Archive pour décembre, 2012

VERSO IL NATALE con San Paolo

http://www.stpauls.it/coopera/0810cp/0810cp02.htm

VERSO IL NATALE con San Paolo   

Cari cooperatori e amici,

quest’anno la festività del Natale cade nel mezzo dell’Anno dedicato a San Paolo, voluto da papa Benedetto XVI per la ricorrenza del bimillenario della nascita dell’Apostolo. Al riguardo, nel giugno scorso, ho già proposto su queste pagine alcune riflessioni, richiamando il mandato del beato Giacomo Alberione alla Famiglia Paolina a essere « San Paolo vivo oggi » e invitando « a mostrare, nei fatti e nelle riflessioni, che San Paolo incarna anche oggi un modello affascinante di vivere e comunicare l’esperienza di Cristo ». Aggiungevo che il « farsi tutto a tutti » dell’Apostolo è di indirizzo per la nostra attività pastorale che « valorizza in pieno tutte le forme e i linguaggi della comunicazione attuale per permettere che il Cristo integrale, Via e Verità e Vita, si incontri con la totalità della personalità, mente e cuore e volontà ».
« Quando venne la pienezza del tempo »
Ora, attraverso alcuni testi paolini della liturgia natalizia, vogliamo farci accompagnare da San Paolo e con lui accostarci al mistero che contempliamo: « Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge… perché ricevessimo l’adozione a figli » (Gal 4,4-5). L’Apostolo medita sul mistero, che vela e rivela « la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini » (Tt 2,11); si coinvolge nel mirabile scambio per il quale il Figlio di Dio assume la nostra umanità e la eleva alla dignità divina; vive in sé la gioia dell’uomo fatto figlio di Dio.
Nell’Incarnazione – giacché il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo – trova vera luce il mistero stesso dell’uomo: « Se uno è in Cristo è una creatura nuova »(2Cor 5,17); nell’Incarnazione è radicata l’unità e la solidarietà della famiglia umana: « Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù » (Gal 3,28); la creazione stessa, sottomessa alla caducità (Rm 8,20), è reintegrata nel disegno divino di « ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra » (Ef 1,10).
Annota il nostro Fondatore: « Il Figlio di Dio si fa uomo, si umanizza, e la Chiesa vuole che noi domandiamo la grazia di diventare consorti della divinità, mentre il Figlio di Dio ha voluto essere partecipe della nostra umanità » (Per un rinnovamento spirituale, p. 314).
« Vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo »
Risuoneranno nella Notte santa queste parole dell’Apostolo, che costituiscono un vero programma di vita cristiana. La venuta del Figlio di Dio non può lasciare indifferente il suo discepolo, anzi – dice San Paolo – lo impegna alla conversione: « c’insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo »; e all’orientamento costante della vita verso Dio: « nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo » (Tt 2,12-13).
