LIBRO DEL PROFETA NEEEMIA
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PICCOLO COMMENTARIO DELL’ANTICO TESTAMENTO
NEEMIA
JEAN KOECHLIN
Indice:
Neemia 1 Neemia 2 Neemia 3 Neemia 4 Neemia 5 Neemia 6 Neemia 7 Neemia 8 Neemia 9 Neemia 10 Neemia 11 Neemia 12 Neemia 13
Neemia
Capitolo 1, versetti da 1 a 11
Storicamente il libro di Neemia è l’ultimo colpo d’occhio che l’Antico Testamento ci permette di gettare sul popolo d’Israele. Gli avvenimenti che riferisce cominciano circa trent’anni dopo quelli che il libro d’Ester riferisce e tredici anni dopo il ritorno di Esdra. I suoi insegnamenti sono dunque particolarmente appropriati a noi cristiani «che ci troviamo agli ultimi termini dei tempi» (1 Corinzi 10:11).
Povero popolo! Si trova in «gran miseria e nell’obbrobrio», secondo quel che raccontano alcuni viaggiatori (vers. 3). Ma Dio ha preparato qualcuno che si prenderà a cuore questo stato. È Neemia! Quest’uomo è sensibile alle sofferenze e all’umiliazione degli scampati, superstiti della cattività e confessa dinanzi all’Eterno i peccati che ne sono la causa. Così aveva fatto Esdra (cap. 9). Dio sceglie sempre gli strumenti delle sue liberazioni fra quelli che amano il suo popolo.
Ma dirigiamo i nostri sguardi su uno più grande di Neemia. Chi ha preso in cuore la condizione disperata d’Israele e dell’uomo in generale, se non il Figlio di Dio stesso? Egli investigava a fondo il nostro misero stato, quell’abisso di male ove eravamo immersi. Ed Egli venne per strapparci di là.
Capitolo 2, versetti da 1 a 8
Mentre i figli di Giuda erano nella miseria e nell’obbrobrio, Neemia occupava alla corte un posto dei più onorevoli: quello di coppiere del re. Avrebbe potuto, egoisticamente, conservare quel posto vantaggioso. Ovvero giustificarlo pensando: Poiché ho la fiducia del re, restando presso di lui sarò più utile al mio popolo. Dio mi ha posto qui a questo scopo.
Ma Neemia non ragiona così. Il suo cuore, come un tempo quello di Mosè, lo conduce a visitare i suoi fratelli, i figli d’Israele (Atti 7:23). E, piuttosto di godere per breve tempo i piaceri del palazzo reale, sceglie «d’essere maltrattato col popolo di Dio» (Ebrei 11:25).
Notate che il suo abboccamento con Artaserse è non soltanto preceduto (cap. 1:4), ma anche accompagnato dalla preghiera (vers. 5). Fra la domanda del re e la propria risposta, Neemia trova il tempo di rivolgersi a Dio nel cuore. Si è chiamato questa una «preghiera-freccia». Imitiamo più sovente quest’esempio! E vedremo, come questo servitore (servitore dell’Eterno prima d’esserlo del re), la buona mano di Dio riposare su noi e su quel che faremo.
Capitolo 2, versetti da 9 a 20
Neemia è arrivato a Gerusalemme munito delle lettere del re. Comincia col fare l’ispezione delle mura, o piuttosto di quel che ne rimane. Il fratello suo gliene aveva parlato (cap. 1:3), ma desidera rendersi conto da sé dell’estensione dei guasti. Grande è la sua costernazione dinanzi a quello spettacolo, a cui gli abitanti di Gerusalemme, da parte loro, si erano abituati! Anche noi, cristiani, siamo certamente in pericolo di non più soffrire dello stato di rovina in cui si trova oggi la Chiesa responsabile. Nessun muro la protegge più contro l’invasione del mondo. E un tale stato è perfettamente ciò che i suoi nemici desiderano.
Al tempo di Zorobabel e d’Esdra, questi nemici si chiamavano per Israele: Bishlam, Tabeel… poi Tattenai, Scethar-Boznai e i loro colleghi. Sotto Neemia si tratta di Samballat, di Tobia e di Ghescem. Il diavolo si serve di strumenti diversi. Egli rinnova di tanto in tanto il suo «personale». Ma il suo scopo è sempre il medesimo: Mantenere il popolo di Dio nell’abbassamento e nella servitù.
