Archive pour décembre, 2012

Omelia II Domenica di Avvento (Anno C): La Parola di Dio sui piccoli della storia

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La Parola di Dio sui piccoli della storia

don Alberto Brignoli 

II Domenica di Avvento (Anno C) (09/12/2012)

Vangelo: Lc 3,1-6  

Chi pensa che la vita di fede, o comunque il riferimento ai valori dell’assoluto, sia da relegare a una sfera che sta fuori dallo spazio e dal tempo, a un ambito spirituale che nulla ha a che vedere con quanto accade nella storia, o alla sfera di un intimo rapporto personale con Dio che, in questo modo, permetta di rifugiarci e scappare dalle amarezze e dalle difficoltà del quotidiano…beh, allora è sufficiente che legga le prime righe del brano di Vangelo di oggi per convincersi che non è così.
Quando il predicatore Giovanni appare nel deserto di Giudea – quindi in uno spazio geografico ben determinato – a proporre « un battesimo di conversione per il perdono dei peccati », la sua parola si trova a risuonare in mezzo a un contesto storico preciso, determinato, nel quale ci sono sovrani della terra i cui nomi (alcuni dei quali per la verità quasi sconosciuti) hanno certamente un’importanza e una funzione sociale e civile decisamente superiore a quella del figlio di Zaccaria, un vecchio sacerdote della classe di Abia (allora quasi certamente già defunto), originario di uno sperduto villaggio delle montagne di Giudea, di nome Ain Karim. Proprio un bel contrasto, con la nobiltà romana di Tiberio Cesare Augusto, secondo imperatore di Roma!
Magari, c’è anche un po’ di ironia dell’evangelista Luca, che scarta i sette nomi di grandi dell’epoca (chissà perché proprio sette…nella Bibbia non è mai un numero a caso…che la perfezione sia altrove?) da lui elencati come possibili destinatari della parola di Dio, la quale, invece di finire su Ponzio Pilato a Gerusalemme o su Erode, tetrarca di Galilea, o per lo meno su uno dei due sommi sacerdoti Anna e Caifa (certamente buoni conoscitori della Torah), nel 29 dopo Cristo (non un anno prima né un anno dopo) venne su Giovanni da Ain Karim che in quel momento si trovava nel deserto… Ironia, sì, perché c’era qualcuno senz’altro più meritevole di lui, dal punto di visto umano, per essere ritenuto depositario della parola di Dio. E soprattutto, Roma o anche solo Gerusalemme sarebbero state delle piazze più importanti per proclamare al popolo i disegni della volontà di Dio sull’umanità. E Dio sceglie Giovanni da Ain Karim, nel deserto.
Allora, Dio sconvolge i nostri modi di pensare non solo dicendoci che la sfera della fede e dei valori dello spirito non sono avulsi e lontani da una ben precisa situazione storica e geografica alla quale ognuno di noi fa riferimento sin dalla propria nascita, ma addirittura facendo destinatari della sua parola i deboli, coloro che agli occhi del mondo sono un nulla per discendenza, origine, e forse pure per preparazione culturale, e scartando da questo gioco i potenti. Pochi capitoli prima, nello stesso Vangelo di Luca, questa rivoluzione di Dio che depone i potenti dai troni e innalza gli umili era già stata meravigliosamente cantata da una ragazza di Nazareth, tra l’altro cugina della madre di questo Giovanni da Ain Karim. E ora, la storia si ripete.
Ma si ripete soprattutto la rivoluzione di Dio, il cambiamento totale di prospettiva, la conversione totale degli ideali di gloria dell’uomo che pensa di impadronirsi di una storia della quale invece padrone e signore è un altro; e quest’Altro, ci rivela i suoi piani attraverso gli ultimi della storia. La Parola di Dio ce lo dice più volte: « Le vostre vie non sono le mie vie » (Is 55,8). Ed è alle vie di Dio che ci dobbiamo conformare; è lungo le vie di Dio che dobbiamo camminare; è sulle vie di Dio che vediamo camminare gli uomini senza che essi, e noi con loro, spesso si accorgano che stanno camminando sulle stesse vie di Dio. Per vedere la salvezza di Dio, occorre però che queste vie siano ben chiare ed evidenti ai nostri occhi; è necessario che ogni burrone venga riempito, per poterci camminare sopra; è bene che monti e colli vengano abbassati, che le vie tortuose vengano spianate, perché il camminare dell’uomo sia più spedito e veloce.
Ogni anno, pare, siamo qui ad ascoltare queste belle e suggestive parole di Giovanni, che risuonano ormai come slogan del tempo di Avvento; non sarebbe Avvento, se ogni anno non ascoltassimo queste sue parole… ma il rischio è che queste parole rimangano, appunto, sempre belle parole. Questa storia, nella quale esse risuonano, rischia di lasciarsi sconvolgere poco dalle parole del profeta. Anzi, la storia ha sempre fatto dei profeti quello che voleva; e se noi oggi li ricordiamo come tali, è perché sono stati talmente « profetici », nel loro tempo, da non essere per nulla capiti, e molte volte hanno fatto la fine del Battista.
Ma la storia non è « cosa altra » dalla realtà di ogni giorno. La storia siamo noi; e se diciamo che la storia non si è fatta sconvolgere, convertire, cambiare, dalla parola di Dio venuta sul profeta di turno, stiamo ammettendo che neppure noi ci siamo lasciati cambiare, sconvolgere, convertire dalla parola. Costa, certo che costa!, appianare le vette del nostro orgoglio, riempire le lacunose valli della nostra ignoranza, raddrizzare il tiro delle nostre laconiche e inutili affermazioni, e preparare la strada al Signore che viene a cambiare la nostra vita, goccia a goccia, giorno dopo giorno. Ma se non ci fosse una parola che ogni anno ce lo ricorda, sarebbe davvero inutile continuare a sperare in qualcosa di migliore.
Oggi, la dimensione della speranza è ciò di cui abbiamo più bisogno, in un momento storico e sociale che non promette nulla di buono. Allora, forse, la conversione più grande che dobbiamo operare in questo tempo di Avvento, più che un insieme di sacrifici e di pratiche penitenziali tipiche di altri tempi dell’anno, è questa: lasciare che sia Dio a guidare i nostri pasi sulla sua via, cambiare la direzione del nostro cammino per fare in modo che sia lui a dettarci la strada. I grandi della storia, questo, non lo sanno fare. Loro ci sanno dare altre certezze, forse più concrete, di certo spesso anche drammatiche e dannose per l’umanità. Dio ci lascia nell’incertezza del trovarci per strada, in cammino, nell’incertezza di una casa che non è una casa, ma è una tenda, da risollevare ogni volta e da piantare là dove lui dice.
Di precarietà, pare, stiamo diventando tutti esperti. Affidiamola a Dio: se la nostra precarietà è nelle sue mani, forse abbiamo ancora una flebile speranza che possa convertirsi in una serie di piccole certezze. Anche di quelle abbiamo davvero tanto bisogno.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 8 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

Immacolata Concezione di Maria

Immacolata Concezione di Maria dans immagini sacre immacolataCh

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Publié dans:immagini sacre |on 7 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

L’Immacolata Concezione, nella storia e nei testi biblici

http://www.tanogabo.it/religione/IMMACOLATA_CONCEZIONE.htm

L’Immacolata Concezione

Nel corso dei secoli la Chiesa ha preso coscienza che Maria, colmata della grazia di Dio, era stata redenta fin dal suo concepimento. Il dogma formulato dal Papa Pio IX l’8 dicembre 1854 suona così:
«La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia e un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia di peccato originale».