Commenta Don Alberione: «È volontà di Gesù Cristo che noi viviamo in questo mondo con temperanza, con giustizia e con pietà. Con temperanza: mortificare, cioè, le passioni sregolate; frenare gli occhi, la lingua; frenare ogni cupidigia; frenare l’orgoglio, la sensualità. Bisogna che la letizia sia sempre temperata da quello che è giusto, da quello che è il limite segnato da Dio stesso. Con giustizia. Giustizia verso Dio: « A Dio l’onore e la gloria » (1Tm 1,17). Giustizia verso il prossimo: rispetto vicendevole, rispetto nelle parole e nelle opere. Giustizia che riguarda l’onore e i doni spirituali e i beni corporali. Con pietà: vivere piamente! Questi devono essere giorni di grande pietà: buone Confessioni, buone Comunioni. Sobrie et iuste ac pie vivamus» (Per un rinnovamento spirituale, pp. 308-309).
« Annunziare a tutti le imperscrutabili ricchezze di Cristo »
Mentre i Magi s’appresseranno alla grotta di Betlemme, ci accompagnerà l’assillo di San Paolo per far risplendere il mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, e ora rivelato: « i pagani sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo » (Ef 3,6). Non ci è difficile immaginare l’Apostolo « con l’occhio al panorama geografico del mondo pagano, l’anima tesa giorno e notte agli uomini tutti per comunicare a tutti l’ardore santo che lo consuma e lo trasforma in Gesù Cristo », come scrive il nostro Fondatore (L’Apostolato dell’Edizione, p.350).
Nella missione Paolo sposa le prospettive universali di Gesù, il cui cuore è aperto a tutti; « Venite tutti a me », egli ripete con Gesù percependo la fame spirituale dei popoli e delle nazioni. Direi che il suo ardore deve divorare ciascuno di noi, suoi discepoli e cooperatori nell’apostolato; è lui stesso a dirci: « Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo » (1Cor 11,1).
Guardando all’Apostolo delle genti nell’Anno a lui dedicato (cf Proposizioni 1 e 49), il recente Sinodo sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa ha sollecitato il compito dell’annuncio ai vicini e ai lontani. « I laici – ha detto – sono chiamati a riscoprire la responsabilità di esercitare il loro compito profetico, che deriva loro direttamente dal battesimo, e testimoniare il Vangelo, nella vita quotidiana: in casa, nel lavoro e dovunque si trovino » (Proposizione 38). E riferendosi ai mezzi di comunicazione sociale: « L’annuncio della Buona Notizia trova nuova ampiezza nella comunicazione odierna caratterizzata dall’intermedialità… Il nuovo contesto comunicativo ci consente di moltiplicare i modi di proclamazione e di approfondimento della sacra Scrittura. Questa, con la sua ricchezza, esige di poter raggiungere tutte le comunità, arrivando ai lontani anche attraverso questi nuovi strumenti… Sono, in ogni caso, forme che possono facilitare l’esercizio dell’ascolto obbediente della Parola di Dio (Proposizione 44).
Come vedete, ci sta davanti un campo immenso. Alla nostra ricchezza interiore e creatività pastorale, intinte nella passione paolina per Dio e per l’uomo, è dato il dono di raggiungere i cuori e disporli all’ascolto dell’unico Maestro, Gesù, Via Verità e Vita.
Vi auguro un santo Natale e un proficuo Anno 2009, mentre prego per voi e ringrazio Dio « a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del Vangelo » (Fil 1,3).