Neemia sa come fare per esortare gli uomini di Gerusalemme. Il suo nome significa: l’Eterno ha consolato. Egli ottiene questa risposta gioiosa e incoraggiante: «Leviamoci e mettiamoci a costruire» (vers. 18).
Capitolo 3, versetti da 1 a 15
Al contrario dell’ordine normale, la ricostruzione di Gerusalemme ha cominciato dall’altare, poi dal tempio (Esdra 3) ed è soltanto dopo questo che le mura della città sono riedificate. L’altare e il santuario ci parlano del culto che, evidentemente è la prima responsabilità del popolo di Dio. Ma noi non siamo soltanto dei cristiani della domenica. Anche il resto della città, che si riferisce alla vita quotidiana nelle nostre case e nelle nostre circostanze di ogni giorno, deve ugualmente essere protetto contro i nemici e separato arditamente dal mondo circostante. Ad ognuno spetta di vegliarvi e in particolare di costruire dirimpetto alla propria casa (vers. 10, 28, 30).
Sotto l’impulso di Neemia, tutto Giuda s’è messo all’opera. E questo capitolo ci fa fare il giro della città per presentarci in atto i vari gruppi di lavoratori. Ognuno ha intrapreso, chi la propria porta, chi la propria torre, chi la propria parte di muro, in proporzione delle forze che ha e soprattutto della propria devozione. Ma mentre alcuni hanno abbastanza zelo per restaurare una parte doppia (vers. 11, 19, 24, 27, 30), altri — fra cui i principali — rifiutano di piegare il loro collo al servizio del loro Signore (parag. Matteo 20:27-28). Triste testimonianza, non è vero?
Capitolo 3, versetti da 16 a 32
Dal vers. 16 si tratta della parte di muro che proteggeva la città di Davide e il cortile del tempio.
Siamo stupiti di venire a conoscenza che Eliascib, il sommo sacerdote non ha restaurato dirimpetto alla propria casa (parag. 1 Timoteo 3:5). Altri han dovuto farlo in vece sua (vers. 20-21). Seconda negligenza colpevole: costruendo la porta delle Pecore, lui ed i suoi fratelli, come cattivi pastori, avevano omesso di munirla di serrature e di sbarre (vers. 1). Era lasciare ai ladri e ai marioli il mezzo di introdursi per impadronirsi delle «pecore» di Israele (vedere Giovanni 10:8,10).
Degli orefici, dei profumieri, dei commercianti (vers. 8 e 32) si sono improvvisati muratori. Uno dei capi, Shallum (vers. 12), lavorò alle riparazioni con le sue figlie. Con questi esempi Dio ci insegna che possiamo lavorare all’opera Sua a qualsiasi età, qualunque sia il nostro sesso o la nostra professione. Notiamo pure che parecchi di questi uomini, o i padri loro, si erano compromessi al tempo di Esdra nella triste unione con le donne straniere. Tale era il caso di Baruc figlio di Zabbai, di Malkia, di Benaia, figli di Parosh (Esdra 10:25,28). È bello vedere ora la loro premura per proteggere Gerusalemme precisamente contro le influenze straniere.
Capitolo 4, versetti da 1 a 14
Durante la riparazione delle mura, l’ira dei nemici si scaglia contro Giuda. Samballat, il loro portavoce, esprime beffeggiando il suo disprezzo più profondo. Le beffe! noi vi siamo particolarmente sensibili. Il mondo non manca di beffarsi della separazione dei cristiani, della debolezza del loro radunamento… Non lasciamoci turbare dalle sue riflessioni. «Noi dunque riedificammo…», conclude Neemia! (vers. 6).