Questa affermazione è il risultato di un travaglio durato lunghi secoli, come abbiamo già avuto modo di vedere nelle pagine precedenti. Vogliamo adesso considerare i fondamenti di questa definizione dogmatica nella Sacra Scrittura e nella Tradizione.
La Vergine Maria viene raffigurata in piedi sulla sfera terreste e la mezza luna, calpestando il serpente del Peccato Originale, incoronata dalla colomba dello Spirito Santo e circondata da angeli e da alcuni dei simboli mariani (il ramo di gigli, la palma, la fonte e lo specchio). Questa scena mostra il modo tradizionale di rappresentare l’Immacolata Concezione della Vergine, che fu concepita senza peccato originale.
L’opera fu incaricata dalla casa reale per la chiesa di San Pasquale di Aranjuez.
Il bozzetto di questo quadro è conservato nella Courtauld Institute Galleries di Londra.

I fondamenti biblici

IL PROTOVANGELO (Gen 3,15)
Abbiamo già esaminato a suo tempo questo testo fondamentale, nel quale si parla dell’inimicizia fra la donna (figura di Maria) e il serpente (figura del diavolo). Anche prescindendo dalla questione se il testo indichi o non indichi chiaramente la vittoria della donna, rimane comunque fuori dubbio che fra la donna e il serpente c’è una radicale inimicizia: «Porrò inimicizia fra te e la donna…». Ciò è sufficiente a dare un solido fondamento al nostro dogma. Infatti se fra la donna e il serpente c’è un’inimicizia radicale, non si può pensare che anche per un solo istante nella donna ci sia stata, per così dire, un’amicizia con il serpente a motivo del peccato, sia pure del solo peccato originale. Fra la donna e il serpente c’è un’incompatibilità assoluta. Nella donna quindi non c’è alcuna macchia di peccato.

IL SALUTO DELL’ANGELO (Lc 1,28)
Le parole dell’angelo: «Ti saluto, o piena di grazia» (più letteralmente: «o ricolma del favore divino»), lette alla luce della Tradizione e del sensus fidei del Popolo di Dio, indicano una pienezza totale di grazia. Questa totalità riguarda sia l’estensione che la durata, cioè deve estendersi a tutta la vita di Maria, a cominciare dal primo istante della sua esistenza. Quindi sin dal primo istante Maria fu santa, senza alcuna macchia di peccato.

IL SALUTO DI ELISABETTA (Lc 1,41-42) Alle due prove precedenti, che sono quelle fondamentali, alcuni autori ne aggiungono anche una terza tratta dalle parole di Elisabetta: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno!». La benedizione divina di Maria è posta in parallelo con quella di Cristo nella sua umanità. Questo parallelismo lascia intendere che Maria, come Cristo, fin dal principio della sua esistenza, era esente da ogni peccato. È degno di nota poi, come abbiamo già accennato a suo tempo, che la benedizione della Madre venga posta prima di quella del Figlio.