Don Silvio Sassi
Superiore generale SSP

St. Nicholas of Myra – and of Bari

St. Nicholas of Myra - and of Bari dans immagini sacre hc-ukraine-05
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Publié dans:immagini sacre |on 5 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

Chanukah

http://www.ritornoallatorah.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=109:hannukkah&catid=45:feste&Itemid=77

Chanukah  

(Il 25 di Kislev ha inizio la festa di Chanukah (o Hanukkà, o Chanuccà, ecc.) che dura 8 giorni. dalla Comunità ebraica di Roma – ossia 9-16 dicembre)  

Chanukah o Hannukkah, (in ebraico …anukkah) è  conosciuta anche con il nome di Festa delle Luci. In ebraico la parola « chanukah » significa « dedica » ed infatti la festa commemora la consacrazione di un nuovo altare nel Tempio di Gerusalemme dopo la vittoria dei Maccabei sull’ellenismo propugnato dai Seleucidi, al regno dei quali apparteneva Eretz Israel nel II secolo a.e.v. . Il dominatore greco riteneva di far scomparire la specificità giudaica proibendo la pratica della Legge, ma una rivolta armata guidata da Mattatia, un anziano sacerdote della famiglia degli Asmonei, di Modin, cittadina a nord-ovest di Gerusalemme, permise – secondo Zc 4,6 – la vittoria dello spirito sulla forza brutale che minaccia Israele nella sua vita religiosa e spirituale.
 La festività dura 8 giorni e la prima sera, chiamata Erev Chanukah, inizia al tramonto del 24 del mese di Kislev. Secondo il procedere del calendario ebraico, quindi, il primo giorno della festa cade il 25 di Kislev. È l’unica festività religiosa ebraica che si svolge a cavallo di due mesi, inizia a Chislev e finisce in Tevet. In particolare se Kislev dura 29 giorni finisce il 3 Tevet, mentre quando Kislev ha 30 giorni finisce il 2 Tevet. È, assieme a Purim, la seconda delle feste minori, ovvero delle feste stabilite dopo il dono della Torah.
La storia di Chanukah non è inclusa nel libro del Tanach, ma appare nel primo e nel secondo libro dei Maccabei. I libri, sebbene non facciano parte della Torah, sono parte del complesso deutercanonico. Questo complesso pur non essendo stato codificato per l’ebraismo come parte del testo sacro, lo divenne per la chiesa cattolica e la chiesa ortodossa.
Intorno al 200 a.e.v., gli ebrei vivevano in terra di Israele, in quel tempo sotto il controllo della dinastia Seleucida stabilitasi in Siria. Il popolo ebraico pagava le tasse alla Siria e ne accettava l’autorità legale e per lungo tempo fu libero di seguire la propria fede, di mantenere i propri lavori e di prendere parte ai commerci. Nel 180 a.e.v. Antioco IV Epifane ascese al trono succedendo al fratello Seleuco IV, che morì assassinato. Sotto il suo regno, gli ebrei vennero gradualmente forzati a violare i precetti della propria fede. I templi vennero profanati, spogliati delle loro ricchezze, ed utilizzati come templi pagani per le cerimonie ellenizzanti che Antioco fece organizzare in tutto il suo impero. La forzatura alla trasgressione dei precetti, le profanazioni e la pretesa di ellenizzare la cultura dell’intero impero portò alla rivolta di una parte della popolazione ebraica. Nel 167 a.e.v., in particolare, Antioco consacrò a Zeus un altare costruito nel Tempio di Gerusalemme. Mattatia, un Cohen, insieme ai suoi cinque figli Giovanni, Simone, Giuda, Elazar e Gionata, guidò la ribellione contro Antioco. Giuda divenne noto come Giuda Maccabeo (in ebraico significa Giuda il martello). Nel 166 a.C. Mattatia muore lasciando la guida al figlio Giuda. Nel 165 a.C. la rivolta ebraica contro la monarchia seleucida giunse a successo. Il Tempio di Gerusalemme venne riconquistato e riconsacrato.