Allora il nemico passa alla guerra aperta. E lo scoraggiamento minaccia gli uomini di Giuda. Guardano alla loro debolezza (vers. 10). Equivale ad esser d’accordo col nemico che aveva sprezzato «quegli spossati Giudei» (vers. 2). Essi considerano i pesi dei carichi, il volume delle macerie… Ma vi sono quelli che, insieme a Neemia, conoscono la doppia risorsa (vers. 9). Essa è ad un tempo un ordine del Signore: «Vegliate e pregate…» (Matteo 26:41; 1 Pietro 4:7). La preghiera deve essere la nostra prima risposta agli sforzi dell’Avversario. Però non dispensa dalla vigilanza. Perciò Neemia prende varie disposizioni per assicurare la sorveglianza e la custodia del popolo durante la fine del lavoro.
Capitolo 4, versetti da 15 a 23
Capitolo 5, versetti da 1 a 5
Alle difficoltà e alla fatica della costruzione si aggiungono, alla fine del cap. 4, quelle del combattimento. Infatti il credente non è soltanto operaio, è anche soldato. Assomiglia al milite di Neemia, che tiene con una mano il suo arnese e con l’altra la sua arma (che è la Parola di Dio: Efesini 6:17). Non ha il diritto di deporre né l’uno né l’altra.
Dopo il bello zelo a cui abbiamo assistito, il capitolo 5 ci reca una penosa sorpresa. Quei «superstiti della cattività», che, prima della venuta di Neemia, erano in gran miseria (cap. 1:3), si trovano ora in una situazione anche peggiore. Hanno dovuto impegnare ciò che possedevano, e talvolta sottoporre i loro figli alla schiavitù, per pagare le imposte e non morir di fame. Per di più, quelli che li hanno ridotti in quello stato non sono dei nemici. Sono i loro propri fratelli, che hanno in tal modo trasgredito la legge (Esodo 22:25); Levitico 25:39 a 43; Deuteronomio 15:11; 23:19-20).
A che punto siamo, miei cari amici, per ciò che riguarda l’amor fraterno? Senza di esso il più bel servizio cristiano non ha valore (1 Corinzi 13:1 a 3). Realizziamo quel che dice l’apostolo Giacomo (cap. 2:15-16). Sì, esaminiamo bene il nostro cuore a questo riguardo, e anche il nostro comportamento!
Capitolo 5, versetti da 6 a 19
«Indignato forte», Neemia raduna i notabili ed i magistrati davanti al resto del popolo per rivolger loro i rimproveri che meritano! I colpevoli si sottomettono. Non semplicemente perché Neemia è il governatore, ma perché egli stesso dà l’esempio del disinteressato! Egli ha rinunziato ai diritti personali che gli dava la sua posizione, e questo gli permette di chiedere ai capi di agire nello stesso modo. L’esempio è la regola d’oro per ottenere qualunque cosa dagli altri. L’apostolo Paolo s’è sempre proposto di poter servire di modello ai credenti che egli ammaestrava (Atti 20:35; 1 Corinzi 4:11,16; 10:32-33…). Ma soprattutto consideriamo il divino Maestro. Egli diceva ai suoi discepoli: «Io v’ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come v’ho fatto io» (Giovanni 13:15). Ma nello stesso tempo li metteva in guardia contro gli scribi e i farisei: «Fate dunque ed osservate tutte le cose che vi diranno, ma non fate secondo le opere loro; perché dicono e non fanno..» (Matteo 23:3). Le moltitudini notavano la differenza: Gesù «le ammaestrava come avendo autorità, e non come i loro scribi» (Matteo 7:29).
Capitolo 6, versetti da 1 a 14
I loro cattivi esiti precedenti non hanno scoraggiato Samballat, Tobia e Ghescem. Essi fanno a Neemia una proposta ipocrita: «Vieni e troviamoci assieme…» La valle di Ono (ossia degli artigiani: cap. 11:35), fissata come luogo di incontro, suggerisce una collaborazione con i nemici del popolo di Dio. Ma l’offerta è respinta, nonostante le minacce che l’accompagnano per la quinta volta. Allora un altro laccio è teso per l’intermediario d’un giudeo, Scemaia. Con una falsa profezia, questo agente del nemico cerca di indurre Neemia (che non era sacerdote) a disobbedire all’Eterno cercando asilo nel Tempio (vedere 2 Corinzi 11:13 e 1 Giovanni 4:1). Nello stesso modo hanno agito i Farisei col Signore Gesù. «Parti e vattene di qui — Gli dicono — perché Erode ti vuol far morire» (Luca 13:31). Essi, avendo Satana dietro a loro, cercavano di spaventare, e far deviare dal sentiero della fede, Colui che «si era messo risolutamente in via per andare a Gerusalemme» (Luca 9:51). La doppia offensiva, sventata dal fedele Neemia, mette il cristiano in guardia contro due pericoli opposti:
Allargare il sentiero, lavorando in collaborazione con quelli che non sono sottomessi alla Parola.