Sviluppo storico
Presso i Padri e gli scrittori dei primi secoli la dottrina dell’Immacolata Concezione è implicita nel frequente parallelismo Eva-Maria (S. Giustino, S. Ireneo e Tertulliano), il quale comporta una doppia relazione: di somiglianza (come Eva uscì pura dalle mani di Dio, così Maria doveva uscire immacolata dalle medesime mani) e di opposizione (colei che doveva essere la riparatrice dei danni provocati da Eva non poteva trovarsi coinvolta in essi). Nello stesso periodo S. Ippolito dice che il Salvatore era «un’arca fatta con legni (la Beata Vergine Maria) non soggetti alla putrefazione della colpa». Analoghe espressioni troviamo in seguito in S. Gregorio Taumaturgo, S. Efrem e altri.
Per quanto riguarda l’Occidente, abbiamo visto a suo tempo come in particolare S. Ambrogio e S. Agostino escludano da Maria ogni peccato, anche se un testo di S. Agostino, interpretato in senso sfavorevole all’Immacolata Concezione, peserà per secoli in modo negativo su tutta la teologia occidentale.
In Oriente nel V secolo S. Procolo ammise uno speciale intervento di Dio nella formazione della futura Madre del Verbo, affinché fosse una nuova creatura, formata «da un’argilla monda» simile ad Adamo prima del peccato. Teodoro di Ancira oppone Maria ad Eva, dichiarando che «sebbene Maria sia inclusa nel sesso femminile, fu tuttavia esclusa dalla nequizia di quel sesso: fu una Vergine innocente, senza macchia, senza colpa, intemerata, santa di anima e di corpo, come un giglio che sboccia fra le spine».
Nel VII secolo, sempre in Oriente, è S. Sofronio il primo che sembra accennare a una preservazione dalla colpa. Leggiamo infatti: «Hai trovato presso Dio una grazia che nessuno ha ricevuto (…). Nessuno, eccetto te, fu prepurificato».
Verso la fine del VII secolo o agli inizi dell’VIII secolo cominciò a venir celebrata, in Oriente, la festa della Concezione di Maria, come risulta da Andrea di Creta. La prima omelia che si conosca sulla Concezione è quella di Giovanni d’Eubea, contemporaneo del Damasceno. All’oggetto primitivo della festa, che era l’annunzio della miracolosa Concezione di Maria fatta dall’angelo ai genitori (idea che risale al Protovangelo di Giacomo), non aveva tardato ad aggiungersi quello odierno, ossia quello della Concezione passiva della Madre di Dio, dichiarata, non di rado, santa e immacolata. Così Giovanni d’Eubea asserisce un intervento della Santissima Trinità nella formazione di Maria tale da crearla nello stato di giustizia originale.
Nel IX secolo la festa diviene universale nella Chiesa greca.
La festa della «Concezione», istituita dai Greci, restò per lungo tempo ignorata dai Latini. Importata da qualche monaco, venuto dall’Oriente, essa appare in Inghilterra verso il 1060 circa, ma scompare quasi subito, al tempo della conquista normanna (1066), senza lasciare altre tracce all’infuori di un ricordo, unito però a dei rimpianti. È così che essa può rinascere con slancio, grazie alla devozione popolare, verso il 1127-1128, su basi più solide, e passa in Normandia, poi, di là, in tutta l’Europa, nonostante la decisa opposizione di S. Bernardo. L’oggetto della festa, abbastanza indeterminato all’origine, si precisa a poco a poco, non senza un sofferto travaglio. Infatti molti sostenitori della festa non affermavano in senso stretto l’Immacolata Concezione, ma alcuni celebravano semplicemente le primizie della futura Madre di Dio, altri la sua santificazione nel grembo materno. Altri ancora sostenevano la santità originale di Maria, ma con significati molto diversi. Alcuni facevano partire la sua santità dal momento della concezione, altri dal momento della concezione spirituale, cioè dall’infusione dell’anima, che segna l’inizio dell’esistenza personale di Maria.
Una diversità ancora maggiore si riscontrava nei tentativi di spiegazione teologica. Alcuni ad esempio ricorrevano alla strana ipotesi di una particella del corpo di Adamo che sarebbe restata immune dal peccato e trasmessa di generazione in generazione fino a originare Maria.
La difficoltà del problema nasceva innanzitutto dall’idea agostiniana, che dominava tutto il medioevo, secondo cui il peccato originale si trasmetteva a motivo della libido che era necessariamente connessa con l’atto generatore, dopo il peccato originale. In conseguenza di ciò alcuni tentarono di spiegare l’Immacolata Concezione dicendo che l’atto generatore di Gioacchino e Anna era stato miracolosamente esentato dalla libido. Secondo altri (Eadmero) l’effetto della libido era stato miracolosamente sospeso dall’onnipotenza divina.
Vediamo adesso le posizioni dei teologi più noti. Ad aprire il cammino fu S. Anselmo d’Aosta († 1109), ma chi sviluppò il suo pensiero in senso decisamente favorevole all’Immacolata Concezione fu il suo discepolo Eadmero († 1134). Egli fu il primo a scrivere un trattato sull’argomento, dove afferma che la fede popolare è universale su questo punto, e che questa sapienza è più saggia di quella dei dotti:    
«Non poteva forse Dio conferire a un corpo umano di restare libero da ogni puntura di spine, anche se fosse stato concepito in mezzo ai pungiglioni del peccato? È chiaro che lo poteva e lo voleva; e se lo ha voluto lo ha fatto» (potuit plane et voluit; si igitur voluit, fecit).
S. Bernardo e Pietro Lombardo, fra i teologi più noti e più autorevoli del XII secolo, negarono l’Immacolata Concezione (come abbiamo già visto in questo argomento pesava l’eredità agostiniana, sia quanto all’interpretazione del famoso testo riguardante l’Immacolata Concezione, sia quanto alle modalità della trasmissione del peccato originale).                                   
Un secolo più tardi anche S. Alberto Magno e S. Tommaso furono dello stesso parere, soprattutto poiché non vedevano come conciliare questa dottrina con l’universalità della Redenzione di Cristo, supposta chiaramente in Rm 5,12: «Tutti hanno peccato».          
La situazione mutò nel XIV secolo, grazie a Guglielmo di Ware († 1300) e soprattutto al suo discepolo Giovanni Duns Scoto († 1308). Nella sua opera fondamentale, l’Opus Oxoniense, questi si limita a dimostrare la sola possibilità del privilegio mariano, insegnando però l’uguale possibilità dell’opposto, e sciogliendo tutte le ragioni sia favorevoli che contrarie alla sentenza maculista. Per Scoto perciò le due sentenze sono ugualmente possibili. Quale delle due sia stata attuata, lo sa soltanto Dio: «Deus novit». Egli afferma però che sembra probabile attribuire alla Vergine ciò che è più eccellente, purché ciò non ripugni all’autorità della Chiesa o della Scrittura. Allora infatti l’autorità ecclesiastica non si era ancora pronunciata (la Chiesa romana, come fa rilevare S. Tommaso, non celebrava la festa della Concezione), e la Scrittura sembrava apertamente contraria, asserendo l’universalità della colpa originale e della Redenzione. Per questo motivo Scoto procedette con molta cautela e, per il momento, non osò spingersi oltre. Solo più avanti, mosso indubbiamente dalla sua propensione a ritenere più probabile la tesi favorevole all’Immacolata, asserisce che in cielo si trova la Beata Vergine Maria, Madre di Dio, la quale mai gli fu nemica in atto per ragione del peccato attuale né per ragione dell’originale: lo sarebbe stata tuttavia se non fosse stata preservata. Sta in questa parola «preservata» la forza della tesi di Duns Scoto. Infatti Maria, secondo la legge comune, avrebbe dovuto contrarre la colpa originale, ma grazie ai meriti di Cristo Salvatore fu preservata da tale colpa. In tal modo non soltanto la Beata Vergine è stata redenta da Cristo, ma lo è stata in modo più sublime di chiunque altro.
Scrive bene il Melotti: «Scoto ha il grande merito di far cadere l’obiezione fondamentale formulata dai negatori con il suo argomento sul Perfetto Mediatore: la concezione immacolata di Maria, lungi dall’essere una mancanza di redenzione, è anzi la redenzione portata al massimo grado – è una redenzione «preservativa» -. Questa redenzione è non solo possibile, ma richiesta. Cristo infatti, essendo il perfetto mediatore, doveva porre un atto di mediazione perfetta: lo ha fatto a favore della Madre Sua».           
Si può anche aggiungere che tale redenzione perfetta andava applicata a Colei che era chiamata a collaborare in maniera tutta speciale e unica all’opera della redenzione.
Durante tutto il XIV secolo il campo teologico si mantenne diviso fra i contrari e i favorevoli. Il constrasto era particolarmente forte tra i Francescani (più vicini al popolo, e quindi sostenitori dell’Immacolata Concezione) e i Domenicani (contrari, poiché più sensibili alle argomentazioni teologiche). Verso la metà del secolo, in Francia e in Aragona, per opera di alcuni maestri domenicani, si originò una violenta controversia. Le autorità ecclesiastiche imposero il silenzio e la ritrattazione ai suddetti maestri. Il frutto di questo dibattito fu un deciso progresso della tesi immacolista. Allora cominciò a comparire l’argomento biblico, specialmente quello fondato sul Protovangelo (Gen 3,15) e sul saluto angelico (Lc 1,28). Anche la festa della Concezione, in quel tempo, si diffuse ovunque, specialmente fra i religiosi.
All’inizio del XV secolo la posizione immacolista era comune presso quasi tutti gli Ordini religiosi, eccettuati i Domenicani. Nel Concilio di Basilea (17 settembre 1439) fu emesso un decreto in cui si dichiarava che la dottrina favorevole all’Immacolata Concezione era pia, conforme al culto della Chiesa, alla fede cattolica, alla Sacra Scrittura e alla retta ragione, e perciò doveva essere seguita da tutti i cattolici, con proibizione a chiunque di insegnare il contrario. Ma il Concilio, nel tempo in cui emise questa definizione, non era più legittimo, per essersi sottratto alla dipendenza dal Romano Pontefice. Esso contribuì tuttavia in modo eccezionale all’affermarsi della pia sentenza, e rese universale di fatto la festa della Concezione.
I teologi domenicani però non desistettero dalla loro decisa opposizione, tanto che Vincenzo Bandelli, Maestro Generale dell’Ordine (dal 1501 al 1506), giunse ad affermare che «è cosa empia ritenere che la Beata Vergine non sia stata concepita nel peccato originale».
A questo punto cominciò a intervenire la Santa Sede. Sisto IV, francescano, il 27 febbraio 1477 promulgava la costituzione Cum praecelsa con la quale approvava solennemente la festa dell’Immacolata Concezione, celebrata in molti luoghi, con la Messa e l’Ufficio propri. Al tentativo di svuotare il significato di questa festa il Papa risponde con la Bolla Grave nimis, minacciando la scomunica. Alla fine si ebbe l’adesione alla sentenza immacolista da parte delle Università di Parigi (che la impose con giuramento nel 1469 ai suoi dottori), e di quelle di Oxford, Cambridge, Tolosa, Bologna, Vienna.                                        
Questa corrente decisamente favorevole all’Immacolata Concezione nella Chiesa latina provocò una reazione opposta nella Chiesa greca, per cui non pochi vescovi e teologi ortodossi si schierarono fra gli avversari del privilegio. Questa opposizione si accentuerà ancora di più con la proclamazione del dogma nel 1854.       
In Occidente invece la dottrina favorevole all’Immacolata si avviava verso il trionfo. L’indagine biblica e patristica si arricchì di nuovi dati, per cui nella sessione VI del Concilio di Trento (1556) non mancò una forte corrente favorevole alla definizione dogmatica del privilegio. Siccome però il Concilio era stato riunito per fare fronte al protestantesimo e non per dirimere controversie interne al mondo cattolico, l’assemblea conciliare si limitò ad aggiungere al decreto sul peccato originale la seguente significativa dichiarazione:  
«Dichiara tuttavia questo Santo Sinodo che non è nelle sue intenzioni di comprendere nel decreto relativo al peccato originale la Beata e Immacolata Vergine Maria, madre di Dio, ma che sono da osservarsi le costituzioni del Papa Sisto IV sotto le pene contenute in esse e che vengono rinnovate» (DS 1516).
Nel XVII secolo si ebbero gli interventi di altri tre Papi: Paolo V, che proibiva di attaccare in pubblico l’Immacolata Concezione; Gregorio XV, che impediva di attaccarla anche in privato; Alessandro VII, che con la costituzione Sollicitudo omnium Ecclesiarum (8 dicembre 1661) determinava, contro le false interpretazioni dei pochi avversari rimasti, l’oggetto preciso della festa, dichiarando che si trattava della preservazione dell’anima della Vergine dalla colpa originale, nel primo istante della sua creazione e infusione nel corpo, per speciale grazia e privilegio di Dio, in vista dei meriti di Cristo suo Figlio, Redentore del genere umano. Rinnovò inoltre i provvedimenti dei suoi predecessori contro i sostenitori della sentenza contraria. L’effetto di questa Costituzione fu incalcolabile. Diocesi, re e popoli si misero sotto la protezione dell’Immacolata. Varie Congregazioni vennero fondate in suo onore. I teologi raddoppiarono le loro fatiche per difendere il singolare privilegio e appianare la via alla definizione. Molti (tra cui ad esempio S. Alfonso) giunsero fino al punto di obbligarsi con voto a versare il proprio sangue, se fosse stato necessario, per la difesa del privilegio.
 Clemente XII il 6 dicembre 1708 estendeva per legge la festa dell’Immacolata a tutta la Chiesa. Durante il secolo l’entusiasmo dei fedeli e dei dotti andò sempre crescendo, come crebbero anche le suppliche rivolte ai Romani Pontefici per la definizione dogmatica.
Chi si decise ad accogliere queste richieste fu Pio IX, il quale non appena asceso al soglio pontificio (1846) iniziò le pratiche necessarie. Interpellati tutti i vescovi (2 febbraio 1849) ne ebbe una risposta plebiscitaria: su 665 risposte 570 erano entusiasticamente favorevoli, otto contrarie, le rimanenti più o meno incerte sull’opportunità della definizione. La commissione incaricata diede risposta favorevole alla domanda «se vi siano nella Sacra Scrittura testimonianze che provino solidamente l’immacolato concepimento di Maria».
In tal modo il Papa Pio IX poté procedere alla solenne definizione dogmatica l’8 dicembre 1854, alla presenza di oltre duecento fra cardinali e vescovi, e di una incalcolabile moltitudine di fedeli esultanti.