La festa di Chanukah venne istituita proprio da Giuda Maccabeo e dai suoi fratelli per celebrare questo evento (Maccabei I, 4;59). Dopo la riconquista di Gerusalemme e del Tempio, Giuda ordinò che il Tempio fosse ripulito, fosse costruito un nuovo tempio e che le luci del Candelabro venissero riaccese, venne ripristinata l’Arca santa. Quando la luce venne riaccesa sul Candelabro, la riconsacrazione dell’altare venne celebrata per otto giorni con sacrifici e canti (Maccabei I 4;36). Un certo numero di storici ritiene che il motivo per gli 8 giorni di durata della festa sia da riferirsi ad un tardivo festeggiamento dei Sukkot. Durante la guerra gli ebrei non furono in condizioni di celebrare Sukkot come prescritto. Anche Sukkot dura otto giorni ed è una festività nella quale l’uso delle luci ha un ruolo preminente durante l’era del Secondo Tempio. Le luci venivano accese anche nelle abitazioni e da qui la festa viene spesso indicata con il nome Festa delle Luci.
Il miracolo di Chanukah è narrato nel Talmud, ma non nel libro dei Maccabei. La festa celebra la sconfitta, per mano di Giuda Maccabeo, dei Seleucidi e la successiva riconsacrazione del Tempio. La festività, durante gli otto giorni, è caratterizzata dall’accensione dei lumi di un particolare Candelabro ad otto braccia chiamato Chanukiah. La ricostruzione riportata nel Talmud, racconta che dopo la riconquista del Tempio, i Maccabei lo spogliarono di tutte le statue pagane e lo sistemarono secondo gli usi ebraici. Scoprirono, inoltre, che la gran parte degli oggetti rituali erano stati profanati. Secondo il rituale, per riconsacrare il tempio, doveva essere bruciato per otto giorni, in una Menorah dell’olio di oliva purificato. Nel tempio però trovarono olio sufficiente solamente per una giornata. Lo accesero comunque mentre si apprestavano a purificarne dell’altro. Miracolosamente, quel poco olio continuò a illuminare il tempio per tutto il tempo necessario a spremere l’olio ed a purificarlo: otto giorni. Per questo motivo si accende ogni giorno della festa una candela in più rispetto al giorno precedente. Nel Talmud sono presentate due consuetudini. Una indica come nel primo giorno si accendano tutte le otto luci della Chanukiah ed ogni giorno se ne spenga una. L’altra, al contrario, prescrive di accendere solo la prima candela nel primo giorno ed aumentare di una candela ogni giorno successivo. I seguaci di Shammai seguono il primo uso, quelli di Hillel il secondo (Talmud, trattato dello Shabbath 21b). Giuseppe ritenne che le luci fossero simbolo della libertà ottenuta dal popolo ebraico nei giorni che Chanukah commemora.                                                                                                                                                                       Prima del XX secolo questa veniva considerata una festa minore. Con la crescente popolarità del natale cristiano come maggiore festività del mondo occidentale e l’istituzione dello Stato di Israele, Chanukah cominciò a rappresentare sia una celebrazione della volontà di sopravvivere del popolo ebraico, sia una festività durante cui fare regali che rappresentasse un sostituto ebraico del natale cristiano. Al giorno d’oggi, la prima sera dei chanukah, c’è l’uso promosso dal movimento Chabad, presso alcune comunità italiane, di celebrare l’accensione della prima candela in maniera pubblica. Numerose persone si ritrovano in una piazza centrale della città dove è stata installata una grande channukia. Il presidente della comunità o il rabbino capo, tengono un breve discorso, recitano la beracha (benedizione) sulle candele e inaugurano la festa. I presenti solitamente intonano inni gioiosi ed eseguono tipici balli ebraici. Dolce tipico della festa è una sorta di bombolone chiamato sufgagnà che, essendo fritto nell’olio, vuole ricordare l’olio consacrato che tenne in vita la luce del tempio.