Rinchiudersi in un settarismo orgoglioso ed egoista.
Capitolo 6, versetti da 15 a 19
Capitolo 7, versetti da 1 a 7
Son bastati cinquantadue giorni agli uomini di Giuda per colmare le brecce e ricostruire le mura. La maggior parte di loro erano inesperti nel maneggio della cazzuola e della zappa. Ma avevano zelo, e gran cuore per il lavoro (cap. 3:20; 4:6). Agli occhi del Signore, la devozione dei suoi operai ha più valore delle loro capacità. D’altronde, Egli dà precisamente queste capacità a quelli che hanno della devozione e si confidano in Lui.
Gli sforzi di Tobia per intimidire Neemia, e l’appoggio che questo nefasto personaggio trova in alcuni notabili di Giuda, sono le ultime manifestazioni d’ostilità dei nemici. Gerusalemme con le sue mura ricostruite appare ormai alle nazioni circonvicine, «edificata come una città ben compatta» (Salmo 122:3). Però bisogna assicurarne la sorveglianza. Neemia s’occupa delle porte, e anche di stabilire dei guardiani (vedere Isaia 62:6 e 7). Si attribuiscono altre funzioni, comprese quelle dei due governatori della città (vers. 1. 2). L’uno e l’altro hanno meritato quest’incarico: Hanani, per il suo interessamento per il popolo (cap. 1:2), Hanania, per fedeltà e timor di Dio (vers. 2).
Capitolo 7, versetti da 61 a 73
Dio ha messo in cuore a Neemia di fare il censimento del popolo. E si è servito per questo del registro genealogico stabilito al tempo del primo ritorno a Gerusalemme. I vers. 6 a 73 riproducono press’a poco il cap. 2 del libro di Esdra. Vi ritroviamo per esempio la discendenza di quest’uomo «che aveva sposato una delle figliuole di Barzillai, il Galaadita, e fu chiamato col nome loro» (vers. 63). Barzillai era quel vecchio ricco e considerato che aveva fornito i viveri al re Davide a Mahanaim (2 Samuele 19:32). Qui siamo informati che suo genero, benché sacerdote, aveva dianzi rinunziato al proprio nome. Si era fatto chiamare con quello del suocero che lo metteva in maggior evidenza. Quali ne sono state le disastrose conseguenze? I suoi discendenti sono esclusi come profani dalle cariche del sacerdozio! Guardiamoci, per tema di perdere considerazione, di abbandonare i nostri privilegi cristiani! Vi è forse maggior dignità e nobiltà che appartenere alla famiglia di Dio, al «sacerdozio regale»?
Questo censimento del popolo sottolinea il contrasto con i giorni di Davide! La sola tribù di Giuda contava allora 470’000 uomini di guerra; dieci volte più numerosa. Ma quel che vale, non è la potenza; è la fedeltà.
Capitolo 8, versetti da 1 a 12
Per la bella scena di questo capitolo, Neemia ha ceduto il posto principale a Esdra, il sacerdote. Sappiamo che questi era uno «scriba versato nella legge di Mosè» e che aveva da molto tempo «applicato il cuore… ad insegnare in Israele le leggi e le prescrizioni divine» (Esdra 7:6 e 10). Felice desiderio che, alla richiesta del popolo, trova occasione per realizzarsi! Si tratta della lettura distinta e della spiegazione della Parola di Dio.