 Approfondimento teologico        
L’Immacolata Concezione non è una verità a sé stante, ma si inserisce armoniosamente nell’insieme delle altre verità di fede. Può essere molto utile considerarla alla luce delle Tre Persone divine.

A) NELLA LUCE DEL PADRE
L’Immacolata Concezione è un segno dell’amore assolutamente gratuito e preveniente del Padre. Leggiamo in Ef 1,4: «Dio ci ha scelti in Cristo fin da prima della creazione del mondo perché fossimo santi e immacolati al suo cospetto nella carità». La grazia è sempre gratuita, non meritata, almeno la prima grazia. «Siamo stati giustificati gratuitamente per la sua grazia» (Rm 3,24). L’Immacolata Concezione è il segno più chiaro ed evidente della gratuità dell’amore divino. Maria Santissima non ha meritato l’Immacolata Concezione. Essa è un puro dono.

Scrive il De Fiores:  
«Nell’Immacolata Concezione non è questione di fede o accettazione libera da parte di Maria riguardo alla salvezza: questa rimane un segno luminoso della gratuità dell’amore di Dio, che si attua ancor prima della risposta responsabile della creatura. L’Immacolata proclama, alla testa della schiera dei salvati: « Soli Deo gloria! ». La preservazione dal peccato e la pienezza di grazia non sono frutto della sua fede o libertà orientata a Dio e neppure delle sue opere; esse si iscrivono, al pari di tutti i singoli atti di giustificazione, nell’elezione salvifica del Padre che decide dall’eternità di amare gli uomini gratuitamente al di là del peccato e del merito. L’Immacolata Concezione manifesta l’assoluta iniziativa del Padre e significa che fin dall’inizio della sua esistenza Maria fu avvolta dall’amore redentivo e santificante di Dio».

B) NELLA LUCE DEL FIGLIO
L’Immacolata Concezione mostra la perfezione della redenzione operata dal Figlio, il Verbo incarnato. Abbiamo già visto l’argomentazione elaborata da Giovanni Duns Scoto riguardo al perfetto Mediatore, o Redentore. Gesù si rivela Redentore veramente perfetto quando non soltanto libera, ma addirittura preserva dal peccato. Quindi l’Immacolata Concezione, lungi dal compromettere la necessità e l’universalità della redenzione, la esalta al massimo grado. Come diceva Santa Teresa di Lisieux, l’innocente è colui al quale non è stato perdonato molto, ma tutto!
Inoltre l’Immacolata Concezione si addice perfettamente a Colei che è chiamata a essere la Madre di Dio. Nella Colletta della Messa dell’Immacolata leggiamo: «O Dio, che nell’Immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio…». E così pure nel Prefazio: «Tu hai preservato la Vergine Maria da ogni macchia di peccato originale, perché, piena di grazia, diventasse degna Madre del tuo Figlio…». Maria è stata concepita immacolata poiché era destinata a essere la Madre di Dio. Questo privilegio è tutto relativo al Figlio.    
Ricordiamo ancora come il Concilio Vaticano II metta in rapporto l’Immacolata Concezione con la prontezza e la perfezione con cui Maria accolse l’annuncio dell’Angelo relativo all’Incarnazione del Verbo, e vi acconsentì:         
«Abbracciando con tutto l’animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente».
Maria fu concepita immacolata per poter essere totalmente disponibile all’opera della Redenzione compiuta dall’eterno Figlio del Padre.

c) NELLA LUCE DELLO SPIRITO SANTO
Maria Immacolata mostra nel modo più perfetto la santificazione operata dallo Spirito Santo. Infatti, come dice il Concilio,  
«(Maria) è la tutta santa, immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito Santo quasi plasmata e resa nuova creatura».
Lo Spirito Santo abita e vive in lei, sin dal primo istante della sua esistenza, come sottolinea in modo tutto particolare S. Massimiliano Kolbe, che giunge a parlare, sia pure in modo sempre teologicamente corretto, di una «quasi incarnazione» dello Spirito Santo in Maria.
Quella santificazione che noi riceviamo nel battesimo, che ci riempie della grazia dello Spirito Santo, con le virtù e i doni a essa connessi, Maria l’ha ricevuta in pienezza sin dall’inizio. Essa è fin dal primo istante il Tempio dello Spirito Santo.

L’esenzione da ogni colpa attuale

Il Concilio di Trento dichiara:  
«Nessun giusto può evitare per tutta la sua vita tutti i peccati, anche i veniali, senza uno speciale privilegio di Dio, come la Chiesa ritiene della Beata Vergine» (DS 1573).
Pio XII, da parte sua, nell’Enciclica Mystici Corporis afferma che la Vergine Madre di Dio «fu immune da ogni macchia, sia personale sia ereditaria».
In base a queste affermazioni del Magistero, della Tradizione e del senso comune del Popolo cristiano i teologi ritengono che l’esenzione della Vergine Maria da ogni macchia di peccato attuale sia una verità prossima alla fede (fidei proxima).
Abbiamo visto nella parte storica come questo privilegio mariano non sia stato colto immediatamente con piena chiarezza da parte di tutti, ma come poi la sua accettazione sia diventata patrimonio comune dei teologi e dei fedeli, sia in Oriente che in Occidente.