Publié dans:EBRAISMO, EBRAISMO: LE FESTIVITÀ |on 5 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

6 DICEMBRE: SAN NICOLA DI BARI

http://www.ortodossia-russa.net/Testi/nicola/San_nicola.htm

6 DICEMBRE: SAN NICOLA DI BARI

San Nicola di Mira

San Nicola era nato a Patara in Licia, una provincia nel sud dell’Asia minore. Mira, città di cui il Santo divenne vescovo, era la capitale della provincia e sede episcopale fondata da S. Nicandro. I dati biografici più accreditati, tramandatici dalla Chiesa greca, riportano che il Santo fu imprigionato e perseguitato sotto Diocleziano. Vent’anni dopo la prigionia, partecipò al Concilio di Nicea, unendo la sua voce alla condanna dell’eresia ariana. Le informazioni storiche tramandano inoltre che morì a Mira, nella cui cattedrale fu tumulato.
A questi fatti « storici », è andata associandosi nel corso dei secoli una vastissima letteratura tradizionale, della quale riportiamo qui alcune parti significative e popolari.
Nicola ricevette un’educazione di alto livello da genitori pii e virtuosi, che lo iniziarono alla lettura delle Sacre Scritture sin dall’età di 5 anni. Morirono quando Nicola era ancora giovane, lasciandogli in eredità una discreta fortuna, che il santo decise di destinare ad opere di carità. L’occasione per tale gesto giunse ben presto: un cittadino di Patara aveva perduto ogni suo avere, e le sue tre figlie, prive di dote, non potevano trovare marito. Nella disperazione, il padre stava per votarle ad una vita disonorevole. Avendo udito ciò, Nicola prese una borsa d’oro e la gettò nottetempo attraverso la finestra della casa dell’uomo. Tale somma fu usata come dote per la figlia maggiore, che si sposò ben presto. Nicola si comportò ugualmente per le altre due figlie; venne scoperto dal padre, che usò espressioni di immensa gratitudine verso il benefattore.
Nicola si trovava nella città di Mira quando il clero ed il popolo si riunirono per l’elezione del loro nuovo vescovo. Come già detto, si era ai tempi delle persecuzioni di Diocleziano, all’inizio del IV secolo. Secondo alcuni testi tradizionali greci, « il divino Nicola fu arrestato dai magistrati, torturato, incatenato e gettato in carcere insieme ad altri cristiani. Quando Costantino, scelto da Dio, successe a Diocleziano, i prigionieri vennero rilasciati, e con essi l’illustre Nicola ». San Metodio aggiunge che « …grazie agli insegnamenti di Nicola, la metropoli di Mira non fu contaminata dall’eresia ariana, da lui rigettata come veleno letale ». Metodio non menziona la partecipazione di Nicola al Concilio di Nicea, ma secondo altri autori egli fu là presente ed attivo, al punto di schiaffeggiare, pieno di indignazione, lo stesso Ario! In seguito a ciò Nicola fu privato delle sue insegne episcopali ed imprigionato, ma la tradizione tramanda che Nostro Signore e Sua Madre intervennero direttamente, liberarono il Santo e lo reintegrarono nel suo rango. Nicola adottò anche drastiche misure per combattere il paganesimo e abbatté numerosi templi, tra cui quello della dea Artemide, il più importante nel territorio della sua eparchia.
Nicola fu custode del popolo a lui affidato non solo nelle cose dello spirito. Il giorno in cui tre uomini innocenti dovevano essere messi a morte per ordine del governatore, Nicola fermò la mano del boia e li liberò. Rimproverò quindi il governatore, che si pentì dell’ingiusta sentenza. Al fatto erano presenti tre ufficiali imperiali, Nepote, Urso ed Erpilione. I tre uomini vennero in seguito ingiustamente accusati di truffa dal locale prefetto, il quale era riuscito ad ottenere dall’imperatore Costantino una sentenza di morte per i tre uomini. Ricordando l’episodio in cui l’amore di Nicola per la giustizia si era manifestato in favore dei tre innocenti, gli ufficiali imperiali invocarono l’aiuto di Dio. Quella notte Nicola apparve in sogno a Costantino e ordinò all’imperatore di rilasciare i tre uomini innocenti. Il prefetto ebbe un sogno identico, e la mattina dopo i due uomini, constatando di avere assistito alla medesima apparizione, concordarono di interrogare i condannati. Avendo appreso che i tre si erano rivolti in preghiera per intercessione di Nicola, l’imperatore rese loro la libertà e scrisse al Santo vescovo una lettera, chiedendo le sue preghiere per la pace nell’impero.
Tutte le tradizioni sono concordi sul fatto che San Nicola fu tumulato nella città di Mira. Due secoli dopo, durante il regno di Giustiniano, una chiesa fu edificata sopra la sua tomba, le cui rovine furono rinvenute nel XIX secolo. La enorme popolarità del santo di Mira è bene espressa da un anonimo autore del X secolo, che dichiara: « …l’oriente e l’occidente lo acclamano. In ogni luogo abitato, campagne e città, isole e villaggi, agli estremi confini della terra, il suo nome è riverito e chiese sono edificate in suo onore ».

Nel 1034 Mira fu occupata dai saraceni e i cittadini di Bari trafugarono le reliquie del santo, che erano ancora in custodia di greci cristiani sotto il dominio musulmano. Ciò avvenne nel 1087: una grande basilica venne successivamente edificata nella città per accogliere le reliquie del Santo.
A San Nicola è dedicata la Chiesa Ortodossa russa di Firenze, appartenente al nostro arcivescovado.