Aprendola, Esdra benedice l’Eterno che ha dato questa Parola, proprio come oggi si rende grazie quando la Bibbia è letta e meditata in un’assemblea. Riguardo agli assistenti, non basta aver intelligenza (vers. 3); occorre anche che essi tendano le orecchie (fine vers. 3). Lo facciamo noi sempre durante le riunioni o la lettura in famiglia? Capire la Parola è il mezzo per essere nutriti e rallegrati dalla comunione col Signore (vers. 12). Ma dobbiamo pensare anche a «mandar porzioni ai poveri», cioè fare approfittare gli assenti di quel che ha fatto bene a noi.
Infine quel magnifico versetto: «Il gaudio dell’Eterno è la vostra forza» (fine del vers. 10). E soprattutto facciamone l’esperienza!
Capitolo 8, versetti da 13 a 18
Capitolo 9, versetti da 1 a 4
«Così è della mia parola, uscita dalla mia bocca; essa non torna a me a vuoto…» — dice l’Eterno (Isaia 55:11). E questa promessa si realizza qui. Secondo l’insegnamento divino, il popolo, sotto la condotta dei suoi capi, celebra i Tabernacoli con più magnificenza che ai giorni più belli di Salomone. Per noi cristiani, la rovina attuale deve anche farci realizzare più che mai il nostro carattere di forestieri (l’abitazione sotto tende) e dirigere i nostri pensieri sulle gioie del regno futuro (i Tabernacoli).
Al principio del. cap. 9 la scena cambia. I figli d’Israele si radunano di nuovo in un giorno fissato. Questa volta lo scopo del radunamento è la confessione dei loro peccati. Vi sono forse anche nella nostra vita di credenti dei momenti particolari in cui dobbiamo fare il bilancio dei nostri falli e umiliarcene? Alcuni pensano che si debba regolare questo ogni sabato sera; altri, alla fine di ogni giornata. Non hanno ragione né gli uni, né gli altri. Il giudicio di sé è un’azione continua. Dobbiamo praticarlo ogni volta che lo Spirito Santo ci ha resi coscienti d’un peccato.
Capitolo 9, versetti da 5 a 15
Alcuni Leviti, di cui abbiamo i nomi, invitano il popolo ad alzarsi per benedire l’Eterno. E Gli rivolgono, a nome di tutta l’assemblea, la lunga preghiera che occupa il resto del capitolo. Risalendo alla creazione, celebrano l’adempimento dei consigli di Dio: la chiamata d’Abrahamo (il cui cuore fu trovato fedele) la liberazione dall’Egitto, il mar Rosso, le cure pazienti lungo tutto il tragitto nel deserto con il dono della legge, poi l’entrata nel paese.
Se apparteniamo al Signore, potremo stendere una lista altrettanto lunga e che non sarà meno meravigliosa! Poiché comincerà nel modo seguente: «Tu hai dato per amor mio il tuo Figlio». Ripassiamo sovente nei nostri cuori ciò che la grazia ha fatto per noi. Ed esercitiamoci a scoprire dei motivi sempre più numerosi di riconoscenza, che saranno altrettanti nuovi legami d’amore col nostro Padre celeste e col Signore Gesù. Come Davide esortiamo l’anima nostra a benedire l’Eterno e a non dimenticare «nessuno dei Suoi benefizî» (Salmo 103:2). Ma veramente questi benefizi sono innumerevoli! (vedere Salmo 139:17- 18).
Capitolo 9, versetti da 16 a 27
Dopo aver, come questi Leviti, tracciato a lungo la storia della grazia di Dio verso Israele, Stefano, nel cap. 7 degli Atti, continua il suo discorso nello stesso modo: «Gente di collo duro,… voi contrastate sempre allo Spirito Santo…» (vers. 51). Il collo duro, la nuca che non vuol piegarsi per sottomettersi al giogo del Signore, non caratterizza unicamente il popolo d’Israele, e neppure soltanto gl’inconvertiti! Abbiamo tutti in noi questa natura volontaria, indomita. Ogni cristiano, senza eccezione, la conosce purtroppo. E gli è impossibile venirne a capo con i propri sforzi. Ma conosce ognuno ad un tempo la liberazione che Dio gli concede? Poiché alla croce, ha messo a morte questa volontà ribelle ed irriducibile, Egli ci ha dato in sua vece la natura obbediente di Gesù. La vecchia natura è sempre in noi, con i suoi desideri, ma non ha più il diritto di dirigerci.
