altro diviene se stesso, per l’altro si paga ogni debito. Onesimo è divenuto il cuore di Paolo, Paolo per il suo cuore paga il debito, paga cioè il debito di Onesimo. Se lo paga Paolo, può pagarlo anche Filemone, condonandolo, perché anche per lui Onesimo è il suo cuore, è la sua vita. In questa semplice affermazione di Paolo c’è tutta la potenza di verità e di carità di Cristo Gesù, capace di rinnovare il mondo. Questa affermazione è la negazione di ogni egoismo.
La fiducia nella docilità. Agli altri si manifesta la verità, si chiede la carità, la carità anche si fonda nella verità della fede. Degli altri bisogna anche aver fiducia. Se noi fondiamo bene, santamente, secondo verità, la carità che si chiede, nessuno se è nelle condizioni di farlo, si tirerà indietro. Avere fiducia nella docilità dell’altro all’ascolto della preghiera che gli viene rivolta, anche questa deve essere struttura e forma di vita del cristiano.
Prigioniero di Cristo. Prigioniero per Cristo. Questa duplice verità merita una ulteriore puntualizzazione. La prigionia di Cristo è prigionia di croce per amore. Cristo ha racchiuso la sua vita tutta nell’amore del Padre. Anche il cristiano deve racchiudere tutta la sua vita nell’amore del Padre. Cristo trasformò l’amore del Padre in amore verso l’uomo, perché il Padre ama l’uomo. Per il Padre si lasciò inchiodare sulla croce. Per amore si rese prigioniero degli uomini. Questo secondo passaggio mai potrà essere fatto secondo verità, se non si vive in pienezza di carità la prima prigionia, quella cioè di essere prigionieri del Padre e del suo amore eterno.
Dal cuore di Paolo. La struttura argomentativa di Paolo è assai semplice. Il principio rimane sempre lo stesso. Egli guarda il cuore di Cristo, lo prende, lo mette tutto nel suo e da cuore di Cristo che è diventato il suo cuore egli annunzia le regole della verità che devono portare il cristiano al sommo grado di vivere la carità del Padre e di Cristo nello Spirito Santo. È questo un processo di assimilazione che ognuno di noi deve realizzare, se vuole trovare l’unica soluzione al problema della carità. Non c’è vera carità se non si vive secondo il cuore di Cristo.
La Vergine Maria, Madre della Redenzione, metta il cuore di Suo Figlio Gesù nel nostro, perché vi sia un solo cuore ad amare, il suo nel nostro.
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