Publié dans:SANTI, SANTI :"memorie facoltative" |on 5 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

5 DICEMBRE : SAN SABA ARCHIMANDRITA

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5 DICEMBRE : SAN SABA ARCHIMANDRITA

San Saba archimandrita nasce nel 439 a Cesarea di Cappadocia. Attorno ai 18 anni arriva pellegrino in Terrasanta. Sul cammino sosta sempre in comunità monastiche di diverso tipo: di vita comune, anacoretiche, nelle loro grotte o capanne. È così che trova una guida nel monaco Eutimio detto «il grande», col quale condividerà la vita eremitica in Giordania. Dopo la morte del maestro si ritira verso Gerusalemme, nella valle del Cedron. Qui, col tempo, si forma intorno a lui un’aggregazione monastica frequente in Palestina: la Lavra, una comunità destinata a crescere fino ad ospitare 150 monaci e far da guida ad altri «villaggi» monastici di questo tipo. Nel 492, Saba viene ordinato sacerdote, e il patriarca Elia di Gerusalemme lo nomina archimandrita, capo di tutti gli anacoreti di Palestina. Muore, ultranovantenne, nel 532. Nel mondo cattolico San Saba viene ricordato il 5 Dicembre.
Prima della sua morte, il santo fondatore della Lavra predisse la visita di un pellegrino di stirpe reale che avrebbe portato il suo stesso nome. San Saba raccomandò ai suoi fratelli di dare la meravigliosa icona a tale pellegrino come una benedizione.

San Saba di Serbia al secolo principe Rastko Nemanjic (figlio del condottiero, fondatore dello Stato medievale serbo Stefano Nemanja e fratello del primo re serbo Stefano Prvovencani), fu il primo arcivescovo serbo (1219-1233) nonché una figura di spicco nel panorama politico e culturale dell’epoca. Viene venerato come santo dalla Chiesa ortodossa serba. La sua figura è stata considerata così importante nella Serbia medioevale che esistono più di dieci Vite, scritte tra il 1200 e il 1350, che narrano la sua biografia. Terzogenito della famiglia reale e dotato fin dall’infanzia di una buona educazione, rinunciò a 17 anni all’incarico paterno di governare la regione di Hum per rifugiarsi, nascostamente dai genitori, nel monastero russo-ortodosso di S. Panteleimon del Monte Athos, dove fu ordinato monaco con il nome di Saba, in onore di San Saba il Grande (434-532), fondatore del monachesimo palestinese. Nel 1197 si trasferì nel monastero greco di Vatopedi, sempre presso il monte Athos e lì lo raggiunse il padre Stefano Nemanja. Verso la fine di quello stesso anno fu inviato dai monaci dell’Athos in missione diplomatica a Costantinopoli.
In questo periodo San Saba di Serbia visitò la Lavra. Non appena si avvicinò al reliquiario di San Saba, le reliquie del santo stesso si animarono e ricomponendosi si posero ai piedi del santo arcivescovo serbo.
I monaci chiesero al visitatore il suo nome, e questi disse loro di essere
l’arcivescovo Saba di Serbia. Obbedendo alle istruzioni del loro fondatore, i monaci di San Saba diedero all’arcivescovo l’icona de « La Nutrice » e l’Icona « delle Tre mani ».
Il santo arcivescovo accettò l’icona con l’idea di portarla nel monastero abbandonato di Hilandar sul Monte Athos.
Ritornato da Alessio III, San Saba chiese il permesso di tornare ad occupare il monastero abbandonato di Hilandar, cosa che Saba fece con il padre e con alcuni altri monaci nel 1198 ristrutturandolo e facendolo tornare a essere uno dei monasteri più importanti per la vita monastica serba. Il padre di San Saba fu ordinato monaco con il nome di Simeone, nome con cui più tardi fu canonizzato a santo, e morì il 13 febbraio 1200.
Dopo la dipartita del padre, Saba si ritirò a vita ascetica nel monastero di Kareya, da lui stesso costruito alla fine del 1200. Qui pose l’icona sul lato destro della iconostasi della chiesa di San Saba il grande.
L’icona è stata successivamente denominata Typikonissa, per via dei  tipici di Kareya, regole monastiche scritte dallo stesso santo ed ispirate probabilmente dalla Santa Vergine in lingua serba che dovevano servire a dirigere sia il nuovo monastero che quello di Hilandar. In quegli stessi anni fu ordinato sacerdote e, poco tempo dopo, archimandrita dai tre vescovi della regione.
San Saba è considerato dagli storici il fondatore dell’autocefala chiesa ortodossa serba e celebrato come santo patrono dell’istruzione e della medicina. La sua festa è celebrata il 27 gennaio del calendario gregoriano (14 gennaio in quello giuliano, ancora oggi utilizzato dalla chiesa serba).