Come risaltano di più tutti quei peccati d’Israele quando sono messi, come qui, in contrasto con la grazia divina! Raddoppiano, per così dire, d’ingratitudine (vedere Deuteronomio 32:5-6). E non è forse anche il caso di tanti giovani e giovanette allevati da genitori credenti?
Capitolo 9, versetti da 28 a 38
Al vers. 33 abbiamo il riassunto di tutto questo capitolo: «Tu sei stato giusto in tutto quello che ci è avvenuto, poiché tu hai agito fedelmente, mentre noi ci siamo condotti empiamente». Accostiamo questo a quella parola dell’Evangelo di Giovanni: «Chi ha ricevuto la Sua (di Gesù) testimonianza ha suggellato che Dio è verace» (Giovanni 3:33; vedere anche Romani 3:4). Suggellare, vuol dire approvare formalmente una dichiarazione, garantirla e impegnarsi a rispettarla. I principi, i Leviti ed i sacerdoti appongono così i loro sigilli (cioè le loro firme), per confermare il loro accordo.
Al termine di questa lunga confessione, riteniamo anche due insegnamenti molto importanti: In primo luogo, è necessario risalire quant’è possibile alle origini d’un male, con un completo dietro front. La violazione della legge è incominciata con l’affare del vitello d’oro; ebbene, questa non può passare sotto silenzio (vers. 18)! Poi, una confessione deve essere precisa: Dire a Dio in modo generale: Io sono un peccatore; ho commesso dei peccati — costa ben poco, e non ha valore ai suoi occhi. Egli aspetta che Gli diciamo: Signore, io sono questo colpevole. Ho fatto quest’atto e quello ancora (vedere Levitico 5:5).
Capitolo 10, versetti da 28 a 39
Gli uomini nominati al principio del capitolo sono quelli che hanno apposto il loro sigillo al patto dell’Eterno. Sapete voi che Dio ha ugualmente il suo sigillo? Lo Spirito Santo è, sopra ogni riscattato, il segno di proprietà per mezzo del quale Dio lo riconosce e dichiara: Ecco qualcuno che mi appartiene (Efesini 1:13 e 4:30). Può Egli riconoscervi in questo modo? Ma, mentre i loro sigilli non potevano dare ai compagni di Neemia la forza di compiere ciò a cui s’impegnavano, lo Spirito Santo invece è ad un tempo il sigillo, la potenza per cui il cristiano agisce secondo la volontà divina (Efesini 3:16).
Tutto il popolo si è associato d’un medesimo cuore ai suoi conduttori. La conoscenza della legge, acquistata a nuovo, non resta teoria per loro. Li conduce successivamente alla purificazione, al rispetto del sabato e dell’anno di riposo della terra; poi al servizio della casa e all’osservanza delle istruzioni concernenti le primizie e le decime. «Se sapete queste cose, siete beati se le fate», diceva il Signore Gesù (Giovanni 13:17).
Capitolo 11, versetti da 1 e 2
Capitolo 12, versetti da 22 a 30
Erano ben poco numerosi i rimpatriati da Babilonia in paragone a quelli che abitavano nel paese prima della deportazione. Gerusalemme, con le sue mura ricostruite sulle loro antiche basi, non contava che un infimo numero di cittadini: fra altri quelli che avevano riparato le mura dirimpetto alla loro casa! Si decide di fare appello a dei volontari di Giuda e di Beniamino per venire a ripopolare la città. Sono riferiti i loro nomi. Dio infatti onora quelli che, rinunziando ai loro campi e alle loro case, vengono per amore a dimorare presso il Suo santuario.
Son fatte delle promesse a riguardo della Gerusalemme del regno di mille anni (Zaccaria 2:4; Isaia 33:20; 60:4 e 15). — Ma delle promesse più belle ancora concernono la santa Città, la Gerusalemme celeste. Dio, che l’ha «preparata» per Cristo (Apocalisse 21:2), l’ha pure «preparata» per quelli che Gli appartengono ed hanno rinunziato a possedere quaggiù una città permanente (Ebrei 11:16). Questa meravigliosa Città non è fatta per rimanere vuota. Dio stesso vi abiterà in mezzo ai suoi. Tuttavia vi si penetra ad una condizione: Bisogna aver «lavato le proprie vesti» per fede nel sangue dell’Agnello (Apocalisse 22:14). L’avete fatto?