Vediamo l’approfondimento di S. Tommaso nella Somma Teologica (III, q. 27, a. 4):    
«Quelli che Dio sceglie per un compito speciale, li prepara e li dispone in modo che siano idonei ai loro doveri, secondo l’affermazione di S. Paolo (2 Cor 3,6): « Ci ha resi ministri adatti di una nuova Alleanza ». Ora, la Beata Vergine fu scelta per essere la madre di Dio. Non si può quindi dubitare che Dio con la sua grazia l’abbia resa idonea a ciò, secondo le parole dell’Angelo (Lc 1,30 s.): « Hai trovato grazia presso Dio: ecco tu concepirai », ecc. Ma ella non sarebbe stata degna madre di Dio se avesse talvolta peccato. Sia perché l’onore dei genitori ridonda sui figli, come dice la Scrittura (Pr 17,6): « Onore dei figli i loro padri », per cui all’opposto la colpa della madre sarebbe ricaduta sul Figlio. – Sia anche perché ella aveva un’affinità singolare con Cristo, che da lei prese il corpo. Ora, S. Paolo (2 Cor 6,15) afferma: « Quale intesa tra Cristo e Beliar? ». – Sia ancora perché in lei abitò in modo del tutto singolare, non solo nell’anima, ma anche nel seno verginale, il Figlio eterno, che è « la Sapienza di Dio » (1 Cor 1,24), di cui sta scritto (Sap 1,4): « La sapienza non entra in un’anima che opera il male, né abita in un corpo schiavo del peccato »».                    
«Dobbiamo quindi affermare in modo assoluto che la Beata Vergine non commise mai alcun peccato attuale né mortale né veniale, così da avverare le parole del Cantico (4,7): « Tutta bella sei tu, amica mia, in te nessuna macchia », ecc.».

La pienezza di grazia
È l’aspetto positivo della santità, quello sul quale insistono maggiormente i dottori orientali, per i quali Maria è prima di tutto la Panaghia, la Tutta Santa. Leggiamo ancora una volta S. Tommaso, nell’articolo della Somma in cui egli si domanda se la santificazione iniziale della Vergine le abbia dato la pienezza della grazia (III, q. 27, a. 5). Dopo aver ricordato le parole dell’Angelo: «Ave, piena di grazia» (Lc 1,28), e il commento di S. Girolamo secondo cui «in Maria la grazia si riversa tutta insieme nella sua pienezza», l’Aquinate scrive così:  
«Quanto più si è vicini a una causa, tanto più se ne risentono gli effetti, come scrive Dionigi (De cael. hier. 4, 1) notando che gli Angeli, in quanto più prossimi a Dio, partecipano delle perfezioni divine più degli uomini. Ora, Cristo è il principio della grazia: secondo la divinità come causa principale, secondo l’umanità invece come causa strumentale, in base alle parole evangeliche (Gv 1,17): « La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo ». Ma la Beata Vergine era vicinissima a Cristo secondo la natura umana, che egli prese da lei. Essa quindi dovette ricevere da Cristo una pienezza di grazia superiore a quella di tutti gli altri».
Rispondendo poi a una difficoltà riguardante il confronto fra la pienezza di grazia in Cristo e in Maria S.

Tommaso così risponde:  
«Dio dona a ciascuno la grazia che gli compete secondo il compito per cui lo sceglie. Poiché dunque Cristo, in quanto uomo, fu predestinato e scelto per essere « Figlio di Dio con potenza secondo lo spirito di santificazione » (Rm 1,4), egli ebbe come privilegio personale tanta pienezza di grazia da farla poi ridondare su tutti, poiché « dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto » (Gv 1,16). Invece la Beata Vergine Maria ottenne tanta pienezza di grazia da essere vicinissima all’autore della grazia: in modo da accogliere in sé colui che è pieno di ogni grazia, e dandolo alla luce far giungere in certo qual modo la (sua) grazia a tutti».
La seconda difficoltà fa forza sul fatto che Maria crebbe nella grazia, quindi non poteva averla in pienezza sin dall’inizio. Ecco la risposta:   
«Nell’ordine naturale prima c’è la perfezione dispositiva, per esempio, quella della materia rispetto alla forma. Al secondo posto si ha la perfezione superiore della forma: infatti il calore proveniente dal fuoco è più forte di quello che ha disposto la legna a prendere fuoco. Al terzo posto poi c’è la perfezione del fine raggiunto: come quando il fuoco, salito al suo luogo naturale, esplica tutte le sue qualità».
«Similmente nella Beata Vergine ci fu una triplice perfezione di grazia. Prima quella dispositiva, che la rese idonea a essere madre di Cristo, e questa fu la perfezione prodotta dalla sua santificazione. La seconda perfezione di grazia fu invece prodotta dalla presenza in lei del Figlio di Dio incarnato nel suo seno. La terza perfezione poi è quella finale, che ella possiede nella gloria».
«Che poi la seconda perfezione sia superiore alla prima, e la terza alla seconda, risulta (…) dal progresso nel bene. Infatti nella sua prima santificazione ottenne la grazia che la inclinava al bene; nel concepimento del Figlio di Dio ebbe la consumazione della grazia che la confermava nel bene; nella glorificazione infine ebbe il coronamento della grazia che la costituiva nel godimento di ogni bene».                                                                                         
La terza difficoltà fa notare che Maria non esercitò mai certe grazie, come quella della sapienza, o quella dei miracoli, o quella della profezia. Quindi tali grazie sarebbero state inutili. Risponde S. Tommaso:    
«Non si può dubitare che la Beata Vergine, come Cristo, abbia ricevuto in modo eccellente sia il dono della sapienza, sia la grazia dei miracoli e della profezia. Ma l’uso di queste e di altre grazie simili non fu concesso a lei nel medesimo modo che a Cristo, bensì come conveniva alla sua condizione. Ebbe infatti l’esercizio del dono della sapienza nella contemplazione, come risulta dalle parole (Lc 2,19): « Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore ». Non ebbe invece l’uso della sapienza nell’insegnare, poiché ciò non si addiceva a una donna, secondo le parole di S. Paolo (1 Tm 2,12): « Non concedo ad alcuna donna di insegnare ». – Non era poi opportuno che compisse miracoli durante la sua vita, poiché allora i miracoli avevano il compito di confermare la dottrina di Cristo: perciò era bene che facessero miracoli soltanto Cristo e i suoi discepoli, che erano i portatori dell’insegnamento cristiano. Per questo anche di S. Giovanni Battista è detto (Gv 10,41) che « non fece alcun miracolo », perché tutti si volgessero a Cristo. – Ebbe invece l’uso della profezia, come risulta dalle parole (Lc 1,46 ss.): « L’anima mia magnifica il Signore », ecc.».
Possiamo così affermare che in Maria ci fu la santità più perfetta in tutti i sensi, sia nel senso negativo dell’esenzione da ogni peccato, sia nel senso positivo della pienezza di ogni grazia, cioè della pienezza dell’organismo soprannaturale, che comprende la grazia santificante, le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo.