Publié dans:SANTI, SANTI :"memorie facoltative" |on 5 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

San Giovanni Damasceno

San Giovanni Damasceno dans immagini sacre stjohnofdamascustext634

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Publié dans:immagini sacre |on 4 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

Riguardo al venerare verso Oriente, San Giovanni Damasceno

http://it.groups.yahoo.com/group/sanmarcoefeso/message/10793

Riguardo al venerare verso Oriente, San Giovanni Damasceno

(Tratto da: Esatta esposizione della fede ortodossa)

Il Padre della Chiesa Giovanni Damasceno si fà eco, in questo brano, d’una tradizione che lo precede e che egli collega direttamente agli Apostoli. Pregare verso Oriente in direzione della luce nascente significa, per il santo, coinvolgere il cosmo e rinvenire in esso un valore simbolico. Tutto viene unito intimamente nella misteriosa presenza di Dio. Nulla viene trascurato, allontanato e frantumato nella vita dell’uomo. Per questo macrocosmo e microcosmo, corpo e anima, individuo e comunità vengono concepiti « uno » nell’evento redentivo di Cristo.
Noi non prestiamo venerazione volgendoci verso Oriente superficialmente o a caso. Ma poiché siamo composti di natura visibile e invisibile, ossia intellettuale e sensibile, presentiamo al Creatore anche una duplice venerazione: così come cantiamo con la mente e con le labbra, siamo battezzati con l’acqua e con lo Spirito, e siamo uniti al Cristo in modo duplice partecipando ai sacramenti e alla grazia dello Spirito.
Quindi, poiché « Dio è luce » intellettuale e poiché Cristo è chiamato nelle Scritture « sole di giustizia » e « Oriente » , occorre dedicargli l’Oriente per la venerazione. Infatti bisogna dedicare ogni cosa bella a Dio, dal quale ogni cosa è resa buona. Anche il divino Davide dice: « Cieli della terra, cantate a Dio, cantate inni al Signore, che cavalca sul cielo dei cieli, ad Oriente » . E ancora la Scrittura dice: « Dio piantò un giardino in Eden, ad Oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato » ; ma poi lo scacciò dopo che aveva trasgredito, e « lo fece abitare di fronte al giardino delle delizie » , cioè ad Occidente.
Perciò noi veneriamo Dio desiderando l’antica patria e volgendo gli occhi ad essa. E la tenda di Mosè aveva il velo e il propiziatorio ad Oriente . La tribù di Giuda, come più onorevole, si accampava ad Oriente. Nel famoso tempio di Salomone la porta del Signore era posta ad Oriente . Invece il Signore, quando era in croce, guardava verso Occidente e così noi prestiamo venerazione volgendo lo sguardo verso di lui. Mentre era assunto in alto fu portato verso Oriente, e così gli apostoli lo venerarono: e così egli verrà nel modo con cui fu visto andare in cielo, come il Signore stesso disse: « Come la folgore viene da oriente e brilla fino ad occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo » . E quindi noi aspettandolo prestiamo venerazione verso Oriente.
Questa è la tradizione non scritta degli apostoli: infatti molte cose essi ci hanno tramandato senza scriverle.

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