Capitolo 12, versetti da 31 a 47
La cerimonia della dedicazione delle mura, che comincia al vers. 27, si svolge fra una grande allegrezza. Due cortei formati di cantori e accompagnati da trombe partono insieme sul sentiero di ronda, ognuno dal proprio lato. Uno è condotto da Esdra, mentre Neemia chiude la marcia del secondo. Le due processioni si incontrano in prossimità del Tempio dopo aver compiuto ognuno la metà del giro della città. Hanno realizzato la parola del bel salmo 48: «Circuite Sion, giratele attorno; contatene le torri… osservatene i bastioni…» (Salmo 48:12-13).
Giunti alla casa dell’Eterno, i due cori riuniti «fecero risonar forte le loro voci» e «numerosi sacrifizi» sono offerti fra la gioia generale. Il vers. 43 ci insegna tre cose a proposito di questa gioia:
1. Anzitutto che essa ha la sua sorgente in Dio: «Iddio aveva loro concesso una grande gioia.»
2. Poi, che tutti vi partecipano, compresi i fanciulli. Ciò che forma la gioia dei genitori, forma anche quella dei figli?
3. Infine, che questa gioia «si sentiva di lontano». Il mondo che ci attornia può forse vedere e udire che siamo delle persone il cui cuore è ripieno d’una gioia divina?
Capitolo 13, versetti da 1 a 14
Neemia era stato obbligato di ritornare dal re. Approfittando della sua assenza, Tobia, il nemico ben conosciuto, era pervenuto a farsi attribuire una delle camere contigue alla casa dell’Eterno, grazie alla complicità d’un sacerdote, quel tale Eliascib che si era già dimostrato tanto negligente al tempo della costruzione delle mura. Ahimè! i portinai, gli uomini che al capitolo precedente erano stati «preposti… alle stanze che servivano da magazzini delle offerte», non avevano dal canto loro osservato ciò che si riferiva al servizio del loro Dio (cap. 12:45).
Indignato, Neemia fa gettare fuori dalla camera tutte le masserizie appartenenti a Tobia. Poi fa purificare le camere e rimettere a posto gli utensili e le offerte. L’affezione di questo uomo di Dio per la casa dell’Eterno e lo zelo che pone a sbarazzarla da ogni contaminazione, ci fa pensare a Gesù, quando caccia dal tempio quelli che avevano fatto, d’una casa di preghiera, una spelonca di ladroni (Matteo 21:12- 13).
Questa prima negligenza ne aveva trascinate altre, e Neemia deve anche occuparsi delle porzioni dovute ai Leviti come pure della sorveglianza e della ripartizione delle decime recate dal popolo.
Capitolo 13, versetti da 15 a 31
Nonostante l’impegno preso dal popolo (cap. 10:31), neppure il riposo del sabato era stato rispettato. Neemia energicamente prende le misure necessarie per rimediare a questa situazione.
Non dovremmo noi, cari figli di Dio, attribuire almeno altrettanta importanza al giorno del Signore quanto Israele al suo sabato? Certamente noi non siamo più sotto la legge. Ma è triste che la domenica sia considerata, da certi cristiani, come un semplice giorno di riposo o di agio; ovvero che sia impiegata ad un compito scolastico che avrebbe potuto essere terminato alla vigilia!
A che cosa ci fan pensare quelle porte che bisognava chiudere durante la notte, per la protezione contro i pericoli del mondo? Non è forse una volta ancora alla santa Città di cui è detto: «E le sue porte non saranno mai chiuse di giorno (la notte quivi non sarà più)… E niente d’immondo e nessuno che commetta abominazione o falsità v’entreranno» (Apocalisse 21:25,27).
Il sipario della storia cade ora su Israele. Esso non si alzerà che quattro secoli dopo (esattamente quattrocento quarant’anni) sul suo Liberatore e Messia, alla prima pagina del Nuovo Testamento.
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