Maria modello di santità

Il Concilio Vaticano II ricorda ai fedeli che  
«la vera devozione a Maria non consiste né in uno sterile e passeggero sentimento, né in una vana credulità, ma procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della Madre di Dio e siamo spinti a un amore filiale verso la Madre nostra e all’imitazione delle sue virtù».
Queste ultime parole ci introducono nel tema dell’«Imitazione di Maria», sul modello medioevale, che parlava di «Imitazione di Cristo». La Beata Vergine infatti, nei più recenti documenti del Magistero e nella sensibilità dei fedeli, è vista in modo particolare come Colei che realizza nel modo più perfetto tutte le virtù.
Il Concilio ritorna spesso su questo tema, e presenta Maria come «eccellentissimo modello nella fede e nella carità». In particolare la presenta come modello per i sacerdoti:   
«Un esempio meraviglioso di tale prontezza (nel corrispondere alle esigenze della propria missione), i presbiteri lo possono trovare nella Beata Vergine Maria, che sotto la guida dello Spirito Santo si consacrò al mistero della redenzione umana»;

per i religiosi e le religiose:  
«Per l’intercessione della dolcissima Vergine Maria Madre di Dio, la cui vita è regola per tutti, essi progrediranno ogni giorno di più e apporteranno frutti di salvezza più abbondanti»;

per i laici:  
«Modello perfetto di vita apostolica è la Beata Vergine Maria, Regina degli Apostoli, la quale, mentre viveva sulla terra una vita comune a tutti, piena di sollecitudine familiare e di lavoro, era sempre intimamente unita al Figlio suo e cooperò in modo del tutto singolare all’opera del Salvatore».
Mi sembra di poter concludere che se il capitolo VIII dedicato alla Vergine Maria è il coronamento di tutta la Costituzione conciliare Lumen Gentium sulla Chiesa, esso lo è in modo tutto particolare in riferimento al capitolo V, che è un po’ l’anima non solo della Costituzione ma di tutto il Concilio, e che ha per titolo: «L’universale chiamata alla santità nella Chiesa». Maria è l’esempio e il modello di questa santità a cui tutti dobbiamo tendere.

In questi tempi di smarrimento dei valori morali, lo sguardo a Maria Immacolata, può essere per noi bagno di rigenerazione nell’Immacolatezza di una « Donna » tanto grande che « chi vuol grazia ed a Lei non ricorre, sua disianza vuol volare senz’ali »(Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Inno alla Vergine).

« IO SONO L’IMMACOLATA CONCEZIONE » (riflessione di monsignor Jacques Perrier, vescovo emerito di Tarbes e Lourdes)

http://www.zenit.org/article-34343?l=italian

« IO SONO L’IMMACOLATA CONCEZIONE »

Una riflessione in vista della Solennità dell’8 dicembre

di monsignor Jacques Perrier, vescovo emerito di Tarbes e Lourdes

ROMA, venerdì, 7 dicembre 2012 (ZENIT.org) – Il 25 marzo del 1858, la Signora di Massabielle svela finalmente il suo nome: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Era la sedicesima volta che appariva a Bernadette, ma prima si era sempre rifiutata di rivelare la sua identità. Quando Bernadette glielo chiese il 18 febbraio, Lei rispose: “Non è necessario”. Da allora, erano trascorse cinque settimane. Due settimane durante le quali Bernadette udì la ripetuta chiamata al pentimento. Poi tre settimane di silenzio. Se la preparazione fu così lunga, è perché il messaggio era di una importanza eccezionale.
Quattro anni prima, papa Pio IX, dopo aver consultato tutti i vescovi del mondo, aveva proclamato che la Vergine Maria “nel primo istante del suo concepimento [...] fu preservata immune da ogni macchia di peccato originale”. Non solo non ha mai peccato, ma è stata protetta da tutte le ferite che i peccati degli uomini, sin dalle origini, hanno inflitto alla nostra razza. Poiché il peccato lascia tracce, come la malattia, anche se il paziente è guarito. Maria, al contrario, come il prefazio della Messa dell’8 dicembre, “è stata preservata da tutte le conseguenze del primo peccato”, un primo che è stato seguito da tanti altri!
A Bernadette, la Madonna dice ancora di più del dogma del 1854. L’Immacolata Concezione è così eccezionale che Maria prende la grazia che le è stata data come suo nome: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Il giorno dell’Annunciazione, quando l’angelo del Signore si rivolge a lei, non l’ha chiamata con il suo nome abituale, “Maria”. Eppure era un bel nome, che ricorda Miriam, sorella di Mosè. Nel Vangelo secondo San Luca, l’angelo usa una parola che non si trova in nessuna altra parte nel Nuovo Testamento e che noi traduciamo normalmente con “piena di grazia”. Sarebbe più corretto dire: “perla di grazia”, “capolavoro della grazia”. Questo è il suo nome. Maria non è la grazia. Non è lei che dà la grazia: “La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo”, dice San Giovanni nel Prologo del Vangelo. Ma lei è completamente abitata dalla grazia, come il Tempio lo era dalla gloria di Dio. In queste condizioni, non è sorprendente che la Grazia viene in lei per incarnarsi.
Attraverso il privilegio dell’Immacolata Concezione, Dio ha “preparato una degna dimora per il suo Figlio” (orazione e prefazio dell’8 dicembre). C’è dunque un legame tra l’Immacolata Concezione e la sua missione di essere la Madre di Dio. Non nel senso comune, che confonde l’Immacolata Concezione di Maria e la concezione verginale del bambino Gesù. Se Maria ha beneficiato di un privilegio unico, non è stato per suo profitto personale ma affinché potesse liberamente accettare la missione, umanamente incredibile, che le era stata chiesta. L’Antico Testamento conosce delle concezioni miracolose in donne anziane o sterili. Ma non la concezione verginale! Per accettare questa missione, a Maria serve una fede assolutamente pura, più pura di quella di Abramo, Zaccaria o San Pietro.
Dio non può accettare che il “sì” di un essere libero. Ma la libertà, come diceva Giovanni Paolo II a Lourdes nel 2004, ha bisogno di essere libera da ogni intralcio, da ogni debolezza. Per l’atto di fede di Maria nell’Annunciazione – un atto unico e decisivo nella storia del genere umano – Dio ha dotato Maria di una libertà integrale. Il privilegio dell’Immacolata Concezione ha reso Maria sufficientemente libera per accettare l’inverosimile.
Come l’Immacolata Concezione è il privilegio di Maria e solo suo, rischiamo di pensare che non ci tocca più di tanto. Sarebbe un triplo errore.
In primo luogo, ciò che la Vergine è per nascita è quello che noi siamo chiamati ad essere, è la realtà della Chiesa, la “santa” Sposa di Cristo, come diciamo nel Credo. Nella lettera agli Efesini, Paolo usa la stessa parola – “immacolata” – per parlare della Chiesa o dei cristiani. Come dice il prefazio dell’8 dicembre, l’Immacolata Concezione è il “modello” della santità.
Ma non bisogna sbagliarsi circa il privilegio accordato alla Vergine, che le evita le prove della fede. Tranne la Visitazione, quasi tutte le apparizioni della Vergine nei Vangeli sono momenti di prova. E succede che lei non “comprenda”. La sua fede, che non è mai stata sfiorata da alcun dubbio, deve crescere. Come noi, Maria ha vissuto un “pellegrinaggio della fede”, come ha detto papa Giovanni Paolo II. Che Ella ci aiuti nei momenti di oscurità!
Infine, se abbiamo capito perché Maria ha goduto di questo “privilegio”, non dobbiamo essere gelosi. Il privilegio le è stato concesso in vista della sua missione. Per una missione unica, lei ha ricevuto una grazia unica. Questo significa che anche noi, per le missioni che ci vengono affidate, noi riceviamo la grazia necessaria.
Una volta esisteva una confraternita della “felicitazione” della Vergine Maria. Lei stessa ha detto che tutte le generazioni la proclamavano “beata”. L’8 dicembre, noi prendiamo nostro posto in questo susseguirsi di generazioni. Onoriamolo!

7 DICEMBRE : SANT’AMBROGIO – UFFICIO DELLE LETTURE

http://www.reginamundi.info/liturgia-delle-ore/ufficio.asp?codice=1366&gg=6&cal=344

7 DICEMBRE : SANT’AMBROGIO

Ufficio delle letture

Prima Lettura

Dal libro del profeta Isaia 19, 16-25

Gli Egiziani e gli Assiri conosceranno il Signore e lo serviranno
In quel giorno gli Egiziani diventeranno come femmine, tremeranno e temeranno all’agitarsi della mano che il Signore degli eserciti agiterà contro di loro. Il paese di Giuda sarà il terrore degli Egiziani; quando se ne parlerà, ne avranno spavento, a causa del proposito che il Signore degli eserciti ha formulato sopra di esso.
In quel giorno ci saranno cinque città nell’Egitto che parleranno la lingua di Canaan e giureranno per il Signore degli eserciti; una di esse si chiamerà Città del sole. In quel giorno ci sarà un altare dedicato al Signore in mezzo al paese d’Egitto e una stele in onore del Signore presso la sua frontiera: sarà un segno e una testimonianza per il Signore degli eserciti nel paese d’Egitto. Quando, di fronte agli avversari, invocheranno il Signore, allora egli manderà loro un salvatore che li difenderà e li libererà. Il Signore si rivelerà agli Egiziani e gli Egiziani riconosceranno in quel giorno il Signore, lo serviranno con sacrifici e offerte, faranno voti al Signore e li adempiranno. Il Signore percuoterà ancora gli Egiziani ma, una volta colpiti, li risanerà. Essi faranno ritorno al Signore ed egli si placherà e li risanerà.
In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria; l’Assiro andrà in Egitto e l’Egiziano in Assiria; gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri. In quel giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. Li benedirà il Signore degli eserciti: «Benedetto sia l’Egiziano mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità».

Seconda Lettura
Dalle «Lettere» di sant’Ambrogio, vescovo
(Lett. 2, 1-2. 4-5; PL 16, 847-881)

La grazia delle tue parole conquista il popolo
Hai ricevuto il sacerdozio e, stando a poppa della Chiesa, tu guidi la nave sui flutti. Tieni saldo il timone della fede in modo che le violente tempeste di questo mondo non possano turbare il suo corso. Il mare è davvero grande, sconfinato; ma non aver paura, perché «E’ lui che l’ha fondata sui mari, e sui fiumi l’ha stabilita «(Sal 23, 2).
Perciò non senza motivo, fra le tante correnti del mondo, la Chiesa resta immobile, costruita sulla pietra apostolica, e rimane sul suo fondamento incrollabile contro l’infuriare del mare in tempesta. E’ battuta dalle onde ma non è scossa e, sebbene di frequente gli elementi di questo mondo infrangendosi echeggino con grande fragore, essa ha tuttavia un porto sicurissimo di salvezza dove accogliere chi è affaticato. Se tuttavia essa è sbattuta dai flutti sul mare, pure sui fiumi corre, su quei fiumi soprattutto di cui è detto: I fiumi hanno innalzato la loro voce (cfr. Sal 92, 3). Vi sono infatti fiumi che sgorgano dal cuore di colui che è stato dissetato da Cristo e ha ricevuto lo Spirito di Dio. Questi fiumi, quando ridondano di grazia spirituale, alzano la loro voce.
Vi è poi un fiume che si riversa sui suoi santi come un torrente. Chiunque abbia ricevuto dalla pienezza di questo fiume, come l’evangelista Giovanni, come Pietro e Paolo, alza la sua voce; e come gli apostoli hanno diffuso la voce della predicazione evangelica con festoso annunzio fino ai confini della terra, così anche questo fiume incomincia ad annunziare il Signore. Ricevilo dunque da Cristo, perché anche la tua voce si faccia sentire.
Raccogli l’acqua di Cristo, quell’acqua che loda il Signore. Raccogli da più luoghi l’acqua che lasciano cadere le nubi dei profeti. Chi raccoglie acqua dalle montagne e la convoglia verso di sé, o attinge alle sorgenti, lui pure, come le nubi, la riversa su altri. Riempine dunque il fondo della tua anima, perché il tuo terreno sia innaffiato e irrigato da proprie sorgenti. Si riempie chi legge molto e penetra il senso di ciò che legge; e chi si è riempito può irrigare altri. La Scrittura dice: «Se le nubi sono piene di acqua, la rovesciano sopra la terra» (Qo 11, 3).
I tuoi sermoni siano fluenti, puri, cristallini, si che il tuo insegnamento morale suoni dolce alle orecchie della gente e la grazia delle tue parole conquisti gli ascoltatori perché ti seguano docilmente dove tu li conduci. Il tuo dire sia pieno di sapienza. Anche Salomone afferma: Le labbra del sapiente sono le armi della Sapienza, e altrove: Le tue labbra siano ben aderenti all’idea: vale a dire, l’esposizione dei tuoi discorsi sia lucida, splenda chiaro il senso senza bisogno di spiegazioni aggiunte; il tuo discorso si sappia sostenere e difendere da se stesso e non esca da te parola vana o priva di senso.                            

Natività

Natività dans immagini sacre nativity

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Publié dans:immagini sacre |on 6 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO PONTIFICIO SUL TEMA: “SAN PAOLO MIGRANTE ‘APOSTOLO DELLE GENTI’” – DICEMBRE 2008

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/migrants/pom2008_108/rc_pc_migrants_pom108_present-genti-martino.html                        

Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move N° 108, December 2008

PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO PONTIFICIO SUL TEMA: “SAN PAOLO MIGRANTE ‘APOSTOLO DELLE GENTI’”

(tenendo presente il mondo della migrazione economica)

 Cardinale Renato Raffaele MARTINO
Presidente del Pontificio Consiglio
della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

I problemi più gravi che, al giorno d’oggi, dobbiamo affrontare, si pongono a dimensione globale. In effetti, nessuna Nazione, da sola, per quanto potente, è in grado di garantire, per esempio, la pace nel mondo, nessuna è capace di salvaguardare l’equilibrio dell’ecosistema o di impedire lo sfruttamento insensato delle risorse naturali. Così è pure nel caso del complesso movimento migratorio contemporaneo, dove tutti sono chiamati a dare un particolare contributo, soprattutto per il miglioramento dei rapporti tra popoli e culture.
A tale proposito, nell’Enciclica Deus caritas est, Benedetto XVI afferma che “chiunque ha bisogno di me e io posso aiutarlo, è il mio prossimo. Il concetto di prossimo viene universalizzato e rimane tuttavia concreto. Nonostante la sua estensione a tutti gli uomini, non si riduce all’espressione di un amore generico ed astratto, in se stesso poco impegnativo, ma richiede il mio impegno pratico qui ed ora” (n. 15).
Mi pare che questo testo pontificio possa bene avviare la presentazione del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI, per la 95ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Essa si celebrerà a livello mondiale domenica 18 gennaio 2009 ed ha per tema: “San Paolo migrante, Apostolo delle genti”.       
Il Papa trae spunto dalla figura ricca e complessa di San Paolo, nell’Anno Giubilare indetto in suo onore in occasione del bimillenario della nascita, per cogliere, senza forzature, che l’Apostolo delle genti fu anzitutto un missionario, nel senso che si fece “migrante per vocazione”, “autentico ‘missionario dei migranti’, migrante egli stesso e itinerante ambasciatore di Gesù Cristo”. “La sua vita e la sua predicazione – prosegue il Papa nel suo Messaggio – furono interamente orientate a far conoscere e amare Gesù da tutti, perché in Lui tutti i popoli sono chiamati a diventare un solo popolo”. Del resto, proprio l’incontro di Paolo con Cristo sulla via di Damasco fu la fonte di tutta la sua predicazione e della sua teologia, vale a dire l’annuncio della misericordia di Dio, che, attraverso la morte e la risurrezione di Gesù, entra nell’esistenza storica dell’umanità e la trasforma: “Dio ama tanto l’uomo che, facendosi uomo Egli stesso, lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore” (Benedetto XVI, Deus caritas est n. 10).
Così, con “lo zelo missionario e la foga del lottatore, che lo contraddistinsero” San Paolo percorse il bacino mediterraneo affrontando gravi pericoli, lavorando senza temere la stanchezza e preoccupandosi “per tutte le Chiese” (2Cor 11,28). Si faceva vanto di annunciare il Vangelo là dove nessuno l’aveva fatto prima di lui, rendendosi in ciò particolarmente vicino alla “Chiesa in diaspora”, costituita dai migranti, senza tuttavia cessare di tessere un profondo legame di comunione e di solidarietà, anzitutto con la Chiesa madre di Gerusalemme (cfr. Rm 15,26-27; 1Cor 16,1-4; 2Cor 8,1–9,15). Del resto, la vita e la predicazione dell’Apostolo, espresse nelle sue Lettere, rimandano continuamente all’origine dell’unità ecclesiale che non può essere trascurata, pena la perdita dell’identità stessa, cioè l’unico Padre, l’unico Cristo e l’unico Spirito Santo.
In effetti, “un mondo senza Dio è un mondo senza speranza” (Benedetto XVI, Spe salvi n. 44) e, d’altra parte, la pienezza della speranza orienta all’unità perfetta, quando “Cristo è tutto in tutti” (Col 3,11), quando tutti, cioè, si sentono concittadini della medesima patria, membri dell’unica famiglia del Padre.
Su questo sfondo di vissuto paolino, Benedetto XVI afferma che “questa è, anche al presente, nell’era della globalizzazione, la missione della Chiesa e di ogni battezzato; missione che con attenta sollecitudine pastorale si dirige pure al variegato universo dei migranti – studenti fuori sede, immigrati, rifugiati, profughi, sfollati – includendo coloro che sono vittime delle schiavitù moderne, come ad esempio nella tratta degli esseri umani”. Il Santo Padre, poi, si chiede, e ci domanda anche “Come non andare incontro alle necessità di chi è di fatto più debole e indifeso, segnato da precarietà e da insicurezza, emarginato, spesso escluso dalla società?”.
Ricordo qui che il movimento migratorio, favorito pure dalla globalizzazione, a cui fa cenno Benedetto XVI, ha assunto, oggi, dimensioni notevoli. Sono, infatti, oltre duecento milioni le persone che vivono fuori dal loro Paese di origine, spinte anche dalla miseria, dalla fame, dalla violenza, dalle guerre, dalle rivalità etniche, ma pure dal desiderio di una vita migliore. Si dirigono di preferenza verso le aree più ricche del mondo. E ciò spiega perché l’immigrazione sia vissuta spesso nei Paesi ospitanti come una sorta di “invasione”, con ripercussioni negative su questioni di stabilità e sicurezza. Questo clima di chiusura rende ancora più triste e amara la vicenda umana di molti immigrati, spingendoli altresì a condizioni di irregolarità. Ma il fenomeno migratorio in un mondo globalizzato sta diventando, di fatto, inarrestabile: il problema non si risolverà chiudendo le frontiere, ma accogliendo, con giusto regolamento, equilibrato e solidale, i flussi migratori da parte degli Stati.
Ad ogni modo, la risposta all’interrogativo del Santo Padre è indicata nel suo stesso Messaggio, che potremmo definire un nuovo “inno all’agapê”, scritto sulla traccia del capitolo tredicesimo della Prima Lettera ai Corinzi e, in verità, di tutta la vita di San Paolo. Il Santo Padre ribadisce anzitutto la necessità di partire dalla “cultura dell’accoglienza” – in ciò rifacendosi, indirettamente, all’Istruzione Erga migrantes caritas Christi, n. 39 –, che rende tutti partecipi dell’amore salvifico del Padre, in vista di un sincero dialogo e di una vera solidarietà. Bisogna, infatti, facilitare una graduale integrazione dei migranti, nel rispetto della loro identità culturale e anche di quella della popolazione locale. Da ciò scaturisce la pratica generosa dell’ospitalità, che è “figlia primogenita dell’agapê”, dice il Papa. Si tratta, dunque, di sperimentare gesti e sforzi concreti di reciprocità e di scambio. Per la comunità cristiana, poi, “il comandamento dell’amore – noi lo sappiamo bene – si alimenta quando i discepoli di Cristo partecipano uniti alla mensa dell’Eucaristia che è, per eccellenza, il Sacramento della fraternità e dell’amore”. Di fatto, è il mistero del Corpo di Cristo donato e del suo Sangue versato, nella celebrazione eucaristica, che comunica la salvezza già data in dono nella morte e risurrezione di Cristo, mentre si instaurano pure nuovi rapporti di comunione e di sollecitudine fraterna.
In tale ambito, San Paolo sperimentò questa sintesi di straordinaria potenza: “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo o donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28 e Col 3,11). E noi potremmo aggiungere che non esiste più distinzione, in visione cristiana, tra migrante e autoctono, forestiero e locale, straniero e residente. Pertanto, la Cena del Signore è davvero il “Sacramento della fraternità”, la cui più genuina espressione non può essere che il vicendevole servizio, il farsi carico gli uni degli altri. Tale precetto è illimitato come illimitato è l’amore, che prende norma solo dalla sua fonte divina, cosicché, attesta sant’Agostino, “Se vedi la carità, vedi la Trinità” (De Trinitate, VIII, 8, 12: CCL 50, 287), e come esorta san Paolo: “Il Signore poi vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti” (1Ts 3,12), poiché l’amore è la lingua ufficiale della Chiesa, è il suo specifico linguaggio.
Pertanto, se l’universalità fu una delle caratteristiche essenziali della missione di San Paolo, essa interpella anche noi, portandoci a “vivere in pienezza l’amore fraterno senza distinzioni di sorta e senza discriminazioni”, secondo la raccomandazione contenuta nel Messaggio del Santo Padre.
Infine, il Messaggio pontificio si chiude con questo compendio: “Nell’amore è condensato l’intero messaggio evangelico e gli autentici discepoli di Cristo si riconoscono dal mutuo loro amarsi e dalla loro accoglienza verso tutti”. È una stupenda sintesi, posta sotto la speciale benedizione dell’Apostolo Paolo e di “Maria, Madre dell’accoglienza e dell’amore”. Anche quest’anno, dunque, il Messaggio del Santo Padre ci sprona a comprendere che la pratica della carità fraterna costituisce il culmine di tutto ciò che siamo tenuti a eseguire nel pellegrinaggio, impegnativo e faticoso, verso la patria dell’autentica speranza (cfr. Rm 13,8-10; Col 3,14).       

Grazie!

* Bollettino Sala Stampa della Santa Sede (N. 0632), Mercoledì 8 ottobre 2008.

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